La MACROREGIONE ALPINA, idea e iniziativa OLTRE I PICCOLI INTERESSI REGIONALI (speriamo sia così): prospettiva di un’EUROPA che dà riconoscimento e vita ad ambienti geografici peculiari nella loro bellezza, storia, economia, e ricca molteplicità di culture che si incontrano

Le ALPI DAL SATELLITE (da www_dislivelli_eu) - CLICCARE SULL'IMMAGINE PER INGRANDIRLA
Le ALPI DAL SATELLITE (da www_dislivelli_eu) – CLICCARE SULL’IMMAGINE PER INGRANDIRLA

GRENOBLE: FIRMATA LA RISOLUZIONE PER LA MACROREGIONE ALPINA

E’ stata firmata a Grenoble, la risoluzione politica sulla Strategia alpina con cui Italia, Austria, Francia, Germania, Liechtenstein, Slovenia e Svizzera ufficializzano l’impegno a introdurre nell’area alpina uno strumento di concreto impulso alla crescita e alla competitività. Presenti insieme al ministro degli Esteri, Emma Bonino, e ai colleghi dei paesi d’oltralpe, anche i governatori delle regioni interessate, Roberto Maroni, (Lombardia), Roberto Cota (Piemonte) e Luca Zaia (Veneto). (da http://www.tuttonotizie.info/notizie1/ – 18/10/2013)

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I tre punti cardine sui quali si svilupperà la strategia sono: 1-assicurare la crescita, la competitività e l’innovazione, tramite il consolidamento e la diversificazione di attività economiche specifiche; 2-promuovere un’organizzazione territoriale focalizzata su politiche di mobilità ecologica e di sviluppo dei servizi e delle infrastrutture di comunicazione; 3-preservare la biodiversità e le aree naturali, promuovendo la gestione sostenibile dell’energia e delle risorse naturali.

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paesaggio alpino in Svizzera - "Non è da tutti convivere con tali meraviglie e passeggiare da mattina a sera nello smarrimento e nello stupore"(Victor Hugo) - (da www.deborasuoni.blogspot.it)
paesaggio alpino in Svizzera – “Non è da tutti convivere con tali meraviglie e passeggiare da mattina a sera nello smarrimento e nello stupore”(Victor Hugo) – (da http://www.deborasuoni.blogspot.it)

   L’accordo che è stato firmato a Grenoble dalle regioni degli stati nazionali che rientrano geograficamente nell’area delle Alpi (Austria, Francia, Germania, Italia, Liechtenstein, Slovenia e Svizzera) (l’Italia è rappresentata dalla Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Piemonte, le Province di Trento e Bolzano) per la nascita di una MACROREGIONE ALPINA è una cosa interessante, nella volontà di individuare politiche comuni e “modi di essere” di “riconoscersi” al di fuori dei tradizionali Stati e delle stesse regioni.

   Lo scopo dell’accordo, almeno sembra, è prettamente pratico: creare uno strumento unico di coordinamento delle politiche e dei fondi transnazionali, per garantire crescita, equità e sviluppo sostenibile nei territori che tutti appartengono all’Arco Alpino, inteso come grande varietà di luoghi e di culture dove i paesaggi naturali sono in primis caratterizzati dalla presenza delle catene montuose, dal riconoscersi tra loro, geomorfologicamente, storicamente, nei modi di vita, in un ambito caratterizzato dalla presenza delle montagna, di un’unica catena montuosa che da Genova arriva fin nei pressi di Vienna.

   L’idea di un’unica “autorità” alpina, oltre ogni frontiera nazionale, è il sogno in parte espresso nella “Convezione delle Alpi”, specie di atto costitutivo firmato nel 1991 dagli otto Stati (sopra citati) che hanno sottoscritto questa “convenzione” che per la prima volta riconosceva l’unità territoriale alpina e la necessità di garantire sviluppo e politiche di tutela comuni. Ora sembrerebbe, con la MACROREGIONE ALPINA, si voglia fare un passo in più, o perlomeno mettere in concreto il progetto unico politico transfrontaliero del territorio alpino.

   Anche se le perplessità esistono. Infatti è nelle intenzioni delle regioni aderenti, “allargare” la Macroregione  a tutti i loro territori regionali, anche quelli non alpini: da una popolazione “solo” presente nei territori delle Alpi, di montagna, di circa 13milioni di abitanti, si passerebbe (lo si dice esplicitamente) a una Macroregione Alpina di 70milioni di abitanti, comprendendo appunto aree che con il sistema montano non hanno niente a che vedere.

LE 36 SEZIONI DELLA SOIUSA - Nel 2005 è stata presentata ufficialmente la classificazione SOIUSA, acronimo di SUDDIVISIONE OROGRAFICA INTERNAZIONALE UNIFICATA DEL SISTEMA ALPINO, allo scopo di uniformare le denominazioni utilizzate negli Stati dell'area alpina. Questa classificazione prevede 2 grandi parti (ALPI OCCIDENTALI e ALPI ORIENTALI), in accordo con le classificazioni in uso oltralpe, ed una ulteriore suddivisione in 5 settori, 36 sezioni e 132 sottosezioni (CLICCARE SULL’IMMAGINE PER INGRANDIRLA)
LE 36 SEZIONI DELLA SOIUSA – Nel 2005 è stata presentata ufficialmente la classificazione SOIUSA, acronimo di SUDDIVISIONE OROGRAFICA INTERNAZIONALE UNIFICATA DEL SISTEMA ALPINO, allo scopo di uniformare le denominazioni utilizzate negli Stati dell’area alpina. Questa classificazione prevede 2 grandi parti (ALPI OCCIDENTALI e ALPI ORIENTALI), in accordo con le classificazioni in uso oltralpe, ed una ulteriore suddivisione in 5 settori, 36 sezioni e 132 sottosezioni (CLICCARE SULL’IMMAGINE PER INGRANDIRLA)

   Delusioni per progetti poco probabili o impossibili (come quello della Macroregione del Nord che l’attuale governatore della Lombardia propugnava), porterebbe alla necessità di approfittare di altre occasioni più sane e più serie che possono effettivamente realizzarsi (come appunto il riconoscimento europeo della realtà geomorfologica, geografica, storica, della catena montuosa alpina); pertanto di aderire, “inventarsi qualcosa” per procurarsi risorse (dall’Unione Europea, paventando la bellezza dei paesaggi alpini…): tante cose fanno pensare che le intenzione degli apparati regionali (in Italia, ma non solo) siano concentrati poco su una visione  di nuovo sviluppo e tutela ambientale della grandezza paesaggistica, storica, culturale delle Alpi. E di un progetto di “comunione dei popoli”, oltre ogni frontiera…. (del resto, per fare un esempio, non è che la Regione Veneto si sia particolarmente interessata alla crisi che in questi ultimi due decenni sta vivendo l’area del Cadore…).

   Vorremmo sbagliarci ma, guardando l’attuale politica delle regioni italiane (dispendiosa di risorse, di sfruttamento speculativo cementizio del territorio, di opposizione a ogni rinnovamento degli enti istituzionali , come l’opposizione di fatto all’eliminazione delle province, ogni rifiuto ad aggregarsi come regioni in appunto macroistituzioni regionali…), tutto questo non aiuta a sperare che l’intento alla valorizzazione “sincera” di un grande nuovo sviluppo ecocompatibile delle Alpi attraverso la Macroregione Alpina, sia cosa veramente desiderata nel cuore e nella mente degli apparati regionali che ora intervengono. MA SPERIAMO DI SBAGLIARCI, e vogliamo credere con fiducia che questa nuova istituzione sia l’inizio di una nuova era di rivitalizzazione (autonoma) dell’Arco Alpino. Per questo abbozziamo di seguito alcune proposte.

