PONTE SULLO STRETTO: sogno o incubo? La GRANDE OPERA porterà progresso alla Sicilia e al Sud d’Italia: realtà? vero sviluppo? spreco di risorse? falso obiettivo (e le auspicate autostrade del mare per le merci? il traffico aereo per i passeggeri? i traghetti veloci?) – Con contesti ambientali, progettistici, finanziari assai difficili

(Il Ponte sullo Stretto, come ipotesi di realizzazione, immagine da https://www.fanpage.it/) – Il governo ha approvato il decreto sul Ponte sullo Stretto, che unirà Calabria e Sicilia. Sarà l’infrastruttura sostenuta da cavi più lunga al mondo, con i suoi 3,2 km. Il progetto prevede piloni alti fino a 400 metri e 60,4 metri di larghezza dell’impalcato. Sei le corsie stradali, tre per ogni senso di marcia. Transiteranno 6mila veicoli l’ora. Due i binari per i collegamenti ferroviari, con il passaggio di 200 treni al giorno. Oltre 7 miliardi di euro i costi stimati dell’opera, cinque anni per la realizzazione. (17/3/2023, da Corriere.it)

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(Il progetto per come dovrebbe apparire il ponte sullo Stretto, immagine da https://masterx.iulm.it/)

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PONTE SULLO STRETTO: LA GRANDE INCOMPIUTA D’ITALIA

di IVAN TORNEO, 16/3/2023, da https://masterx.iulm.it/

   Via libera al Decreto per il Ponte sullo Stretto di Messina. Il Consiglio dei Ministri del 16 marzo ha approvato un testo che consente il riavvio del percorso di progettazione e realizzazione del collegamento tra la Sicilia e il resto del Continente. Non è la prima volta che si avviano progetti per la realizzazione dell’opera italiana più attesa di sempre. Si spera che sia l’ultima.

Ecco cosa c’è da sapere sulla travagliata storia del Ponte sullo Stretto.

NASCE IL NUOVO PROGETTO

Rinasce la Società Stretto di Messina, stavolta con una nuova e più moderna governance. È prevista una cospicua partecipazione del Mef e del Mit, a conferma dell’importanza che il governo attribuisce alla possibilità di un collegamento tra Calabria e Sicilia.

   Si ricomincia dal progetto definitivo approvato nel 2011. Esso verrà aggiornato ai nuovi standard tecnici, di sicurezza e ambientali. Con i suoi 3,2 chilometri, si tratterà del ponte strallato più lungo al mondo.

   «È una giornata storica non solo per la Sicilia e la Calabria ma per tutta l’Italia», ha dichiarato il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini. «Dopo 50 anni di chiacchiere questo Consiglio dei ministri approva il Ponte che unisce la Sicilia al resto dell’Italia e all’Europa», ha aggiunto Salvini in un messaggio video al termine del Consiglio dei Ministri. Si tratta di uno dei tanti ambiziosi piani del governo per il Paese. (IVAN TORNEO, 16/3/2023, da https://masterx.iulm.it/)

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“Il Ponte sullo Stretto riceve il via libera dal Consiglio dei Ministri. Con i suoi 3.2 Km sarà l’infrastruttura sostenuta da cavi più lunga al mondo. Se ci abbiamo messo oltre 50 anni ad approvarlo quanti anni saranno necessari per realizzarlo?” Gabriel Debach (17/3/2023) (Immagine e testo da https://twitter.com/GabrielDebach/)

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IL PONTE SULLO STRETTO NELLA STORIA

Sembra quasi assurdo, ma l’unico Ponte sullo Stretto mai realizzato risale all’epoca dei romani. Si trattava di un ponte di barche e botti, secondo la testimonianza di Plinio il Vecchio e Strabone. Il console Lucio Cecilio Metello nel 251 a.C. lo fece costruire per trasportare dalla Sicilia i 140 elefanti da guerra sottratti ai cartaginesi nella battaglia di Palermo.

   Nel 1840 anche il sovrano del Regno delle Due Sicilie, Ferdinando II di Borbone, immaginò la realizzazione del ponte. Il re incaricò un gruppo di architetti e ingegneri dell’epoca di fornirgli idee e progetti concreti per l’edificazione dell’opera. Dopo averne constatata la fattibilità – ben due secoli fa – si racconta che il sovrano preferì rinunciare a causa dei costi dell’opera, insostenibili per le casse del Regno. (IVAN TORNEO, 16/3/2023, da https://masterx.iulm.it/)

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Lo studio dell’ingegner Marco Peroni, secondo il quale il Ponte di Messina resisterebbe senza problemi ai venti e ai sismi. Qualche dubbio sul percorso ferroviario (da https://www.tempostretto.it/)

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REGNO D’ITALIA E PROGETTI MODERNI

Il primo ad esplorare la fattibilità di un collegamento per l’isola nel Regno d’Italia fu il ministro dei Lavori pubblici del governo La Marmora, Stefano Jacini, nel 1866, pochi anni dopo l’unificazione. Da lì inizia la storia infinita di progetti, idee e tentativi di costruzione mai realizzati.

   Ma i primi progetti davvero contemporanei nascono nel 1968. In quell’anno l’Anas indice un concorso d’idee internazionale, il cosiddetto Progetto 80. Tra i vincitori c’è l’ingegnere Sergio Musmeci, che ipotizza un ponte con due piloni alti 600 metri sulla terraferma, per evitare di dover lavorare sul peculiare fondo marino dello stretto: instabile e a forma di “V”. La più grande difficoltà logistica per la realizzazione del ponte. Lo stesso Musmeci non lo considera fattibile. All’epoca non esistevano ancora materiali adatti a garantire la sicurezza per sostenere quei 3 km. Troppe vibrazioni legate al vento, troppa instabilità sul fondale. (IVAN TORNEO, 16/3/2023, da https://masterx.iulm.it/)

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(La nave traghetto Rosalia nello stretto di Messina, foto da WIKIPEDIA) – Attraversiamo lo Stretto di Messina – Reportage sul traghettamento – GeoMagazine.it
(Attraversiamo lo Stretto di Messina – Reportage sul traghettamento – GeoMagazine.it – YouTube )

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QUANTO È COSTATO “NON FARE” IL PONTE

Tra il 1981 e il 1997 l’Italia investe 135 miliardi di lire per ulteriori studi sulla fattibilità. Su progetto a campata unica con Pietro Lunardi ministro delle Infrastrutture, nel 2003, viene aperto un primo cantiere in cui si fa un buco grande come un campo da calcio e profondo 60 metri, utile all’ancoraggio dei cavi. Secondo la Corte dei Conti, Il conto in euro a questo punto è già salito a oltre 130 milioni.

   La Società Stretto di Messina – oggi ricostituita – finisce per essere controllata nel 2007 all’81,84% da Anas e partecipata da Rete ferroviaria italiana (Rfi), Regione Calabria e Sicilia. Con il ritorno a Palazzo Chigi di Prodi il progetto frena, per ripartire due anni dopo con il Berlusconi IV. La questione continua ad animare il dibattito pubblico, tra chi la considera un’opera essenziale e simbolica, e chi parla di altre priorità per la Sicilia. Nel mezzo tutti coloro che temono la struttura sia ancora logisticamente infattibile.

   Nel bilancio del 2013 emerge un debito per gli impianti pari a 1,3 miliardi. Finora di questa somma lo Stato ha versato solo 20 milioni, ma c’è una causa ancora in corso che dovrebbe arrivare a sentenza nel 2023. Ma la cifra è rimasta il simbolo di quanto possa costare sul serio il Ponte: 1,3 miliardi per i soli impianti preparatori.

   Tirando le somme, il conto complessivo di tutti i progetti d’avviamento per l’edificazione del Ponte sullo Stretto di Messina dovrebbe essere di circa 1,2 miliardiIl costo del Ponte per questo nuovo progetto, invece, si aggira intorno ai 6-7 miliardi di euro. (IVAN TORNEO, 16/3/2023, da https://masterx.iulm.it/)

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(foto aerea dello Stretto, da https://www.themapreport.com/) – “(…) Nel 2021 Kyoto Club, Legambiente e Wwf hanno firmato un controdossier per contestare le conclusioni di un gruppo di lavoro incaricato dal governo Conte. Agli esperti era stato chiesto di valutare le possibili alternative per l’attraversamento stabile dello stretto di Messina e la missione è proseguita sotto il governo Draghi. I firmatari del controdossier hanno però contestato l’essenza stessa dei quesiti: secondo loro, agli esperti non sono state chieste le alternative migliori al ponte in termini di costi di realizzazione e manutenzione, tempi, prestazioni, effetti sociali e territoriali, o impatti sulle diverse componenti ambientali, ma solo le alternative tecniche per realizzarlo e basta.   Le tre sigle hanno chiarito che in quel tratto di mare si registra una delle più alte concentrazioni di biodiversità al mondo e che lo stretto rappresenta un importantissimo luogo di transito per l’avifauna. Nel controdossier si ricorda che nel 2005 la Commissione europea si era detta pronta ad aprire una procedura d’infrazione contro l’Italia per violazione della direttiva comunitaria uccelli proprio in relazione al progetto del ponte a unica campata.  Kyoto Club, Legambiente e Wwf hanno anche risvegliato la memoria di uno dei più grandi rimossi storici dell’area, e cioè che la Calabria meridionale (tutta l’area di Reggio Calabria) e la Sicilia Orientale (area del messinese), sono comprese nella zona sismica 1, nel più alto rischio di pericolosità. Rischio che diventò realtà in uno dei terremoti più feroci della storia europea – magnitudo 7,1 – che nel 1908 rase al suolo la città di Messina cambiandone per sempre i connotati e uccidendo 80 mila persone. (…)” (da “IL PONTE SULLO STRETTO SAREBBE UN’ASTRONAVE NEL DESERTO,di Rosa Maria Di Natale, 30/1/2023, da  https://www.internazionale.it/essenziale/)

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QUALI SONO GLI OSTACOLI DEL PONTE SULLO STRETTO?

di Giuseppe Cutano, da https://www.geomagazine.it/, 19/3/2023

   Come un ritornello si torna a parlare di Ponte sullo Stretto. Già i romani si posero il problema di collegare la Sicilia al resto del Continente e loro lo fecero unendo tante barche per fare spostare degli elefanti catturati durante le guerre puniche. Successivamente furono i Borbone a metà ‘800 e si proseguì con l’Unità d’Italia in questa impresa di progettare un collegamento stabile sullo Stretto di Messina.

