LA NUOVA DIGA nel Porto di Genova all’inizio della costruzione: MAGAOPERA mai realizzata con espresse perplessità di tenuta (su un progetto dichiarato impeccabile) – Ma ne usufruirà Genova per aumentare i traffici delle navi portacontainer rispetto ai porti del nord Europa? Reggerà una competizione nazionalista e poco collaborativa?

Nella foto: IL PORTO DI GENOVA (autorità portuale del Mar Ligure Occidentale) da www.ilpost.it/ – 10/5/2023 – NUOVA DIGA DI GENOVA: il Tar annulla l’aggiudicazione a Webuild dell’appalto da un miliardo, ma l’opera va avanti – Accolto il ricorso del consorzio Eteria. Bocciata la procedura di Autorità Portuale ma i lavori resteranno a Salini perché finanziati dal Pnrr. Si apre la partita per un maxi risarcimento all’impresa illegittimamente esclusa

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(IL PROGETTO DELLA NUOVA DIGA DI GENOVA, immagine dai costruttori WEBUILD, ripresa da www.ilpost.it/) – La FASE A di costruzione delle diga foranea nel porto di Genova, quella appena iniziata, e che dovrà concludersi entro novembre 2026 (lo impone il Pnrr), servirà a creare oltre 4 chilometri di barriera che, già così, consentirà l’ingresso delle grandi navi portacontainer di ultima generazione — “DIGA FORANEA”: significa che è la prima protezione dal mare per le navi che entrano nel porto – “(…) Complessivamente sarà lunga circa 6,2 chilometri. Sarà costruita per far entrare in porto enormi navi portacontainer, le più grandi mai costruite, lunghe oltre 400 metri, larghe 62 e con un carico di oltre 24mila TEU, acronimo di twenty-foot equivalent unit, lo standard minimo di un container (teu: unità di misura pari a un container da 20 piedi, NDR). La diga attuale dista 550 metri dalla costa, mentre quella nuova sarà costruita a una distanza di 800 metri per permettere anche alle navi più grandi di ruotare su loro stesse in caso di manovra. (…)” (da “IL POST.IT”, 4/5/2023, https://www.ilpost.it/)

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PARTITI I LAVORI DELLA NUOVA DIGA DI GENOVA, OPERA PNRR DA UN MILIARDO

– Via alla prima gettata di ghiaia. È il progetto più complesso e imponente tra quelli finanziati col Fondo complementare –

di Raoul de Forcade, da “Il Sole 24ore” del 4/5/2023 – https://www.ilsole24ore.com/

   La posa della “prima pietra” della nuova diga foranea di Genova, che in questo caso si è concretizzata con una gettata di ghiaia sul fondo marino, dalla nave Maria Vittoria Z, ormeggiata 500 metri al largo del porto di Genova-Sampierdarena, è avvenuta alle 12,50 precise di giovedì 4 maggio 2023.

   Un evento cui hanno dato avvio, premendo un pulsante rosso da palazzo San Giorgio, sede dell’Autorità di sistema portuale (Adsp) di Genova e Savona, il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, insieme al viceministro Edoardo Rixi, ai vertici delle istituzioni genovesi e liguri, al commissario per l’opera, Paolo Emilio Signorini (presidente anche dell’Adsp) e a Pietro Salini, ad di Webuild, società che, in consorzio con Fincantieri Infrastructure, Fincosit e Sidra, ha vinto l’appalto (del valore di 850 milioni).

   Con questa cerimonia si aprono i lavori dell’opera più complessa e mastodontica tra quelle finanziate (in parte) grazie al Piano nazionale di ripresa e resilienza. Dei 950 milioni complessivi necessari a costruire il primo e più importante tratto della diga (Fase A), infatti, 500 arrivano dal Fondo complementare al Pnrr; circa 100 milioni dal ministero delle Infrastrutture; 300 milioni dall’Adsp, di cui 280 circa con un prestito Bei (Banca Europea Investimenti, NDR); 57 milioni dalla Regione Liguria. (Raoul de Forcade, da “Il Sole 24ore” del 4/5/2023 – https://www.ilsole24ore.com/)

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(nella foto: la MSC GÜLSÜN, una delle più grandi navi portacontainer del mondo, con una capacità di 23.000 TEU – foto da www.lastampa.it/) – Il trasporto marittimo continua a rappresentare il principale “veicolo” dello sviluppo del commercio internazionale: il 90% delle merci, infatti, viaggia via mare. I trasporti marittimi e la logistica valgono circa il 12% del PIL globale

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Raoul de Forcade, da “Il Sole 24ore” del 4/5/2023 – https://www.ilsole24ore.com/:

Salvini: «Opera per lo sviluppo del Paese»

«Quest’opera – ha detto Salvini – contribuirà allo sviluppo del Paese. I critici dicono che mai è stata fatta prima una diga cosi ma l’Italia è il Paese dove si osa, dove si crea con gli ingegneri migliori al mondo. Ingegneri che portano sapienza italiana nel mondo ma troppo spesso non qui in Italia. Invece oggi costruiamo anche qui».

   La diga è il più grande intervento mai realizzato per il potenziamento della portualità italiana, e fa parte del sistema integrato di interventi che stanno ridisegnando l’accessibilità marittima, stradale e ferroviaria del porto di Genova e della Liguria: TERZO VALICO e PARCHI FERROVIARI, COLLEGAMENTI DIRETTI con l’AUTOSTRADA, POTENZIAMENTO delle BANCHINE, SVILUPPO delle RIPARAZIONI NAVALI, e COLD IRONING (ndr: il “cold ironing” è il sistema che consente il collegamento elettrico delle navi alla banchina permettendo di spegnere i generatori ausiliari a combustibile fossile al fine di alimentare i propri servizi di bordo: tale processo permette così di azzerare l’inquinamento acustico nelle aree urbane circostanti e ridurre le emissioni di CO2, NOe polveri sottili, sfruttando l’energia elettrica immessa in rete tramite gli impianti di produzione da fonti rinnovabili installati su tutto il territorio; NDR).

   La nuova diga foranea sarà realizzata in DUE FASI è costerà complessivamente circa 1,35 miliardi di euro. La FASE A, quella appena iniziata, e che dovrà concludersi entro novembre 2026 (lo impone il Pnrr), servirà a creare oltre 4 chilometri di barriera che, già così, consentirà l’ingresso delle grandi navi portacontainer di ultima generazione, superiori a 18mila teu (unità di misura pari a un container da 20 piedi) di carico; mentre la FASE B, che deve ancora essere appaltata, prevede la costruzione di un’altra tranche di murata che porterà la lunghezza della diga a 6,2 chilometri. (Raoul de Forcade, da “Il Sole 24ore” del 4/5/2023 – https://www.ilsole24ore.com/)

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(Il progetto della nuova diga foranea di Genova, immagine da https://www.dailynautica.com/) – mai è stata fatta prima una diga così – “(…) Nonostante le rassicurazioni, negli ultimi mesi sono emersi dubbi sull’opportunità di costruire una diga così grande, con proteste per l’impatto ambientale e per l’organizzazione del cantiere.   Piero Silva, professore universitario di pianificazione portuale all’università di Grenoble, consulente esterno delle prime fasi progettuali, ha scritto una lettera alla città di Genova in cui esprime dubbi sulle previsioni ottimistiche dell’autorità portuale. Lo scorso anno si dimise da consulente dopo che i suoi rilievi non vennero presi in considerazione. (da “IL POST.IT”, 4/5/2023, https://www.ilpost.it/)

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Raoul de Forcade, da “Il Sole 24ore” del 4/5/2023 – https://www.ilsole24ore.com/:

Si costruirà su fondali fino a 50 metri

Per realizzare il basamento di quest’opera – unica nel suo genere dal punto di vista ingegneristico – che poggerà su fondali fino a una profondità di 50 metri, saranno impiegati 7 milioni di tonnellate di materiale roccioso, su cui verranno posizionati 97 cassoni prefabbricati in cemento armato, larghi 35 metri, lunghi 67 metri e alti fino a 33 metri (come un palazzo di 10 piani).