   Se Macroregione Alpina dev’essere, necessita che nasca una vera strategia e degli obiettivi concreti all’interno degli stessi territori alpini, che da queste aree montane, da grandi o media città, piccoli comuni e realtà urbane, terre di campagna, pascolo, boschive, dei numerosi parchi che vi sono…. Che divengano essi attori principali della Macroregione; nascano proposte che vedano le Alpi protagoniste al loro interno, anche di forme di vita, di economia, di lavoro esportabili nelle pianure e in tutti gli altri territori oltre quelli montani….

   In questo senso è appunto interessante partire, come riferimento a nostro avviso strategico, da quella Convenzione delle Alpi che ha come obiettivo quella di una politica comune che incide sulla vita di 13 milioni di abitanti. Evitando fin dall’inizio il travisamento che procurerebbe il parlare di una strategia macroregionale che dovrà invece coinvolgere 70 milioni di persone.  Insomma:

1- al centro di tutto è secondo noi importante che esista un’autonomia decisionale e l’impiego di ogni risorsa per le sole zone alpine e non altri territori delle singole regioni interessate (passare da 13 a 70 milioni di abitanti rende il progetto strumentale a fini diversi da quello originario).

2- Condividiamo poi la convinzione di chi afferma che le Alpi devono essere vissute come cerniera e non come barriera, le Alpi come tratto d’unione tra popoli che parlano lingue diverse, ma hanno la stessa voce, le Alpi come grande e straordinario laboratorio (ma allora ha senso grandi gallerie ferroviarie, come quella del Brennero, un tunnel di circa 55 chilometri fra Fortezza e Innsbruck, o la TAV Torino-Lione, progetti che bypassano “la barriera alpina”, che ignorano ogni fermata e collegamento, e rispetto, con i territori montani?!?).

3- Pertanto un’Area alpina che si dà essa stessa una proposta autonoma di eco-sviluppo e di politica propria nell’essere in Europa (oltre gli Stati nazionali diversi che la compongono), qualcosa che “parte” dalla montagna, e che non viene imposto-proposto da fuori, porta a un RIPENSARE complessivo degli attuali sviluppi dati dall’ “arrivo esterno” di soli turisti (pur essendo il turismo ancora e più che mai un introito economico strategico): non può essere che la montagna sia vista solo come tempo libero, di unico utilizzo turistico, come di sviluppo delle seconde case chiuse la gran parte dell’anno.

4- C’è la necessità nell’Arco Alpino di un recupero di attività legate alle risorse rinnovabili che la montagna ha: il legno e la nuova edilizia che si avvale di questo prodotto (il taglio regolamentato, regolato, la fine dell’abbandono di aree una volta prative a pascolo invase ora da piante infestanti, rovi e sterpaglie…); l’acqua come risorsa energetica fatta di piccole e piccolissime centraline diffuse che potrebbero dare autonomia elettrica alla montagna (alla Macroregione Alpina) senza danni ambientali (mai più pericoli come il Vajont e i grandi invasi idroelettrici)

5 – Le Alpi, la montagna, che esprime ricerca e tecnologia (perché non indirizzare i fondi europei che arriveranno in un unico progetto di “Università delle Alpi”? …ripartita nei 1300 chilometri dell’elisse alpina, che faccia suo lo studio dei fenomeni ambientali, umani, storici, animali, paesaggistici, metereologici, e tutto quanto riguarda questo immenso bacino di natura e cultura…. Se è pur vero che università come Trento possono essere considerate geograficamente inserite nel contesto delle Alpi, è anche vero che una loro specificità nello studio, nella ricerca, nella proposta scientifica del territorio alpino non è cosa predominante.

Le molteplicità linguistiche locali, e con esse i rapporti e collegamenti con altre culture, popoli che si conoscono nelle diversità che li caratterizzano, potrebbero far sì che l’esperienza di una Macroregione Alpina, dia risposte concrete al necessario inesorabile progressivo superamento degli stati nazionali (almeno riducendo drasticamente la loro importanza e centralità), dimostrando in questo che l’Unità Europea è in grado di esprimere progetti di vita comunitaria diversificati, attraverso dieci, venti Macroregioni, rispettando storie comuni e culture ancora importanti negli sviluppi futuri. (s.m.)

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ALPI

da Wikipedia

   Le Alpi sono la catena montuosa più importante d’Europa. Per convenzione le Alpi  iniziano a ovest del Colle di Cadibona (vicino Savona, ndr) anche se in realtà il confine geologico è posto nei pressi di Genova ed è costituito dal Gruppo di Voltri (lungo una discontinuità tettonica denominata linea Sestri-Voltaggio) e terminano a ovest della città di Vienna, coprendo una distanza di circa 1.300 km a forma di arco tra l’Italia Settentrionale, la Francia sud-orientale, la Svizzera, il Liechtenstein, l’Austria, il sud della Germania, la Slovenia e l’Ungheria occidentale. Tra Verona e Monaco di Baviera raggiungono la larghezza massima. A seguito del IX Congresso Geografico Italiano, svoltosi nel 1924, vennero ufficializzate nel 1926 le suddivisioni del sistema alpino sulla base del documento “Nomi e limiti delle grandi parti del Sistema Alpino”. La ripartizione principale individua tre grandi parti: Alpi Occidentali, Alpi Centrali e Alpi Orientali, suddivise a loro volta in 26 sezioni e 112 gruppi.

Tale classificazione deve considerarsi superata. Ora si parla del sistema “SOIUSA”

Le 36 sezioni della SOIUSA

Nel 2005 è stata presentata ufficialmente la classificazione SOIUSA, acronimo di Suddivisione Orografica Internazionale Unificata del Sistema Alpino, allo scopo di uniformare le denominazioni utilizzate negli Stati dell’area alpina. Questa classificazione prevede 2 grandi parti (Alpi Occidentali e Alpi Orientali) anziché le tre tradizionali italiane, in accordo con le classificazioni in uso oltralpe, ed una ulteriore suddivisione in 5 settori, 36 sezioni e 132 sottosezioni.

Le Alpi Occidentali sono suddivise in:

Alpi Sud-occidentali: Alpi Liguri; Alpi Marittime e Prealpi di Nizza; Alpi e Prealpi di Provenza; Alpi Cozie; Alpi del Delfinato; Prealpi del Delfinato.

Alpi Nord-occidentali: Alpi Graie; Prealpi di Savoia; Alpi Pennine; Alpi Lepontine; Prealpi Luganesi; Alpi Bernesi; Alpi Glaronesi; Prealpi Svizzere.

Le Alpi Orientali sono suddivise in:

Alpi Centro-orientali: Alpi Retiche occidentali; Alpi Retiche orientali; Alpi dei Tauri occidentali; Alpi dei Tauri orientali; Alpi di Stiria e Carinzia; Prealpi di Stiria.

Alpi Nord-orientali: Alpi Calcaree Nordtirolesi; Alpi Bavaresi; Alpi Scistose Tirolesi; Alpi Settentrionali Salisburghesi; Alpi del Salzkammergut e dell’Alta Austria; Alpi Settentrionali di Stiria; Alpi della Bassa Austria.

Alpi Sud-orientali: Alpi Retiche meridionali; Alpi e Prealpi Bergamasche; Prealpi Bresciane e Gardesane; Dolomiti; Prealpi Venete; Alpi Carniche e della Gail; Alpi e Prealpi Giulie; Alpi di Carinzia e di Slovenia; Prealpi Slovene.

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TERRITORIO EUROPEO E CREAZIONE DI GRANDI MACROREGIONI, TRA LE QUALI QUELLA ALPINA

da “Itinerari Mitteleuropei”

www.itinerarimitteleuropei.eu/

   Il territorio europeo è una grande varietà di luoghi e di culture dove i paesaggi naturali, i parchi, le campagne, recano tracce evidenti del lavoro dell’uomo e ne raccontano la storia, al pari dei centri urbani e dei monumenti.
Regioni storiche, ambienti, città minori. L’Europa dei luoghi evocativi, Regioni che hanno alimentato movimenti artistici e religiosi, scuole di pensiero, correnti letterarie. Regioni divise da guerre sono ora riunite in un contesto europeo e rivolte a creazione di grandi macroregioni tra le quali quella alpina.