   Le soluzioni proposte furono tantissime, ma negli ultimi due secoli non si è mai concretizzato nulla. Il sisma del 1908, uno dei più forti della storia d’Italia che causò anche un grande maremoto con 80.000 vittime, fu un elemento che raffreddò gli entusiasmi.

   Di certo l’importante faglia che attraversa lo Stretto fa sì che le due coste si allontanino di qualche mm ogni anno e non è problema da poco. A causa di questa faglia, ne avevamo già parlato su GeoMagazine.it, c’è l’impossibilità di una soluzione via tunnel. La geologia della Manica, al quale spesso si fa erroneamente riferimento, non è minimamente paragonabile alla nostra. Fra tutte le soluzioni quello di un ponte a campata unica sembra quella più realisticamente realizzabile. Piloni dentro le acque dello Stretto non possono essere costruiti per ovvie questioni di profondità (circa 250 m). Ovviamente per fare il progetto si è scelto il tratto più corto dello stretto e la campata sarebbe pari a 3,3 km fra Cannitello, vicino a Villa San Giovanni in Calabria, e i Laghi Ganzirri a punta Peloro sul lato di Messina. 

   Del progetto ponte ne abbiamo parlato in più occasioni e abbiamo anche provato a percorrere lo Stretto con le condizioni attuali e ne abbiamo fatto un reportage.

   Andiamo ora ad analizzare quali ad oggi sono le condizioni oggettivamente ostative per la realizzazione di un attraversamento stabile dello Stretto.

DIFFICOLTA’ TECNICHE

Stando al progetto definitivo, la soluzione a campata unica, è comunque non semplice perché sarebbe comunque il ponte a campata unico più lungo al mondo. Non esistono ponti con tali estensioni. Sentiamo poi anche spesso dire “Ma all’estero fanno anche cose più complesse“, ma dobbiamo rispondere che lo Stretto è una unicità al mondo e dal punto di vista tecnico non è mai stata realizzata nessuna opera simile. Nemmeno in Giappone o nel Nord Europa. Per reggere tutto questo peso e questa “sospensione” sono necessarie due notevoli torri in calcestruzzo alte quasi 400 m (382 m per la precisione).

   Il ponte sarà corredato di cavi d’acciaio per reggere l’impalcato. Dunque le torri terranno i cavi dove verrà appoggiato il piano di transito (doppio binario + 6 corsie stradali). Questo ponte, in gergo tecnico, viene chiamato “ponte strallato”. Queste importanti dimensioni dovranno garantire stabilità durante sismi importanti e anche con il vento. 

   I miti dell’Odissea di Scilla e Cariddi ci possono far immaginare le condizioni dello Stretto. Il vento qui è spesso presente e sostenuto anche perché lo stretto stesso crea l’”effetto Venturi”. La sezione orografica, stringendosi, fa si che il vento aumenti la sua velocità. Dunque dal punto di vista tecnico è una vera e propria scommessa. I tecnici hanno testato i modellini in scala nelle gallerie del vento con risultati positivi, ma il collaudo definitivo si avrà solo a lavori finiti. 

   Anche dal punto di vista realizzativo l’opera non è semplice per la costruzione di queste alte torri e per l’ampia profondità delle fondamenta che devono essere scavate in una geologia molto complessa come quella dell’area dello Stretto. Inoltre gli accessi andranno modificati e ingenti lavori sono previsti per km all’interno dei due lati soprattutto, sul lato siciliano.

   In Calabria l’ammodernamento della autostrada A3, oggi A2, aveva già previsto dei lavori propedeutici. Lato ferroviario è ancora tutto da pensare a da fare e le modifiche dei tracciati, visto che i treni non possono affrontare cambi di pendenza immediati come le rampe di accesso stradale, saranno importanti e si propagheranno all’interno per molti km.

   Dunque i tempi per realizzare il ponte e le opere accessorie, nel progetto del 2003 erano pari a 11 anni, oggi si legge di 7, ma saranno con molta probabilità molto più lunghi anche per la realizzazione di tutte le opere propedeutiche agli accessi soprattutto ferroviari. Per onestà intellettuale basti pensare che per pochi km di Metro a Roma sono trascorsi anche decenni. 

DIFFICOLTA’ AMBIENTALI

Forse non tutti sanno che lo Stretto di Messina è una area protetta riconosciuta a livello europeo. E tutte le opere realizzate all’interno delle aree protette denominate SIC e ZPS della Rete Natura 2000 devono essere approvate a seguito di una Valutazione di Incidenza Ambientale.

   Questa valutazione si preoccupa di analizzare tutti gli effetti in ogni fase del progetto sulla flora e sulla fauna. Nel 2013 la commissione del Ministero diede parere negativo. Spesso, dal punto di vista ambientale, viene però detto che il ponte sarebbe migliorativo in termini di emissioni, perché toglierebbe le navi dallo Stretto che ad oggi sono a combustione.

   Certo che se oggi pensiamo a navi completamente elettriche e ricaricate con rinnovabili questo beneficio in termini di emissioni verrebbe meno. Dunque con degli scenari odierni una valutazione di impatto ambientale andrebbe certamente rivista. Della soluzione di elettrificazione delle navi ne abbiamo parlato in un articolo recentemente.

   Ci sono strumenti però che ha in mano l’esecutivo che come nel caso dell’Aeroporto di Malpensa, ritenuta ai tempi opera strategica, possono andare in deroga a queste analisi ambientali, ma nel 2023 sarebbero certo una forzatura visti i chiari problemi ambientali che stiamo vivendo. Dunque siamo disposti a sacrificare uno dei luoghi di maggior pregio del nostro Paese per questa opera? A voi la risposta.

DIFFICOLTA’ SOCIO-ECONOMICHE

Ad oggi la stima dei costi è pari a 7 miliardi di euro, che in un opera così complessa non è difficile pensare che possa lievitare. La cifra è molto importante, ma non sarà finanziata dall’Unione Europea che non la ritiene una opera prioritaria. Di certo chi si attende che il transito sarà gratuito come l’autostrada A2 oppure a prezzo calmierato si sbaglia.

   Già oggi transitare nei tunnel alpini ha dei costi proibitivi, ma lo è in tutti i ponti europei importanti del Nord Europa. Non è utopia pensare che il transito possa costare oltre i 50 euro. Nonostante queste alte tariffe sembra che non sarà facile rendere l’opera profittevole e il grosso dei costi ricadrà sulla collettività. Facciamo due calcoli “della serva”. Oggi transitano all’anno circa 2 milioni di mezzi sullo Stretto.

   Con il costo che abbiamo ipotizzato avremmo ricavi per 100 milioni l’anno. Senza contare tasse e costi di gestione, con questi numeri, il ponte si ripagherebbe in 70 anni. Per avere i conti in ordine quale azienda finanzierebbe un progetto con un rientro così lungo? I benefici coprono davvero questa cifra ingente? Lo Stato può permetterselo in tempi di crisi economica?

   Nel calcolo precedente abbiamo trascurato i costi di gestione che saranno molto ingenti per via delle notevoli manutenzioni che si dovranno fare. L’ambiente costiero con l’acqua salmastra rende l’aria molto aggressiva per i materiali in acciaio e dunque sarà importante una continua manutenzione e con costi di esercizio annuali importanti.

   Dal punto di vista sociale, essendo evidente la precarietà generale che affligge due regioni come la Calabria e la Sicilia, sprovviste di linee ad alta velocità, con infrastrutture fortemente obsolete e carenti, con una sanità in evidente agonia, è lecito porsi diverse domande. La popolazione locale è disposta ad accettare che i soldi vengano dirottati su questa opera a discapito di altri investimenti importanti per il Sud?

   L’opera dal punto di vista meramente tecnico è sicuramente affascinante e sfidante, i record affascinano tutti, ma certo è che non si può mettere la testa sotto la sabbia trascurando quale sia il contesto. Un quadro molto delicato dal punto di vista ambientale e unico al mondo, tanto che come dicevamo vi sono state istituite diverse aree protette. Inoltre il contesto sociale è molto fragile e i benefici non sembrerebbero essere giustificati per una opera costosa e complessa.

   Viene davvero difficile pensare che questa opera possa spostare le regioni dell’estremo Sud dall’ultime posizioni in Europa per qualità della vita e benessere con un ponte. Qualcuno dirà che non si investe al Sud in favore del Nord e per queste ragioni che il Ponte è mai stato realizzato, ma il Sud invece potrebbe guidare la sua rinascita con progetti più ampi e strutturali.

   Non possiamo poi non rimarcare il fatto che in questi anni, in attesa del fantomatico “ponte”, è stato fatto poco per migliorare la situazione degli attraversamenti. Il nostro reportage parla chiaro. Sicuramente con cifre nettamente inferiori e con tempi rapidi il miglioramento dell’attraversamento poteva essere sicuramente ottimizzato in maniera considerevole.

