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LA NATURA CI PRESENTA LA LISTA DI QUEL CHE SERVE PER SALVARE L’ITALIA
di Giulio Boccaletti, da “il FOGLIO” del 18/5/2023
Gli eventi che hanno colpito l’Emilia-Romagna sono tragici. Alle perdite, drammatiche nel caso delle vittime, sostenute da comunità travolte dalla forza dell’acqua, va aggiunto un impatto economico misurabile. Vari studi econometrici hanno dimostrato che eventi simili a questi impongono un costo sul capitale produttivo delle zone colpite che durerà ben oltre la pioggia. Un freno economico, insomma, di cui si farebbe volentieri a meno. Ma questi eventi potrebbero essere doppiamente tragici se finissero per alimentare polemiche sterili.
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Giulio Boccaletti, da “il FOGLIO” del 18/5/2023:
Alcuni già si avventurano in affermazioni come: “Non c’è alcun cambiamento climatico, la siccità è stata sconfitta!”. È una sciocchezza, figlia di analfabetismo scientifico. Questa pioggia non elimina i rischi legati alla siccità, perché l’acqua deve esserci dove e quando serve. L’acqua a Faenza non aiuta Vercelli. L’acqua ora, se non accumulata in falde o ghiacciai accessibili, non aiuterà gli irrigatori a fine giugno.
Quello che gli eventi di questi giorni dimostrano, invece, è che ciò che da decenni si temeva sarebbe successo, si sta puntualmente verificando. Il cambiamento climatico si esprime nella statistica delle variabili meteorologiche. La statistica: vale a dire che in media ci aspettiamo periodi più lunghi di siccità e precipitazioni più erratiche e intense. In media. Il destino di quest’anno si chiarirà nelle prossime settimane, ma anche se fossimo fortunati, pur affrontando costi enormi, ci ritroveremo a giocare la stessa mano ogni anno futuro.
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Giulio Boccaletti, da “il FOGLIO” del 18/5/2023:
Quindi che fare? Nell’elaborare una risposta, non ci aiuta l’abitudine moralista che vede nella colpa di qualcuno l’unica spiegazione possibile. Può darsi che ci siano state negligenze, ma questo è un problema strutturale. L’Emilia-Romagna, per esempio, è in gran parte piatta e si trova a valle di una moltitudine di torrenti appenninici. Molte delle zone di pianura che sono oggi allagate erano storicamente paludi.
Il triangolo tra Bologna, Ravenna e Comacchio, per esempio, era così pieno d’acqua che nel XIII secolo Bologna era uno dei porti fluviali più attivi d’Europa, con una flotta in grado di sostenere un conflitto con Venezia. Poi vennero le opere di bonifica. Si cominciò nel medioevo, accelerando a partire dal XV secolo con gli interventi idraulici degli Estense di Ferrara e dello Stato pontificio. La legge Baccarini della fine dell’Ottocento diede un’ulteriore spinta alle bonifiche, che continuarono fino agli anni Cinquanta del secolo scorso. Gli impianti idrovori del sistema di consorzi di bonifica della regione, che in queste ore stanno cercando di prosciugare le zone allagate facendo defluire l’acqua, sono l’eredità di questa trasformazione secolare. La lezione è chiara.
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Giulio Boccaletti, da “il FOGLIO” del 18/5/2023:
Il fatto che, fino a poco tempo fa, molti paesaggi italiani non fossero soggetti a siccità e alluvioni frequenti come lo sono oggi non era dovuto solo alla fortuna climatica, ma a secoli di opere idrauliche e di gestione del territorio, che ne hanno profondamente modificato l’idrologia, creando ecosistemi artificiali altamente controllati. Il problema è che tutte quelle trasformazioni secolari hanno una cosa in comune: la statistica meteorologica si era mantenuta entro una banda più o meno stazionaria. Fino a oggi. Eventi, che erano talmente rari da non essere contemplati nella progettazione operativa dei sistemi idraulici (anche a causa dei costi che avrebbero imposto) sono ora sempre più frequenti.
A fronte di questo servono un coordinamento istituzionale e investimenti strategici in tutto il sistema di sicurezza idrica del paese: non solo opere idrauliche, da argini a dighe che pure servono, ma anche uso dei territori, gestione della domanda, strumenti di assicurazione finanziaria, risorse per il monitoraggio e la modellistica e tanto altro. Gli ingredienti non sono un mistero. Paesi comparabili al nostro con un’idrologia complessa, dall’Australia all’Olanda, hanno investito risorse commensurate ai problemi che affrontano.