LE ALPI

La catena montuosa delle Alpi è il più importante ecosistema dell’Europa. Occupa una superficie di 190.912 kmq, ha una larghezza massima di 240 km, una lunghezza di 1.300, e si estende ad arco nei territori italiano, francese, svizzero, del Liechtenstein, tedesco, austriaco e sloveno.
Le Alpi sono tradizionalmente divise in tre sezioni: Alpi Occidentali, Alpi Centrali, Alpi Orientali.
L’altitudine media è di circa 1.300 m e la vetta più alta è il Monte Bianco (4810 m).
La popolazione alpina è di circa 16 milioni di abitanti e le città principali sono: Bolzano, Trento, Aosta, Chambery, Grenoble, Annecy, Ginevra, Losanna, Vaduz, Salisburgo, Innsbruck, Lubiana.
E’ una delle ultime regioni naturali rimaste dell’Europa Centrale in cui convivono 30.000 specie di animali (tra i più famosi l’aquila reale, l’orso bruno, lo stambecco, il camoscio, la lince e il lupo) e 13.000 specie vegetali.
Le Alpi sono il maggior nodo idrografico d’Europa. Sul versante esterno nascono il Rodano, il Reno e alcuni affluenti di destra del Danubio, fra cui l’Inn e la Drava; su quello interno il Po con i suoi numerosi affluenti di sinistra e l’Adige, il Brenta, il Piave, il Tagliamento, l’Isonzo. I laghi sono più di 3.000 e coprono una superficie di oltre 4.400 kmq, e costituiscono la maggior attrattiva delle Alpi (il lago di Ginevra 582 kmq, il lago di Costanza 539 kmq, il lago di Garda 370 kmq).

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ANCHE LA CONVENZIONE DELLE ALPI A SUPPORTO DELLA CREAZIONE DELLA MACROREGIONE ALPINA

da http://www.infooggi.it/ , 17/10/2013, di Gianluca Teobaldo

   La riunione di Grenoble del 18 ottobre, in occasione della quale i Presidenti delle Regioni alpine e i Ministri degli Stati interessati sottoscriveranno un accordo per la creazione della Strategia macroregionale alpina, strumento di coordinamento delle politiche e dei fondi nazionali e europei. L’importante appuntamento di venerdì fa seguito all’impegno intrapreso dalle Regioni, il 29 giugno 2012, a Bad Ragaz.
I tre punti cardine sui quali si svilupperà la strategia sono: 1-assicurare la crescita, la competitività e l’innovazione, tramite il consolidamento e la diversificazione di attività economiche specifiche; 2-promuovere un’organizzazione territoriale focalizzata su politiche di mobilità ecologica e di sviluppo dei servizi e delle infrastrutture di comunicazione; 3-preservare la biodiversità e le aree naturali, promuovendo la gestione sostenibile dell’energia e delle risorse naturali.
   Il 19 dicembre, l’accordo sarà poi presentato ufficialmente al Consiglio Europeo dei Capi di Stato e di Governo per la sua approvazione.

  “La presidenza italiana della Convenzione delle Alpi sta lavorando per contribuire attivamente al processo che promuove la candidatura della regione alpina per una Strategia macroregionale dell’Unione Europea” ha sottolineato il Sottosegretario Cirillo. ”L’obiettivo generale è quello di promuovere un connubio virtuoso tra la salvaguardia della biodiversità e degli ecosistemi alpini e la promozione di una green economy che abbia alla base il patrimonio naturale, culturale e socio-economico delle montagne, e che può costituire una forza trainante per lo sviluppo dell’intera regione alpina, promuovendo così una crescita sostenibile, intelligente, inclusiva”.

   Infine, nella prospettiva dell’importante appuntamento con l’Expo 2015, il Sottosegretario ha detto che “EXPO 2015 rappresenta un’occasione unica per mostrare al mondo il contributo della montagna alle strategie per lo sviluppo sostenibile. Per questo, stiamo lavorando, in sinergia con i rappresentanti dei paesi alpini, per portare le migliori pratiche maturate nell’ambito della Convenzione delle Alpi all’esposizione universale del 2015.”

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CONVENZIONE DELLE ALPI

da Wikipedia

   La Convenzione delle Alpi è un trattato internazionale sottoscritto dagli otto Stati alpini: Austria, Francia, Germania, Italia, Liechtenstein, Principato di Monaco, Slovenia e Svizzera, nonché dalla Comunità Europea con l’obiettivo di garantire una politica comune per l’Arco alpino; un territorio sensibile e complesso in cui i confini sono determinati da fattori naturali, economici e culturali che raramente coincidono con le frontiere degli Stati nazionali. Risulta dunque evidente l’importanza di un vero ed efficace coordinamento internazionale degli interventi.

LOGO DELLA CONVENZIONE DELLE ALPI
LOGO DELLA CONVENZIONE DELLE ALPI

   Basandosi su queste considerazioni, il 7 settembre 1991 gli Stati alpini hanno sottoscritto la Convenzione delle Alpi, che per la prima volta riconosce l’unità territoriale alpina e la necessità di garantire sviluppo e politiche di tutela comuni. La Convenzione delle Alpi rispecchia la globale consapevolezza dell’importanza delle aree montane anche per la pianura, definisce le responsabilità nei confronti del mondo alpino e attira l’attenzione sulle potenzialità e le sfide per lo sviluppo del patrimonio naturale, culturale e sociale.

Il suo obiettivo consiste nel valorizzare il patrimonio comune delle Alpi e nel preservarlo per le future generazioni attraverso la cooperazione transnazionale tra i Paesi alpini, le amministrazioni territoriali e le autorità locali, coinvolgendo la comunità scientifica, il settore privato e la società civile.

   Grazie a questo approccio, la Convenzione delle Alpi rappresenta un esempio per altre aree montane e per iniziative simili, come la Convenzione dei Carpazi.

DELIMITAZIONE GEOGRAFICA DELLA CONVENZIONE DELLE ALPI

Il perimetro della Convenzione delle Alpi comprende una superficie di 190959 km2 e 5867 comuni (dati di gennaio 2008). L’arco alpino, così come definito dalla Convenzione delle Alpi si estende per 1200 km attraverso otto Paesi. La larghezza massima è di 300 km, tra la Baviera ed il nord Italia. Sono compresi nel perimetro l’intero territorio dei Principati di Monaco e del Liechtenstein.

   Da sole, Austria e Italia rappresentano più del 55% del territorio della Convenzione. Assieme alla Francia questi tre Stati formano circa i tre quarti della superficie totale del territorio della Convenzione delle Alpi. Nel 2007 la popolazione totale residente all’interno del perimetro della Convenzione sfiorava i 14milioni.

http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/vari/convenzione_alpi.pdf

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MACROREGIONE ALPINA OPERATIVA ENTRO IL 2014

da IL MONDO www.ilmondo.it/ del 15/10/2013

Bolzano, 15 ott – L’iniziativa delle regioni unite nella creazione di una strategia comune per l’area alpina ha raccolto il consenso dei governi degli stati delle Alpi, che formalizzeranno l’avvio di questa azione macroregionale il prossimo 19 dicembre al consiglio europeo dei capi di Stato e di governo.

   In una presa di posizione congiunta i governatori dei territori interessati chiedono che la macroregione alpina sia operativa entro il 2014. La riunione europea di dicembre è preceduta dalla riunione delle regioni e province autonome alpine italiane a Grenoble, in Francia, per la firma di un accordo paritetico tra Stati e Regioni sulla creazione di una strategia macroregionale per la Regione alpina.

   ”Sarà uno strumento di coordinamento delle politiche e dei fondi transnazionali, per garantire crescita, equità e sviluppo sostenibile nelle Regioni più sviluppate d’Europa, quelle intorno alla catena alpina, un’area di 70 milioni di abitanti su più di 450mila chilometri quadrati”, spiegano in una nota congiunta i presidenti Roberto Maroni (Regione Lombardia) Roberto Cota (Piemonte), Luca Zaia (Veneto), Debora Serracchiani (Friuli Venezia Giulia), Augusto Rollandin (Valle d’Aosta), Luis Durnwalder (Provincia di Bolzano) e Alberto Pacher (Provincia di Trento).