   Ovviamente se il ponte diviene uno strumento politico diventa difficile giudicare l’opera di per se che però ha oggettivi problemi di varia natura. Chi oggi è all’esecutivo, visti i tempi di realizzazione, non sarà più responsabile un domani durante la costruzione e la messa in esercizio. Di certo, senza sapere ne leggere ne scrivere, se in tutti questi anni l’opera non è mai stata realizzata le difficoltà forse ci sono davvero. (GIUSEPPE CUTANO, da https://www.geomagazine.it/, 19/3/2023)

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(…) Rilanciare i collegamenti – (il controdossier ambientalista contro la costruzione del Ponte) le associazioni Kyoto Club, Legambiente e Wwf sono state durissime: secondo loro la relazione degli esperti incaricati dal ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile, non è un’analisi comparativa di tutte le possibili alternative al ponte e non fornisce neppure un quadro di insieme sufficiente per la redazione di un documento di fattibilità per altri progetti. Al contrario, tratta le altre possibilità “come se si trattasse di far atterrare un’astronave in un deserto”. Tra i firmatari del controdossier c’è anche MARIA ROSA VITTADINI (nella foto qui sopra), docente emerita dell’università di Venezia, già direttrice generale per la valutazione d’impatto ambientale (Via) del ministero dell’ambiente e presidente della commissione tecnica Via e valutazione ambientale strategica (Vas). “Oggi non esistono le infrastrutture di collegamento che dovrebbero allargare i benefici del ponte al territorio; ci basta questo per dire che manca un quadro di ragionevolezza delle previsioni”, spiega. “Il ponte a tre campate non è fattibile per motivi biologici perché l’impianto dei pilastri che devono sostenerle, si infilerebbe in strutture biomorfologiche in movimento, non affidabili. Può darsi che optino per questa soluzione, ma manca il progetto preliminare e il percorso dovrebbe ripartire daccapo. Il ponte a campata unica è invece di per sé troppo instabile e costoso, nonché lontano dai centri dove converge il traffico”. (…) (da “IL PONTE SULLO STRETTO SAREBBE UN’ASTRONAVE NEL DESERTO,di Rosa Maria Di Natale, 30/1/2023, da  https://www.internazionale.it/essenziale/)

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LA STORIA INFINITA DEL PONTE SULLO STRETTO*

di Carlo Scarpa, 17/03/2023, da https://lavoce.info/

*Articolo pubblicato originariamente il 24 gennaio 2023

   Quasi a ogni cambio di governo l’idea del Ponte sullo stretto di Messina viene riesumata o accantonata. Andrebbe presa una decisione definitiva. Ed è una decisione politica, perché sotto il profilo economico è difficile valutare se l’opera conviene o meno

   “Salvo intese” il Ponte sullo Stretto si farà. Ovvero: se non ci ripensiamo, andiamo avanti. Pur con questa formula bizzarra, il Governo ha comunque deciso di fare un altro passo avanti. Il vero punto interrogativo è se dietro questa formula politicamente tiepida vi sia una volontà politica effettiva. Perché il progetto sembra ormai inarrestabile.

   Si tratterà di capire se per aggiornare il progetto basta un anno e mezzo o se servirà una proroga. Ma è un dettaglio. Anche perché si sta lavorando alla Alta Velocità fino a Reggio Calabria, si investono miliardi per le ferrovie siciliane. Il Ponte rischia di essere un dettaglio. Fin quando i soldi non finiscano.

   Il tema del Ponte sullo stretto di Messina torna periodicamente alla ribalta e conviene quindi capirne le origini e il senso. L’idea è secolare, il progetto supera i cinquanta anni. Con un dibattito infinito tra chi lo considera un sogno, chi un incubo.

   Nel dicembre 1971 viene approvata la legge 1158/1971 “Collegamento viario e ferroviario fra la Sicilia ed il continente”, che prevede la costituzione di una Spa incaricata “dello studio, della progettazione e della costruzione, nonché dell’esercizio del solo collegamento viario” (la ferrovia, era affidata alle ferrovie dello stato). La Stretto di Messina Spa doveva essere istituita a cura di Anas, delle regioni Calabria e Sicilia, ciò che è avvenuto solo nel 1981. Dopo alcuni riassetti, dal 2013 la società è in liquidazione.

   La liquidazione di un’impresa non è cosa semplice e spesso ci vogliono anni per chiudere effettivamente tutte le partite in corso (crediti, debiti, contenziosi legali e così via). Ma dieci anni sono comunque tanti e riflettono il fatto che sulla scena politica si sono confrontate diverse posizioni, con il susseguirsi di varie fasi di stop and go. Così la Spa è ancora lì, pronta a riprendere le operazioni alla bisogna.

L’iter del progetto e i costi

Il progetto preliminare del ponte fu approvato dal Cipe il 1° agosto 2003, pur con alcune prescrizioni e raccomandazioni. La stima dei costi al 2006 era di poco meno di 4 miliardi di euro (tra progettazione ed esecuzione), somma determinata dopo regolare gara con un general contractor (un’Ati – associazione temporanea di imprese – capitanata da Impregilo, oggi parte di Webuild).

   Il contratto non fu però approvato dal governo Prodi nel 2006, mentre fu invece confermato dal governo Berlusconi nel 2008, con il conseguente aggiornamento del piano economico e finanziario, il rifinanziamento dell’intera operazione e l’introduzione di una serie di condizioni che nel 2016 la Corte dei conti definiva “in favore delle parti private”. Dati i ritardi per i lavori, il contractor cominciò ad avanzare pretese (tecnicamente “riserve”) che condussero a una transazione conclusa nell’ottobre 2009; all’epoca il costo complessivo (inclusi oneri finanziari, a quanto si capisce) risultava pari a 6,3 miliardi. Il progetto definitivo è poi stato approvato nel luglio 2011 da un nuovo governo Berlusconi, sulla base del preliminare del 2003.

   Purtroppo (per il ponte), quattro mesi dopo, il governo cambiò e il successivo esecutivo Monti espresse forti dubbi sul progetto, di fatto annunciandone l’affossamento. Per limitare i danni da pagare ai privati nel caso di mancata esecuzione fu approvato uno specifico decreto (il Dl 187 del 2012), che però non ha impedito il successivo contenzioso, né la liquidazione della società.

   Cosa abbiamo già pagato? La Corte dei conti al 2013 quantificava i costi già sostenuti in oltre 300 milioni (di allora). Purtroppo, è facile prevedere come le analisi e i progetti effettuati siano ormai obsoleti. Nessuno costruirebbe oggi qualcosa di importante sulla base di analisi di venti anni fa, su una situazione di fatto che potrebbe essere cambiata. Quindi, se anche si ripartisse, è facile pensare che si dovrebbe riiniziare più o meno da zero, come si intuisce anche da quanto scriveva nel 2021 il Gruppo di lavoro del ministero delle Infrastrutture.

   Ma non basta. Sono ancora pendenti i pesanti contenziosi con le imprese che si sono aggiudicate il progetto. Qualcuno ha già conteggiato le richieste tra i costi del progetto, anche se la questione sarà definita al termine di un procedimento assai intricato. Se poi si decidesse davvero di costruire il Ponte, è possibile che i contenziosi vengano in qualche modo composti all’interno del nuovo progetto.

   Quanto ai costi futuri (ed eventuali) per costruire il Ponte, un conto serio aggiornato non è pubblicamente disponibile, e soprattutto andrebbe rivisto insieme al progetto, considerando i costi attuali delle costruzioni, che sono esplosi. Sul sito di Webuild si parla di un costo complessivo di oltre 7 miliardi; a me pare ottimistico, ma vedremo… Nel frattempo, a gennaio 2022, il ministero ha avviato un nuovo progetto di fattibilità; con quali ulteriori costi, non so dire.

   Occorre poi considerare i rischi. Secondo un recente studio congiunto italo-tedesco, quello sismico si conferma elevato. Ovviamente, ci sarebbero anche significativi rischi ambientali, come per qualunque opera di queste dimensioni. Tutti temi da considerare seriamente, ma che difficilmente bloccherebbero il progetto, se i benefici ci fossero davvero.

Servirebbe? E quali sarebbero i benefici?

Quali potrebbero essere, allora, i benefici? Questa è la vera domanda. E la risposta è tutt’altro che semplice. Fin quando un’opera non viene completata, alcuni costi si materializzano, mentre i benefici sono solo aspettative. E anche i costi futuri sono molto più prevedibili dei benefici. Ciò premesso, l’unica analisi costi-benefici proposta (non dai proponenti – sarebbe chiedere troppo?) conduce a risultati negativi, con costi superiori ai benefici attesi, che sono computati considerando il risparmio nei tempi di trasporto.

   Basta questo? Con tutta la simpatia per queste analisi, dobbiamo però ammettere che con un progetto che cambierebbe radicalmente e strutturalmente il territorio, per arrivare a una risposta definitiva occorrerebbe poco meno di una sfera magica, e anche l’analisi costi-benefici aiuta fino a un certo punto. Perché molti parametri fatichiamo a valutarli.

   È vero che il risparmio di tempo tra un ponte e i traghetti attuali non sarebbe colossale. Ma come valutiamo la flessibilità garantita dal non dipendere dai traghetti? Si è al sicuro da mare grosso, guasti, disorganizzazione dei porti, scioperi. Non si dipende dagli orari dei traghetti. Sotto questo profilo, la Sicilia quasi cesserebbe di essere un’isola. Qual è il valore di questo e a quanto traffico condurrebbe?   Francamente, non lo so, e temo nessuno riesca veramente a prevederlo.

