
L’ESPLOSIONE DEL VULCANO HUNGA-TONGA-HUNGA-HA’APA
di Gabriele Umbriaco, da https://ilbolive.unipd.it/ del 19/1/2022
Il vulcano sottomarino Hunga-Tonga-Hunga-Ha’apa è esploso al mattino del 15 gennaio scorso in mezzo all’Oceano Pacifico alle ore 04:14:45 UTC, liberando un’energia pari a 1.000 bombe atomiche di Hiroshima. Questa energia si è dispersa nell’ambiente, creando tsunami fino a oltre 10.000 km di distanza, innalzando le nubi vulcaniche fino a 30 Km di altezza, e facendo espandere la nube per 260 km, tanto da essere chiaramente visibile dai satelliti geostazionari. La violenta esplosione ha creato un’onda di pressione supersonica che ha cominciato a propagarsi in tutte le direzioni, ad una velocità di 340 m/sec, pari a circa 1.200 km/h. A 2.000 Km di distanza è stata sentita nettamente la deflagrazione (…).
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Senza dubbio abbiamo assistito ad un evento di energia impressionante, che ancora una volta ci fa riflettere sul reale posto che occupa l’uomo sulla Terra. (Gabriele Umbriaco)
(l’articolo completo: Vulcano Hunga-Tonga-Hunga-Ha’apa, l’esplosione vista dai sensori | Il Bo Live UniPD )
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TRE FENOMENI ASSURDI NEL MONDO DOVUTI ALL’ERUZIONE DI TONGA, PER CAPIRE QUANTO È STATA ENORME
di Simone Cosimi, 20/01/2022, da https://www.esquire.com/
– Dal boom sonico alla petroliera in Perù fino alle onde gravitazionali atmosferiche, alcune fra le più incredibili conseguenze –
L’eruzione del vulcano sottomarino, ma con una caldera a filo d’acqua, Hunga Tonga-Hunga Ha’apai del 15 gennaio ha prodotto un’enorme nuvola di cenere e uno tsunami le cui conseguenze, dopo giorni di isolamento internazionale, iniziamo a comprendere solo in queste ore con l’arrivo dei primi voli di soccorso nel piccolo regno polinesiano nel Pacifico meridionale, costituito da 170 isole e poco più di 100mila abitanti.

L’eruzione, a quanto sembra una del genere ne accade ogni mille anni, è stata provocata da una subduzione, un movimento tettonico nel quale una placca terreste finisce per slittare sotto il bordo di un’altra. Non è un caso che le zone di subduzione, in particolare nell’“anello di fuoco” che circonda il Pacifico, producano alcuni fra i fenomeni più violenti che si registrano sul pianeta. Secondo la Nasa la forza esplosiva dell’eruzione sarebbe di 500 volte più potente della bomba atomica sganciata su Hiroshima al termine della seconda Guerra mondiale, circa 10 megaton di equivalente in TNT. La cenere ricopre spiagge, abitazioni, infrastrutture, il cavo sottomarino che collega Tonga alle isole Fiji e la connette al mondo è danneggiato e ci sono forti preoccupazioni sulle riserve di derrate alimentari e soprattutto di acqua dolce. (Simone Cosimi, 20/01/2022, da https://www.esquire.com/)

Tre conseguenze danno l’idea della violenza del fenomeno, in realtà iniziato già dallo scorso dicembre. Potrebbe ad esempio aver prodotto una serie di cosiddette onde gravitazionali atmosferiche. Ne parla Gareth Dorrian su The Conversation, spiegando come siano in corso delle ricerche per capire in che modo queste onde concentriche possano avere effetti sullo Spazio.
“Poiché l’atmosfera è per lo più trasparente agli occhi umani, raramente la pensiamo come una struttura complessa e dinamica con molti strati distinti. Le propaggini superiori della nostra atmosfera si estendono ben al di sopra della linea di Kármán, il punto a 100 km sul livello del mare dove lo spazio inizia ufficialmente” spiega Dorrian, scienziato dell’università di Birmingham che ricorda come questi strati atmosferici siano pieni di onde che viaggiano in ogni direzione e che possono essere generate da un gran numero di fenomeni: tempeste geomagnetiche causate da esplosioni sul Sole, terremoti, vulcani, temporali e persino l’alba. (Simone Cosimi, 20/01/2022, da https://www.esquire.com/)