   Questa infrastruttura marittima, spiegano i tecnici dell’Adsp (Autorità di sistema portuale), è studiata anche per proteggere i bacini e le strutture portuali dai cambiamenti climatici: un vero argine al mare. E il materiale proveniente dalla demolizione della vecchia diga sarà quasi tutto riutilizzato, in un’ottica di economia circolare, riducendo gli impatti ambientali della costruzione.

   La costruzione della nuova diga, come si è accennato, consentirà l’accesso al porto in sicurezza anche alle moderne navi definite ultra large, che oggi subiscono limitazioni per il ridotto spazio di manovra nel bacino storico realizzato a fine anni ’30. Una volta ultimata, il porto avrà un bacino di evoluzione di 800 metri e sarà possibile differenziare il traffico merci da quello passeggeri e crocieristico.

Crescita dei traffici tra il 22 e il 30%

Questo, ha sottolineato Signorini, consentirà al porto di Genova di essere competitivo con i maggiori hub europei e attestarsi sempre più in alto fra quelli del Mediterraneo. Il commissario e presidente dell’Adsp stima che la nuova diga assicurerà una crescita progressiva annua dei traffici commerciali «tra il 22% e il 30% dal 2027 al 2030, anno in cui sarà ultimata anche la Fase B». L’Adsp calcola il beneficio economico in 4,2 miliardi, in termini di maggiori introiti da traffico container, di diritti e tasse portuali.

   Mentre, sempre secondo Signorini, ammontano a un miliardo gli investimenti che potranno partire sulle banchine, da parte dei privati, grazie al traino dell’opera. Msc, ad esempio, ha confermato il patron dell’azienda, Gianluigi Aponte, investirà 280 milioni per il potenziamento di calata Bettolo e anche le banchine occupate dal Hapag Lloyd e dal gruppo Spinelli dovranno essere adeguate alla nuova diga. La costruzione dell’opera, infine, impiegherà, circa mille persone e numerose imprese del territorio.

Con la diga, logistica Nord Ovest più competitiva

Sul fronte delle istituzioni locali, il governatore ligure, Giovanni Toti, ha detto che «questa diga fa sì che la logistica del Nord Ovest diventi davvero competitiva in Europa e lasciatemi dire che, insieme ai cassoni, oggi affondiamo una politica che troppo spesso distrugge e non costruisce».

   Mentre il sindaco di Genova, Marco Bucci, ha chiosato: «Avere la diga vuol dire avere più acqua, quindi anche più terra su cui dare ricaduta economica e occupazionale sulla città. Come nei secoli passati, quando Genova si allarga sul mare, genera una ricaduta sulla città stessa. Questo è il concetto chiave della giornata di oggi».

   Salini, parlando a nome dei costruttori, e rispondendo a chi ha chiesto se il consorzio riuscirà davvero a finire in tre anni i lavori, ha affermato: «Certo che ce la faremo. Ce la metteremo tutta. Ci mettiamo tutta la nostra buona volontà per realizzare la diga. Questo sforzo lo facciamo per il Paese. Il ponte di Genova lo abbiamo fatto noi: pensavate che sarebbe stato pronto? Forse no; e invece lo è stato. Noi quando ci proviamo, ci proviamo».

   Impegnato sull’opera è anche il gruppo Rina. «Il ruolo che l’azienda ha nella realizzazione della diga – spiega l’ad del Rina, Ugo Salerno – è lo stesso che l’azienda ha avuto anche nella ricostruzione del ponte di Genova, cioè quello di project manager e direzione lavori nonché la parte legata alla regia dell’esecuzione dell’operazione. Un ruolo che sappiamo svolgere e a cui guardiamo con grandissimo senso di responsabilità, come per tutte le infrastrutture. Questa però è speciale, perché è molto importante per la città e molto complessa da eseguire. La seguiremo con straordinaria attenzione». (Raoul de Forcade, da “Il Sole 24ore” del 4/5/2023 – https://www.ilsole24ore.com/)

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Vedi il video che spiega bene (di Geopop.it):

Nuova diga foranea di Genova, la più profonda d’Europa: a cosa serve e come sarà costruita (geopop.it)

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(tracciato terzo valico ferroviario, lungo 53 km di cui il 70 per cento in galleria, la nuova linea interessa 14 Comuni nelle province di Genova e Alessandria) – Da https://www.fsitaliane.it/:  La nuova linea ferroviaria Terzo Valico è in primo luogo finalizzata a migliorare i collegamenti del sistema portuale ligure con le principali linee ferroviarie del Nord Italia e con il resto d’Europa, in coerenza con le strategie annunciate nel Libro Bianco dei Trasporti dell’UE: trasferire entro il 2030 il 30% del traffico merci, oltre i 300 km, dalla strada al ferro, e il 50% entro il 2050, con vantaggi per l’ambiente, la sicurezza e l’economia.

Parte fondamentale del Core Corridor TEN-T Reno-Alpi – il più importante asse europeo di collegamento nord a sud su cui si muove il maggior volume di merci trasportate in Europa, attraversando i Paesi a maggior vocazione industriale (Paesi Bassi, Belgio, Germania, Svizzera e Italia), il Mediterraneo con il Mare del Nord, i porti dell’Alto Tirreno con quelli del Nord Europa – il Terzo Valico consentirà di superare gli attuali ostacoli allo sviluppo del trasporto ferroviario tra Genova, Milano e Torino.

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(supply chain, immagine ripresa da https://www.insidemarketing.it/) – per SUPPLY CHAIN s’intende un sistema di organizzazioni, persone, attività, informazioni e risorse coinvolte nel processo atto a trasferire o fornire un prodotto o un servizio dal fornitore al cliente

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DALLA PANDEMIA ALLA GUERRA IN UCRAINA: DUE ANNI DI STRAVOLGIMENTI DELLE CATENE DEL VALORE

da https://www.ispionline.it/ ottobre 2022

   Gli ultimi tre anni hanno messo a dura prova l’economia mondiale: la pandemia prima, e la guerra in Ucraina poi, hanno messo sotto pressione le supply chains di tutto il mondo (e in particolare quelle collegate con Cina e Asia) (ndr: per supply chain s’intende un sistema di organizzazioni, persone, attività, informazioni e risorse coinvolte nel processo atto a trasferire o fornire un prodotto o un servizio dal fornitore al cliente, NDR), mettendo a nudo gli elementi di vulnerabilità della globalizzazione: un sistema giunto ad un tale livello di interdipendenza da poter essere messo in difficoltà da problemi di carattere regionale o locale. Il settore della logistica e dei trasporti, vera “spina dorsale” di questo sistema basato sul criterio della massima efficienza (che si concretizzava nel just in time e nella minimizzazione delle scorte), ha subito un forte stress la cui cartina di tornasole è stato l’aumento significativo dei costi dei noli dei containers trasportati via mare, così come dei tempi di consegna delle merci. Fattori che si sono tradotti nell’aumento, da marzo 2020, dei costi di spedizione di un container sulle rotte transoceaniche globali con gravi conseguenze anche con riferimento al fenomeno inflazionistico.