   Il processo di costruzione di una strategia macroregionale alpina europea è stato avviato dalle Regioni a Bad Ragaz (Svizzera) nel giugno 2012, nei mesi successivi l’iniziativa ha raccolto l’ok dei Governi degli Stati alpini, che la formalizzeranno appunto al Consiglio europeo dei Capi di Stato e di Governo del prossimo 19 dicembre. Lo stesso Parlamento Europeo, nel maggio scorso, si e’ detto favorevole alla Strategia alpina, definita un valore aggiunto per l’intera UE.

   I Presidenti delle Regioni e Province autonome alpine italiane, apprezzando l’adesione del Governo italiano all’iniziativa, confermano ”la comune volontà di realizzare al più presto la Macroregione alpina, che rappresenterà un’occasione di ripensamento delle politiche per lo sviluppo.” I Presidenti ribadiscono che tutte le regioni e province autonome alpine vanno pienamente coinvolte e associate nell’intero processo di elaborazione e approvazione della Strategia e del relativo Piano d’azione, che dovra’ essere definito entro la fine del 2014. In tal modo la decisione sulle priorità strategiche della Macroregione potrà coincidere con quelle della programmazione europea 2014-2020 dei fondi strutturali Ue.

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MACROREGIONE ALPINA, PER CIAMBETTI È UNA SFIDA DA VINCERE

da http://www.tviweb.it/, 28/9/2013

“Le Alpi come cerniera e non come barriera, le Alpi come tratto d’unione tra popoli che parlano lingue diverse, ma hanno la stessa voce, le Alpi come grande e straordinario laboratorio: siamo ai piedi delle Dolomiti, patrimonio mondiale per la bellezza e l’asprezza che esse esprimono, ma anche simbolo di un modus vivendi in cui l’uomo ha cercato una convivenza possibile con l’ambiente, un equilibrio. Quando questo equilibrio si rompe, quando l’esasperata ricerca del profitto economico non tiene in alcun conto del diritto dell’ambiente e del valore della vita umana accade l’irreparabile: mai più, mai più”.

Sono parole che l’assessore regionale al bilancio e alla cooperazione della Regione del Veneto, Roberto Ciambetti, ha pronunciato il 28 settembre scorso al centro congressi di Longarone (Bl), intervenendo al work shop di apertura di “Expo delle Dolomiti”, evento promosso dalla Fondazione Dolomiti Unesco in collaborazione con Longarone Fiere, per far conoscere le caratteristiche, le finalità e le ricadute socio-economiche conseguenti all’iscrizione delle Dolomiti a Patrimonio dell’Umanità.

Titolo dell’incontro: “La Strategia Macroregionale Alpina e il suo potenziale valore aggiunto per l’implementazione dell’Agenda Europea 2020”.

“L’ipotesi della Macroregione Alpina – ha rilevato Ciambetti – si incardina perfettamente nello schema delle tre altre grandi strategie europee, l’Adriatico-Ionica, Baltica e Danubiana, che delineano per il futuro europeo un mosaico unitario articolato su ambiti e bacini omogenei armonicamente e decisamente combinati tra loro. E il ruolo del Veneto è quello di essere cerniera tra il bacino del Mediterraneo e il cuore dell’Europa”.

Per l’assessore il progetto di una Macroregione Alpina coglie un’esigenza condivisa e diffusa in un bacino che riguarda circa 70 milioni di abitanti, 46 Regioni di 7 Stati diversi, 450 mila kmq e un Pil procapite medio di circa 22.800 euro all’anno.

“Queste cifre – ha sottolineato – danno l’idea di cosa sia questa Macroregione e quali potenzialità abbia, soprattutto se riusciremo a definirla in maniera compiuta, non chiusa esclusivamente all’ambito montano in senso stretto, ma aperta alle vaste aree socio-economico produttive dell’ambito pedemontano e delle pianura su cui il territorio alpino gravita. Un’iniziativa che non deve comportare oneri aggiuntivi: la strategia macroregionale non prevede, infatti, né strutture né fondi aggiuntivi, ma comporta la possibilità concreta di coordinare e indirizzare le diverse risorse, comunitarie e nazionali, verso obiettivi e progetti, per cui una loro previsione negli strumenti di programmazione finanziari comunitari attualmente in fase di elaborazione per il 2014-2020 è fondamentale per l’efficacia della strategia stessa”.

“Siamo convinti – ha concluso Ciambetti – che la Macroregione Alpina sia un autentico banco di prova e un lancio di quella Green economy, una economia di qualità, che rifiuta ogni forma di dumping sociale come ambientale, che sta alla base delle strategie di sviluppo dei progetti comunitari 2014-2020”.

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MONTAGNA E DIVISIONI LINGUISTICHE

 

ALTO ADIGE, ORA LA MONTAGNA PARLA SOLO TEDESCO

di PierluigI Depentori, da “la Repubblica” del 26/8/2013

BOLZANO – Vi piace l’Alto Adige, con i suoi paesaggi incantati e le camminate tra i monti in stile Heidi? Fate attenzione, perché a breve potreste vedere cancellati i luoghi a cui siete più affezionati. Forcella del Santo? Zac, tagliato.

   Monte Sant’ Anna? Via, non esiste più. Malga Zirago? Stop. E così per la Forcella di Vallunga, la Croda Nera, la Forcella Mezdìe altri centotrenta nomi di cime, malghe e posti da favola. Potere della politica, dove basta una stretta di mano per cancellare in un amen i posti del cuore, i suoi simboli, i ricordi di una vacanza.

   La stretta di mano, che al momento doveva restare segreta, è quella tra il ministro agli Affari regionali Graziano Delrio e il governatore altoatesino Luis Durnwalder: nel nome dell’ intesa tra Stato ed Alto Adige, ben 135 toponimi italiani sono stati sacrificati (o meglio dire, cancellati) e di loro non rimarrà più alcuna traccia sui cartelli, che conterranno solo i nomi tedeschi.

   La vicenda è molto più complessa di quanto si potrebbe pensare, e prende avvio agli inizi del Novecento, quando lo storico Ettore Tolomei fu incaricato di tradurre in italiano tutti i nomi tedeschi dell’ Alto Adige: si mise di buzzo buono, e arrivò a quota 16.735.

   Da allora, tra furiose polemiche, l’ Alto Adige divenne la terra del doppio nome, e guai a chiamare un toponimo con il suo nome italiano se sei di madrelingua tedesca, e viceversa. Siccome la “guerra dei nomi” non poteva durare in eterno, tre anni fa Durnwalder e l’allora ministro Raffaele Fitto iniziarono a incontrarsi (o meglio, a scontrarsi) per decidere quante di quelle denominazioni italiane fossero veramente “in uso”.

   Alla fine, la lente d’ingrandimento ha messo nel mirino 135 toponimi che a breve saranno cancellati, mentre su altri dieci l’accordo non è stato trovato: tra questi c’è l’ Alta vetta della Vetta d’Italia (che i sudtirolesi vorrebbero chiamare solo Lausitzer Weg), Malga Sasso (Steinalmen nella dizione tedesca) e soprattutto Durna in Selva, che non è forse la località più conosciuta dai turisti italiani, ma che ha un significato simbolico per il governatore Durnwalder, visto che la denominazione tedesca è proprio Durnwald.

   L’intesa, come detto, doveva rimanere segreta perché in Alto Adige l’argomento toponimi è forse il più delicato in assoluto. Già nel 2009 c’era stato un primo blitz, confezionato in gran silenzio dall’Alpenverein (il Cai di lingua tedesca) che aveva piazzato nei boschi altoatesini ben sessantamila cartelli segnavia quasi tutti solo in tedesco, fregandosene che i fondi per quei cartelli arrivassero da Bruxelles e anche da Roma, per via del progetto europeo Obiettivo 2.