Serve una lista di priorità con i corrispondenti valori economici e costi, e un piano di implementazione che converta le competenze che il paese ha in istituzioni capaci di gestire una situazione dinamica e in grado di navigare le complessità prodotte dalla riforma delle competenze ambientali definite dal Titolo V della Costituzione. Non sarà facile.
L’Italia ha impiegato oltre cinque secoli a raggiungere la sicurezza idrica alla quale ci siamo abituati. Adesso dobbiamo ricalibrarla in pochi decenni se vogliamo evitare che una successione di eventi catastrofici, sia siccità sia alluvioni, azzoppi le parti più produttive del paese. Sembra che la Natura, avendo ascoltato le discussioni surreali degli ultimi mesi su come spendere i soldi del Pnrr, abbia deciso di presentare al governo e al paese intero una lista chilometrica di interventi necessari. I soldi ci sono. La cabina di regia pure. Attendiamo il piano finanziario prioritizzato e le istituzioni di attuazione. Ne dipende la sicurezza del paese. (Giulio Boccaletti)
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IN ROMAGNA SONO ESONDATI ANCHE I BACINI COSTRUITI PER EVITARE GLI ALLAGAMENTI
da IL POST.IT del 19/5/2023, https://www.ilpost.it/
L’acqua è stata talmente abbondante da rendere inefficaci le opere costruite per gestire le piene dei fiumi
In seguito alla grave alluvione in Emilia-Romagna è nato un dibattito che si sta concentrando più che altro sulle cause delle intense piogge e sulle gravi conseguenze che hanno avuto.
In particolare esperti, politici e abitanti delle zone colpite si sono interrogati sugli interventi e sulle opere idrauliche che avrebbero potuto evitare l’allagamento di decine di migliaia di case e soprattutto la morte di 14 persone. È una reazione piuttosto naturale e giustificata, non nuova in un paese come l’Italia particolarmente soggetto a frane e alluvioni: anche stavolta si è parlato molto della mancata prevenzione, cioè di cosa non è stato fatto negli ultimi anni per mettere in sicurezza i fiumi, e poco su ciò che si può fare adesso.
Tra le opere più citate come decisive in caso di alluvioni ci sono le “casse di espansione” dei fiumi, note anche come bacini di espansione. Secondo diversi esperti intervistati dai giornali, in tutta la regione e soprattutto in Romagna non ne sono state costruite a sufficienza: in realtà in alcune zone c’erano, ma le precipitazioni sono state così intense da renderle inefficaci.
Le casse di espansione sono invasi costruiti per raccogliere l’acqua che tracima dai fiumi durante le piene. Di solito vengono realizzate in pianura e sono di due tipi, contigue ai corsi d’acqua – chiamate anche “in linea” – oppure separate, chiamate “laterali”. Le casse di espansione realizzate in linea deviano l’acqua in eccesso in un’ampia zona libera con argini più alti: in questo modo il livello della piena si abbassa, così come la pressione dell’acqua. Vengono chiamate casse di espansione perché di fatto sono un’espansione dei fiumi: quando il livello dell’acqua è sotto controllo, le casse di espansione rimangono vuote.
I bacini separati invece raccolgono l’acqua che esonda in caso di piena: riempiendosi, evitano che l’acqua allaghi campi e strade. La capacità delle casse di espansione viene stabilita sulla base di dati come la portata del fiume e il livello raggiunto durante le piene del passato.
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In Emilia-Romagna le prime casse di espansione furono progettate negli anni Settanta, in seguito all’alluvione del 1973 a Reggio Emilia, in cui morirono due persone. Nel 1985 venne completata la cassa di espansione sul fiume Panaro, nel 1991 quella sul Crostolo. Nel 2004 e nel 2006 vennero collaudate le casse di espansione dell’Enza e del Parma. Fino alla fine degli anni Novanta le casse di espansione furono costruite prevalentemente nella pianura emiliana, una zona più a rischio di alluvioni. Di recente alcuni esperti avevano detto che in Romagna non ci sono casse di espansione, in realtà negli ultimi anni ne sono state costruite diverse.
Secondo un report della Regione che cita i dati dell’ANBI, l’associazione nazionale delle bonifiche e delle irrigazioni, in Emilia-Romagna ci sono 53 casse di espansione che possono raccogliere fino a 66 milioni di metri cubi di acqua.
Dall’inizio della legislatura di Stefano Bonaccini sono stati stanziati 190 milioni di euro per costruire 23 nuove opere idrauliche tra casse di espansione e bacini artificiali. Dopo la prima alluvione di inizio maggio, il senatore di Fratelli d’Italia Marco Lisei ha detto che al momento funzionano soltanto 12 sulle 23 nuove previste. Le altre sono in fase di progettazione o di realizzazione.