(vedi tutto lo STUDIO su: studio_conftrasporto.pdf (ispionline.it) )

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(La rete portuale del Mediterraneo, da LIMES, Carta di Laura Canali del 2020, https://www.limesonline.com/)

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L’OPERA PIÙ COSTOSA DEL PNRR

LA NUOVA “DIGA FORANEA” DI GENOVA COSTA 1,3 MILIARDI DI EURO E IL SUO CANTIERE È ENORME, COSÌ COME IL SUO IMPATTO SULLA CITTÀ

da “IL POST.IT”, 4/5/2023, https://www.ilpost.it/

   Giovedì 5 maggio 2023 è stato versato il primo carico di ghiaia della nuova diga del porto di Genova, l’opera più imponente e costosa del PNRR, il piano nazionale di ripresa e resilienza con cui il governo italiano intende spendere i finanziamenti europei del Recovery Fund. In questo caso sarà finanziata con una parte del cosiddetto fondo complementare, cioè una quota di soldi garantiti dall’Italia per completare i finanziamenti europei.

   Come spesso accade in queste occasioni, è stata più che altro una cerimonia simbolica: l’operazione ha mosso a distanza la gru di una nave che ha versato un carico di ghiaia in mare. Considerata la grandezza dell’opera e i costi, finora la preparazione del progetto è stata veloce e tra le istituzioni c’è un certo ottimismo sulla possibilità di finire i lavori entro il 2026.

   La diga viene spesso chiamata “diga foranea”: significa che è la prima protezione dal mare per le navi che entrano nel porto. Se ne discute da quasi un decennio, anche se il primo atto formale risale al 2018, quando il progetto rientrò nel cosiddetto decreto Genova approvato dal governo in seguito al crollo del ponte Morandi.

   Complessivamente sarà lunga circa 6,2 chilometri. Sarà costruita per far entrare in porto enormi navi portacontainer, le più grandi mai costruite, lunghe oltre 400 metri, larghe 62 e con un carico di oltre 24mila TEU, acronimo di twenty-foot equivalent unit, lo standard minimo di un container. La diga attuale dista 550 metri dalla costa, mentre quella nuova sarà costruita a una distanza di 800 metri per permettere anche alle navi più grandi di ruotare su loro stesse in caso di manovra. Due ingressi dedicati e separati consentiranno di tenere distinte le rotte del traffico merci da quelle di traghetti e navi da crociera.

   Secondo le stime dell’autorità portuale la diga è un’opera necessaria per lo sviluppo e la competitività del porto, che altrimenti andrebbe incontro a un calo annuo del 6,8 per cento del traffico container. Dal porto di Genova passano ogni anno 66 milioni di tonnellate di merci, circa il 33 per cento del traffico container nazionale. Tutti i più grandi operatori mondiali come MSC, Maersk, Cosco, CMA CGM, Evergreen, Hyundai Merchant Marine, Hapag-Lloyd offrono servizi nel porto di Genova, così come i maggiori operatori di terminal portuali come Spinelli, Messina, Gavio, Grimaldi e alcune compagnie petrolifere come Eni ed Esso.

   Quando l’opera sarà conclusa, l’autorità prevede di arrivare a gestire tra i 5 e i 6 milioni di TEU all’anno, con un beneficio economico sul lungo periodo pari a 4,2 miliardi di euro in maggiori introiti da traffico di container, diritti e tasse portuali. Secondo le previsioni Genova avrebbe un vantaggio competitivo anche nei confronti del porto di Rotterdam, nei Paesi Bassi, il primo scalo mercantile europeo, soprattutto per gli scambi con i porti del Sud Est asiatico come Singapore e Shanghai in Cina e Yokohama in Giappone.

   Anche l’investimento pubblico è notevole. In totale la diga costerà 1,3 miliardi di euro, se le stime saranno rispettate. La prima fase del cantiere da finire entro il 2026 costerà 950 milioni di euro, di cui 500 milioni stanziati dal fondo complementare del PNRR finanziato con risorse nazionali, 100 milioni di euro dal fondo per le infrastrutture portuali, 264 milioni dalla banca europea degli investimenti (BEI) e i rimanenti 86 milioni di euro dall’autorità portuale e dalle amministrazioni locali. «La diga porterà tantissimi investimenti pubblici e privati», ha detto il sindaco di Genova Marco Bucci.

   I lavori saranno complessi perché verranno fatti senza interrompere il traffico portuale: si dovrà costruire un basamento fatto di roccia a 50 metri di profondità, utilizzando in totale 7 milioni di tonnellate di materiale. Sul basamento verranno poi posizionati cassoni in cemento armato alti 33 metri, larghi 35 e lunghi 67. I cassoni saranno poi riempiti con materiale di risulta ricavato in parte dalla demolizione della vecchia diga e in parte dallo scavo del fondale.

   L’appalto per la costruzione è stato vinto da un consorzio di imprese guidato da Webuild e a cui partecipano anche Fincantieri Infrastructure Opere Marittime, Fincosit e Sidra. Webuild ha costruito anche il nuovo ponte San Giorgio. Saranno circa mille le persone impegnate nei cantieri, tra assunzioni dirette e indirette. Andrea Tafaria, segretario del sindacato Filca Cisl della Liguria, ha detto che la diga è «un’occasione preziosissima: garantirà al settore edile una massa salari di 180 milioni di euro, oltre 6 milioni e mezzo di ore lavorate, ricadute occupazionali e ci permetterà di avviare percorsi formativi in tutti gli ambiti».

   Webuild assicura che saranno rispettati «i più stringenti criteri di sostenibilità». La costruzione, infatti, si basa sul riuso dei vecchi materiali, in particolare l’utilizzo di quasi tutto il materiale proveniente dalla demolizione della vecchia diga per ridurre l’impatto ambientale nella fase di costruzione, le operazioni di trasporto e il consumo di carburante.

   Nonostante le rassicurazioni, comunque, negli ultimi mesi sono emersi dubbi sull’opportunità di costruire una diga così grande, con proteste per l’impatto ambientale e per l’organizzazione del cantiere.

   Piero Silva, professore universitario di pianificazione portuale all’università di Grenoble, consulente esterno delle prime fasi progettuali, ha scritto una lettera alla città di Genova in cui esprime dubbi sulle previsioni ottimistiche dell’autorità portuale. Lo scorso anno si dimise da consulente dopo che i suoi rilievi non vennero presi in considerazione.

   Nella lettera pubblicata due giorni fa, Silva ribadisce le sue critiche. La diga, dice, è un progetto assolutamente sovradimensionato se paragonato ai modesti obiettivi in termini di traffico container. Inoltre avrà costi e tempi spropositati, ben superiori alle promesse fatte. Silva sostiene inoltre che il progetto abbia «un rischio tecnico altissimo, prevedendo la diga su uno spesso strato limoargilloso inconsistente, a profondità dove la consolidazione di tale strato indispensabile è considerata dagli esperti impossibile». Per Silva il disegno della diga causerà problemi legati alla sicurezza della navigazione perché la rotta di ingresso e uscita delle navi dal porto non è parallela, un difetto che in caso di brutto tempo potrebbe causare un impatto tra le navi e la diga stessa.

   Negli ultimi mesi diverse associazioni ambientaliste hanno protestato per la mancanza di indagini geologiche preliminari in vista del cantiere e soprattutto per l’impatto ambientale dei lavori in mare. Secondo dati diffusi dal ministero dell’Ambiente, il cantiere causerà un’emissione di gas serra pari a circa 401mila tonnellate di CO2. «L’equivalente dell’attività di un anno della ex centrale a carbone in porto», ha detto Selena Candia, consigliera regionale della lista Sansa, all’opposizione. «E in questi numeri non vengono contabilizzati l’esercizio e il traffico ulteriore».

