IL 53esimo RAPPORTO CENSIS 2019 (presentato il 6 dicembre) delinea un pessimismo degli italiani, dove si prospetta l’appoggio a qualche “UOMO FORTE” (di storica triste memoria per le tragedie del Novecento); e però anche un “FURORE DI VIVERE” con aspetti positivi di resistenza – Per il Censis:“DOVE VA L’ITALIA?”

(immagine de http://www.il messaggero.it/) – RAPPORTO CENSIS 2019: UN ITALIANO SU DUE SPERA NELL’«UOMO FORTE» AL POTERE – “(…)Un italiano su due (48,2%), infatti, pensa che ci vorrebbe un “uomo forte al potere” che non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni”. Un’idea che trova più consensi tra operai (62%), persone meno istruite (62%) e con redditi bassi (56,4%) e che viene spiegata dal Censis con “l’inefficacia della politica ed estraneità da essa”, elementi che “aprono la strada a disponibilità che si pensavano riposte per sempre nella soffitta della storia, come l’attesa messianica dell’uomo forte che tutto risolve”.(…)(6/12/2919 da https://www.avvenire.it/)

   Spesso l’analisi e il pensiero geografico si confronta con gli studi sociali, demografici, sociologici e di altra natura relativi agli usi, spostamenti, abitudini della popolazione; cosa le persone pensano del loro vivere in un dato momento storico, e delle prospettive future che possono individuare, sperare. Tutti quegli studi che cercano di fotografare la realtà nel suo procedere.

La presentazione (il 6 dicembre 2019) del Rapporto CENSIS nella sede del Cnel (Foto Cnel.it da http://www.fnsi.it/)

   E in questo blog geografico tentiamo di non dimenticare mai analisi e ricerche dettagliate che man mano vengono presentate da autorevoli enti ed istituzioni; e, secondo noi, queste approfonditi studi rischiano ingiustamente un troppo rapido oblìo che non meritano: per la loro scientificità, per il lavoro enorme fatto, e per l’utilità concreta che possono avere nella lettura della realtà.

RAPPORTO CENSIS 2019: LA PAROLA “FURORE DI VIVERE” – È il concetto-chiave attorno al quale ruota il rapporto annuale sull’Italia presentato il 6 dicembre scorso dal CENSIS. Le pesanti inquietudini e l’ansia che affliggono il quotidiano si sono trasformate, secondo gli analisti del centro di ricerche socio-economiche, nel «FURORE DI VIVERE» degli italiani: ovvero un insieme di stratagemmi e comportamenti, tra cui l’accumulazione della liquidità, che consentono di difendersi dalle incertezze del futuro. E anche nella volontà di non piegarsi definitivamente agli eventi e di mettere in campo strategie di resistenza.

   Per questo qui non possiamo “far passare” in modo inosservato l’interessante “Rapporto CENSIS” del 2019, annuale studio sulla situazione sociale del Paese presentato a Roma il 6 dicembre scorso: fatto di 550 pagine fitte di tabelle, aggiornamenti, interpretazioni.

      E’ uno studio, un’analisi, quella del Censis 2019 sugli italiani assai preoccupante: vi è in corso un pessimismo (cosmico?), un’incertezza sul futuro che condiziona quasi il 70% degli italiani. E fra le preoccupazioni degli italiani in primis c’è la DISOCCUPAZIONE e la SITUAZIONE ECONOMICA, molto di più del fenomeno dell’immigrazione.

(foto da http://www.avvenire.it) – RAPPORTO CENSIS 2019 – Sfuggiti a fatica al mulinello della crisi, adesso L’INCERTEZZA È LO STATO D’ANIMO DOMINANTE (per il 69%). NELLA SOCIETÀ ANSIOSA DI MASSA SI RICORRE A STRATAGEMMI INDIVIDUALI PER DIFENDERSI DALLA SCOMPARSA DEL FUTURO. Nonostante il bluff dell’aumento dell’occupazione che non produce reddito e crescita (959.000 unità di lavoro equivalenti in meno rispetto al 2007, +71,6% di part time involontari per i giovani). Ma se l’ansia non riuscisse più a trasformarsi in furore? La sindrome da stress post-traumatico porta il 75% dei cittadini a non fidarsi più degli altri. E a pulsioni antidemocratiche: ORA IL 48% È FAVOREVOLE ALL’UOMO FORTE AL POTERE (http://www.censis.it/rapporto-annuale)

   Si parla della crescita di uno STRESS ESISTENZIALE che logora il corpo del Paese, con una “sensazione di tradimento” per l’assenza di una ripresa più volte annunciata e di riforme più volte promesse. Si è delineata per questa via una “società ansiosa di massa macerata dalla sfiducia”: negli altri, nel proprio futuro, nelle istituzioni. E gli italiani sono pronti ad affidarsi a un qualsiasi “uomo forte”.

(immagine da http://www.santalessandro.org/) – RAPPORTO CENSIS 2019: “IL 44% DEGLI ITALIANI PREOCCUPATO DAL LAVORO. E IN 4,4 MILIONI USANO PSICOFARMACI. IN 10 ANNI 400MILA UNDER 40 ALL’ESTERO” – ANSIOSI, in preda all’INCERTEZZA, impauriti più di ogni altra cosa da LAVORO PRECARIO e DISOCCUPAZIONE, indifferenti alla POLITICA. Ma anche pieni di micro-passioni personali, tra cui lo SPORT, la compagnia di animali, la cultura. E in cerca di nuovi LEGAMI COMUNITARI, fosse anche la partecipazione a una sagra, così come – comunque – desiderosi di futuro. Così il 53esimo “Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese”, a cura dell’Istituto di ricerca socio-economica CENSIS e presentato il 6 dicembre a Roma, descrive gli italiani e la società italiana del 2019. Dove la SPACCATURA CON LA POLITICA è sempre più RADICALE e la ricerca di riscatto viene dalle SODDISFAZIONI DEL PRIVATO, ma anche dal VOLONTARIATO, in crescita, e dal nuovo ATTIVISMO AMBIENTALE. (Elisabetta Ambrosi, 6/12/2019, da “Il Fatto Quotidiano”)

   Sì, perché il 48 per cento degli italiani è favorevole «all’UOMO FORTE AL POTERE che non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni»: che fa tanto venire in mente le TRAGEDIE DEL NOVECENTO, con tutto il loro carico di sospensione della democrazia, distruzione fisica degli avversari politici, discriminazioni razziali e religiose, cattiverie e intolleranze. Però, ribadiamo, questo per il Censis è lo “stato di fatto”: cioè, alla base di tutto, il Paese, in ansia, sogna l’UOMO FORTE.