   Risultato? Centinaia di telefonate al Cai da parte di turisti infuriati, che non trovavano più i “loro” cartelli. Il bello è che Luis Durnwalder è stato messo in croce dai falchi della Volkspartei perché quei 135 toponimi italiani cancellati erano stati considerati un’inezia: e così, armati di pennarello, avevano iniziato a segnare decine e decine di nomi italiani da sfrondare, rischiando di far saltare l’intesa col governo.

   Ma l’intesa, in realtà, a Bolzano piace davvero a pochi, se è vero che sia il Pd locale che il Pdl altoatesino masticano bocconi amari, sebbene a denti stretti. Basta sentire Daniela Rossi, vicesegretaria del Pd: «Abbiamo fatto una pessima figura. Questa intesa non è mai stata discussa tra di noi». Dello stesso avviso Enrico Lillo, braccio destro della pasionaria del Pdl (nonché sottosegretario) Michaela Biancofiore: «Incontri carbonari della Svp, il solito via vai sulla testa dei cittadini di lingua italiana». (PierluigI Depentori)

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IN ALTO ADIGE TORNA L’ITALIANO: LA BATTAGLIA DEI CARTELLI FINISCE A COLPI DI PENNARELLO

di Pierluigi Depentori, da “la Repubblica” del 1/9/2013

BOLZANO – Altro che interrogazioni parlamentari, esposti in tribunale o proteste di piazza. In Alto Adige a risolvere la questione dei toponimi italiani cancellati ci hanno pensato residenti e turisti con uno strumento ben poco belligerante: un pennarello indelebile nero. Sì, perché negli ultimi giorni, dopo che è stata resa nota l’intesa Stato-Provincia sui 135 nomi italiani di sentieri, montagne e località da eliminare, c’è stata una vera e propria “corsa al ripristino” dei cartelli di montagna dell’Alpenverein, il Cai di lingua tedesca.

   Ed ecco che, magicamente, il Landshuter Europa-Hütte torna ad essere Rifugio Europa, e il Pfitscher-Joch-Haus ridiventa il caro e vecchio Rifugio Passo di Vizze. Sono decine i cartelli “ripristinati” in incognito e fotografati, e poi messi sui social network o mandati al quotidiano Alto Adige come medaglia da appuntarsi al petto, scatenando ferocissimi dibattiti tra italiani e tedeschi, tra integralisti totali (da ambo le parti) e fautori del bilinguismo, come se si stesse discutendo di un derby di calcio capace di cambiare le sorti del campionato.

   Un esempio per tutti. Se capitate sul sentiero che vi porta alla malga di Naturno, sopra Merano, vi potreste imbattere in un cartello ufficiale dell’Avs con scritto Naturnser Alm, solo in tedesco. Siamo sul sentiero 30, vicino alla chiesetta di San Vigilio che dai suoi 1747 metri domina silenziosamente tutta la Venosta. La “banda del pennarello” entra in azione, e scrive a fianco del nome tedesco il toponimo italiano, Malga di Naturno.

   Qualche giorno dopo, la controimboscata: la “o” finale di Naturno viene trasformata in “s” con un pennarello bianco, e sotto ecco comparire una scritta che coi toponimi ci azzecca ben poco: “Fockn Walsche”, che in dialetto sudtirolese significa “italiani di merda”.

   Da giorni l’Alto Adige sta vivendo una vera e propria “ebollizione politica”, da quando cioè è stata resa nota l’intesa tra il ministro Graziano Delrio e il governatore altoatesino Luis Durnwalder per la cancellazione dei nomi. Centotrentacinque luoghi (dalla Forcella del Santo a Monte Sant’Anna, da Malga Zirago alla Forcella Mezdì) che a breve perderanno la loro denominazione italiana che sarà tolta definitivamente dai cartelli, dalle guide, e in pratica dalla storia. E se il ministro Delrio cerca di smorzare i toni e si dice «pronto a rimediare, ma lo spirito dell’intesa era all’insegna della convivenza», i politici locali – e non solo – sono usciti allo scoperto quasi all’unisono parlando di «accordo romano» passato sopra le loro teste.

   Il presidente del Cai bolzanino Giuseppe Broggi non ha dubbi: «In quella lista vedo nomi più che usati dalla comunità italiana, tagliarli non ha senso».E l’assessore provinciale Roberto Bizzo, uno degli uomini forti del Pd: «Basta agli accordi sottobanco, tra pochi “privilegiati”, la politica esige trasparenza e condivisione».

E giù bordate da parte del Pdl, di Sel e delle formazioni locali come Alto Adige nel Cuore e del suo battagliero esponente Alessandro Urzì: «Non si lasci che si compia un gesto di violenza inaudito». Urzì ha anche aperto un gruppo facebook in cui si invitano gli altoatesini a segnalare tutti i casi in cui il bilinguismo non viene rispettato.

   La mossa a sorpresa l’ha fatta proprio ieri pomeriggio il sottosegretario altoatesino del Pdl Michaela Biancofiore: «Ho ordinato 1526 cartelli nuovi per un costo complessivo di circa 9.000 euro che andranno a sostituire quelli che il club alpino Alpenverein con un’azione spudorata e becera ha tolto», ha spiegato, invitando tutti i politici, non solo del centrodestra ma anche del centrosinistra e la popolazione ad aiutarla in questa azione di ripristino «con tanto di pinza e martello alla mano». (Pierluigi Depentori)

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BLITZ ALTOATESINO SUI RIFUGI: «TOGLIAMO BANDIERE E NOMI ITALIANI, SONO FASCISTI»

– Approvata la proposta del partito separatista di Eva Klotz: via 132 “cartelli”. «Sono strutture private, come i bar delle città» –

da il Gazzettino del 25/9/2013

BOLZANO – Niente nomi italiani, “bollati come fascisti”, e niente obbligo di bandiera italiana nei rifugi di montagna altoatesini. La proposta lanciata del partito separatista di Eva Klotz e Sven Knoll, e approvata qualche giorno fa in Consiglio provinciale a Bolzano, ha scatenato nuove polemiche.
«I rifugi di montagna – dice una nota di Scelta Civica – non sono strutture private come un qualsiasi bar di una città o di un paese. Sono luoghi che a tutti gli effetti hanno e svolgono un servizio pubblico in favore di chi va in montagna».
«La mozione del partito di Eva Klotz e Sven Knoll approvata in Consiglio provinciale (nome solo tedesco e niente bandiera italiana) anche dalla Svp – sottolinea la nota – va contro ogni logica di buon senso prima ancora che contro una elementare forma non soltanto di convivenza tra la popolazione locale ma anche di rispetto verso i tanti turisti che amano le nostre montagne e frequentano da sempre i nostri rifugi che conoscono con i nomi che hanno da decenni. L’essere in campagna elettorale non può giustificare voti di questo tipo».
Secondo Scelta Civica, «la questione della toponomastica va risolta secondo le regole del buon senso annunciate però spesso solo a parole ma che poi rischiano di venire vanificate nella pratica. Il bilinguismo è la regola ed il monolinguismo deve valere solo là dove ogni traduzione non ha senso (soprattutto perché un nome è l’unico veramente conosciuto da tutta la popolazione, come Obereggen) o non ha giustificazioni (un prato, un terreno privato). Il resto sono solo forzature che porteranno una nuova infinita serie di polemiche e faranno arretrare la nostra convivenza».
La polemica dura da anni, tanti quanti la contesa sull’identità e la lingua della regione che gli italiani chiamano Alto Adige ma che per i locali di lingua tedesca è Südtirol, e che vide agli inizi del secolo scorso lo storico Ettore Tolomei incaricato di tradurre o convertire in italiano tutti i toponimi tedesche con esiti a volte anche curiosi.
In agosto un nuovo accordo firmato dal ministro Delrio e dal presidente altoatesino Dürnwalder ha ulteriormente affinato l’accordo di tre anni fa sulla segnaletica bilingue in montagna concordando su 1526 denominazioni bilingui e 132 destinate a conservare il solo toponimo tedesco originario accompagnato eventualmente da una definizione italiana generica (malga, cima, monte).
Ma su questo accordo è intervenuto anche il Cai che ha rilevato numerose incongruenze nelle scelte come la cancellazione di Cima Lasta che diventa Cima Astjoch e di Monte Calvo (Golfen) o la Malga di Curon che perde il suo nome italiano. Ma soprattutto rilevano alcuni, la lista dei 132 nomi, fa saltare di fatto i criteri dell’accordo Fitto-Dürnwalder e si torna alla trattativa politica nome per nome, lasciando spazio a sentimenti anti-italiani.