   Alcuni comitati locali si sono opposti alla concentrazione dei lavori di preparazione dei cassoni della diga in un cantiere portuale nel quartiere di Prà. Secondo questi comitati i lavori avrebbero un impatto notevole sul traffico della zona, sull’inquinamento e sul paesaggio, perché i cassoni sono alti 33 metri. Nelle ultime settimane si sono riuniti più volte per chiedere alle istituzioni di trovare soluzioni alternative. Una decisione non è ancora stata presa, ma il vice ministro delle Infrastrutture Edoardo Rixi ha detto che è impensabile concentrare tutta l’attività di preparazione nella zona portuale di Prà. Tra le ipotesi c’è lo spostamento di una parte del cantiere a Vado Ligure. (da “IL POST.IT”, 4/5/2023, https://www.ilpost.it/)

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LA SIGNORA DELLE MERCI – Breve storia della logistica,di CESARE ALEMANNI (LUISS University Press, maggio 2023, euro 16,00, pagine 200)

LA SIGNORA DELLE MERCI

Breve storia della logistica

da https://www.iltascabile.com/

Cesare Alemanni è giornalista, scrittore e curatore di contenuti. Si interessa di sistemi globali e dell’interazione tra tecnologia, economia e geopolitica. Nel 2023 ha pubblicato La signora delle merci (LUISS University Press), un libro sulla storia della logistica e il suo ruolo nei meccanismi della globalizzazione.

– Dopo la fine della Guerra Fredda (…), dal punto di vista dei paesi occidentali più avanzati (…), vi è un’apertura di un ampio spazio di azione, ed esportazione di capitali e produzioni (…). Programma che, quantomeno dal punto di vista industriale e produttivo, difficilmente sarebbe stato possibile senza l’intervento della logistica. La cui capacità di imporre forme di “command & control”, di natura operativa, concettuale e “socio-territoriale”, a questo nuovo spazio e di organizzarne, coordinarne e fluidificarne i flussi di materiali è una componente decisiva nel passaggio dalla carta alla pratica, del modello economico del neoliberismo. Gli elementi decisivi in tal senso sono soprattutto due: l’incremento della capacità di calcolo, previsione, progettazione e gestione di sistemi complessi ed entropici, che è figlio dell’avanzare delle tecnologie informatiche (oltre che dell’esperienza logistica bellica), e lo sviluppo di un sistema di trasporto estremamente fluido e del tutto anfibio: la containerizzazione, ovvero il linguaggio materiale, il medium-messaggio in cui “parla” l’epoca della globalizzazione –

Sebbene aspiri alla semplificazione e alla sintesi, la logistica dimora nella complessità e nella molteplicità.” –

– “Le filiere sono la vera ragione, invisibile agli occhi, della stupefacente rapidità e del ridotto costo del progresso tecnologico e informatico di questo nostro primo scorcio di XXI secolo.” –

Filiere che, di recente, sono diventate la faglia di frattura e conflittualità “sospesa” più calda del pianeta (chiedere a Taiwan). A dimostrazione dell’ingenuità di coloro che, negli anni Novanta, in proposito dei processi d’integrazione industriale e finanziaria, parlavano dell’avvento utopico di un “mondo piatto” e post-politico, le filiere e la logistica hanno in realtà creato una mappa globale fatti di inediti punti di accumulo tensivo, in cui gli snodi e la rarefatta geoeconomia delle supply chain contano più delle specificità geografiche o delle contrapposizioni ideologiche. –

– …Ricapitolando lo sviluppo della FEITORIA (stazione commerciale, magazzino europeo in territorio straniero, NDR) di MACAO, un mandarino cinese del Seicento ce ne restituisce i sedimenti di uso (“all’inizio hanno messo un porto, col tempo hanno costruito magazzini e infine hanno eretto torri militari e bastioni per difendersi al loro interno”) e ci ricorda come nello sviluppo di qualunque ecosistema logistico, la “ragion pura” del trasporto conviva con “la ragion pratica” dell’amministrazione e della difesa.  

   Fino a marzo 2020 termini come “supply chain”, “filiere”, “catene del valore” circolavano solo tra specialisti. Negli ultimi tempi le cose sono cambiate. Il covid, la guerra in Ucraina e le tensioni sino-americane hanno messo alla prova i sistemi di produzione-distribuzione da cui dipende l’economia contemporanea. Gli effetti sono noti: l’inflazione che sta erodendo il nostro potere di acquisto ha origine dallo sfibrarsi delle catene di approvvigionamento, ancor prima che dalla crisi energetica. 

   Per questo motivo, ve ne sarete accorti, di recente si parla di supply chain anche al bar. Il dibattito, tuttavia, si è mantenuto sulla superficie delle cose. Non ci si è per esempio chiesti cosa, col tempo, abbia reso le filiere tanto fragili e conduttive per gli shock operativi ed economici. Quali siano i loro presupposti.  Quali strumenti, in condizioni normali, ne garantiscano il funzionamento. L’interesse per i problemi delle “supply chain” non si è tradotto in pari curiosità per i temi della logistica. È curioso. La logistica non è solo responsabile del funzionamento delle filiere, è la ragione della loro stessa esistenza. Essa è molto più di un collante materiale delle supply chain e del loro modello socioeconomico (semplificando: la globalizzazione): è il loro orizzonte di possibilità, in senso materiale e concettuale. Già, ma cos’è la logistica?

   Se ponessimo questa domanda a cento persone, otterremmo cento diverse risposte. La definizione che provo a fornire nel mio libro La signora delle merci (LUISS University Press, 2023), è che la logistica è una meta-disciplina che si occupa di progettare sistemi di distribuzione di cose – materiali e immateriali – nello spazio. Di coordinare il loro flusso per ottimizzarne la coordinazione spazio-temporale (che è un altro modo di dire efficienza economica). Non è evidentemente una definizione semplice o sintetica. Questo poiché, sebbene aspiri alla semplificazione e alla sintesi, la logistica dimora nella complessità e nella molteplicità. I suoi confini combaciano con quelli di innumerevoli altri territori – dalla geopolitica all’urbanistica, dall’ecologia alla guerra, dalla tecnologia all’economia, dalla Storia del diritto a quella del lavoro. Ambiti con cui la logistica è in costante dialogo e da cui è costantemente dialogata, in una crescente vertigine di densità tecnica e teorica. 

   La radice della parola “logistica” viene dal greco Logos, un termine fondamentale per il pensiero occidentale. Per Eraclito esso rappresentava la razionalità intrinseca a qualunque manifestazione della Natura. Per gli stoici, Logos era il principio che conferiva ordine al fluire del mondo. E in effetti la capacità di razionalizzare e ordinare flussi, di cose (merci e non solo) e di informazioni (dati e non solo), è una delle principali prerogative della logistica. Il grado in cui essa vi riesce è determinato dallo sviluppo degli strumenti, delle tecnologie e delle infrastrutture di cui essa si avvale. Più sono sofisticati e maggiore è il controllo che la logistica riesce a esercitare sui processi di cui si occupa. Maggiore è tale controllo, maggiore è la complessità, e la densità operativa, che tali processi riescono a esprimere, nonché la dimensione spaziale in cui possono dispiegarsi. Più grandi sono queste condizioni e maggiore è l’intensità con cui la logistica determina i fenomeni a cui si applica: siano economici o ecologici, geopolitici o finanziari, industriali o sociali. 

   È un loop. E, del resto, la logistica ha molto in comune con – e fa spesso ricorso a – discipline che si occupano di loop, di entropia e di feedback. Discipline come la cibernetica, la teoria del caos, l’analisi dei sistemi, l’informatica. Ma non complichiamo troppo le cose.

   In virtù delle sue facoltà di progettazione, e razionalizzazione, di sistemi e processi, la logistica è una delle principali determinanti della loro fattibilità. Per capirci: se un giorno esploreremo il cosmo sarà perché la logistica spaziale si sarà sviluppata al punto da rendere possibile, ed economicamente sostenibile, lo spostamento di cose e persone nello spazio extraatmosferico. Così facendo, inevitabilmente essa ne definirà, ne sta già ora definendo, alcune caratteristiche salienti. 