(stress telefonini, mmagine da http://www.corriere.it/) – RAPPORTO CENSIS 2019, ECCO COME LO SMARTPHONE HA CAMBIATO IL CONSUMO DEI MEDIA IN ITALIA – Oggi il 73,8% degli italiani ha uno smartphone, indiscusso protagonista della rivoluzione compiuta anche dal sistema dei media nell’ultima decina d’anni. Non è un selfie, piuttosto un quadro a tinte forse meno fosche di quelle dello scorso Rapporto, lo studio dell’istituto di ricerca che certifica il passaggio DALLA ‘SOCIETÀ DEL RANCORE’ FOTOGRAFATA NEL 2017 ALL’INCERTEZZA DEL ‘FURORE DI VIVERE’ DEGLI ITALIANI ora proiettati, dopo la delusione e la solitudine messe in rilievo nel report relativo al 2018, verso la ‘GIGABIT SOCIETY’. Quasi un italiano su tre si informa ovunque tranne che sulla stampa.
Cambiamenti legati anche all’abitudine ad usare i ‘telefoni intelligenti’ che – certifica il Censis – hanno cambiato la vita degli italiani, tanto che il 25,8% dei possessori dichiara di non uscire di casa senza il caricabatteria al seguito e oltre la metà (il 50,9%) controlla il telefono come primo gesto al mattino o l’ultima attività della sera prima di andare a dormire. (…) (da https://www.fnsi.it/ (Federazione Nazionale Stampa Italiana)

   Il Rapporto Censis 2019 è fatto anche di curiose ed interessanti innovazioni lessicali, come «le PIASTRE DI SOSTEGNO», «i MURETTI A SECCO», «il FURORE DI VIVERE». Spieghiamo subito, sommariamente, cosa si intende con queste innovazioni lessicali. “Piastre di sostegno” e “muretti a secco” assumono il carattere (virtuale simbolico) di elementi positivi che ci sono, che accadono, e che il rapporto pur pessimistico individua: la tenuta della dimensione industriale, con le sue punte di qualità, le nuove forme di “industria del tempo libero”, l’incubazione di imprese innovative di giovani, il consolidamento strutturale di alcune aree del Paese. Se interessa leggete questa parte del Rapporto nei file pdf che qui vi proponiamo:

53° Rapporto Censis – Considerazioni generali 2019 (3)

SINTESI_53° Rapporto Censis – Sintesi societa italiana 2019 (1)

   E poi il “furore di vivere”. Vedendo bene, in questi mesi (osserva il Censis) si apre qualche spiraglio, vi sono, pur ridotte, alcune reazioni positive, nate (sempre parole del Censis) dal “FURORE DI VIVERE” degli italiani, cioè dalla loro volontà di non piegarsi definitivamente agli eventi e di mettere in campo strategie di resistenza.

COS’È IL CENSIS? – Il Centro Studi Investimenti Sociali (abbreviato: “Censis”) è un istituto di ricerca fondato nel 1964 dal sociologo GIUSEPPE DE RITA, e divenuto poi Fondazione nel 1973 con decreto del Presidente della Repubblica. Con la sua attività annuale il Censis fornisce il più completo e affidabile indice dello sviluppo socio-economico italiano. Gli studi del Censis abbracciano svariati ambiti: sociale, economico, territoriale, lavorativo, politico e culturale. Ma le attività non sono limitate soltanto alla ricerca. Sulla base dei dati raccolti vengono promosse anche numerose iniziative di consulenza ed assistenza tecnica negli ambiti sopra citati, rivolte specialmente gli enti pubblici. (da http://www.romboweb.com/cose-il-censis/)

   Interessante poi una maggior fiducia nell’Europa, considerata come “protettiva”, rispetto alla sfiducia ben conclamata degli anni scorsi. Ma è anche questo un segnale (ancora) debole. Su tutto nel Rapporto Censis prevale un’analisi pessimistica degli italiani nei confronti del presente e ancor più del futuro del proprio Paese, supportati anche nella sfiducia quasi totale nella classe politica. E qui, si ribadisce, nasce la “voglia”, il voler “affidarsi” all’ “uomo forte”: speriamo che quelli elementi di resistenza che il Rapporto individua, ora deboli, possano crescere presto positivamente. (s.m.)

…………….

LE PULSIONI ANTIDEMOCRATICHE DEGLI ITALIANI (da http://www.corriere.it.economia/)

Il rapporto

RAPPORTO CENSIS 2019: ITALIANI STRESSATI, DIFFIDENTI E AFFASCINATI DALL’«UOMO FORTE»

di MASSIMILIANO JATTONI DALL’ASÉN – 6 dicembre 2019

1-   L’epoca dell’incertezza

2-   La «resilienza opportunistica» degli italiani

3-   Italiani, popolo di aggressivi diffidenti

4-   Le pulsioni antidemocratiche

5-   La nuova occupazione che non produce reddito e crescita

6-   I partiti sordi ai reali problemi degli italiani

7-   Italiani e telefonini: un legame sempre più stretto

8-   Il Paese che invecchia

9-   Milano e Bologna non toccate dal declino demografico

10- Il peso per il welfare dell’allungamento della vita

11- Pochi laureati e basse competenze

12- Il calvario quotidiano di cittadini e imprese

13- Tempo libero e volontariato

14- Automazione, robotica e intelligenza artificiale

15- Gli italiani e l’Europa: no alla Lira e sì alla Ue

16- Competenze e professionalità per costruire il futuro

leggi da: https://www.corriere.it/economia/consumi/cards/rapporto-censis-2019-italiani-stressati-diffidenti-affascinati-dall-uomo-forte/italiani-vittime-stress_principale.shtml

………………………

IL 53esimo RAPPORTO CENSIS 2019

PERCHÉ GLI ITALIANI SONO ATTRATTI DALL’«UOMO FORTE»

di Dario Di Vico, da “il Corriere della Sera” del 7/12/2019

   È difficile commentare in poche righe un lavoro come il Rapporto Censis che è fatto di 550 pagine fitte di tabelle, aggiornamenti, interpretazioni e innovazioni lessicali (segnalo quest’anno «le piastre di resistenza», «i muretti a secco», «il furore di vivere») ma DUE SUGGESTIONI vanno sicuramente raccolte perché ci consentono di spingerci più avanti, in territori ancora poco frequentati.

   LA PRIMA è quella che vede il 48 per cento degli italiani favorevoli «all’UOMO FORTE AL POTERE che non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni».  LA SECONDA è quella che fotografa come quella stessa percentuale salga di molto – dai 15 ai 20 punti – via via che calano il reddito e la posizione sociale degli intervistati.