   I sostenitori del progetto sottolineano poi come connettere un’isola al continente abbia una valenza politica importantissima di tutela della continuità territoriale. Se si concorda che la vicinanza non la si misura in chilometri, ma in tempi di percorrenza e nella loro prevedibilità, allora il ponte avvicina. Quanto pesa questo fattore? È evidente come diverse persone possano avere sensibilità differenti, ma archiviare la questione come irrilevante sarebbe superficiale.

   La risposta sulla desiderabilità di questa opera passa quindi attraverso questioni alle quali non credo esistano risposte univoche. È una di quelle opere, in cui si deve riaffermare il primato della Politica (con la “P” maiuscola), sperando che la decisione ultima giunga all’esito di un dibattito aperto, rigoroso, informato e senza pregiudizi.

   Cosa succederà? Difficile fare previsioni. Dati i tempi anche solo di approvazione e avvio di opere come questa, se continuiamo ad avere un governo che vuole il Ponte, e quello successivo che lo accantona, continueremo anche ad avere costi di progettazione e di contenzioso senza fine. E nessun ponte. (Carlo Scarpa, 17/03/2023, da https://lavoce.info/)

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(AUTOSTRADE DEL MARE, immagine da https://www.logisticamente.it/) – “(…) Come sostenuto da Marco Ponti, docente di economia dei trasporti al Politecnico di Milano, e Andrea Boitani, docente di economia politica all’Università Cattolica di Milano sul sito di analisi economiche “La voce”, “Il traffico previsto per il ponte (…) anche nelle ipotesi più favorevoli, è modesto: il traffico “interurbano” di breve distanza (tra Messina e Reggio) sarebbe più rapido con un sistema di traghetti veloci; il traffico merci di lunga distanza ha nelle “autostrade del mare” un concorrente molto più economico, e il traffico passeggeri di lunga distanza viaggia già in gran parte in aereo. Al crescere del reddito (e al decrescere delle tariffe aeree, grazie all’auspicabile sviluppo della concorrenza) il traffico di superficie si ridurrà nonostante il ponte”. (da https://ifg.uniurb.it/)
“(…) In sostanza, per far viaggiare le merci su distanze superiori a 500 – 700 km (Ragusa e Milano, ad esempio, distano 1.400 km) il trasporto su gomma perde la sua convenienza a favore di altre possibilità come quelle offerte dall’alternativa multimodale. Con le autostrade del mare, come la linea già esistente Messina – Salerno, ad esempio, c’è la possibilità di imbarcare i camion sulle navi facendo riposare l’autista, senza rischio di incidenti e senza inquinamento. Per alcune realtà economiche siciliane, ad esempio il settore delle primizie che vengono prodotte nel ragusano, il ponte non avrebbe alcuna utilità, perché i prodotti ortofrutticoli di pregio devono arrivare sui mercati (come quello di Milano) in tempi rapidi. Per questo a Ragusa si sta trasformando l’ex aeroporto militare di Comiso in uno scalo merci. Discorso simile può valere per il traffico passeggeri: un milanese o un tedesco che decidono di passare le vacanze in Sicilia o devono venirci per lavoro, difficilmente sceglieranno di viaggiare in macchina o in treno se hanno la possibilità – anche grazie all’abbassamento delle tariffe che si è verificato negli ultimi anni – di prendere un aereo. (…)” (da https://ifg.uniurb.it/)

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I POSSIBILISTI (FAVOREVOLI) (con soluzioni tecniche)

“IL PROGETTO DEL PONTE DI MESSINA MODELLO PER ALTRI PONTI. MA SI PUÒ ANCORA MIGLIORARE”

da https://www.tempostretto.it/ 2/1/2023

   Il ponte sullo Stretto di Messina quando e se verrà realizzato, sarà un’opera straordinaria, frutto di decenni di ricerche e progetti, man mano modificati e migliorati per raggiungere un elevato standard di servizio e costruzione.

   Tutte le soluzioni di attraversamento sono state vagliate, ciascuna con i suoi pro e contro, e alla fine ha prevalso quella di un attraversamento aereo a una singola campata, con le torri disposte a terra sul continente e sull’isola sicula.

   Riguardo ai livelli di sicurezza, si è scelto di adottare “periodi di ritorno” estremamente elevati sia per gli stati limite di servizio (deformazione e percorribilità) – portati a duecento anni – sia per le azioni più rilevanti sul ponte (vento e sisma), di cui sono stimati duemila anni come periodo di ritorno.

   Il tracciato dell’attraversamento è stato studiato con più varianti possibili nella zona di minor distanza tra la Sicilia e il continente, valutando opzioni diverse tra Continua a leggere

PUTIN e i suoi crimini: MANDATO DI ARRESTO della CORTE PENALE INTERNAZIONALE de l’AIA – Un atto giuridico e politico, documentato e coraggioso, del diritto internazionale contro il dittatore aggressore – Riuscirà ad essere un altro tassello per fare giustizia e far cessare l’aggressione russa all’Ucraina?

(BAMBINI DEPORTATI IN RUSSIA DALL’UCRAINA, foto da https://www.repubblica.it/) – «QUEI BIMBI SUI VOLI MILITARI E GLI SCAMBI CON I PRIGIONIERI» – L’atto d’accusa della CORTE DELL’AIA: nel piano di PUTIN rastrellamenti in scuole e orfanotrofi –– Secondo il rapporto dell’Onu sono almeno seimila i minori deportati, le autorità di Kiev denunciano la sparizione di oltre 16 mila. I giudici dell’Aja hanno raccolto prove per circa 600 casi ed evidenziano nel mandato di cattura che soltanto un minore su cento è riuscito a tornare a casa. Negli atti si parla in maniera esplicita di «persone trattate come un bottino di guerra». Il riferimento è alle trattative concluse grazie all’intervento dei servizi di intelligence ucraini per scambiarli con i soldati russi fatti prigionieri. (…)” (Fiorenza Sarzanini, da “il Corriere della Sera” del 19/3/2023)

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La CORTE PENALE INTERNAZIONALE de l’AIA ha emesso un mandato d’arresto contro il presidente russo VLADIMIR PUTIN, accusato di «deportazione illegale» di bambini. Un secondo mandato riguarda MARIA ALEKSEYEVNA LVOVA-BELOVA, commissaria russa per i diritti dei bambini. Per l’accusa bimbi ucraini sono stati portati in Russia illegalmente. Per i giudici che hanno emesso il mandato — tra loro l’italiano Rosario Aitala — «vi sono fondati motivi per ritenere che Putin abbia la responsabilità penale individuale». Il procuratore KARIM KHAN parla di «deportazione di almeno centinaia di bambini prelevati da orfanotrofi». Secondo la Corte dell’Aia, il presidente russo sarebbe inoltre responsabile della deportazione illegale di bambini dalle zone dell’Ucraina occupate dall’esercito del Cremlino. I casi potrebbero essere migliaia.

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(Bambini portati in Russia, foto da https://www.lastampa.it/) – da https://www.ilmessaggero.it/ del 17/3/2023:
La Corte penale internazionale dell’Aja ha emesso il 17 marzo 2023 un mandato di cattura internazionale nei confronti di Vladimir Putin. Il presidente russo, insieme alla commissaria russa per i diritti dei bambini Maria Alekseyevna Lvova-Belova, non potrà dunque mettere piede nei 123 Paesi che aderiscono allo Statuto di Roma, il trattato internazionale istitutivo della CPI. Fra questi Stati non figurano la Russia, come era facile immaginare, ma anche gli Stati Uniti che hanno firmato il trattato senza ratificarlo.
Putin: in quali Paesi è valido il mandato d’arresto internazionale?
L’elenco degli Stati Parte è molto vasto, include le principali potenze europee (Italia, Francia, Germania, Spagna), ma anche numerosi Paesi da America, Africa, Asia e Oceania. L’Ucraina, invece, pur avendo firmato lo Statuto di Roma, non lo ha ancora ratificato. Fra i Paesi che invece non hanno mai aderito spiccano CinaIndia Arabia Saudita.
Karim Khan (Procuratore CPI): «Bambini non sono spoglie di guerra»
«Non possiamo permettere che i bambini siano trattati come spoglie di guerra». A parlare è il procuratore capo della Corte penale internazionale, Karim Khan, dopo l’emissione del mandato di cattura internazionale contro il presidente russo.” Ci sono ragionevoli motivi per ritenere Vladimir Putin penalmente responsabile delle deportazioni”, ha dichiarato, sottolineando che “si tratta di bambini protetti dalle convenzioni di Ginevra”.   “Centinaia di loro”, ha denunciato, “sono stati presi dagli orfanatrofi in Ucraina e portati in Russia dove sono stati dati «in adozione»”. Nuove leggi in Russia, firmate da Putin, hanno reso più facile l’adozione dei bambini ucraini. Questo, fra l’altro, “dimostra l’intenzione di rimuovere permanentemente questi bambini dal loro paese”, ha sottolineato Khan.
(da https://www.ilmessaggero.it/ del 17/3/2023)

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«QUEI BIMBI SUI VOLI MILITARI E GLI SCAMBI CON I PRIGIONIERI»

L’atto d’accusa della Corte dell’Aia: nel piano di Putin rastrellamenti in scuole e orfanotrofi

di Fiorenza Sarzanini, da “il Corriere della Sera” del 19/3/2023

– Il procuratore KARIM KHAN della Corte Penale Internazionale: il presidente russo può essere processato, come MILOSEVIC –

   C’è un video ufficiale che mostra MARIA LVOVA-BELOVA mentre ringrazia il presidente VLADIMIR PUTIN perché le ha consentito di adottare un bambino ucraino. Quel filmato, rilanciato dalla propaganda del Cremlino, si è trasformato in uno degli elementi d’accusa contro lo stesso presidente russo e la commissaria per i diritti dei minori di Mosca, accusati dalla Corte penale internazionale dell’Aia di crimini di guerra per la deportazione dei minori ucraini.