   La stessa considerazione, ma a ritroso, si può applicare a fondamentali fenomeni storici. L’innovazione logistica, a livello della capacità di coordinare e centralizzare prassi militari, fiscali e burocratiche, fu, per esempio, una delle principali ragioni dell’ascesa di Roma. Ne sopravvive un chiaro memento nella Colonna Traiana, nonché nelle innumerevoli città europee che le legioni fondarono in primis come avamposti logistico-amministrativi. Allo stesso modo non è eccessivo definire la lunga parentesi del colonialismo europeo in Asia ed Africa come un fenomeno intrinsecamente logistico. Ancor più dell’opportunismo economico (e del fanatismo religioso, che troppo spesso si elide), furono le necessità materiali dei trasporti, e l’organizzazione dei loro flussi, a decretarne l’estensione e le specificità geografiche. 

   Per rendersene conto è sufficiente osservare una mappa dell’Estado da India, la collana di infrastrutture coloniali portoghesi nell’Oceano Indiano, matrice di ogni successiva impronta occidentale nell’area.  Da essa si evince molto chiaramente come la densità e la sequenzialità degli approdi (le famigerate feitorias) che, un pezzo di costa dopo l’altro giungevano da Lisbona a Malacca, avesse scopi principalmente logistici.    Congiungendo “punti vicini tra loro” (Braudel), essi servivano a rendere la navigazione oceanica commensurabile a navi la cui agibilità dipendeva interamente dalle condizioni del vento e del mare. L’Estado da India era, a tutti gli effetti, un complesso sistema logistico, proprio come lo sono oggi le catene di approvvigionamento.

   Ricapitolando lo sviluppo della feitoria di Macao, un mandarino cinese del Seicento ce ne restituisce i sedimenti di uso (“all’inizio hanno messo un porto, col tempo hanno costruito magazzini e infine hanno eretto torri militari e bastioni per difendersi al loro interno”) e ci ricorda come nello sviluppo di qualunque ecosistema logistico, la “ragion pura” del trasporto conviva con “la ragion pratica” dell’amministrazione e della difesa. 

   All’alba dell’età moderna troviamo la logistica al centro di ulteriori fondamentali svolte. Da essa dipende la nascita del capitalismo mercantile e delle prime corporazioni multinazionali. L’impegno finanziario della logistica oceanico-coloniale è di portata tale che il genere di associazione estemporanea di mercanti tipica del Medioevo – la collegantia delle Repubbliche Marinare o i kontor della Lega Anseatica – non basta più a garantire la sostenibilità dei costi. 

   I primi a capirlo sono gli olandesi. Nel momento (marzo 1602) in cui fondano la Compagnia delle Indie Orientali (VOC) la dotano di uno dei primi aggregati di capitale fisso, e aperto ad azionariato, della Storia.  Questa svolta, storicamente influentissima, è indispensabile per consentire l’allestimento di una flotta capace di competere numericamente con le marine delle monarchie iberiche e di superarle in innovazione. 

   Ugualmente logistici sono i presupposti della transizione dal capitalismo di stampo commerciale, che si pratica tra XVI e XVIII secolo, e quello di tipo industriale-produttivo che vi succede nel XIX. Come nota, tra gli altri, Marx nei Grundrisse, è nell’accelerazione dei mezzi di trasporto e comunicazione (treni, telegrafo, navi a vapore) che avviene durante la Pax Britannica, che si possono rintracciare i principi economici di coordinazione e scala, che permettono alle industrie del Nordatlantico di passare dai processi di produzione analizzati da Smith e Ricardo – ancora imparentati con l’artigianalità – ai “sistemi di fabbrica” del secondo Ottocento e del primo Novecento, oggetto dell’analisi dei primi marginalisti. 

   Le fabbriche del XX secolo sono luoghi in cui la logistica, intesa di nuovo come “distribuzione di cose nello spazio”, non riguarda più solo i processi all’esterno delle fabbriche (per esempio: l’approvvigionamento di materie prime, di estrazione al tempo imperialista) ma anche il movimento dei flussi al loro interno. 

   È di questo che si occupano i cosiddetti “studiosi del lavoro”, i quali mirano a imporre un regime iper-razionalizzato ai processi di produzione. Al punto da arrivare a interessarsi del micro-management del corpo del lavoratore e dei suoi flussi operativi. È celebre il caso dei coniugi Gilbreth che cercano di individuare, carta millimetrata alla mano, la traiettoria più breve dei gesti del lavoro per ricavarne standard da imporre a tutti gli operai. 

   Personaggi come Frederick Taylor e i Gilbreth sovrappongono in altre parole ai processi di produzione un filtro di ottimizzazione spazio-temporale, che non è solo profondamente euleriano ma ha una profonda affinità con quello della logistica delle odierne “supply chain”. Come sostengo nel mio libro, è anzi lo stesso identico filtro, ma ridotto all’ambito ristretto dello spazio di una singola fabbrica, anziché a quello più ampio della produzione spazializzata e “in itinere” delle filiere trans-nazionali. 

   Lo scopo di Taylor e compagni è la trasformazione di flussi altrimenti entropici di cose e processi, in sistemi coordinati, ordinati e razionalizzati. A inizio ‘900, l’esito ultimo di questo processo di addomesticamento dello spazio della produzione è la comparsa del sistema industriale-logistico per eccellenza: la catena di montaggio. La cui composizione, solo a prima vista semplice, è in realtà il frutto di un’elevata complessità materiale, matematica e concettuale. L’avvento della catena di montaggio ha per effetto non solo un drastico incremento della produttività industriale ma anche della sua computabilità e verificabilità statistica.

   La catena di montaggio offre inedite certezze quantitative (quanto prodotto, in quanto tempo, con quanto capitale e lavoro investiti) rispetto a ogni precedente sistema industriale. La conseguenza della riduzione dell’entropia, e dell’aumento della qualità dell’informazione, che la catena di montaggio è in grado di fornire ai manager che la auscultano si riverbera sull’intero sistema socioeconomico. Essa è di fatto il ventricolo del modello di sviluppo (la cosiddetta “società dei consumi di massa”) che si afferma nell’Occidente del dopoguerra, in particolare nel periodo dei famosi “miracoli economici”.

   Nell’ambito dell’economia politica del periodo, il corrispettivo dell’ingranaggio di compromessi, e di pesi e contrappesi quantitativi, che caratterizza la catena di montaggio in quanto “sistema logistico” e in quanto “sistema chiuso”, è la macroeconomia keynesiana con le sue politiche di stabilizzazione dei rapporti tra capitale e lavoro, occupazione e inflazione, investimento e debito all’interno dei singoli Stati nazionali. Per ragioni che dettaglio nel mio libro, il buon equilibrio di tale rapporto entra spontaneamente in crisi sul finire degli anni Sessanta (il primo sintomo è proprio l’inflazione di dollaro e sterlina) e non fa altro che peggiorare per tutti i Settanta, favorendo l’aumento dell’influenza sulla politica occidentale (in primis anglosassone) di nuovi orientamenti, correntemente sintetizzati con l’espressione “neoliberismo”. Al posto di sistemi economici insulari, a “misura di Stato” e ad entropia stabilizzata, il neoliberismo predica un mercato aperto, a vocazione microeconomica, in cui la circolazione altamente entropica degli input è, in teoria, automaticamente e globalmente regolata dal meccanismo cibernetico dei prezzi. 