   È chiaro che l’espressione «UOMO FORTE» si presta a letture tutt’altro che univoche. Ci rimette tra i piedi il ricordo delle TRAGEDIE DEL NOVECENTO, con tutto il loro carico di sospensione della democrazia, distruzione fisica degli avversari politici, discriminazioni razziali e religiose. Parlamento ed elezioni in questa accezione non sono – come ci siamo abituati a considerarle – il sale delle moderne democrazie ma una dannazione.

   Accanto a questa possibile interpretazione ha campo anche una lettura meno drammatica della propensione all’uomo forte e ci conduce alla persistente incapacità decisionale della politica, che si trova di fronte a sfide epocali proprio quando il suo personale risulta assai meno preparato di ieri. E i meccanismi della competizione tra partiti sono resi più complessi e frammentari per il peso assunto dalla comunicazione.

   L’uomo forte in questa accezione è quello che sa saltare a pie’ pari gli sgambetti dei cento PARTITI DEL NO e le insidie di una BUROCRAZIA TENTACOLARE. Le note dei ricercatori del Censis privilegiano questa curvatura, sottolineano la paralisi della politica dell’annuncio piuttosto che del fare e documentano con i numeri il continuo ampliamento dell’AREA DEL NON VOTO. In Campania e in Sicilia alle politiche del 2018 si è superata la quota del 39% e in alcuni comuni dell’isola alle amministrative si è andati oltre la soglia psicologica del 50%.

   La seconda suggestione che ci viene dal Rapporto lega condizione sociale e visione pessimistica della democrazia. Il 67% degli operai, il 62% degli intervistati meno istruiti e il 56,4% delle persone con redditi bassi è a favore dell’uomo forte. Ora è chiaro che l’abbinata sinistra-operai è saltata da tempo: risalgono al ’93 le prime indagini sul voto di fabbrica alla Lega Nord e poi tutto il ciclo del protagonismo di Forza Italia ha pescato ampiamente tra le tute blu.

   Ma qui siamo al rovesciamento: da baluardo e difesa delle libertà democratiche – gli operai italiani hanno nel loro curriculum numerosi scioperi politici – i forgotten workers italiani diventano la punta avanzata della richiesta di soluzioni post-democratiche. E tutto ciò, si badi, senza che in questi ultimi anni ci siano state dimissioni in massa dai sindacati confederali, marce dei 40 mila contro gli scioperi o comunque scelte traumatiche che abbiano portato gli operai di botto a schierarsi a destra.

   È stato un lento ma graduale scivolamento che ha bypassato l’azione sindacale e che oggi ci ritroviamo di fronte come un macigno. La tuta blu dell’epoca di Facebook continua a pagare la tessera del suo corpo intermedio ma è contro la società di mezzo e lo stesso Parlamento. ANNOTA IL CENSIS: «È QUASI IL RITORNO A UNA ITALIA POST-UNITARIA QUANDO LA POLITICA ERA RISERVATA AI BENESTANTI, agli antipodi dell’alta intensità ideologica del dopoguerra che vedeva invece come protagonisti proprio i soggetti meno abbienti». (Dario Di Vico)

………………………

RAPPORTO CENSIS

IL PAESE IN ANSIA SOGNA L’UOMO FORTE

di Guido Crainz, da “la Repubblica” del 7/12/2019
   Sembra aver trovato qualche provvisorio freno, segnala il Censis nel suo rapporto annuale, quella profonda deriva, quel rischio di «un grande balzo verso un altrove incognito» che era stato evocato l’anno scorso: si insisteva allora in modo accentuato sul continuo aggravarsi della crisi italiana e sul dilagare di un “sovranismo psichico” segnato da rancore, intolleranza e “cattiveria”.
Abbiamo visto invece in questi mesi, si osserva ora, alcune reazioni positive nate dal “FURORE DI VIVERE” degli italiani, cioè dalla loro volontà di non piegarsi definitivamente agli eventi e di mettere in campo strategie di resistenza.

   Nel suo insieme però anche il rapporto di quest’anno sembra confermare il pessimismo precedente e ci riconduce costantemente ai pesanti effetti di una crisi profonda e prolungata.
Sino al deteriorarsi stesso della democrazia, a partire dal dato più crudo: il 48% degli italiani si dice favorevole a un “uomo forte al potere” che non debba preoccuparsi di “Parlamento ed elezioni” (e si va oltre il 60%, fra le persone con minor istruzione o collocate nelle fasce più basse del lavoro subalterno). Sullo sfondo, un’incertezza sul futuro che condiziona quasi il 70% degli italiani (oltre al pessimismo di un altro 17%), con il prolungato blocco dell’ascensore sociale e con il corposo delinearsi di rischi di declassamento.

   Con la difficoltà del Paese di ritornare ai livelli precedenti la crisi su quasi tutti i terreni, dal Pil ai consumi e agli investimenti. Con l’ulteriore DEPAUPERAMENTO DEL MEZZOGIORNO e con la forte debolezza del sistema formativo.

   Sullo sfondo, anche, la “corrosione delle congiunture e delle guarnizioni sociali” che ha preso corpo nell’ultimo decennio: dal rarefarsi della protezione del welfare pubblico, sempre più inadeguato di fronte ai mutamenti demografici, sino al “bluff dell’occupazione”. Sino cioè a una crescita numerica degli occupati che vede in realtà diminuire l’impiego stabile a tempo pieno e crescere fortemente quello provvisorio e parziale, e sottopagato: fra le preoccupazioni degli italiani disoccupazione e situazione economica sono al primo posto (molto al di sopra della media Ue e ben prima dell’immigrazione).
Al tempo stesso si sono indeboliti due “pilastri storici della sicurezza familiare”, l’investimento nella casa e i Bot, con un ulteriore impoverimento delle strategie individuali di risposta alla crisi.

   Ed è cresciuto uno STRESS ESISTENZIALE che logora il corpo del Paese, con una “sensazione di tradimento” per l’assenza di una ripresa più volte annunciata e di riforme più volte promesse. Si è delineata per questa via una “società ansiosa di massa macerata dalla sfiducia”: negli altri, nel proprio futuro, nelle istituzioni (meno del 30% ha fiducia nell’amministrazione pubblica, mentre la media europea supera il 50%).