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«SALVARE LA CULTURA LADINA» LA NUOVA BATTAGLIA DEL CAI

di Francesco Dal Mas, da “il Corriere delle Alpi” del 1/9/2013

– membri della commissione tutela ambiente del Club in visita a Colle S.Lucia «Lingua e tradizioni avranno un futuro solo se insegnati». –

COLLE SANTA LUCIA. «La lingua e la cultura ladina avranno un futuro soltanto se può consolidarsi attraverso l’insegnamento obbligatorio a scuola e l’uso, non solo facoltativo, nelle istituzioni».

È la conclusione a cui sono arrivati il Cai e la Commissione Tam (tutela ambiente montano) del Basso veneto che hanno visitato Colle Santa Lucia, il museo etnico-linguistico e i siti delle vecchie miniere.

   Il gruppo è stato accompagnato dal presidente e dal direttore dell’Istituto ladino, rispettivamente Luca Agostini e Moreno kerer. Oggi gli alpinisti e gli ambientalisti porteranno la loro protesta contro le nuove centraline idroelettriche nella valle di San Lucano. «Abbiamo raccolto la preoccupazione dei responsabili della comunità ladina per la sopravvivenza di questo popolo» fa sapere l’accompagnatrice Fiorenza Miotto.

   La storia dei ladini di Colle è davvero all’insegna della sofferenza. «Per quanta tutela trovino nella legge 482, non potranno mai essere certi che la loro identità sia preservata anche in futuro se l’insegnamento della lingua rimane facoltativo» afferma Miotto, dichiarandosi d’accordo per forme di obbligatorietà.

   «Noi, nel veneziano, sappiamo bene che cosa significa la scomparsa del dialetto e temiamo che ancor di peggio possa accadere in questa piccola enclave, fagocita com’è dalla cultura moderna».

Colle, fra l’altro, ha bisogno del turismo per non morire economicamente. Ma il turismo è quello delle seconde case, che poco interagisce con la comunità ed il territorio. Manca, insomma, l’integrazione anche dal punto di vista culturale. «Se non si trovano rimedi anche da questo punto di vista, è la fine» secondo Miotto.

   Agostini e Kerer hanno spiegato le problematicità diverse che esistono tra i ladini di Colle, Pieve Livinallongo e Cortina con gli altri del Cadore. «Noi ci sentiamo di sostenerli anche nella loro rivendicazione di un’appartenza diversa, più propria: con l’Alto Adige».

   La ricognizione  da parte di Cai e Tam rientra nelle iniziative per la celebrazione dei 150 anni di anniversario del Cai. Colle Santa Lucia è uno dei luoghi-simbolo della presenza del Club Alpino, per tutte le sue tipicità, sia positive che problematiche.

Oggi l’ultima puntata di un viaggio iniziato ancora in primavera, sotto i viadotti dell’A27 sul Fadalto. «Porteremo un no rotondo all’ulteriore sfruttamento della risorsa acqua in valle di san Lucano», anticipa Miotto. (Francesco Dal Mas)

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IL CAI PROMETTE BATTAGLIA ALL’ELITAXI

di Francesco Dal Mas, CORRIERE DELLE ALPI DEL 2 OTTOBRE 2013

– Il presidente Carrer: «Le Dolomiti non possono diventare un grande eliporto» –

BELLUNO – Ai rifugi in elicottero anziché a piedi? E dopo l’elicottero anche le motoslitte, magari con gli stessi rifugi aperti d’inverno? E’ una prospettiva che non piace affatto al Club alpino italiano.

   «Sarebbe veramente assurdo che le Dolomiti patrimonio dell’umanità diventassero un grande eliporto e che gli appassionati d’alta quota, gli amanti del silenzio, della natura fossero costretti ad abbandonare il territorio tutelato per altre montagne, magari quelle vicine della Carnia», interviene preoccupato Francesco Carrer, presidente regionale del Cai.

   Un passo indietro, per capire di cosa si sta discutendo ed, eventualmente, trovare delle soluzioni alternative.

   Da qualche stagione estiva, sta accadendo che per sopravvivere alcuni gestori di rifugi, magari rinunciando alla loro impostazione culturale e specificatamente filosofica dell’alta montagna, organizzano appuntamenti, concerti, manifestazioni, programmando l’uso dell’elicottero per chi non è in condizioni di salire o, quanto meno, è pigro e ha i soldi per pagarsi una forma di trasporto diversa da quella faticosa del sentiero.

   Cinquanta euro bastano per risparmiare tre ore di salita e due di discesa. Ma a parte che non tutti possono permettersi questo tipo di transfert, la grande paura di Carrer e dei suoi collaboratori è che prenda piede una moda pericolosa, aggiungendo la motoslitta all’elicottero. Allarma soprattutto che lo facciano anche i gestori più sensibili.

   E’ successo, appunto, quest’estate sulle montagne sopra Auronzo. E’ accaduto l’anno scorso su quelle del Cadore. Se per salvaguardare il ghiacciaio della Marmolada, la stessa società funiviaria ha rinunciato all’eliski, opportunamente consigliata dagli ambientalisti, il Cai trova contradditorio, anzi più grave ancora che i rifugi alpini si prestino a questa pratica.

   «L’elitrasporto deve servire solo per il soccorso, eventuali attività che non permettono l’impiego di mezzi diversi, l’approvvigionamento dei rifugi e delle malghe. Il servizio, durante determinate cerimonie, ma molto centellinate, dei protagonisti che non sono in grado di accedere a piedi, come è accaduto per la festa al Tissi, quest’estate. Diversamente, in una zona come la nostra, è meglio rottamare le Dolomiti Unesco».

   Se la pratica dovesse diffondersi, come sembra verosimile, il Cai prenderà provvedimenti sanzionatori, addirittura con la rottura dei contratti di gestione dei rifugi. Insomma, un provvedimento abbastanza radicale, senza per il momento prendere in considerazione altro. Ma il Club alpino ha una preoccupazione in più: che gli stessi abitanti delle valli si adeguino a questi mezzi di trasporto così impattanti e possano addirittura riscontrarvi delle opportunità di lavoro. «Metto le mani avanti perché già sento questi discorsi» conclude un sempre più preoccupato, ma anche risoluto Carrer.

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SUL SORAPISS C’È UNO SPERONE IN BILICO

CORRIERE DELLE ALPI DEL 4 OTTOBRE 2013

– Staccato dalla parete, è monitorato dal Corpo Forestale. Nei prossimi giorni saranno in azione anche i droni –

CORTINA – C’è uno sperone di roccia sul Sorapiss che è sotto monitoraggio del Corpo forestale dello Stato. Lo si vede molto bene nella foto pubblicata qui a fianco e scattata dal vice comandante del Cfs di Belluno, Isidoro Furlan, che martedì era sull’elicottero che ha effettuato i sopralluoghi sulla frana. La massa franosa, tra i 2000 e i 3000 metri cubi secondo lo stesso Furlan, si è staccata dalla montagna a sinistra dello sperone inquadrato dalla foto.

   «Quando siamo saliti con l’elicottero – racconta il vice comandante Furlan – ci siamo fermati in hovering per diversi minuti per osservare da vicino lo sperone. È vero che c’è un ampio distacco dalla parete della montagna, ma è anche vero che non ci sono fessure visibili sulla parte dietro, quella di attacco dello sperone alla roccia».