Uno dei problemi è relativo ai costi, che per questo tipo di opere sono alti anche per via degli espropri. «Le opere idrauliche sono finanziate o dalla Protezione civile o dal ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica», ha detto la vicepresidente della Regione, Irene Priolo. «Quest’anno avremo dal ministero dell’Ambiente 13 milioni di euro contro i 22 ricevuti l’anno scorso. Finanziamenti irrisori, a fronte di una grande complessità anche per quanto riguarda il lungo iter autorizzativo».
In questa fase è difficile capire se le casse di espansione non ancora costruite avrebbero evitato l’esondazione dei fiumi e l’allagamento delle città. Gli oltre 200 millimetri di pioggia caduti negli ultimi giorni (in alcune zone dell’Emilia-Romagna si è arrivati a quasi 300 millimetri) sono stati troppi anche per molte opere finora realizzate. Le fotografie e i video diffusi mostrano allagamenti molto estesi, spesso dovuti alla rottura degli argini dei fiumi, anche quelli teoricamente protetti dalle casse di espansione.
A Forlì, in Romagna, le due casse di espansione costruite lungo il corso del fiume Montone si sono completamente allagate e non sono state sufficienti a contenere la piena che ha causato l’allagamento del quartiere Romiti. A Castel Bolognese e Solarolo ci sono stati ingenti danni nonostante la cassa di espansione nel canale dei Molini. I lavori del bacino non sono ancora conclusi, ma già in occasione dell’alluvione di inizio maggio la cassa di espansione aveva raggiunto la capienza massima di 150mila metri cubi di acqua.
Anche a Bagnacavallo, in provincia di Ravenna, la cassa di espansione realizzata da poco nel canale Redino si è riempita. A Lugo, uno dei comuni allagati giovedì, l’acqua è tracimata dal bacino di espansione che si trova nel parco Golfera nella zona occidentale della città. A Cesena il torrente Pisciatello è esondato, nonostante la cassa di espansione e la messa in sicurezza degli argini, in località Calisese, una frazione della città.
In altre zone invece le opere di prevenzione hanno funzionato. La cassa di espansione del Samoggia, in provincia di Bologna, all’inizio di maggio aveva raccolto 2,7 milioni di metri cubi di acqua e anche nelle ultime ore ha retto. «Le vasche di contenimento del torrente hanno tenuto sia nell’alluvione dei primi di maggio, sia in quello delle scorse ore», ha detto al Corriere della Sera il sindaco di San Giovanni in Persiceto, Lorenzo Pellegatti. «Se dovesse venire un’altra piena prima che l’acqua defluisca sarebbe un disastro, ma per ora il sistema ha tenuto».
Nel caso dell’Emilia-Romagna è anche complicato fare paragoni con gli interventi realizzati in altre regioni sulla tenuta dei fiumi: ogni territorio ha infatti caratteristiche diverse, con diversi livelli di rischio alluvione. Secondo le valutazioni dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), l’Emilia-Romagna è una delle regioni più a rischio di alluvioni. I dati dell’ultima rilevazione dicono che 428mila persone vivono in aree a pericolosità elevata, 2,3 milioni di persone in aree a pericolosità media e meno di 300mila in aree almeno a pericolosità bassa. Come si può notare da questa mappa pubblicata dal sito dell’ISPRA, l’Emilia-Romagna è la regione del Nord Italia più a rischio di alluvioni. (da IL POST.IT del 19/5/2023, https://www.ilpost.it/)
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ALLUVIONI, WWF: ITALIA IMPREPARATA AGLI EVENTI METEO ESTREMI
da https://www.wwf.it/, 17/5/2023
– Siccità e alluvioni si alternano, con l’effetto di elevare esponenzialmente il rischio, amplificato da un territorio dove si continua a consumare suolo –
EVENTI ESTREMI SEMPRE PIÙ INTENSI E FREQUENTI
Negare la crisi climatica o far finta che non ci riguardi non salverà il nostro Paese dalle conseguenze di una crisi globale che sta mettendo a durissima prova il nostro territorio e i cittadini. Quello che sta accadendo in questi giorni in Emilia Romagna dimostra ancora una volta che siamo in presenza di eventi meteorologici sempre più intensi e frequenti che ormai si alternano a ritmi drammatici. Fenomeni una volta unici e rari si moltiplicano, addirittura a pochi giorni di distanza, e non solo in Italia.