   In questo scenario appaiono troppo deboli, ancora, gli anticorpi al declino (“piastre di sostegno” e più provvisori “muretti a secco”) che il rapporto pur individua: la tenuta della dimensione industriale, con le sue punte di qualità, le nuove forme di “industria del tempo libero”, l’incubazione di imprese innovative di giovani, il consolidamento strutturale di alcune aree del Paese.
E conforta una maggior fiducia nell’Europa, avvertita l’anno scorso come una “faglia incrinata che rischia di spezzarsi”. Segnali positivi, certo, ma insufficienti – annota il Censis – senza un progetto di futuro. Senza l’agire di élite degne di questo nome. Senza una politica all’altezza del proprio compito. E qui il cerchio si chiude in negativo, di fronte a una politica “che ha perso di vista la realtà limitandosi a seguire il giorno per giorno”. Una politica che si è rassegnata a non decidere e si è “suicidata in diretta”. Quasi un de profundis più che l’annuncio di un nuovo inizio. (Guido Crainz)

…………………………..

RAPPORTO CENSIS 2019, ECCO COME LO SMARTPHONE HA CAMBIATO IL CONSUMO DEI MEDIA IN ITALIA

6/12/2019, da https://www.fnsi.it/ (Federazione Nazionale Stampa Italiana)(ndr: il sindacato dei giornalisti)

   Oltre la metà dei possessori controlla il telefono come primo gesto della giornata o ultima attività della sera. Lo riferisce il capitolo «Comunicazione e media» dell’annuale studio sulla situazione sociale del Paese presentato a Roma. Diminuisce il numero delle persone con diete mediatiche più ‘povere’, ma quasi un italiano su tre si informa ovunque tranne che sulla stampa. Più di uno su due nella fascia di età under 30.

Oggetto di culto. Icona della disintermediazione digitale. Oggi il 73,8% degli italiani ha uno smartphone, indiscusso protagonista della rivoluzione compiuta anche dal sistema dei media nell’ultima decina d’anni.

   Non è un selfie, piuttosto un quadro a tinte forse meno fosche di quelle dello scorso Rapporto, lo studio dell’istituto di ricerca che certifica il passaggio DALLA ‘SOCIETÀ DEL RANCORE’ FOTOGRAFATA NEL 2017 ALL’INCERTEZZA DEL ‘FURORE DI VIVERE’ DEGLI ITALIANi ora proiettati, dopo la delusione e la solitudine messe in rilievo nel report relativo al 2018, verso la ‘GIGABIT SOCIETY’.
Cambiamenti legati anche all’abitudine ad usare i ‘telefoni intelligenti’, che – certifica il Censis – hanno cambiato la vita degli italiani, tanto che il 25,8% dei possessori dichiara di non uscire di casa senza il caricabatteria al seguito e oltre la metà (il 50,9%) controlla il telefono come primo gesto al mattino o l’ultima attività della sera prima di andare a dormire.
«La diffusione su larga scala di una tecnologia personale così potente ha contribuito a una piccola mutazione antropologica che ha finito per plasmare i nostri desideri e le nostre abitudini», spiega il Rapporto. E anche la dieta mediatica degli italiani.
Negli ultimi 10 anni, il decennio degli smartphone, appunto, il numero delle persone con diete mediatiche solo audiovisive (radio e televisione tradizionale), cioè gli utenti con le diete più ‘povere’, è sceso progressivamente dal 26,4% del 2017 al 17,9% del totale nel 2018.
Un terzo degli italiani ha una dieta mediatica ricca ed equilibrata, al cui interno trovano spazio tutti i principali media (audiovisivi, a stampa e digitali): sono il 35,5% nel 2018, ma il dato è stabile perché erano il 35,8% anche dieci anni fa.
Le diete mediatiche più complete sono appannaggio della classe dei 30-44enni (41,5%), seguiti da chi ha tra i 45 e i 64 anni (39%), mentre i giovani under 30 si collocano, con il loro 34,4%, al di sotto del dato medio.
E, se sono tutt’altro che una novità la crisi dei giornali e la tendenza ad informarsi in prevalenza sui social o in televisione, colpisce la spiegazione che il Censis fornisce per questa carenza tra i più giovani: nella fascia d’età fino ai 30 il numero di quanti utilizzano tutti i media eccetto quelli a stampa arriva al 52,8%, ben al di sopra del 38% riferito alla popolazione totale.

……………………………….

RAPPORTO CENSIS 2019: “IL 44% DEGLI ITALIANI PREOCCUPATO DAL LAVORO. E IN 4,4 MILIONI USANO PSICOFARMACI. IN 10 ANNI 400MILA UNDER 40 ALL’ESTERO”

di Elisabetta Ambrosi, 6/12/2019, da “Il Fatto Quotidiano” 

   Ansiosi, in preda all’incertezza, impauriti più di ogni altra cosa da lavoro precario e disoccupazione, indifferenti alla politica. Ma anche pieni di micro-passioni personali, tra cui lo sport, la compagnia di animali, la cultura. E in cerca di nuovi legami comunitari, fosse anche la partecipazione a una sagra, così come – comunque – desiderosi di futuro. Così il 53esimo “Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese”, a cura dell’Istituto di ricerca socio-economica Censis e presentato il 6 dicembre a Roma, descrive gli italiani e la società italiana del 2019. Dove la spaccatura con la politica è sempre più radicale e la ricerca di riscatto viene dalle soddisfazioni del privato, ma anche dal volontariato, in crescita, e dal nuovo attivismo ambientale.

LIQUIDITÀ, “NERO”, PSICOFARMACI: STRATEGIE INDIVIDUALI DI RESISTENZA
Non proprio radicalmente pessimisti (lo è il 17%), ma neanche ottimisti (14%): gli italiani guardano al futuro soprattutto con grande incertezza (69%). Alle spalle hanno un lavoro faticoso: hanno dovuto metabolizzare la rinuncia ai due pilastri storici della sicurezza, il mattone e i Bot, così come la crisi del sistema protettivo del welfare e la rottura dell’ascensore sociale. Che infatti la maggioranza degli italiani – il 69% – ritiene bloccato. Se la ricchezza immobiliare decresce (del 12,6%) e i rendimenti dei Bot sono microscopici, non sono all’orizzonte nuovi sentieri di sicurezza e sviluppo.

   E allora gli italiani, scrive l’Istituto di ricerca, si difendono da soli, attivando processi di difesa spontanei, in una sorta di “resilienza opportunistica” che va da uno stretto controllo dei consumi, all’accumulo di cash – non si ferma la corsa alla liquidità – al “nero” funzionale alla sopravvivenza. Un altro aiuto consistente viene, ma il dato non è positivo, dall’utilizzo di sedativi e ansiolitici, per combattere sia lo stress (è stressato il 74% degli italiani) che una ben più grave sindrome da stress post-traumatico: il consumo di psicofarmaci è aumentato in tre anni del 26%, e ne fanno uso ben 4,4 milioni di persone. È venuta meno la fiducia negli altri (75%), ma è vero anche che il 49% degli italiani ha subito nell’ultimo anno una prepotenza in luogo pubblico e il 44% si sente insicuro nelle strade che frequenta.