   Dopo la fine della Guerra Fredda (la cui funzione di “check and balance”, anche socioeconomica, viene spesso sottovalutata), dal punto di vista dei paesi occidentali più avanzati (i centri del sistema-mondo del secondo Novecento), questa svolta si traduce nell’apertura di un ampio spazio di azione, ed esportazione di capitali e produzioni, nelle periferie meno sviluppate. “Vasto programma”, avrebbe detto De Gaulle.

   Programma che, quantomeno dal punto di vista industriale e produttivo, difficilmente sarebbe stato possibile senza l’intervento della logistica. La cui capacità di imporre forme di “command & control”, di natura operativa, concettuale e “socio-territoriale”, a questo nuovo spazio e di organizzarne, coordinarne e fluidificarne i flussi di materiali è una componente decisiva nel passaggio dalla carta alla pratica, del modello economico del neoliberismo.

   Gli elementi decisivi in tal senso sono soprattutto due: l’incremento della capacità di calcolo, previsione, progettazione e gestione di sistemi complessi ed entropici, che è figlio dell’avanzare delle tecnologie informatiche (oltre che dell’esperienza logistica bellica), e lo sviluppo di un sistema di trasporto estremamente fluido e del tutto anfibio: la containerizzazione, ovvero il linguaggio materiale, il medium-messaggio in cui “parla” l’epoca della globalizzazione.

   È questa, in estrema sintesi, la “politica delle operazioni” e la profonda genealogia logistica delle “catene di approvvigionamento” e delle “global value chain” che sono state la cifra dello sviluppo economico globale degli ultimi trent’anni.

   Le conseguenze di questo processo sono, come si sa, innumerevoli. La frammentazione e la spazializzazione dei sistemi produttivi in Occidente non è coincisa solo con un aumento di entropia operativa ma, per molti versi, anche economica e sociale. Un’entropia legata alla rottura dell’equilibrio tra capitale e lavoro nelle economie del Nordatlantico. Dopo una breve luna di miele tra anni Novanta e Duemila, tale entropia si è tradotta in espliciti rigetti del modello della globalizzazione (Brexit, Trump etc) e, per molti versi, della stessa “tecnica” (logistica) che l’ha reso possibile. È anche a questo che si deve il penoso oscillare tra pulsioni populiste e diktat tecnocratici che caratterizza ormai la vita nelle democrazie occidentali.

   D’altra parte, la globalizzazione è anche la ragione d’essere del nuovo grande soggetto storico e geopolitico di questo secolo: la Cina e più in generale l’Asia. La quale, di fatto, è stata una delle maggiori beneficiarie del trasferimento di commesse industriali dai centri del capitale occidentali alle periferie delle manifatture del “secondo mondo” (ormai, in molti casi, “ex” secondo mondo). Anche qui, a ben guardare, tuttavia si scorge il marchio del potere logistico. Senza la fluidità e l’economicità garantita dal container (oltre alla crescente sofisticazione dei software logistici) sarebbe stato impossibile garantire il funzionamento delle “value chain” indo-pacifiche tra America occidentale e Asia orientale. Ovvero le catene del valore lungo cui, negli ultimi vent’anni, è scorso il più intenso scambio-flusso di capitali, materiali, competenze, standard e brevetti della Storia. 

   Filiere che sono, a tutti gli effetti, la vera ragione, invisibile agli occhi, della stupefacente rapidità e del ridotto costo del progresso tecnologico e informatico di questo nostro primo scorcio di XXI secolo. Filiere che, di recente, sono diventate la faglia di frattura e conflittualità “sospesa” più calda del pianeta (chiedere a Taiwan). A dimostrazione dell’ingenuità di coloro che, negli anni Novanta, in proposito dei processi d’integrazione industriale e finanziaria, parlavano dell’avvento utopico di un “mondo piatto” e post-politico, le filiere e la logistica hanno in realtà creato una mappa globale fatti di inediti punti di accumulo tensivo, in cui gli snodi e la rarefatta geoeconomia delle supply chain contano più delle specificità geografiche o delle contrapposizioni ideologiche. Come detto in apertura, ce lo ha appena ricordato il Covid. (Cesare Alemanni, da https://www.iltascabile.com/)

…………………….

ULTIMO ALLARME DI SILVA SULLA NUOVA DIGA DI GENOVA: “SEGNERÀ L’INIZIO DI UN INCUBO”

di Nicola Capuzzo, da https://www.shippingitaly.it/, 1/5/2023

– L’esperto consulente e professore universitario di Pianificazione Portuale muove diverse contestazioni all’opera per come è stata concepita e propone un’ipotesi alternativa meno costosa e più rapida da realizzare –

Non essendo riuscito a convincere a modificare il progetto – pur avendo proposto un’alternativa tecnicamente sicura, a costi e tempi dimezzati e con tutti i vantaggi della soluzione dell’Autorità Portuale – desidero con questa lettera aperta mettere la mia lunga esperienza a disposizione dei cittadini affinché almeno siano coscienti di cosa li aspetta. Per decenni, e non certo solo fino al 2026. Magra consolazione, certo. Ma ho ancora una piccola speranza di un sussulto civico in extremis…”.

   Con queste parole inizia la lettera aperta di 10 pagine (a questo link il documento integrale) che Piero Silva, esperto consulente internazionale con 43 anni di esperienza e professore universitario di Pianificazione Portuale (in Francia), scrive alla città di Genova per esprimere una visione antitetica sulla posa “celebrativa” della prima pietra della nuova diga di Genova. (….) opera molto costosa (almeno 1 miliardo di euro), discussa (poco) solo a livello locale, finanziata anche e soprattutto dal Pnrr perché considerata strategica anche da Roma; ma che secondo Silva “segnerà l’inizio di un incubo: per gli abitanti dei lungomari impattati dai cantieri, per le autorità che hanno promesso una fine dei lavori impossibile a mantenere (2026), per le imprese che si troveranno spinte a rispettare tempi irrealizzabili e obbligate ad un’operazione incontrollabile ad alte profondità, come il consolidamento geotecnico con colonne di ghiaia”.

   Questa lettera (non è la sua prima uscita pubblica) è firmata da colui che si dimise del ruolo di direttore tecnico assegnatogli da Rina Consulting per il Project Management Consulting dell’opera per gli stessi motivi per cui ora cerca in extremis di sollevare nuovamente l’attenzione su ciò che ritiene non convincente nel concepimento, nella progettazione e nella realizzazione di questa maxi-infrastruttura.

   Nella sua lettera aperta (10 pagine) descrive perché a suo avviso il progetto è sbagliato, e a molti livelli: “dell’urbanistica (ambizione di realizzare un grande terminale contenitori – rumorosissimo e sempre più automatizzato – davanti ai centri urbani); della pianificazione portuale (ampi spazi di navigazione aperti solo per la parte ovest del porto, più della metà della quale non potrà approfittarne a causa del cono aereo  dimenticando le grandi navi del bacino storico); della tecnica ingegneristica (realizzazione dell’opera su un fondale profondissimo e inconsistente dal punto di vista geologico)”.

   In cinque capitoli presenta le sue valutazioni e le sue proposte alternative:

“1. La diga proposta dall’Autorità portuale è un progetto mastodontico, assolutamente sovradimensionato se paragonato ai modesti obiettivi raggiunti (grandi navi per Msc a Bettolo, 300.000 Teu all’anno in più se va bene);

  1. Il layout è inadeguato, con un cerchio di evoluzione delle grandi navi troppo ad ovest per servire al bacino storico e una doppia imboccatura a levante che aumenterà l’energia in ingresso del moto ondoso proprio dalla direzione da cui – dai dati degli ultimi anni – le onde aumentano la loro frequenza;
  2. Avrà costi (2 a 2,5 miliardi) e tempi (12 a 15 anni di lavori) spropositati, mascherati da promesse che non potranno essere tenute;
  3. Ha un rischio tecnico altissimo, prevedendo la diga su uno spesso strato limoargilloso inconsistente, a profondità dove la consolidazione di tale strato – indispensabile – è considerata dagli esperti impossibile.
  4. Metterà in conflitto porto e città, in controtendenza con l’attuale impegno di realizzare ‘Green Ports’, a causa del progressivo sviluppo di un terminale per grandi navi contenitori davanti alle abitazioni del lungomare Canepa e a causa della lunga durata di un grande cantiere di opere marittime proprio dentro alla città, con impatti gravi, diversi nel tempo e nelle zone”.