   In pratica quella punta del Sorapiss si è fratturata nel corso dei secoli e una parte si è distaccata di molto soprattutto nella parte alta, mentre rimane ancorata dietro e alla base. «Se ci sono delle fratture all’interno, non lo possiamo sapere. Lo sperone cadrà quando l’azione del gelo e del disgelo avrà insinuato l’acqua nella roccia. Se le fratture sono arrivate all’esterno e si possono vedere, allora si può prevedere che la caduta avverrà in tempi più brevi».

   Nel caso dello sperone del Sorapiss, dai sopralluoghi fatti martedì con l’elicottero non sembra che la parte posteriore sia fessurata e anche la base appare ancorata alla parete. Ma di certo la fotografia ha una certa impressione, di scarsa solidità della parete del Sorapiss, al punto che Isidoro Furlan ha attivato subito un monitoraggio più accurato e continuo dello sperone. Ma qualche informazione di più arriverà nei prossimi giorni grazie alla presenza sul Sorapiss dei droni di un gruppo di ingegneri di Modena.

   «Vogliono sperimentare proprio sul Sorapiss l’efficacia dei controlli che possono essere effettuati con queste moderne apparecchiature, in grado di fotografare da molto vicino anche le fratture più piccole della montagna. Tanto per dire, un drone può insinuarsi anche nella fessura dello sperone e valutarne la distanza dalla parete principale, l’inclinazione, e le eventuali fessure che siano comparse all’interno, che con l’elicottero non si possono vedere. Inoltre con i droni potremo stimare meglio la quantità di roccia caduta in questa occasione, che si è fermata ai piedi della parete. È stata valutata in un primo momento attorno ai 1000-1500 metri cubi, anche se io propendo per i 3000 metri cubi».

   Dal Comune di Cortina è arrivato l’invito a fare molta attenzione nel muoversi in quella zona, colpita da una settimana da una serie di piccoli e grandi crolli: «Altri crolli non si possono escludere».

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NON TOCCHIAMO LE DOLOMITI

di Corrado Poli, da “il Corriere del Veneto” del 3 ottobre 2013

– Il crollo e gli interventi (inutili) –

   Le Dolomiti crollano. Dal Sorapis, che sovrasta Misurina e Cortina, s’è staccata una parete di circa 300 metri d’altezza e 400 di larghezza. Le rocce sgretolate, sono franate a valle, per fortuna senza causare danni alle persone. La montagna ha cambiato in parte il suo aspetto.

   Il fenomeno non è nuovo nelle Dolomiti: sei anni fa, sempre presso Cortina, toccò alle Cinque Torri perdere allo stesso modo qualche pezzo. Si tratta di fenomeni naturali abbondantemente previsti dagli esperti poiché determinati dalla friabilità calcarea delle rocce dolomitiche.

   Tuttavia, oggi la reazione comune è di accusare la sconsideratezza degli uomini per ogni evento naturale sfuggito al controllo di un’umanità che si sente talmente potente da dominare la natura assoggettandola ai propri voleri.

   Oggi, il riscaldamento globale è il facile «solito sospetto » che viene subito indiziato: un presunto responsabile senza volto a cui è facile attribuire crimini comunque impossibili da provare.

   L’umanità, che ha profondi sensi di colpa per i guasti ambientali, accusa il riscaldamento globale di qualsiasi guaio succeda. In questo modo trova soddisfazione nel riconoscersi una colpa collettiva e generica ma si sottrae alle responsabilità individuali e specifiche. Nessuno mai subirà una pena e tutti potranno continuare a comportarsi come sempre, però soddisfatti di essersi teoricamente preoccupati per l’ambiente.

   Al di là dell’aspetto piscologico e dei complessi di colpa, gli esperti concordano nell’affermare che lo sgretolamento delle Dolomiti è difficilmente imputabile all’azione umana. Per quanto improbabile, può darsi che il riscaldamento globale abbia accelerato il fenomeno. Ma, oltre a non essere provato, bisognerebbe poi concordare sul fatto che il riscaldamento globale dipende davvero dall’uomo e non da altre cause naturali, quali l’attività solare o chissà cosa.

   Qualcuno sostiene che l’accusare, sia pure in modo fantasioso, l’azione umana per fenomeni naturali catastrofici può contribuire a sensibilizzare i cittadini affinché assumano comportamenti più rispettosi per la natura. Non è la via giusta, né le bugie sono giustificate, per quanto a fin di bene.

   Queste battaglie generiche contro i mulini a vento portano invece a due risultati negativi dal punto di vista della comunicazione del rischio ambientale. In primo luogo distolgono l’attenzione da problemi reali di tutela più gestibili. Inoltre provocano una reazione nella direzione contraria a stabilire un nuovo rapporto con la natura.

   Infatti sollecitano i tecnici a proporre soluzioni artificiali invasive basate sull’idea – anzi l’ideologia – che la tecnica può risolvere ogni problema…oltre che crearlo. Stavano ancora cadendo i sassi che alcuni scienziati avevano già proposto di applicare elaborati sistemi di monitoraggio.

   Dopo il crollo di alcune rocce alle Cinque Torri, immediatamente alcune società di ingegneria e costruzioni si proposero per effettuare lavori di ripristino e consolidamento: iniezioni di cemento in nome della conservazione della natura.

   Ma è davvero un atteggiamento ambientalista soggiogare la natura impedendole di compiere il corso? Lasciamo in pace le frane naturali delle Dolomiti e l’effetto serra: pensiamo piuttosto alle devastazioni umane create da strade, piste di sci e lottizzazioni. (Corrado Poli)

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Guida ai Rifugi del Cai – Anniversari – Era il 1863 quando l’allora ministro delle Finanze Quintino Sella fondò il Club per gli scalatori

LE «CAPANNE» CHE HANNO FATTO LE ALPI

di Lorenzo Cremonesi, da “il Corriere della sera” del 23/6/2013

– In principio fu l’Alpetto, un secolo e mezzo dopo i rifugi sono 744 –

   All’inizio furono minuscoli ricoveri per capre. Muriccioli di sassi appoggiati alla parete. Al meglio grotte e anfratti umidi, ghiacciati, cui era stato appiattito il fondo per stendere una copertaccia. Per provare a riscaldarli o cucinare occorreva portarsi la legna sullo zaino dal basso.

   E il fumo, unito a quello delle pipe, rendeva all’interno l’aria irrespirabile. Parliamo degli albori dell’andare in montagna, quando gli austriaci li chiamavano «Schutzhutten», che può essere tradotto come «capanne di difesa» o «del fuciliere», a indicare che li frequentavano per lo più cacciatori, bracconieri, talvolta cercatori di pietre preziose.

   I rifugi veri e propri arrivarono solo con la comparsa degli alpinisti in senso moderno, quasi sempre cittadini, precursori per lo più inglesi, considerati degli eccentrici dai loro contemporanei, spesso benestanti, che venivano a «giocare» sulle vette delle Alpi.

   Nel settembre 1853 le guide di Chamonix erigono un ricovero di pietra sui 3.051 metri dei Grands Mulets che facilitino la salita al Monte Bianco.In Italia il primo rifugio è l’Alpetto del 1866, immancabilmente sulle pendici del «Re di Pietra», come veniva chiamato allora il Monviso. Un luogo importante nella storia dell’alpinismo nazionale.

   Dopo esservi salito, nel 1863, l’allora ministro delle Finanze Quintino Sella decise di fondare il Club Alpino. Fu ancora lui, subito dopo, a perorare con fervore la costruzione del rifugio. Da allora la strada fu tutta in discesa.

   Il nascente sport dell’alpinismo ben rispondeva ai valori formativi del nuovo Stato unitario. Tanto che solo 46 anni dopo l’Alpetto, nel cinquantesimo della creazione del Cai, i rifugi italiani erano già 112. E la cosa è continuata imperterrita sino ad arrivare agli attuali 744, approfittando poi delle strutture d’alta quota create dagli Alpini durante la Prima Guerra Mondiale e nonostante gli 81 rifugi bruciati dai nazi-fascisti per combattere le brigate partigiane dopo l’8 settembre 1943.