L’INCUBO DEL LAVORO E LA CRISI DEMOGRAFICA: BOOM DI ESPATRI
Il vero, grande, problema degli italiani resta il lavoro: è preoccupato il 44% (più del doppio della media europea), due volte più degli immigrati (22%) e cinque-sei volte della crisi climatica (8%). L’istituto si focalizza su un paradosso: rispetto al 2017, gli occupati aumentano. Ma a crescere sono solamente, di 1,2 milioni, quelli a tempo parziale, tanto che tra il 2007 e il 2018 il part time è aumentato del 38%, soprattutto quello involontario, praticamente raddoppiato rispetto al 2007 e ancor di più (71,6%) tra i giovani.

   Calano dunque le ore complessive di lavoro (2,3 miliardi rispetto al 2007) e anche le retribuzioni (del 3,8%). Ci sono quasi 3 milioni di lavoratori che guadagnano meno di 9 euro all’ora, specie tra giovani e operai. E 2 milioni di lavoratori dipendenti che possono contare solo su 79 giornate retribuite all’anno. I giovani sono sempre di meno eppure non trovano lavoro. Si calcola che tra cent’anni gli under 35 saranno il 31,2% e gli over 64 il 31,6% (nel 1959 erano il 9,1%). Dal 2015 si contano 436.066 cittadini in meno.

   Calano le nascite, sia tra gli italiani che tra gli stranieri, e aumentano gli espatri, con numeri impressionanti: più 400.000 cittadini tra i 18 e i 39 hanno lasciato l’Italia in un decennio. La diminuzione è consistente soprattutto nel Meridione, mentre ci sono 21 province su 107 che non hanno perso popolazione: quasi tutte tra Lombardia e Nord-Est (in particolare valle dell’Adige e l’asse della via Emilia), con il picco di Milano, mentre Roma crolla anche nel numero di residenti stranieri. L’anomalia demografica, notano gli esperti, metterà a dura prova i sistemi sociali, visto l’aumento di malati cronici e non autosufficienti.

LA POLITICA IN TV? COME UNA FICTION. PIACE L’EUROPA
Meno di un italiano su 5 parla di politica quando si vede, il 76% non ha fiducia nei partiti (81% tra gli operai e l’89% tra i disoccupati). La sfiducia genera tuttavia un’attesa messianica verso l’uomo forte, che fa presa oggi sul 48% degli italiani (ma sale al 62% tra gli operai). Le persone guardano molta politica in tv, ma “come se fosse una fiction”, tanto che nelle urne l’astensione continua a crescere, dal 9,6% del 1958 al 29,4% nel 2018. E paradossalmente il 90% dei telespettatori non vorrebbero vedere sullo schermo politici, ma scienziati, medici, esperti (73,1%), ma anche – oltre a attori e cantanti – anche poeti, scrittori e filosofi (43,5%). Scarsa la fiducia anche nella Pubblica Amministrazione (29% contro 51% della media europea), anche per i debiti non saldati verso le imprese. Se proprio si dovesse trovare un’istituzione nella quale gli italiani, tutto sommato, credono è l’Europa, con la maggioranza contraria al ritorno alla lira o all’uscita dall’Unione e uno su due contrario ai dazi. D’altronde, oggi sono 2.107.359 gli italiani che vivono nei paesi della Ue, aumentati del 12,2% negli ultimi tre anni.

IL TRIONFO DEL PRIVATO: SPORT, VOLONTARIATO E CULTURA
Le relazioni di senso, per gli italiani, non sono più nel pubblico né, neanche, nel proprio lavoro. Oggi la vita “vera” si trova soprattutto nelle 4 ore e 54 minuti di tempo libero al giorno, di cui gli italiani sono soddisfatti. Cresce non a caso la spesa per attività ricreative e culturali (71,5 miliardi di euro), cresce il volontariato (più 19,7% negli ultimi dieci anni), cresce lo sport: sono ben 20,7 milioni le persone che praticano attività sportive. Importante nella ricerca di senso sono sia la cura di animali – ci sono oltre 7 milioni di cani e di gatti (il 38,8% delle famiglie ne possiede uno) – ma anche il recupero di pratiche che affondano nell’antica dimensione comunitaria, come le sagre. Nonostante il rifugio nel privato, sia pure solidale, resta vivo, nota il Censis, il problema di un classe dirigente che tenga insieme la collettività e individui la direzione in cui muoversi. Magari – nel Paese con un sistema formativo che non funziona e dove ci sono 13 milioni di analfabeti funzionali – fatta da professionisti, di cui gli italiani si fidano (medici come giornalisti). O di politici che pensino al futuro piuttosto che al consenso.

IL PAESE DELLE RIFORME MANCATE
“Incompiuto”: così il Rapporto definisce il decennio che si chiude. E l’accusa è soprattutto alla politica, incapace di riforme strutturali sempre annunciate “ma mai concretamente avviate”, si legge nelle Considerazioni generali. Dalla scuola alla giustizia, dalla sanità alle infrastrutture o ai servizi idrici, lo scenario “è affollato di non decisioni”. Nonostante ciò, esiste ancora la possibilità di rinnovamento e nuovo sviluppo, anche perché “l’adeguamento verso il basso non può proseguire senza limiti”. Ci sono, d’altronde, motivi di relativa speranza: il nostro sistema produttivo manifatturiero e industriale, il consolidamento strutturale di alcune aree geografiche, la nuova sensibilità ai problemi del clima e della tutela di ambiente e del territorio, di nuovo la dimensione europea.

   E poi, anche se in misura minore, la fitta rete di incubatori e acceleratori di imprese innovative, i festival e gli eventi culturali di ogni genere, segmenti produttivi ad alta tecnologia o sapienza artigianale dove l’Italia ha un primato. Eppure non si può immaginare che questi ambiti diventino le basi per un ritorno a una dimensione sociale e collettiva. I nuovi attori sociali potrebbero aprire una fase negoziale con la politica. Ma gli esiti non sono ancora noti. L’interrogativo “su come si possano dare tempi, luoghi e strumenti di bilanciamento tra risposte ai bisogni di base e nuova alimentazione delle ambizioni individuali” resta ancora aperto. (Elisabetta Ambrosi)

…………………………..