Le eruzioni vulcaniche in passato sono state associate a cambiamenti misurabili nella ionosfera, una delle parti più distanti dell’atmosfera che si estende da 65 a mille km, rilevati dai ricevitori GPS a terra, ad esempio nel 2015 e nel 2013. Anche in caso di Hunga Tonga-Hunga Ha’apai potrebbe aver prodotto conseguenze simili, si capirà solo nelle prossime settimane.
Un’altra conseguenza che dà l’idea della potenza esplosiva è stato il boom sonico percepito a migliaia di chilometri di distanza da Tonga. Uno dei punti più distanti in cui è stato chiaramente distinto è lo stato americano dell’Alaska, a quasi 10mila chilometri dal vulcano. Ma ci sono numerosissime testimonianze in molte parti del mondo: dal Minnesota al Montana alle (relativamente) vicine Australia e Nuova Zelanda (2.000 km). L’onda d’urto è stata invece registrata perfino dai sismografi nel Regno Unito, a 16mila chilometri dal regno polinesiano. (Simone Cosimi, 20/01/2022, da https://www.esquire.com/)

Nel più classico dei “butterfly effect”, infine, alla raffineria La Pampilla di Callao, il porto di Lima, in Perù, una petroliera italiana ha rovesciato in mare parte del carico di greggio a causa di un’ondata attribuibile allo tsunami innescato dal collasso della caldera del vulcano. La Mare Doricum, attraccata alla banchina dell’impianto gestito da Repsol, si è piegata sotto l’urto del mare e i tubi di scarico si sono tranciati, provocando il rilascio di almeno 6 mila barili di greggio. La cifra è stata stimata da Rubén Ramírez, ministro dell’ambiente del paese sudamericano. Già martedì 18 gennaio le spiagge a Nord della raffineria, come siamo tristemente abituati a vedere in queste tragiche occasioni, erano piene di animali come uccelli marini, leoni marini e delfini ricoperti di petrolio e inermi a riva o morti.
“Si tratta del peggior disastro ecologico che si è verificato intorno a Lima negli ultimi tempi e ha gravemente danneggiato centinaia di famiglie di pescatori – ha spiegato il ministro in una dichiarazione pubblicata su Twitter – Repsol deve risarcire immediatamente il danno”. Il direttore delle comunicazioni dell’azienda, Tine Van Den Wall Bake, ha negato ogni responsabilità: “Non siamo stati noi a causare questo disastro ecologico e non possiamo dire chi sia il responsabile”, ha detto mercoledì alla radio nazionale. (Simone Cosimi, 20/01/2022, da https://www.esquire.com/)
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ERUZIONE VULCANO ISOLE TONGA E CAMBIAMENTI CLIMATICI: UNA RIFLESSIONE
19/01/2022 – da https://www.snpambiente.it/ (Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente – v. ARPA regionali)
FILIPPO THIERY, previsore meteo istituzionale e volto noto della trasmissione Geo&Geo, ha formulato alcune valutazioni collegate all’eruzione del vulcano nelle isole Tonga, fenomeno che – come abbiamo riportato anche qui – è stato “visto” dai barometri di tutto il mondo, Italia compresa.
In particolare, Thiery, da sempre in prima linea anche nella divulgazione scientifica collegata al cambiamento climatico in corso, ha provato a rispondere alla domanda: “L’imponente eruzione del vulcano alle isole Tonga, potrà avere apprezzabili effetti sul clima globale?”.
Queste le considerazioni che possiamo condividere grazie al contributo postato sul suo profilo personale di Facebook.
“La storia recente, annoverando un caso di rara rilevanza in era di avanzata tecnologia osservativa sullo stato sulla chimica e sulla fisica della nostra atmosfera, ci aiuta a formulare una prima risposta, seppur ovviamente a livello molto speditivo (per il resto, naturalmente, aspettiamo i contributi che verranno pubblicati sulle riviste specialistiche di settore, come si usa quando si parla di Scienza).
Il 15 giugno 1991, una delle più grandi eruzioni vulcaniche (probabilmente la seconda) di tutto il XX secolo, quella del monte PINATUBO alle FILIPPINE, immettendo 17 milioni di tonnellate di anidride solforosa in atmosfera (la colonna eruttiva raggiunse i 35 km di altezza, penetrando quindi ben dentro la stratosfera), portò – per reazione di questa sostanza con l’acqua – alla formazione di un’ingente quantità di goccioline di acido solforico, capace di alterare in misura decisamente macroscopica (seppur momentanea) la concentrazione di aerosol (particelle sospese) nel fluido atmosferico. Questa immensa “nuvola” di aerosol, nelle settimane successive, per azione delle correnti stratosferiche, si “spalmò” rapidamente intorno alla Terra, fino a costituire attorno ad essa, circa 1 anno dopo l’evento eruttivo, uno strato con copertura globale, capace di apportare una importante diminuzione della quantità di radiazione solare netta che raggiungeva la superficie terrestre: lo spessore ottico dell’atmosfera, parametro che misura quanta radiazione luminosa, nel suo passaggio attraverso la colonna atmosferica, viene ostacolata dalle particelle sospese in aria, aumentò da 10 a (localmente e più brevemente) 100 volte, rispetto ai livelli precedenti l’eruzione. E questo, ovviamente, si tradusse in una modifica della temperatura sulla superficie del globo terrestre; ora vediamo di quanto e, soprattutto, per quanto tempo.
Nel grafico qui sotto è riportata l’anomalia della temperatura globale, misurata su tutta la superficie terrestre (terre emerse + oceani) come scarto rispetto al clima di riferimento (in questo caso è utilizzato come standard per quest’ultimo il trentennio 1951-80). La linea nera è la media annuale globale (ogni quadratino rappresenta quindi la media di un singolo anno calcolata su tutto il globo), e permette di seguire le fluttuazioni, a qualsiasi combinazione di fattori siano dovute, fra un anno e l’altro. La linea rossa è la media mobile su un periodo di cinque anni, e ha la funzione di smorzare le fluttuazioni interannuali, evidenziando il trend complessivo: si vede facilmente il noto progressivo innalzamento della temperatura in conseguenza delle attività umane.