Siccità e alluvioni si alternano, con l’effetto di elevare esponenzialmente il rischio. Non agire subito per affrontare la realtà climatica, purtroppo, amplificherà le conseguenze sulla sicurezza e il benessere delle comunità.
L’area del Mediterraneo è particolarmente soggetta al rischio climatico: aumento della temperatura media, ondate di calore, scarse precipitazioni, fusione dei ghiacciai stanno erodendo le nostre riserve d’acqua, le alluvioni improvvise o le precipitazioni copiose come quelle di questi giorni moltiplicano l’effetto sul territorio già a rischio.
URGENTE DEFINIRE POLITICHE DI ADATTAMENTO AL CLIMA CHE CAMBIA
Per il nostro Paese, è indispensabile definire il Piano di Adattamento al Cambiamento Climatico, dopo la consultazione chiusasi alcune settimane fa, e renderlo uno strumento efficace per operare le scelte necessarie. La Commissione VAS deve trasmettere gli esiti della consultazione quanto prima, il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica deve chiarire le scelte da compiere e stanziare i fondi necessari.
ABBATTERE LE EMISSIONI DI CO2
È soprattutto indifferibile l’abbattimento delle emissioni di CO2, metano e degli altri gas climalteranti, per evitare scenari e impatti ingestibili: abbiamo poco tempo e l’Italia dovrebbe essere alla testa degli Stati che vogliono le emissioni zero, non in retroguardia come è attualmente.
Tra le politiche di adattamento che non possono più subire ritardi, quelle di gestione dell’acqua, recuperando una regia unica, superando la frammentarietà della sua gestione a partire dai bacini fluviali. È indispensabile l’azione per ripristinare la naturalità dei fiumi, poiché sono quasi sempre i tentativi umani di irreggimentare i corsi d’acqua a moltiplicare i danni e la perdita di vite umane. Bisogna assicurare un effettivo ed efficace governo del territorio.
RIDARE SPAZIO ALLA NATURA
Ridare spazio alla natura è la migliore cura per la fragilità del nostro territorio. A cominciare dai fiumi. I fiumi hanno bisogno di spazio: gli eventi calamitosi in Emilia-Romagna, causati dagli effetti del cambiamento climatico che determinano precipitazioni violente e concentrate in poche ore provocando vere e proprie bombe d’acqua, hanno messo ancora più a nudo una gestione fallimentare dei nostri corsi d’acqua. Gli alvei sono stati canalizzati, le aree di esondazione naturale occupate, distrutti i boschi ripariali e le zone umide perifluviali che fungevano da vere e proprie spugne in grado di attenuare gli eventi calamitosi e purtroppo la Regione Emilia-Romagna, che peraltro dispone anche di importanti casse di espansione, si è distinta in questa opera di distruzione degli ambienti fluviali come il WWF ha più volte denunciato.
RINATURAZIONE SUL TERRITORIO
Bisogna ridare spazio ai fiumi, recuperare aree di esondazione naturale, ripristinare, ove possibile i vecchi tracciati, avviare interventi di rinaturazione diffusi sul territorio. È sempre più urgente una politica di adattamento ai cambiamenti climatici che vada oltre la logica di emergenza e ne consideri gli effetti nella pianificazione ordinaria. Purtroppo la situazione è in continuo peggioramento come dimostrano i dati sul consumo di suolo che ha ripreso a correre con maggiore forza del passato, superando la soglia dei 2 metri quadrati al secondo e sfiorando i 70 chilometri quadrati di nuove coperture artificiali in un anno, un ritmo non sostenibile che dipende anche dall’assenza di interventi normativi efficaci in buona parte del Paese o dell’attesa della loro attuazione e della definizione di un quadro di indirizzo omogeneo a livello nazionale. (da https://www.wwf.it/, 17/5/2023)
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Ogni anno l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), un ente di ricerca pubblico legato al ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, diffonde dati aggiornati che mostrano quanto l’intero territorio italiano sia esposto al rischio idrogeologico, cioè legato a frane e alluvioni. Le indagini e i report servono soprattutto per dare informazioni puntuali a chi gestisce il territorio, tecnici e politici, e in questo modo incentivare interventi per ridurre i rischi. La grave alluvione che negli ultimi giorni ha colpito l’Emilia-Romagna è la conferma di un dato noto da tempo: quasi tutti i comuni della regione si trovano in aree a pericolosità idrica media o elevata.