   Il mandato di arresto firmato il 17/3/2023 fa dai giudici ROSARIO AITALA, TOMOKO AKANE e SERGIO UGALDE ricostruisce il piano per il trasferimento di bimbi e ragazzi, i viaggi a bordo degli aerei militari, i rastrellamenti in scuole e orfanotrofi, la falsificazione dei documenti. Un progetto criminale che – evidenziano i giudici – prende forma nel maggio scorso, poche settimane dopo l’invasione dell’Ucraina, con la firma di Putin sul decreto che prevede procedure semplificate per riconoscere d’urgenza la cittadinanza russa ai minori strappati alle proprie famiglie dopo l’invasione.

   «Il presidente russo può essere processato, nonostante Mosca ritenga di non essere soggetta alla decisioni della Corte penale internazionale», ha dichiarato venerdì 17 marzo alla Cnn il procuratore capo della Cpi, Karim Khan, e poi ha aggiunto: «Ci sono stati processi storici nei confronti dei criminali di guerra NAZISTI, dell’ex presidente jugoslavo Slobodan MILOŠEVIC e dell’ex leader liberiano Charles TAYLOR. Tutti loro erano individui potenti eppure si sono trovati nelle aule dei tribunali». (Fiorenza Sarzanini, da “il Corriere della Sera” del 19/3/2023)

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(La sede della CORTE PENALE INTERNAZIONALE a l’AIA in OLANDA) – La COUR PÉNALE INTERNATIONALE, il tribunale per crimini internazionali che ha sede all’Aia, nei Paesi Bassi, ha una competenza che si limita ai CRIMINI PIÙ GRAVI che riguardano la comunità internazionale: quelli contro l’umanità e i crimini di guerra (cosiddetti CRIMINA IURIS GENTIUM), e di recente anche il CRIMINE DI AGGRESSIONE. La Corte ha una COMPETENZA COMPLEMENTARE A QUELLA DEI SINGOLI STATI, dunque può intervenire se e solo se gli Stati non possono (o non vogliono) agire per punire crimini internazionali.

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Deportati con i voli militari

Sono stati proprio gli investigatori coordinati da Khan a ricostruire decine e decine di voli effettuati dai militari russi per trasferire bimbi e ragazzi dai territori occupati del Donbass e farli arrivare in Russia. Il resto lo hanno fatto le verifiche dei giudici. Il quartier generale della Divisione preliminare di cui è presidente il giudice italiano Rosario Aitala ha sede nella torre B, al quarto piano della sede della Corte. Dei 18 giudici della Cpi, 7 lavorano in questi uffici: oltre all’italiano, ci sono due sudamericani, due africani, una giapponese, un ungherese. Poi una ventina di consiglieri giuridici e assistenti di tutto il mondo.

   Le richieste di cattura sono state depositate circa venti giorni fa dai magistrati della procura e in alcuni casi i giudici hanno disposto nuove indagini per poter dare seguito alle denunce dei familiari e muovere ulteriori contestazioni. Il mandato firmato il 17 marzo 2023 è solo il primo atto di un’indagine che potrebbe portare a nuovi provvedimenti. Nei casi in cui i testimoni erano a rischio sparizione Aitala e i suoi colleghi hanno disposto incidenti probatori segreti proprio per validare le loro dichiarazioni». (Fiorenza Sarzanini, da “il Corriere della Sera” del 19/3/2023)

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(17 luglio 1998: l’allora Segretario Generale dell’ONU, Kofi Annan, alla cerimonia di apertura dei lavori per la firma dello Statuto di Roma -foto ONU-) – “La CORTE PENALE INTERNAZIONALE è un organo di giurisdizione, fin qui il primo e l’unico, internazionale permanente, con sede all’Aia, in Olanda, competente a giudicare in materia di gravi crimini di rilevanza internazionale (GENOCIDIO, CRIMINI CONTRO L’UMANITÀ, CRIMINI DI GUERRA E CRIMINE DI AGGRESSIONE).   Il CRIMINE DI GENOCIDIO è definito in base all’art. II della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948.   Per quanto riguarda i CRIMINI CONTRO L’UMANITÀ, definiti in base al diritto consuetudinario internazionale, è necessario che siano commessi “nell’ambito di un attacco esteso e sistematico contro una popolazione civile con la consapevolezza dell’attacco”.   Quanto ai CRIMINI DI GUERRA, la Corte può procedere anche quando le convenzioni di Ginevra siano violate anche in contesti non internazionali, ossia nelle guerre civili.   La gravità dei crimini è requisito fondamentale per stabilire se vi sia competenza della Corte e c’è una scala di parametri stabilita dall’ufficio del procuratore, per misurarla. (…)” (Elisa Chiari, 17/3/2023, da https://www.famigliacristiana.it/)

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I video dei rapiti e il bimbo che piange

Le testimonianze dei genitori e i racconti di chi è riuscito a tornare in Ucraina, soprattutto grazie all’impegno delle organizzazioni umanitarie, fanno ben comprendere che il piano di Mosca è tuttora in atto. Una donna ascoltata nel corso delle indagini racconta di essere andata a prendere il figlio a scuola e di non averlo più trovato. «Ho sbagliato, non avrei dovuto mandarlo. Ho scoperto che cosa era successo quando l’ho riconosciuto in un video della propaganda russa. Era disperato, non smetteva di piangere».

   È uno dei bimbi portati via con gli aerei militari e la donna non sa dove sia adesso. Non è l’unica. La tv russa, ma anche i social della propaganda di Mosca mostrano frequentemente le immagini di piccoli all’interno delle nuove scuole, esposti come trofei, oppure affidati a nuove famiglie. Sono moltissimi gli ucraini che hanno riconosciuto i propri figli in quei filmati, ma non sono riusciti a riportarli a casa. A molti è stato raccontato che i genitori erano morti, altri invece non capiscono il russo e non comprendono che cosa sia accaduto». (Fiorenza Sarzanini, da “il Corriere della Sera” del 19/3/2023)

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(Mappa Stati che aderiscono alla CPI, immagine da https://www.ilmessaggero.it) – In verde gli Stati Parte dello Statuto di Roma, in giallo quelli che non hanno ratificato il trattato, in grigio quelli che non vi hanno mai aderito

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Lo scambio con i prigionieri

Secondo il rapporto dell’Onu sono almeno seimila i minori deportati, le autorità di Kiev denunciano la sparizione di oltre 16 mila. I giudici dell’Aja hanno raccolto prove per circa 600 casi ed evidenziano nel mandato di cattura che soltanto un minore su cento è riuscito a tornare a casa. Negli atti si parla in maniera esplicita di «persone trattate come un bottino di guerra». Il riferimento è alle trattative concluse grazie all’intervento dei servizi di intelligence ucraini per scambiarli con i soldati russi fatti prigionieri.

   Tra i verbali raccolti dai giudici della Corte c’è quello di un bambino restituito ai genitori. «Non sono stato maltrattato, ma quando piangevo e chiedevo della mia mamma e del mio papà loro mi dicevano che erano morti. Ora sei russo e avrai un’altra mamma e un altro papà», ha raccontato.

Funzionari di Stato e soldati

L’indagine va avanti sulla rete di militari, funzionari governativi, direttori degli orfanatrofi russi che hanno partecipato alla deportazione dei minori occupandosi di prelevarli, trasferirli, in alcuni casi falsificare i documenti per affidarli alle nuove famiglie. Alcuni genitori ai quali ora risultano affidati dei piccoli ucraini potrebbero essere stati complici inconsapevoli del traffico, ma nella maggior parte dei casi le organizzazioni umanitarie hanno denunciato la loro piena adesione al piano di Putin. È stato accertato che in alcuni casi i bambini sono stati dati in premio dal regime di Mosca, «sono diventati il regalo per gli ufficiali più fedeli». Proprio come accadeva in ARGENTINA durante la dittatura di Jorge Videla. (Fiorenza Sarzanini, da “il Corriere della Sera” del 19/3/2023)

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(I CRIMINI DI GUERRA IN UCRAINA, foto da https://www.editorialedomani.it/) – – “(…) CPI DA NON CONFONDERE CON LA CORTE DI GIUSTIZIA – Il suo Statuto, tema di una forte campagna di sostegno all’epoca, è stato adottato il 17 luglio del 1998 con la Conferenza Diplomatica di Roma ed è entrato in vigore soltanto molto più tardi, il 1 luglio 2002. Ne fanno al momento parte 123 Paesi. A differenza della La Corte internazionale di giustizia, nota anche come Tribunale internazionale dell’Aja, con cui non va confusa, la Corte penale internazionale (CPI) dell’Aja non è un organo delle Nazioni unite, con cui intrattiene rapporti disciplinati da un accordo approvato dagli stati parte.   Le competenze dei due organi sono diverse: la Corte internazionale di giustizia opera infatti come arbitro per dirimere le controversie in materia di interpretazione di norme internazionali sorte tra stati membri dell’Onu che ne hanno accettato la giurisdizione. La Corte penale internazionale dell’Aja agisce invece su scala internazionale come un tribunale penale: ha un organo inquirente che fa le indagini, l’ufficio del Procuratore, una presidenza, una sezione preliminare, una sezione di prima istanza, una sezione di appello e una cancelleria. (…)”(Elisa Chiari, 17/3/2023, da https://www.famigliacristiana.it/)

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Dopo la decisione della Corte Penale Internazionale

IL MANDATO D’ARRESTO PER PUTIN E LE MANCANZE DELL’ITALIA

di VITALBA AZZOLLINI (giurista), dal quotidiano “DOMANI” del 21/3/2023

   Il 17 marzo scorso, la Camera dei giudizi preliminari (Pre-Trial Chamber II) della Corte penale internazionale (Cpi), sulla base delle richieste della procura, ha emesso due mandati di arresto nei confronti Vladimir Vladimirovich Putin e Maria Alekseyevna Lvova-Belova.