PER IL CENSIS LA SANITA’ E’ SEMPRE PIU’ “PRIVATA”: IL 62% DI CHI HA AVUTO UNA PRESTAZIONE DAL PUBBLICO NE HA PAGATA UNA ANCHE NEL PRIVATO

da QUOTIDIANO SANITA’ (http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=79492), 6/12/2019

– Per l’istituto di Giuseppe De Rita, che il 6 dicembre ha presentato il suo 53° Rapporto sulla situazione sociale del Paese, il rapporto degli italiani con la sanità appare improntato sempre di più a una logica “combinatoria”: vale a dire che per avere ciò di cui hanno bisogno si rivolgono in maggioranza sia al pubblico che al privato. Su 100 prestazioni rientranti nei LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA che i cittadini hanno provato a prenotare nel pubblico, 27,9 sono transitate comunque nella sanità a pagamento. –

6 DIC – E’ arrivato alla 53ª edizione il Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese. E come ogni anno la sanità occupa una buona parte del capitolo dedicato al welfare.

   La chiave di lettura che offre il Censis per questo capitolo è quella della “logica combinatoria”. Con questi termini l’istituto di Giuseppe De Rita dà la sua lettura della crescita della domanda di prestazioni dal privato in “combinazione” con l’ottenimento di prestazioni dal pubblico.

   Tradotto: “Il rapporto degli italiani con la sanità, si legge nel rapporto, è sempre più improntato a una logica combinatoria: per avere ciò di cui hanno bisogno per la propria salute, si rivolgono sia al Servizio sanitario nazionale, sia a operatori e strutture private, a pagamento”.

   Nell’ultimo anno , ecco i dati, il 62% degli italiani che ha svolto almeno una prestazione nel pubblico ne ha fatta anche almeno una nella sanità a pagamento: il 56,7% di chi ha un reddito basso e il 68,9% di chi ha un reddito di oltre 50.000 euro annui.

   Per il Censis ci si rivolge al di fuori del Ssn sia per motivi soggettivi, per il desiderio di avere ciò che si vuole nei tempi e nelle modalità preferite, sia per le difficoltà di accedere al pubblico a causa di liste d’attesa troppo lunghe.

   Nell’ultimo anno su 100 prestazioni rientranti nei Livelli essenziali di assistenza che i cittadini hanno provato a prenotare nel pubblico, 27,9 sono transitate nella sanità a pagamento, con marcate differenze territoriali: il 22,6% nel Nord-Ovest, il 20,7% nel Nord-Est, il 31,6% nel Centro, il 33,2% al Sud.

   Forte poi è la pressione della spesa sanitaria privata: per l’81,5% degli italiani pesa molto o abbastanza sul bilancio familiare (il 77,8% di chi risiede nel Nord-Ovest, il 76,5% nel Nord-Est, l’82,5% nel Centro, l’86,2% al Sud).

   Cresce negli italiani la consapevolezza di un significato più ampio di benessere. Per il 41,3% degli italiani, rileva il rapporto Censis, stare bene significa trovarsi in uno stato di benessere psicologico, di soddisfazione, tranquillità e felicità. Dieci anni fa solo il 17,4% degli italiani la pensava così.

   Nella nuova e allargata concezione di benessere che si è affermata nell’ultimo decennio un ruolo significativo spetta alla sessualità. Il 71,4% dei 18-40enni italiani che hanno rapporti sessuali è molto o abbastanza soddisfatto della propria vita, mentre la quota scende al 52,5% tra chi non ha rapporti sessuali.

   Ma se una vita sessuale soddisfacente innalza il benessere soggettivo, su un ambito decisivo per la salute come quello della prevenzione sessuale, sottolinea il rapporto, i giovani sono ancora un passo indietro, con comportamenti poco attenti a mettersi al riparo dai rischi. Il 57,9% dei 18-40enni ha fatto sesso senza usare alcun metodo contraccettivo e il 18,2% ha utilizzato il coito interrotto. Solo il 21,6% dei millennial ha sempre utilizzato contraccettivi.

La solitudine della non autosufficienza

Oggi in Italia le persone non autosufficienti sono 3.510.000 (+25% dal 2008), in grande maggioranza anziani: l’80,8% ha più di 65 anni. Non è autosufficiente il 20,8% degli anziani.

   Insufficienti e inadeguate sono le risposte pubbliche a un fenomeno destinato a crescere, considerato l’invecchiamento progressivo della popolazione. Il 56% degli italiani dichiara di non essere soddisfatto dei principali servizi socio-sanitari per i non autosufficienti presenti nella propria regione (il 45,5% dei residenti al Nord-Ovest, il 33,7% nel Nord-Est, il 58,2% nel Centro, il 76,5% al Sud).

   L’onere della non autosufficienza, si legge nel rapporto, ricade direttamente sulle famiglie, chiamate a contare sulle proprie forze economiche e di cura. Per il 33,6% delle persone con un componente non autosufficiente in famiglia le spese di welfare pesano molto sul bilancio familiare, contro il 22,4% rilevato sul totale della popolazione.

   Forte, conclude il rapporto, è la richiesta delle famiglie di un supporto anche economico: il 75,6% degli italiani è favorevole ad aumentare le agevolazioni fiscali per le famiglie che assumono badanti.

   E infine un dato controcorrente (che non è sfuggito al presidente della Fnomceo) considerando il quadro di quella che il rapporto definisce, come una “società ansiosa di massa macerata dalla sfiducia”: oggi, segnala il Censis, solo il 18% degli italiani non ha fiducia nei medici di base e la percentuale scende al 9% nel caso degli specialisti. Partiamo da qui, verrebbe da dire.

……………………………..

CONTRO IL MITO DELL’UOMO FORTE SERVE UNA REPUBBLICA EUROPEA

di Eric Jozsef, giornalista, 11/12/2019, da INTERNAZIONALE

https://www.internazionale.it/

   E se gli italiani avessero delle buone ragioni per desiderare l’uomo forte? Il rapporto annuale del Censis pubblicato il 6 dicembre, secondo cui quasi un cittadino su due (48 per cento) dichiara che ci vorrebbe un “uomo forte al potere” che non debba preoccuparsi di parlamento ed elezioni, ha legittimamente suscitato scalpore.

   Eppure non fa che confermare una tendenza evidenziata dal risultato delle ultime elezioni europee e dai recenti sondaggi: l’estrema destra rappresenta stabilmente più del 40 per cento dell’elettorato e il leader della Lega Matteo Salvini (l’uomo dei “pieni poteri”) e la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni sono ormai i politici più popolari, preceduti solo dal presidente del consiglio Giuseppe Conte. Soprattutto, il dato del 48 per cento corrisponde a una realtà che la maggior parte degli osservatori e dei rappresentanti politici non vuole affrontare, e cioè che le democrazie europee sono in una profonda crisi, e forse in modo irrimediabile.