   Vi si individuano nomi, località, paesaggi, suggerimenti che sono l’essenza dell’alpinismo italiano. Il rifugio Carlo Porta al Pian dei Resinelli sotto la Grignetta, una seconda casa per generazioni di lombardi e certo per gli allievi e istruttori della scuola di roccia «Parravicini» del Cai Milano, è stato parzialmente devastato da un incendio nel 2012. Al momento funzionano solo bar e ristorante. Quest’estate alcuni dei rifugi più famosi hanno celebrato i cento anni dalla fondazione.

   È il caso della capanna Luigi Gianetti in val Porcellizzo (2.534 metri), dominata dal Pizzo Badile, la vetta più famosa della Val Masino, la cui qualità del granito non ha nulla da invidiare alle grandi vie della Yosemite Valley. Come anche della Marco e Rosa, posta a 3.609 metri di quota appena sotto la cima del Pizzo Bernina.

   «Un rifugio ecosostenibile, è la struttura ricettiva più alta della Lombardia», si legge sulla guida. Tanti tra i rifugi delle Dolomiti si trovarono in prima linea tra le trincee della Prima Guerra Mondiale. Nelle vicinanze della Lobbia Alta, sull’Adamello, sono ancora conservati alcuni cannoni portati a spalla dalle truppe alpine.

   Si possono fare gite anche nelle zone meno note dell’Appennino, sino al «miracolato» rifugio Sapienza, costruito nel 1947 e rifatto nel 1983, salvato dagli uomini della Protezione civile quando nel 2002 la lava dell’Etna stava per investirlo. (Lorenzo Cremonesi)

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CAI, CENTOCINQUANT’ANNI SEMPRE IN VETTA

di Daniele Rea, da “il Corriere del Veneto” del 4/9/2013
   Che sia agosto oppure ottobre ha poca importanza. Quel che conta è che il Cai compie 150 anni, un traguardo che non è certo un battito di ciglia. Agosto, come il mese del 1863 della salita al Monviso da parte dei suoi fondatori, tra cui Quintino Sella, allora ministro del Regno; ottobre come il mese della costituzione ufficiale con lo statuto.

   Sulle cime da 150 anni, per una storia che non è facile da raccontare. Una storia che in Veneto è fatta di figure storiche, sezioni centenarie (quella di Agordo, per dire, risale al 1868 ed è la quarta per anzianità in Italia), ma anche rapporti istituzionali, divulgazione scientifica, difesa del territorio. «Si dice montagna e pensi alle Dolomiti — sorride Francesco Carrer, 58 anni, presidente del Cai Veneto dal mese di aprile — con tutto ciò che rappresentano.

   E con quello che anche il Cai rappresenta, con una storia lunga e appassionante che parte dall’escursionismo dei “pionieri” fino ai giorni nostri. E anche ai valori che cerchiamo di portare avanti e di condividere. Valori che possono esplicarsi anche in una maggior consapevolezza dell’importanza del nostro ambiente. E quindi anche della necessità di tutelarlo nel migliore dei modi. Noi in Veneto — sottolinea Carrer con giustificato orgoglio—lo facciamo da sempre: basti solo pensare al primo convegno triveneto sulla montagna voluto da Antonio Berti, che fu anche il primo a capire, in tempi non sospetti, l’importanza di allacciare l’attività del Cai a quella istituzionale».

   Attualmente il Cai Veneto gestisce tramite le sue 64 sezioni ben 43 rifugi alpini, oltre a numerosi bivacchi. I soci sono oltre 53mila e ci sono oltre cinquemila chilometri di sentieri — tra semplici escursionistici e vie ferrate —che sono oggetto di manutenzione costante, dalla segnaletica fino alla sicurezza. «Il tutto su base volontaria — ricorda Carrer — perché questo è lo spirito che sta alla base dell’attività. Convegni, corsi, scuole specialistiche, tutto si basa sulla voglia di “darsi” dei soci. E io sono convinto che questo spirito, con il suo senso antico di vicinanza e di solidarietà, sia anche la radice più vera e positiva dell’essere veneti».

   Volontariato che riguarda anche l’attività del Soccorso alpino, emanazione operativa del Club alpino italiano, che interviene con i suoi specialisti in tutti i casi di incidente in montagna, da quelli più banali fino a quelli che impongono la presenza dell’elisoccorso.

   «Lavoriamo moltissimo sul tema della sicurezza — ricorda Carrer — perché l’avvicinarsi alla montagna deve essere fatto anche di consapevolezza del rischio. Da un turismo riservato, fino agli anni ’50, ad un’élite socio- economica, siamo passati ad un turismo di massa e questo sicuramente è un aspetto positivo, per la società e anche per i riflessi che questo ha portato all’economia montana. Ma un più alto numero di persone significa anche un rischio più alto di incidenti. E’ un problema anche di educazione e, in questo, credo che il Cai abbia una sua positività di ruolo che è riconosciuta».

   Rifugi, sentieri, cime leggendarie. La prima parete di sesto grado mai scalata al mondo è la Nord Ovest del Civetta, con la via aperta da Solleder e Lettembauer nell’agosto 1925. I pionieri dell’alpinismo dolomitico, inglesi e tedeschi soprattutto, alloggiavano nell’antica locanda Corona d’oro di Caprile e, da qui, riportarono in patria le loro esperienze aprendo di fatto una nuova via del turismo. Ma il Veneto ha dato all’alpinismo nomi scolpiti nella roccia: Angelo Dibona, la guida che portava sulle Tofane re Alberto del Belgio negli anni 20, il politico antifascista Attilio Tissi, Antonio Berti fino a Lino Lacedelli, primo salitore del K2 nel 1954, K2 che fu fatale invece nel 1986 a Renato Casarotto, fortissimo alpinista vicentino.

   «C’è tanto da raccontare — conferma Carrer—ed è proprio per questo che stiamo lavorando ad un volume sull’alpinismo veneto». L’8 settembre il Cai Veneto celebrerà il suo compleanno con la scalata contemporanea di 150 cime. Un appuntamento aperto a tutti i soci, anche a chi non avrà la possibilità di affrontare una delle vie prescelte. «Dopo 150 anni siamo ancora qui a coltivare l’amore per la montagna—dice Carrer— e le sue bellezze. Ma ci vuole una riflessione di fondo su quello che è stato, giustamente, considerato patrimonio dell’Unesco. Lo sfruttamento turistico della montagna ha portato benefici, sicuramente. Ma ci vuole anche chi protegga e mantenga l’habitat; che ci lavori, che sfalci, che conservi i boschi. Lo spopolamento progressivo, la sparizione della figura del contadino di montagna, non sono certo segnali positivi. Ritengo che il Cai debba farsi promotore anche di un dibattito su questo e sulla montagna di oggi e domani ». Il Cai compie 150 anni, attraverso tre secoli puntando sempre lassù, dove tra silenzio e fatica è più facile fare i conti con se stessi.

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SUL RUOLO E PROSPETTIVE DELLE CITTA’ ALPINE TI INVITIAMO A LEGGERE QUESTE IMPORTANTI RIFLESSIONI:

http://www.irl.ethz.ch/plus/people/perlik/RGA1999-2_it.pdf

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MONTE ROSA
MONTE ROSA

2 risposte a "La MACROREGIONE ALPINA, idea e iniziativa OLTRE I PICCOLI INTERESSI REGIONALI (speriamo sia così): prospettiva di un’EUROPA che dà riconoscimento e vita ad ambienti geografici peculiari nella loro bellezza, storia, economia, e ricca molteplicità di culture che si incontrano"

  1. Livio Zangelmi sabato 19 ottobre 2013 / 16:06

    Credo profondamente nella macroregione alpina.; il futuro dell’Europa è nelle macroregioni (vedi quelle baltica e danubiana).

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