   Sono accusati di deportazione illegale e trasferimento illegale di bambini dall’Ucraina alla federazione Russa, ai sensi dello statuto di Roma (articoli 8.2.a.vii e 8.2.b.viii). Crimini di guerra che sarebbero stati commessi almeno a partire dal 24 febbraio 2022. Nel comunicato della Corte si legge che ci sono fondati motivi per ritenere che Vladimir Putin, presidente della Federazione russa, sarebbe personalmente responsabile per aver commesso tali crimini direttamente, congiuntamente con altri e/o attraverso altri (art. 25.3.a); per non aver esercitato un controllo adeguato sui subordinati civili e militari che hanno commesso gli atti, o hanno permesso la loro commissione, e che erano effettivamente sotto la sua autorità e il suo controllo (art. 28.b). Anche Maria Alekseyevna Lvova-Belova, Commissaria per i diritti dei bambini della Federazione russa, sarebbe personalmente responsabile per aver commesso i crimini direttamente, congiuntamente ad altri e/o tramite altri (art. 25.3.a). I mandati sono stati secretati per proteggere vittime e testimoni, nonché per salvaguardare le indagini. Tuttavia la Camera ha autorizzato la pubblica divulgazione della loro esistenza, del nome degli indagati e dei reati, al fine di prevenirne l’ulteriore commissione.

La Corte penale internazionale

La Corte penale internazionale è l’organo giurisdizionale che si occupa dei crimini sovranazionali commessi da persone fisiche, non da stati, secondo quanto disposto dallo statuto di Roma del 1998 (entrato in vigore nel 2002 e modificato nel 2010). La giurisdizione della Corte si esercita nel caso di crimini compiuti sul territorio di uno stato parte, cioè che ha ratificato lo statuto, o da un cittadino di uno stato parte. Né la Russia né l’Ucraina – che nel 2000 ha sottoscritto lo statuto senza poi ratificarlo – sono stati parte, ma quest’ultima nel 2014 ha accettato la giurisdizione della Corte (art. 12.3) per i crimini commessi dalla Russia sul proprio territorio; e nel 2015, a seguito dei fatti in Crimea, ha di nuovo accettato la giurisdizione, senza limite di tempo.

   Pertanto, la Cpi ha competenza a giudicare sui crimini avvenuti in Ucraina. Resta, tuttavia, escluso quello di aggressione (art. 8-bis). La Corte, infatti, può giudicare tale reato solo quando esso sia posto in essere da cittadini di uno stato parte o sul territorio di uno stato parte (emendamento di Kampala del 2010, entrato in vigore nel 2018), ma – come detto – né Russia né Ucraina sono stati parte. Per poter perseguire la Russia riguardo a tale crimine servirebbe un tribunale speciale.

   Lo statuto di Roma «si applica a tutti in modo uguale senza qualsivoglia distinzione basata sulla qualifica ufficiale» e i capi di stato non godono di immunità (art. 27). Pertanto, la Corte deve valutare le responsabilità di ogni soggetto ai diversi livelli della catena di comando (art. 58).

   I procedimenti giudiziari della Cpi possono protrarsi a lungo nel tempo: basti pensare che l’inchiesta sull’invasione russa dell’Ucraina nel 2014 è ancora in corso. L’attuale incriminazione verso Putin e Lvova-Belova ha, quindi, una forte valenza anche perché avvenuta in tempi particolarmente brevi rispetto al passato.

   Ci si potrebbe chiedere perché sia stato emesso un mandato di arresto nei confronti di Putin solo per deportazione e trasferimento illegali di bambini, e non anche per tutti gli altri crimini per i quali la Corte dell’Aja sta indagando. È possibile che per i reati sui bambini sia stato più semplice valutare la catena delle responsabilità e giungere all’incriminazione di Putin come soggetto cui fa capo l’ordine di realizzare le condotte illecite. Per altri reati può essere meno agevole determinare con una ragionevole certezza se siano stati commessi su ordine del presidente o per iniziativa di un qualche comandante in campo. Ciò soprattutto in mancanza di cooperazione dello stato coinvolto, come nel caso della Russia.

Il valore giuridico

A seguito della notizia del mandato d’arresto internazionale contro Putin, la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha dichiarato: «Le decisioni della Corte penale internazionale non hanno alcun significato per il nostro paese, nemmeno dal punto di vista legale».

   È vero che la Russia non ha ratificato lo statuto di Roma, e quindi non accetta la giurisdizione della Cpi, né ha l’obbligo giuridico di cooperare con essa o consegnarle gli indagati per i crimini previsti. Ma quanto afferma Zakharova è parziale, nonché distorsivo riguardo alle conseguenze della decisione.

   Innanzitutto, è vero che il processo dinanzi alla Corte non può svolgersi in contumacia (art. 63), quindi Putin, come qualunque altro soggetto reputato responsabile, dovrebbe essere condotto fisicamente all’Aja per essere giudicato. Ma per garantirne la comparizione al processo, a seguito del mandato da parte della Cpi, i 123 stati parte sono obbligati ad arrestarlo e consegnarlo alla giustizia, qualora lo trovino nel proprio territorio. Inoltre, la Corte «può presentare a qualsiasi stato nel cui territorio è suscettibile di trovarsi la persona ricercata una richiesta di arresto e consegna (…) e richiedere la cooperazione di questo Stato per l’arresto e la consegna di tale persona».

   Questo significa che pure i paesi che non abbiano ratificato lo statuto di Roma possono collaborare con la Cpi e concorrere all’arresto dell’imputato. In altre parole, anche in tali stati Putin non godrebbe comunque di totale impunità: qualora egli lasciasse la Russia per recarsi in un paese che non ha ratificato lo statuto di Roma, potrebbe non essere comunque al sicuro. Dunque, non è corretto affermare che il mandato della Corte dell’Aja non ha conseguenze per Putin: il rischio di essere arrestato in qualunque luogo si rechi fuori dalla Russia – ad esempio, se andasse al summit del G20 che a settembre si terrà a Nuova Delhi, in India, stato che non ha ratificato lo statuto di Roma – sancisce una “condanna” per Putin a una sorta di “arresti domiciliari” a valenza statale. E siccome i crimini di competenza della Corte non sono soggetti a prescrizione (art. 29), tale limitazione – se pure non si trasformerà in un arresto e poi in un processo – è comunque destinata a durare a vita.

L’Italia e i crimini di Putin

Secondo lo statuto «è dovere di ciascun stato esercitare la propria giurisdizione penale nei confronti dei responsabili di crimini internazionali»: la Corte giudica tali crimini solo se lo stato parte non possa farlo. Le leggi di molti paesi si sono conformate ai reati previsti dallo statuto per consentire che gli autori fossero sottoposti a giudizio. Invece l’Italia non ha provveduto, nonostante la ratifica avvenuta nel 1999.

   Nel marzo 2022 la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, aveva istituito una Commissione per «l’adattamento nel diritto interno della materia dei crimini internazionali» di cui allo statuto di Roma. Il disegno di legge relativo al Codice dei crimini internazionali è arrivato al Consiglio dei ministri il 16 marzo scorso. Il testo inserisce nell’ordinamento italiano il crimine di aggressione ed estende i crimini di guerra.

   Ma, come si apprende dal comunicato di Palazzo Chigi, il governo ha eliminato i crimini contro l’umanità, riservandosi di approfondire il tema. Non se ne comprende il motivo, salvo ipotizzare, come ha fatto in una intervista Chantal Meloni, professoressa di Diritto penale internazionale, che qualche esponente del governo tema un’imputazione per crimini contro l’umanità riguardo, ad esempio, alla gestione dei migranti. In ogni caso, quest’eliminazione è un fatto molto grave, specie in un momento in cui l’Italia dovrebbe mostrarsi allineata alla comunità internazionale anche introducendo nel proprio ordinamento tutti i crimini connessi alla guerra voluta da Putin. (VITALBA AZZOLLINI, da “DOMANI” del 21/3/2023)

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(LO STATO, al primo marzo 2023, DELL’AGGRESSIONE RUSSA ALL’UCRAINA, mappa da LIMES https://www.limesonline.com/, Carta di Laura Canali) – – LA REAZIONE RUSSA ALL’INCRIMINAZIONE DI PUTIN – La Russia ha smesso di riconoscere la Corte nel 2016 e non concede l’estradizione dei suoi cittadini. Il mandato per Putin, secondo il Cremlino, «non ha alcun valore legale». «Le decisioni della Corte penale internazionale non hanno alcun significato per il nostro Paese, nemmeno dal punto di vista legale». Così la portavoce del ministero degli Esteri russo MARIA ZAKHAROVA ha commentato la notizia del mandato d’arresto internazionale contro Vladimir Putin. Dal suo canale Telegram, inoltre, Zakharova precisa che la Russia non è parte dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale. «La Russia non coopera con questo organismo e gli eventuali ordini d’arresto da parte della Cpi sono per noi privi di base legale», ha aggiunto la portavoce del ministro SERGEJ LAVROV. Più colorito il commento di DMITRY MEDVEDEV, vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo: «La Corte penale internazionale ha emesso un mandato d’arresto contro Putin. Non c’è bisogno di spiegare dove dovrebbe essere usato questo documento», ha scritto Medvedev, aggiungendo l’emoji della carta igienica.