   Non basta cercare di evitare la questione guardando nel dettaglio il rapporto Censis, che nota che l’aspirazione all’uomo forte trova consensi soprattutto tra le persone meno istruite (62 per cento). E ancora meno cercare di rassicurarsi come Ernesto Galli della Loggia dalle colonne del Corriere della Sera, secondo il quale “la voglia dell’uomo forte, rivelata dai dati del Censis, più che un desiderio di soluzioni dittatoriali o comunque contrarie alla democrazia liberale, testimonia sostanzialmente altro: un’insoddisfazione radicale per il pessimo funzionamento del paese”.

Il vecchio schema di stati nazionali è inadatto a gestire le sfide contemporanee

I problemi dell’Italia elencati dallo storico (malagiustizia, evasione fiscale, degrado delle periferie, dello stato sociale, debolezza della classa politica eccetera) non sono nuovi. Ciò che c’è di nuovo è l’aspirazione, in queste proporzioni, alla soluzione rapida, radicale e pericolosa dell’uomo forte per tentare di risolverli. E ci sono buone ragioni per capire quest’andamento che aleggia un po’ ovunque in Europa e che solo un certo provincialismo può cercare di limitare a problemi solo interni.

   Le democrazie in Europa sono al capolinea perché sono rinchiuse nel vecchio schema di stati nazionali, ormai troppo piccoli per rispondere da soli alle sfide contemporanee, come la finanziarizzazione del capitalismo che produce un’esplosione delle disuguaglianze, la gestione del fenomeno migratorio, la risposta ai cambiamenti tecnologici o ambientali.

La soluzione peggiore
Un po’ ovunque gli elettori hanno provato a portare al potere coalizioni di ogni genere (destra, sinistra o altro) per trovare soluzioni alle loro angosce. Ma senza un esito soddisfacente, e per motivi strutturali. Hanno dunque buone ragioni oggi gli intervistati del Censis di volere un’altra soluzione, che tuttavia è la peggiore: quella dell’uomo forte.

   Una democrazia è tale se assicura il voto e la possibilità di alternanza al potere, se garantisce l’esistenza di contropoteri e i diritti delle minoranze, ma anche se i governanti dispongono di poteri reali. Negli ultimi anni, quest’ultimo elemento è progressivamente venuto a mancare (bisogna ricordare che l’Italia – come la Francia – rappresenta oggi meno dell’1 per cento della popolazione mondiale e appena il 2,4 per cento del pil del pianeta).

   Così numerosi cittadini sognano oggi un take back control con l’illusione che un presidente illiberale possa difenderli, ossia vogliono un uomo forte che possa supplire a uno stato nazionale debole.

   Per frenare questa micidiale fuga in avanti esiste solo una soluzione: costruire un’Europa unita, potente e democratica, che potrebbe esprimersi attraverso una repubblica europea. La questione sembra attualmente compromessa, perché quasi nessun partito o movimento ne parla (finora nemmeno le sardine, che sono la nuova risposta alla voglia d’uomo forte).

   Resta il fatto confortante che il rapporto del Censis ricorda anche che più del 61 per cento degli italiani è contro il ritorno alla lira e il 62 per cento è contrario all’uscita dall’Unione europea: segno che, al di là di tutte le critiche legittime verso l’attuale Ue, hanno ben chiaro dove sta la forza reale per il loro futuro. (Eric Jozsef)

……………………..

DE RITA “NOI PIÙ SOLI A FORZA DI VAFFA. MA IL LIVORE STA PASSANDO DI MODA”

di Corrado Zunino, da “la Repubblica” del 7/12/2019

Professor GIUSEPPE DE RITA, 55 anni fa contribuì a fondare il Censis. Da tre stagioni non ne scrive più i rapporti, ma scoprire che il 74 per cento degli italiani nel 2019 si sente molto stressato, anche senza un motivo, e il 55 per cento parla da solo che effetto le fa?

«Non stiamo diventando un popolo di matti, no. Quel parlare da soli è un ruminare quello che abbiamo dentro pensando a domani. Il passato non nutre i sentimenti, noi siamo quello che pensiamo di poter essere. E oggi non lo sappiamo. Siamo un popolo stressato perché non abbiamo un traguardo, una prospettiva. Ci manca il futuro e per questo il presente diventa faticoso, fastidioso».

Il 75 per cento degli italiani non si fida più di nessuno. Probabilmente ha ragione.

«C’è un problema fondamentale ed è la nostra incapacità di rapporto con l’altro. Negli ultimi dodici anni lo slogan della società, esplicito e implicito, è stato il “vaffa” e questo ha rotto ogni relazione. E la vera tragedia di questo Paese: non c’è ricchezza di rapporti umani e così l’individuo incorpora le proprie ansie che, in solitudine, diventano rancori. Negli ultimi due anni, va detto, il rancore è diminuito, ma la rottura delle relazioni resta ed è l’elemento fondamentale da curare. Ci siamo riusciti dopo la guerra quando la sfiducia era totale. In Miracolo a Milano di Vittorio De Sica, siamo nel 1951, si vede un ragazzino che esce dall’orfanotrofio e inizia a salutare tutti. Al decimo “buongiorno”, finalmente un passante gli chiede perché. Ecco, dobbiamo tornare a dire “buongiorno” senza una ragione. Quella sceneggiatura era di Cesare Zavattini, artista e sociologo».

Diceva che il rancore è in riflusso da due anni: forse perché i Cinque Stelle sono andati al governo e la rabbia da social si è sgonfiata?

«Si è esagerato e il livore e la minaccia sono andati fuori moda. Ai Cinque Stelle è successa una cosa semplice: hanno conosciuto coloro che avevano violentemente attaccato per anni, a destra, a sinistra, senza conoscerli. La conoscenza favorisce prima la misura e poi l’educazione. Gli italiani si stanno stufando di frasi fatte e richieste di impeachment».

É sicuro che si siano stufati dei modi di Salvini? II 48 per cento, dice il Censis, vuole l’uomo forte.

«Salvini, aiutato dai suoi consulenti, ha caricato l’aspetto formale della violenza orale, ma non diventerà un leader continuando a fare il truce».

A quale italiano somiglia l’italiano del 2019?

(…Una pausa, l’esercizio della memoria…) «A quello della fine degli Anni `80, la vigilia di Tangentopoli. La stanchezza, la valutazione negativa: tutti ladri. Quel sentimento è stato il substrato culturale della grande inchiesta. Oggi, però, l’atteggiamento distruttivo non cresce, c’è attenzione a non esasperare la rabbia».

Bastano due dati per spiegare i sentimenti di frustrazione contemporanei: dal 2011 la ricchezza immobiliare delle famiglie ha subito una decurtazione del 12,6 per cento e quasi tre milioni di italiani guadagnano meno di 9 euro lordi l’ora.