In generale l’Italia rispetto a molti altri paesi europei è esposta naturalmente al rischio di alluvioni perché lo spazio per contenere l’acqua delle esondazioni è limitato. Negli ultimi decenni questa condizione si è aggravata con l’espansione dei centri abitati e delle aree industriali che hanno coperto una parte consistente di suolo. La cementificazione diminuisce la capacità del suolo di assorbire la pioggia e quindi favorisce lo scorrere di grandi quantità d’acqua. Iniziative che possono contrastare gli effetti del consumo di suolo sono la cosiddetta rinaturalizzazione delle aree più vicine ai fiumi, cioè far sì che tornino boscose. Ma anche la realizzazione di fossati e piccoli laghetti nelle campagne, che contribuiscano a raccogliere l’acqua (e che siano d’aiuto nei periodi siccitosi), e di siepi che evitino il trasporto di detriti.
L’ISPRA ha identificato tre possibili scenari legati al rischio di alluvioni: le aree a rischio basso possono essere colpite da alluvioni con una frequenza di ritorno superiore ai 200 anni (in idrologia si usa il tempo di ritorno, il tempo medio intercorrente tra il verificarsi di due eventi successivi di entità uguale o superiore, per esprimere una probabilità), le aree a rischio medio tra i 100 e i 200 anni e quelle a rischio alto tra i 20 e i 50 anni. In tutta Italia il 14% del territorio è in aree a pericolosità bassa, il 10% è in aree a pericolosità media, il 5,4% in aree a rischio elevato; la rimanente parte di territorio – quindi la grande maggioranza – non è considerata a rischio.
Il rischio è più alto in Emilia-Romagna. (…..) Ferrara è la provincia con la più alta percentuale di popolazione esposta almeno al rischio medio: il 100%. Sono sette le province in cui la percentuale supera il 50%: oltre a Ferrara, anche Rovigo, Ravenna, Venezia, Mantova, Reggio Emilia e Bologna. La Sicilia è la regione con meno aree a rischio alluvione. (…) (Fonte dati: ISPRA) (da https://www.ilpost.it/ 21/5/2023)
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CASSE DI ESPANSIONE. SERVONO DAVVERO?
Insufficienti per mettere in sicurezza i territori
(Ing. Roberto Colla, Coordinatore rischi idrogeologici Amo – Colorno)
(da https://www.parmatoday.it/ del 9/4/2019: Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di ParmaToday)
Premesso che sulle casse di espansione fluviali è sempre molto difficile leggere note positive, le più accreditate teorie idrauliche di oggi tendono ad eliminarle. E’ ormai pensiero comune che siano devastanti e troppo impattanti date le loro dimensioni, costose sia nella costruzione che nel successivo e complicato mantenimento, insufficienti in quanto calcolate per piogge storiche oggi superate dai mutamenti climatici in atto, con arginature altissime a tenuta di immensi laghi per cui pericolose visti i numerosi mammiferi bucaioli che le abitano, depauperatrici di falde acquifere scaricando le piene senza permetterne la percolazione, senza possibilità di invasare le acque per altri usi dovendo sempre essere vuote, con effetti limitati a pochi chilometri di asta per cui, ad esempio, una cassa a Casale, se pur discutibile per la difesa della città, mai potrà avere benefici certi su Colorno.
Di tutt’altra valenza idraulica sono invece i bacini plurimi, come quello progettato ed auspicabile ad Armorano, ma solo per energia elettrica e approvvigionamento civile ed agricolo. Nulla potendo, vista la distanza, riguardo la laminazione delle piene per la difesa di Parma e Colorno. A valle di Armorano occorre riportare l’asta fluviale ad un assetto molto simile a come natura la fece ma nel rispetto di tutte le costruzioni realizzate nei secoli dall’uomo ed oggi utilizzate. Tramite canali scolmatori, ottenuti con semplici movimenti di sterro e riporto in loco, funzionanti solo in presenza di superamento della portata minima vitale e senza alcuna opera elettromeccanica, verrà captata parte dell’onda di piena lasciando transitare solo la portata massima ammissibile per il tratto di valle. Tali opere sono in definitiva sfioratori laterali molto facilmente realizzabili per ogni tipologia di alveo, sia pensile che inciso.
Le acque poi saranno dirottate verso laghi artificiali, più o meno distanti dal punto di presa in funzione della morfologia dei terreni attraversati, da cui l’eventuale eccesso liquido possa tracimare sopra le arginature verso campagne non antropizzate, portando con sé acque limacciose fertili. Tali laghi, che non devono mai intaccare e scoprire le falde, serviranno, nella fase di tracimazione, sia per il rimpinguamento delle falde stesse che per usi plurimi. Potranno essere impermeabilizzati con Continua a leggere