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«COSÌ MI SONO RIPRESA MIO FIGLIO A MOSCA GLI AVEVANO DETTO: TUA MADRE È MORTA» OLENA RACCONTA: ANDRII ERA IN OSPEDALE, DISPERATO

di Greta Privitera, da “il Corriere della Sera” del 19/3/2023

   Il mandato di cattura internazionale emesso dalla Corte penale dell’Aia contro Vladimir Putin, a Olena non fa nessun effetto. «Non mi importa di Putin, penso ai miei figli», ci dice su Telegram. Quello che è successo al suo Andrii è il motivo per cui la Corte internazionale accusa lo zar di «crimini di guerra» per la deportazione di bambini e adolescenti ucraini in territorio russo.

   Olena è un’infermiera, madre di sette figli. «Prima di rifugiarci in Svizzera, lavoravo in un ospedale di Izium, a Kharkiv». Il 30 aprile, sua mamma e il suo ragazzo adolescente l’hanno raggiunta al lavoro per ricaricare il cellulare perché, come spesso accadeva, a casa mancava l’elettricità. «Proprio in quei minuti i russi ci hanno bombardato. Mia madre è morta, mio figlio è rimasto gravemente ferito».

   L’ospedale era stato colpito da una bomba a grappolo, Andrii aveva bisogno di essere operato. La diagnosi era atroce: lesione spinale e lesioni multiple di organi interni. «Ero riuscita a vederlo su un lettino, mi avevano detto che lo avrebbero portato in sala operatoria e che poi sarei potuta stare con lui. Ma non è andata così. Dopo il bombardamento, i russi sono entrati e hanno portato via alcune persone, tra cui Andrii.

   Per un mese e mezzo non ho saputo niente di lui, nemmeno se fosse vivo o morto. Scrivevo a chiunque per avere informazioni, sapevo che cosa poteva succedere ai nostri bambini e ragazzi. Dalla Russia non ci dicevano niente» Andrii era finito in un ospedale di Mosca dove è stato operato alla schiena. I medici gli dissero che sua madre era morta e che quindi lui era stato inserito in un programma di adozione. Gli avrebbero trovato una famiglia russa. Non avrebbe più visto i suoi fratelli. «Stava male, era angosciato, era disperato per aver perso la mamma e perché non camminava più».

   Anche Olena, a 850 chilometri di distanza da suo figlio, pensava che non ci fosse più niente da fare. Poi, dice lei, il miracolo: «Un giorno, degli amici mi hanno mandato uno screenshot di una foto che stava circolando su Viber (un sistema di messaggistica, ndr). Era la foto della carta d’identità di Andrii. A postarla è stata una nostra concittadina, deportata anche lei dalla regione di Kharkiv». L’immagine è diventata virale e Olena si è affidata a un’associazione che le ha organizzato il viaggio in Russia per andare a recuperare suo figlio, paralizzato.

   «Non è stato facile arrivare a Mosca, sono stati giorni molto difficili, per motivi di sicurezza non posso raccontare l’itinerario. Una volta arrivata nell’ospedale che mi avevano segnalato ho visto mio figlio sdraiato su un letto, poteva muovere solo il collo e le braccia. Ci siamo stretti e abbracciati. Lui non si aspettava di vedermi, non riusciva a smettere di piangere». Olena e Andrii sono rimasti in Russia quasi tre mesi, l’associazione li ha aiutati a organizzare il viaggio di ritorno e la nuova vita in Svizzera. C’erano dei medici che non volevano farlo andare via, «ma hanno capito che mai lo avrei lasciato lì. In quell’ospedale ho visto altri bambini deportati. Una bambina era già stata data in adozione. Ho cercato di aiutare suo padre, ma poi sono dovuta partire e non ho più saputo niente».

   Oggi Andrii soffre di depressione ed è in sedia a rotella, ma Olena è sicura che riuscirà a rimetterlo in piedi: «Sono sua madre e sono un’infermiera», dice. Quando Andrii sente un aereo passare si spaventa e a volte piange. Così come quando scoppia un palloncino. Entrambi di notte sognano i bombardamenti. E se incontrasse Putin, che cosa gli direbbe, chiediamo a Olena: «Voglio che mi restituisca mia madre, e il futuro dei miei figli». (Greta Privitera, da “il Corriere della Sera” del 19/3/2023)

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L’ORA DEL LUPO“, di VALERIJ PANJUSHKIN, EDIZIONI E/O, euro 12,00 (pubblicato il 22 marzo 2023) – L’orrore della guerra e le sofferenze del popolo ucraino raccontate da uno scrittore russo. Un affresco drammatico di vite spezzate e fuga dalla morte, miserie umane e solidarietà quando ormai la partita sembrava persa: un libro con tante storie individuali di ucraini che nei primi giorni stavano scappando dalla guerra

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La giudice FLAVIA LATTANZI

«CON QUEL MANDATO NON ESISTE IMMUNITÀ: PER LUI È COME VIVERE IN UNA PRIGIONE A CIELO APERTO»

di Adriana Logroscino, da “il Corriere della Sera” del 19/3/2023

– La misura nei confronti del presidente russo non è affatto un atto simbolico: ha effetti vincolanti in 123 Stati e sono tutti obbligati a dargli esecuzione –

   «Il mandato di cattura per Putin ha effetti vincolanti in 123 Paesi, senza la possibilità di appellarsi all’immunità. Certo, è facile immaginare che non lascerà la Russia, che però per lui diventa una prigione a cielo aperto. E poi le cose possono cambiare, anche nel suo Paese».

   Professoressa ordinaria di Diritto internazionale all’università di Roma Tre, Flavia Lattanzi è stata giudice nei tribunali penali internazionali per l’ex Iugoslavia e il Ruanda. Ha dedicato i suoi studi alla tutela dei diritti umani attraverso il diritto internazionale. E risponde dal Camerun, dove tiene un corso sulla giustizia penale internazionale, alla scuola di alta formazione dei magistrati.

   Da tempo Lattanzi analizza e approfondisce le strade giudiziarie percorribili per sanzionare i responsabili delle condotte più efferate in Ucraina. E riguardo al mandato di arresto di Putin da parte della Corte penale internazionale, è categorica.

Professoressa Lattanzi, il mandato di cattura internazionale per Putin è stato firmato dai giudici della Corte penale dell’Aia. Non teme che rimanga un atto simbolico? Continua a leggere

La GEORGIA, con il pericolo di un assedio della Russia (come l’Ucraina) chiede l’adesione alla UE, che a sua volta chiede al governo georgiano più democrazia e Stato di diritto – L’UE che può accogliere popoli che vogliono LIBERTÀ contro le autocrazie – L’UE che necessita della riforma dei TRATTATI (superare la regola del voto all’unanimità)

(foto: MANIFESTANTE GEORGIANA CON LA BANDIERA UE) – In GEORGIA, alla manifestazione del 7 marzo (2023) contro il parlamento che stava approvando una legge bavaglio per l’informazione, una donna, davanti al parlamento di Tbilisi, sventola una bandiera dell’Unione Europea resistendo agli idranti della polizia. (vedi il video da: Il momento simbolo delle proteste in Georgia, con una bandiera europea e un cannone ad acqua | Flashes – Il Post)

QUI MAI

di Mattia Feltri, da “La Stampa” del 9/3/2023

   Ieri (mercoledì 8 marzo, ndr) è girato molto il video di una donna nel fuoco delle proteste di Tblisi, Georgia, mentre sventola la bandiera d’Europa. I georgiani stanno manifestando contro una legge in discussione al Parlamento e ricalcata su quella russa che ha consentito a Vladimir Putin di chiudere i giornali e mandare in galera giornalisti e blogger a lui ostili.

   Putin, nel nostro disinteresse, ha invaso la Georgia nel 2008, quattordici anni prima di invadere l’Ucraina, s’è preso l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia, ne ha riconosciuto l’indipendenza e ne ha fatto roba sua. Da allora, l’Unione europea valuta l’ammissione della Georgia, con le sue classiche infinite cautele, e il terrore della gente in piazza è di finire nelle grinfie russe.

   Non voglio rifare qui la storia della Georgia, voglio soltanto ricordare rapidamente Mikheil Saakashvili, il più celebre e discusso leader europeista georgiano, uno che Putin disse di volere vedere “appeso per le palle”. Ora è in carcere, dove pochi mesi fa un avvocato lo trovò coperto di lividi e con tracce di avvelenamento nel sangue.

   Così va il mondo, non soltanto dove s’allunga l’ombra di Putin, ma dove s’allunga va così, sempre. La Georgia è ancora più lontana dell’Ucraina, è al di là del Mar Nero, sopra le estremità orientali della Turchia e sopra l’Azerbaijan.