   In alternativa propone di aprire un confronto basato “su una visione portuale più realistica a compatibile con la città e i cittadini per Sampierdarena” e “per le grandi navi da 24.000 Teu, su una visione riveduta del BRUCO (progetto inventato da Bruno Musso, ndr) al largo del bacino di Prà”.

   Fra i motivi di contestazione della nuova diga per Silva c’è ad esempio quello che “l’aumento delle dimensioni delle navi contenitori a Calata Sanità sarà un vantaggio per Msc di poco rilievo (stimato dall’ Analisi Costi-Benefici ufficiale a soli 300.000 Teu, circa il 10% del traffico dei porti di Genova/Prà/Vado/Savona) ma pagato in modo assai salato”. Secondo l’esperto “lo stesso obiettivo avrebbe comunque potuto essere ottenuto con un progetto avente meno di un quarto dei costi e tempi di esecuzione, e soprattutto senza i rischi geotecnici del progetto dell’Autorità portuale”.

   Criticato anche il layout della nuova diga (ovvero la configurazione planimetrica) perché, “oltre al problema di portare la diga su profondità proibitive, ha grossi problemi dal punto di vista della sicurezza della navigazione. La rotta d’ingresso e uscita delle navi non è parallela alla diga: questo difetto – del tutto inusuale – potrebbe facilitare in condizioni avverse impatti tra navi e diga stessa”.

   A proposito di costi (poco più di un miliardo) e tempi (la fine del 2026) “entrambi questi valori – soprattutto il secondo – sono assolutamente sottodimensionati, sulla base di un’estrapolazione attenta di costi e tempi di progetti analoghi (almeno una ventina) per i quali ho accesso a dati verificabili di opere già costruite” scrive ancora Silva. Secondo il quale “il costo minimo (posto che l’opera non collassi durante la costruzione a causa dello slittamento d’insieme sul limo-argilloso del fondo…) sarà compreso tra i 2 miliardi e i 2 miliardi e mezzo” di euro. Le sue previsioni sono di 15 anni per portare a termine i lavori.

   Il “problema più grave” per l’ex docente universitario è quello che “tale diga dovrebbe essere costruita su uno spesso strato (dai 10 ai 15 metri) di limo-argilloso inconsistente, su profondità dove la consolidazione – indispensabile – è considerata dagli esperti impossibile” (di avviso opposto è WeBuild, azienda che guida il consorzio a cui è stata aggiudicata la costruzione dell’opera).

   “Il metodo di consolidazione proposto – una rete fitta di colonne di ghiaia che dovrebbero attraversare tutto lo strato inconsistente e bene assestarsi nello strato sabbioso sottostante – è normalmente realizzato a terra, oppure a mare ma su profondità modeste. […] Gli esperti di geotecnica marittima da me consultati asseriscono che, con i mezzi e l’esperienza attuale, una consolidazione simile potrebbe essere realizzata fino ai 30, massimo 35 metri di profondità. Il problema è che l’opera (la nuova diga di Genova, ndr) è in gran parte prevista su profondità maggiori ai 35 e anche ai 40 metri, fino a -50 metri” aggiunge Silva, che mette in guardia dal rischio concreto di un collasso geotecnico (qualcosa di simile avvenne a Nizza nel 1979).

   “Le mie preoccupazioni al merito – prosegue nella lettera aperta – sono aumentate dopo aver letto l’ordinanza della Capitaneria (di porto di Genova, ndr) che decreta una zona di rispetto per permettere le indagini geotecniche dal 22 aprile al 15 maggio. Cioè fino a 11 giorni dopo la posa della prima pietra per la costruzione del progetto. Ora, le nuove indagini geotecniche (sondaggi a mare lungo il tracciato dell’opera e susseguenti analisi di laboratorio dei campioni prelevati) sono indispensabili dato il numero insufficiente dei sondaggi esistenti, e soprattutto considerato il contesto geologico estremamente critico”.

   La contestazione prosegue spiegando che “dopo la campagna, il progetto avrebbe dovuto prevedere – prima di iniziare a costruire – la definizione dei parametri meccanici degli strati del sottosuolo, la modellazione matematica dell’opera sottomessa all’onda di progetto sulla stratigrafia così definita, la conferma o modifica del sistema di consolidazione scelto, la finalizzazione delle sezioni, la conclusione del progetto esecutivo e finalmente la sua approvazione. Al minimo, un tempo di tre mesi dopo la fine dei sondaggi, quindi fino al 15 agosto. Invece il 4 maggio, senza ancora aver verificato il progetto sulle reali condizioni del suolo (e pur sapendo che queste condizioni sono pessime, tali da sconsigliare qualsiasi ingegnere marittimo preparato e responsabile a fondarvi un’opera così monumentale), è stato dato il via alla costruzione. Sono costernato”. (Nicola Capuzzo, da https://www.shippingitaly.it/)

………………….

NUOVA DIGA FORANEA

SULLA PROPOSTA DI COSTRUZIONE DELLA NUOVA DIGA FORANEA DEL PORTO DI GENOVA

da https://www.italianostragenova.org/, 6/2/2023

PREMESSA

Italia Nostra, prescindendo dai soggetti interessati, non concorda con la procedura di commissariamento straordinario. Ritiene che per opere di tale importanza debba procedersi con le forme ordinarie.

SUL METODO

La contrazione del dibattito pubblico in appena 20 giorni, invece dei 120 massimi disponibili, dimostra la mancanza di disponibilità ad affrontare adeguatamente tale importante passaggio di confronto con la cittadinanza. E’, infatti, chiaro che tempistiche così tanto sacrificate, inevitabilmente limitano la possibilità per la società civile di elaborare la documentazione e formulare osservazioni adeguatamente ponderate. Anzi, per converso, in maniera proporzionale, tanto è importante l’opera proposta, quanto dovrebbe essere concesso tempo e disponibilità di ragionamento. Decisamente un’occasione volutamente perduta.

NEL MERITO

Richiamata la premessa di cui al precedente punto, si osserva quanto segue :

A) Per come è stato presentato il progetto non contempla l’opzione zero. Questo è un vizio esiziale di impostazione, che abbiamo già, purtroppo, constatato per il dibattito pubblico sulla gronda di Genova. Il dibattito pubblico si è concentrato sulle diverse soluzioni costruttive, dando per scontata la realizzazione del manufatto, perdendo di vista la preliminare valutazione sulla necessità dell’opera.

B) L’analisi costi e benefici non appare adeguata a superare la critica sull’equilibrio economico – finanziario. Per la spesa prevista di 1,4 miliardi di euro, crediamo sia indispensabile offrire elementi solidi per dimostrare che l’opera proposta è necessaria, ed è sostenibile economicamente.

C) Ulteriore aspetto è la sostenibilità ambientale dell’opera proposta. Trattandosi di un cantiere di enormi proporzioni, deve essere valutato adeguatamente il bilancio di CO2. Non abbiamo rilevato la valutazione dell’impatto paesaggistico delle grandi navi portacontainer su Sampierdarena, in particolare su Lungomare Canepa. Crediamo sia anche necessaria una valutazione dell’impatto sanitario. Non ci sfugge che lavorazioni così imponenti genereranno forte inquinamento, a danno della salute dei cittadini. Sono sicuramente immaginabili, in caso di costruzione della nuova diga, delle esternalità negative che non trovano adeguata mitigazione, né compensazione.