«L’Italia non è un Paese povero, ovunque vai vedi girare soldi. Siamo cresciuti a ondate veloci e successive: la ricostruzione, il boom industriale, poi l’avanzata delle piccole imprese, quindi il sommerso. Siamo riusciti a uscire dalla crisi del 2008-2014 con un atteggiamento di massa: la sobrietà. E oggi abbiamo recuperato le posizioni pre-crisi. Certo, non siamo felici quando siamo sobri, il consumismo è il nostro habitat, ma siamo un popolo che si sa adattare e che si adatterà anche alla prossima svolta».

Questo è il nocciolo del carattere degli italiani: la capacità di adattarsi?

«Pensi a quanti meridionali sono diventati settentrionali. Ci siamo adattati all’Europa, all’austerity della Merkel, al tre per cento. Ci adatteremo al Salva-Stati, il Mes. Più che l’uomo forte gli italiani chiedono l’uomo che consenta di stare in pace, semplifichi le loro vite, permetta alle loro case di rendere senza che siano erose dalle tasse. Come dice Ricolfi, siamo un popolo signorile che vorrebbe vivere da signore, ma oggi la ricchezza è diventata motivo di cruccio. Gli italiani non hanno bisogno di fermare i migranti nei porti, piuttosto di qualcuno che tolga loro un po’ di ansie».

Se dobbiamo individuare una causa del nostro declino? Una.

«Siamo fatti di storia e di invenzioni: questi due elementi in cent’anni hanno trasformato un plebeo in un cittadino, poi in un signore. Ecco, oggi c’è una mancanza di senso storico e di invenzione economica che si traducono nell’assenza di un’idea di futuro».

Da quale emergenza dovremmo partire?

«Dall’istruzione, ma lì abbiamo perso all’inizio dei Sessanta quando cattolici e comunisti scelsero la scuola per la scuola e per i professori invece che la scuola per il lavoro e l’impresa. Poi c’è il calo demografico. Non facciamo più figli per una serie di ragioni così larghe e profonde, la caduta del desiderio, il narcisismo egoistico, l’idea di futuro fin qui sviluppata, che è difficile uscirne. Il futuro ce lo porteranno altri e noi, ancora una volta, ci adatteremo». (intervista di Corrado Zunino)

…………………………

RAPPORTO CENSIS SULLA SCUOLA: MOLTI I PROBLEMI EMERSI

di Marianna Pinton, 09/04/2019, da https://www.voglioinsegnare.it/

– È stato presentato nello scorso aprile il Rapporto Censis sulla scuola, ecco un’analisi dei dati emersi. –

LA SITUAZIONE DEI LAUREATI IN ITALIA

Dal 2014 al 2017 il numero degli italiani dai 30 ai 34 anni con una laurea breve è aumentato fino al 27%, però la media registrata nell’Unione Europea di attesta quasi al 40%, che sarebbe poi l’obiettivo europeo per il 2020.

   A livello regionale, in Italia spicca la Lombardia con quasi il 34% dei laureati, ma è comunque molto lontana dall’Inner London West, con una media che arriva all’81%.

   Ultima classificata è invece la Sicilia con il 19%, di poco superiore all’ultima regione europea in classifica, il Sud Muntenia della Romania, con circa il 16%.

POCHE RISORSE PER LA RICERCA

Gli investimenti sull’università non sono alti, tutt’altro, e negli ultimi anni sono sempre calati, dal 2014 al 2016.

Il Censis per gli anni successivi al 2016 non fornisce al momento dati.

GLI ABBANDONI SCOLASTICI

Nel 2017 l’abbandono scolastico ha interessato il 14% della popolazione scolastica, mentre nell’Unione Europea il valore si attesta sul 10%.

   Quasi il 18% della popolazione italiana non ha nemmeno la licenza elementare, e un 3,3% di liberi professionisti con solo la licenza media inferiore.

   Nel giro di quattro anni, dal 2014 al 2018, il tasso di scolarizzazione è sceso in ogni ordine e grado di scuola.

SCUOLE PUBBLICHE – SCUOLE PRIVATE

Gli studenti delle scuole private sono più di un milione, quelli delle scuole pubbliche sono più di 7 milioni e mezzo, con circa 840mila stranieri, superando quindi il dieci per cento.

POCHE RISORSE PER L’ISTRUZIONE

Se l’Europa investe circa il 5% del Prodotto Interno Lordo in istruzione, in Italia si investe neanche il 4%. Solo Irlanda, Romania, Bulgaria e Slovacchia investono meno degli italiani.

   La spesa per ogni allievo è inferiore a quella europea di 230 dollari, e sale fino a 917 dollari nelle scuole medie.

   L’educazione terziaria è il settore che registra le differenze più ampie: in Europa si spendono quasi 16mila dollari a studente, mentre in Italia poco più di 11mila dollari, per una differenza di quasi 5mila dollari.

   L’apprendimento permanente è sempre più in declino: se in Europa partecipa quasi l’11% alla formazione continua, in Italia ci si ferma al 8%.

ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO

Riguardo a questo argomento, molte famiglie protestano riguardo l’erosione del tempo dedicato ad alcune materie.

   I dirigenti invece sono tutto sommato concordi nel dire che l’alternanza scuola-lavoro è uno strumento utile e un sistema migliorabile, con l’obiettivo di incentivare le prospettive occupazionali degli studenti.

   C’è però comunque una percentuale che non è d’accordo con l’alternanza scuola-lavoro, o quantomeno pensa che sia più utile all’interno degli istituti professionali più che nei licei. Un’altra parte pensa che non ci debba essere l’obbligatorietà per tutti ma solo nei casi dove è effettivamente utile.

CYBERBULLISMO E BULLISMO

Sono fenomeni molto diffusi e non controllati, che includono furti, atti vandalici, discriminazioni, violenza nei confronti di alunni e studenti.

   Secondo i presidi, è il cyberbullismo ad essere più diffuso del bullismo, seguita dalla ribellione verso i docenti, e ad atti di vandalismo verso la scuola.

   Anche l’uso e lo spaccio di droghe è un fenomeno diffuso.

Conclusioni

Stefano D’Errico critica il modo in cui è stato fatto il rapporto Censis, perché i docenti sono stati interpellati solo in minima parte, mentre ci si è informati di più chiedendo ai dirigenti scolastici.

   Si ha comunque un quadro complessivo/globale problematico, per quello che riguarda gli insegnanti, che non sono presi nella dovuta considerazione, sono sfruttati e mal retribuiti. (Marianna Pinton)

Lascia un commento