Come si può vedere, gli effetti dell’eruzione del PINATUBO, e della conseguente ridotta quantità di energia solare in arrivo sulla superficie terrestre, si tradussero in una riduzione dell’anomalia di temperatura (scarto che rimase comunque positivo, cioè in eccesso, rispetto al clima standard) di circa 0.2°C nei due anni successivi all’eruzione (1992 e 1993), smorzamento rapidamente rientrato nei due anni ancora a seguire, in conseguenza dei processi chimici e della circolazione atmosferica che hanno in definitiva “rimosso” l’eccesso di aerosol solforici dovuto all’evento vulcanica.
Se facessimo questo grafico per il solo emisfero settentrionale (che fu naturalmente la porzione del globo maggiormente influenzata, essendo il vulcano alle Filippine), oppure se lo lasciassimo con copertura globale ma limitandolo alle sole terre emerse (a loro volta maggiormente influenzate, non avendo la grande inerzia termica degli oceani), otterremmo sullo stesso biennio 1992-93 un effetto circa doppio (mezzo grado centigrado circa di diminuzione), sia pur mantenendo positiva l’anomalia rispetto al clima di riferimento, cioè con temperatura che, comunque, anche in quel biennio di relativo “raffreddamento” rimase globalmente più calda del normale, seppur in misura momentaneamente meno accentuata rispetto agli anni immediatamente precedenti.
La tempistica di superamento dell’evento rimane la stessa, quantificando quindi in 2-3 anni la durata della finestra di momentanea influenza di quell’imponente eruzione sul clima del nostro pianeta.
Questo effetto di diminuzione dell’anomalia di temperatura non fu omogeneo durante le varie stagioni ma si registrò soprattutto in quelle estive, compensando inverni che anzi, in diverse zone del globo, risultarono più caldi del solito (e le modellizzazioni del clima, successivamente messe a punto per tener conto del contributo di quell’evento vulcanico, rendono conto di questo effetto di riscaldamento invernale, che quindi probabilmente non fu casuale).
Quell’eruzione vulcanica quindi, seppur rientrando fra i casi più eclatanti dell’ultimo secolo e mezzo, dal punto di vista dell’influenza di eventi naturali sul clima globale, ebbe effetti assolutamente momentanei, rapidamente rientrati nel giro di un paio d’anni, e in nessun modo capaci di fermare il riscaldamento globale dovuto all’uomo.
È assai più complesso, ovviamente, capire gli effetti che ebbe quell’eruzione sulla circolazione atmosferica e, di conseguenza, sui regimi climatici delle varie zone del globo. La maggior disponibilità di particolato in atmosfera (derivante dalle ceneri e dalle altre particelle sparate verso l’alto in seno alla colonna eruttiva), di base favorisce la formazione delle nubi, ma da qui a correlare questo o quell’evento precipitativo di quel periodo all’eruzione del Pinatubo, evidentemente ce ne passa.
L’evento è stato comunque molto studiato, e ci sono parecchi articoli in letteratura scientifica che tentano una quantificazione di queste correlazioni.
Questo ci permette, almeno a livello molto semplicistico e indicativo, di rispondere sia alla domanda iniziale, che a quelle ad essa collaterali:
1) L’imponente eruzione del 15 gennaio 2022 alle isole Tonga, potrà avere apprezzabili effetti sul clima globale? Sì certo, potrebbe, ma si tratterebbe solo di una momentanea Continua a leggere