D) Per quanto è stato compreso si tratta di rendere agibile il porto di Sampierdarena al transito delle previste nuove portacontenitori di grandi dimensioni. Avremmo desiderato che fosse stato adeguatamente chiarito sulla base di quali previsioni, si ritiene indispensabile l’intervento proposto, ai fini di valutare la sensatezza dell’opera. Quante maxi portacontenitori sono previste all’anno da/per il porto di Sampierdarena ? Sulla base di quali studi scientifici è stato ritenuto che il gigantismo delle navi renda vantaggioso l’investimento della nuova diga ? In quanti anni verrebbe ripagato un investimento stimato, ad oggi in 1,4 MLD di euro ? E’ del tutto assente una indicazione precisa ed approfondita sulla provenienza ed attendibilità delle stime dei futuri volumi di traffico e, soprattutto, sul definitivo affermarsi nel futuro del gigantismo navale delle portacontainer, per il porto di Sampierdarena. Molte delle previsioni di crescita di volumi, effettuate nel passato, si sono rivelate, alla prova del tempo, eccessivamente ottimistiche.

E) Crediamo sarebbe da chiarirsi il motivo per il quale non sia utilizzabile il porto di Prà per le previste mega portacontainer. La destinazione dei traffici di tali navi su Prà, eliminerebbe ogni ragionamento sulla necessità di valutare l’eventuale costruzione della nuova diga. SI potrebbe quindi differenziare il traffico tra i due porti, peraltro molto ravvicinati e sottoposti alla medesima Autorità di Sistema Portuale.

F) Sarebbe importante una visione integrata del rapporto tra città e porto. La parte pianificatoria avrebbe meritato una declinazione maggiormente adeguata e coordinata con quella civica. E’ da tempo noto che i due mondi sono interconnessi ed interdipendenti. Si auspica un coinvolgimento più penetrante per armonizzare le scelte pianificatorie.

G) I profili trasportistici non sono apparsi sufficientemente sviluppati. In particolare ci saremmo aspettati linee di intervento su come favorire ed implementare la veicolazione di una quota maggiore di merci su ferro, in modo tale da consentire di alleggerire il traffico su gomma ed il correlato inquinamento, ai fini di una sostenibilità ambientale. Quale sarà la ricaduta di traffico veicolare su Sampierdarena con l’apertura e la rimodulazione dei varchi portuali ? Come procedere con la effettiva separazione dei flussi tra il traffico portuale e quello cittadino, se non è previsto nel nodo di San Benigno?

CONO AEREO

Come è noto la attuale presenza dell’aeroporto Cristoforo Colombo confligge apertamente con lo sviluppo previsto del porto di Sampierdarena.

   L’impossibilità di entrata/uscita a ponente, limita l’utilizzo del porto mediante l’ingresso da levante ed uscita da ponente e, richiede cerchi di evoluzione delle navi, sempre crescenti, secondo quanto prospettato, con il supposto loro maggior dislocamento.

   Conseguentemente, salvo ipotizzare modifiche all’ubicazione dell’aeroporto, la proposta nuova diga per concedere l’attracco alle nuove grandi navi, si scontra con i limiti previsti dall’ENAC per non interessare il traffico aereo.

   Quindi, vi è il concreto rischio che quasi la metà del porto di Sampierdarena, per la parte di ponente, non potrà comunque essere utilizzabile dalle previste super portacontainer di dimensioni maggiori anche in altezza.

   Da questa considerazione discende la non sostenibilità dell’opera, poiché sovradimensionata per una sola porzione del porto. Va, inoltre, soggiunto che l’attracco in linea, imporrà nuove maxi gru per la movimentazione delle 3 merci, anch’esse incompatibili con il traffico aereo, a causa del loro ingombro.

AREE

Non è stato adeguatamente chiarito il motivo per il quale non sono state previste aree su piattaforme a ridosso della proposta nuova diga, che possano permettere di alleggerire il carico attualmente in essere sul porto di Sampierdarena.

   Molti dei servizi, potrebbero essere ivi dislocati, con conseguente allontanamento dall’abitato. L’ esclusione di ogni seppur vago cenno alle aree a ridosso della diga, di cui in precedenza molto si era detto per destinarle ad usi utilissimi, deriva dal fatto che la diga è progettata con un’altezza tale che la probabilità di essere tracimata è di alcuni eventi all’anno? E’ questo il motivo per cui si è del tutto rimosso questo tema? Qualora venisse superato l’ineludibile precedente puntoA) è possibile svolgere una soluzione ad oggi indicata da Luigi Sessarego nel quaderno pubblicato nel dibattito pubblico.

   Se la necessità è quella di permettere il transito alle nuove previste portacontenitori, con il previsto tombamento del pettine del porto di Sampierdarena e l’attracco in linea, potrà essere valutata una riduzione dell’attuale sbalzo delle banchine verso lo specchio acqueo, così, di fatto, allargando il canale protetto dalla attuale diga foranea, senza la necessità di costruzione dell’opera proposta. Tale soluzione, a valle dei necessari studi di approfondimento, potrebbe risultare economicamente più vantaggiosa rispetto alla proposta costruzione della nuova diga.

   Anche in considerazione del fatto che il materiale demolito delle banchine, potrà essere utilizzato per il tombamento del pettine, senza costi di smaltimento e con la massima facilità per lo spostamento attiguo.

   Si giungerebbe ad una compensazione superficiale, arrivando al medesimo risultato aspirato, senza essere costretti ad erigere un’opera così complessa e costosa ed in tempi, probabilmente, più contenuti.

SBOCCO AL MARE

Il quartiere di Sampierdarena, ha da tempo, purtroppo, perduto il proprio sbocco al mare. Sampierdarena oltre a non avere avuto nessuna compensazione, come invece buona parte del Ponente ha avuto, rischia un irreversibile degrado, soffocata da infinite servitù già presenti sul territorio e di futura previsione.

   Sampierdarena, Cornigliano e buona parte della Val Polcevera meriterebbero un Piano complessivo di recupero e riqualificazione mirato al miglioramento, non solo della qualità della vita dei suoi abitanti, ma anche sotto l’aspetto Storico Ambientale, cosa non presa in considerazione e, questo, riteniamo sia una lacuna inaccettabile. Chiediamo che lo spazio a mare della Lanterna venga rivisto, alleggerendolo dalle lavorazioni portuali. Il tutto al fine di dare la giusta valorizzazione al simbolo di Genova, prevedendo lo sbocco al mare per la cittadinanza, con la costituzione del già richiesto progetto del “parco della Lanterna”, presentato da Italia Nostra.

INTERVENTI PRIORITARI

Al fine di migliorare la qualità ambientale e, con essa la salute pubblica, è prioritario che si proceda, preliminarmente a qualisvoglia proposta di progetto edificatorio, alla elettrificazione delle banchine. Inoltre il monitoraggio delle emissioni portuali, a partire dai fumi delle navi, riteniamo debba essere un aspetto degno di massima attenzione. E’ noto, infatti, come l’inquinamento da fonti portuali, costituisca la quota maggiore di quello cittadino.

CONCLUSIONI

Esprimiamo, allo stato, cauta contrarietà alla previsione edificatoria della nuova diga, non essendo state adeguatamente chiarite le ragioni di supposta necessità di costruzione dell’opera proposta nelle diverse declinazioni. E non essendo stato assicurato un adeguato bilanciamento tra costi e benefici di natura economica, ambientale e di salute.

                                              ITALIA NOSTRA ONLUS SEZIONE DI GENOVA

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