   E da così lontano, abbiamo visto quella donna sventolare la bandiera d’Europa, mentre la polizia cercava di respingerla con gli idranti. Lei è riuscita a evitare il getto, e poi un gruppo di uomini l’ha accerchiata per proteggerla e permetterle di tenere alta la bandiera. E io pensavo che così, da noi, non l’ho vista sventolare mai. (Mattia Feltri)

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(Mappa del Caucaso, ripresa da https://www.balcanicaucaso.org/) – La seconda guerra in OSSEZIA DEL SUD, nota anche come GUERRA DEI CINQUE GIORNI, guerra D’AGOSTO o guerra RUSSO-GEORGIANA, è stato un conflitto armato tra lo schieramento separatista guidato dalla RUSSIA e dalle repubbliche di OSSEZIA DEL SUD e ABCASIA e la GEORGIA. Esso ebbe luogo nell’agosto 2008 dopo un periodo di peggioramento delle relazioni tra Russia e Georgia, entrambe ex repubbliche dell’Unione Sovietica. I combattimenti avvennero nella regione strategicamente importante della TRANSCAUCASIA.    È ritenuta la prima guerra europea del XXI secolo. Benché la Russia abbia motivato ufficialmente la sua azione militare con la tutela dell’autodeterminazione degli osseti del sud e degli abcasi, il conflitto è considerato, da molti analisti di geopolitica, come il TENTATIVO DI VLADIMIR PUTIN DI AMPLIARE LA RIDOTTA SFERA DI INFLUENZA POST-SOVIETICA RUSSA con l’esercizio della forza bruta, progetto proseguito nel 2014 con l’unilaterale ANNESSIONE DELLA CRIMEA alla Russia e successivamente con l’INVASIONE RUSSA DELL’UCRAINA DEL 2022.   Nel 2021 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accusato la Russia di violazioni dei diritti umani nelle regioni separatiste ancora occupate. (da WIKIPEDIA)

SE LA GEORGIA SI SENTE EUROPEA

Le proteste nella capitale Tbilisi mettono in luce le contraddizioni di un paese che aspira all’Europa ma è ancora legato all’orbita russa.

da https://www.ispionline.it/, 9/3/2023

   Il partito di maggioranza “Sogno Georgiano” ritirerà il disegno di legge sugli “agenti stranieri” dopo giorni di proteste vibrate per le strade di Tbilisi, culminati in momenti di altissima tensione tra polizia e manifestanti. La legge avrebbe imposto a qualsiasi organizzazione, che ricevesse più del 20% dei propri finanziamenti dall’estero, di registrarsi come “agente straniero” per non andare incontro a pesanti multe.

   Migliaia di persone si sono mobilitate contro quella che percepiscono come una deriva autoritaria che potrebbe vanificare gli sforzi di Tbilisi per aderire all’Unione Europea. Mercoledì 8 marzo centinaia di poliziotti in tenuta antisommossa hanno usato cannoni ad acqua e gas lacrimogeni per disperdere la folla e più di 60 manifestanti sono stati arrestati davanti alla sede del parlamento. Il video di una donna che brandiva una bandiera dell’Unione Europea, colpita in pieno dal potente getto d’acqua degli idranti, è diventato virale sui social media. Poche ore dopo, il partito Sogno Georgiano ha dichiarato che ritirerà incondizionatamente il disegno di legge, citando la necessità di “ridurre il confronto” nella società. La delegazione dell’Unione europea nel paese ha accolto con favore l’annuncio, incoraggiando i leader politici in Georgia “a riprendere le riforme pro-UE, in modo inclusivo e costruttivo”.  (https://www.ispionline.it/, 9/3/2023)

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(Foto da https://www.balanicaucaso.org/: un anziano acanto al filo spinato sulla linea di confine de facto tra Georgia e Ossezia del Sud) – “(…) Le truppe russe hanno occupato il 20% del territorio georgiano dal loro intervento nel 2008 con il pretesto di proteggere le minoranze russe in due territori separatisti, l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud. Nel 2022, la guerra in Ucraina ha causato l’arrivo massiccio in Georgia di centinaia di migliaia di russi che volevano sfuggire alla mobilitazione, sconvolgendo la vita del paese, in un contesto di grande confusione a Tbilisi. (…)” (da “Le Monde”, Francia, 9/3/2023)

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da https://www.ispionline.it/, 9/3/2023:

SOGNO GEORGIANO?

Considerata per anni una ‘success story’ di democrazia e libertà nella regione del Caucaso, la Georgia sta rapidamente scivolando in basso nelle classifiche della democrazia globale. A preoccupare maggiormente è l’indipendenza giudiziaria e un sistema politico dominato da pochi potenti in una società in rapida trasformazione. Il tutto mentre la ‘questione russa’ – aggravata dalla guerra in Ucraina – resta uno dei nodi di fondo dell’arrancante democratizzazione del paese: dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la dichiarazione di indipendenza nel 1991, le regioni dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale – al confine con la Russia – divennero preda di conflitti separatisti. Tbilisi cercò di riannetterle nel 2008, innescando una guerra dagli esiti disastrosi per la Georgia, che si concluse con l’intervento e l’occupazione da parte delle truppe russe di un quinto del territorio nazionale. Da allora, le ambizioni filo-occidentali ed europeiste del paese e le sue speranze di aderire alla Nato sono di fatto congelate, mentre il consenso per i partiti filorussi, come Sogno Georgiano, al potere dal 2012, è notevolmente cresciuto. In molti ritengono che il suo fondatore, l’eccentrico miliardario Bidzina Ivanishvili, ne eserciti il ​​controllo, e che stia spingendo la Georgia verso l’orbita di Mosca. Nonostante il sostegno schiacciante all’Ucraina nell’opinione pubblica del paese, Tbilisi non si è unita all’Occidente nell’imporre sanzioni alla Russia.

…O SOGNO EUROPEO?

Lo scorso 24 giugno (2022, ndr) il sogno europeo di Tbilisi è sembrato sfumare quando, con una storica decisione, il Consiglio europeo ha deciso di concedere lo status di Paese candidato a Ucraina e Moldavia, lasciando invece fuori la Georgia. A pesare sullo stop di Bruxelles, che ha richiesto maggiori passi in avanti, sono stati soprattutto i ritardi nella riforma della giustizia e i progressi troppo lenti sul fronte della lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione, oltre al basso livello di libertà e pluralismo nei media. Il moltiplicarsi dei casi di corruzione nella classe dirigente, l’incarcerazione dell’ex premier Saak’ashvili e la persecuzione politica di alcuni leader dell’opposizione, sono alla base delle ragioni che hanno spinto Bruxelles a raggelare i desideri della Georgia.

   Bisogna guardare a quel fallimento politico per capire le proteste che in questi giorni stanno scuotendo il paese e che portano in piazza migliaia di persone che manifestano per veder riconosciute le loro aspirazioni europee. Nonostante l’annuncio del ritiro del disegno di legge, i membri dell’opposizione georgiana hanno dichiarato che anche oggi avrebbero organizzato una nuova manifestazione. “Non possiamo fermarci ora” ha detto Tsotne Koberidze, esponente dell’opposizione, che in conferenza stampa ha anche esortato le autorità a rilasciare tutti i manifestanti arrestati durante le proteste.  (https://www.ispionline.it/, 9/3/2023)

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(Mappa delle regioni della Georgia da https://it.wikivoyage.org/) – (…) Dal 2008, l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia sono regioni georgiane di fatto indipendenti. Situati al confine Nord del Paese, i due Territori sono popolati perlopiù da gruppi etnici iraniani e osseti che, fin dal periodo zarista, rivendicavano la propria distanza da Tbilisi.   Dopo alcuni tafferugli separatisti al termine della Guerra Fredda, la Russia inizia a esercitare la propria influenza sulle due piccole Regioni, fino a che, nel 2008, la tensione sfocia in uno scontro armato. Tbilisi arriva a bombardare TSKHINVALI, in Ossezia del Sud, mentre la Russia interviene inviando l’esercito, in una mossa che i georgiani considerano a pieno titolo un’invasione.   Dopo la firma di una tregua nell’agosto dello stesso anno, la situazione in Sud Ossezia e Abkhazia è in stallo.   Mosca e una manciata di piccoli Stati alleati riconoscono ad oggi l’indipendenza delle due Regioni, mentre Nazioni Unite, Nato e Unione Europea sostengono Tbilisi nel denunciare la campagna di influenza del Cremlino e l’appartenenza dei Territori alla Georgia. (…)” (da https://www.atlanteguerre.it/, 31/1/2023)

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da https://www.ispionline.it/, 9/3/2023:

TBILISI RICORDA KIEV?

È difficile non notare le somiglianze tra la situazione della Georgia e quella dell’Ucraina ante-guerra: entrambe sono ex repubbliche sovietiche, ‘intrappolate’ tra Oriente e Occidente, e che vedono una parte cospicua del proprio territorio nazionale occupato da movimenti indipendentisti sostenuti da Mosca. Per questo, il disegno di legge contro gli “agenti stranieri” nel paese ha fatto suonare più di un campanello d’allarme tra chi sottolinea le analogie con altre normative in vigore in Russia e Bielorussia, veri e propri ‘grimaldelli’ usati per cancellare il pluralismo e le voci della società civile.

   Anche le scene di migliaia di georgiani che sventolano le bandiere europee lungo viale Rustaveli, di fronte alla polizia antisommossa, ricordano la rivoluzione di Euromaidan in Ucraina. Era il 2013 e gli ucraini scesero in piazza per contestare la decisione dell’allora presidente Viktor Yanukovych di sospendere i colloqui di associazione con Bruxelles a favore di legami più stretti con la Russia. Quelle manifestazioni divennero violente alla fine di novembre 2013, e nel febbraio 2014 i cecchini aprirono il fuoco, uccidendo decine di ucraini. Yanukovich fu costretto a fuggire e il Cremlino inviò le truppe in Crimea. Mercoledì 8 marzo, nel suo consueto discorso serale, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha espresso solidarietà ai manifestanti, augurando al popolo georgiano un “successo democratico”: “Non c’è ucraino che non augurerebbe il successo alla nostra amica Georgia. Successo democratico. Successo europeo”.

IL COMMENTO

di Eleonora Tafuro Ambrosetti, ISPI Senior Research Fellow

“Oggi, i manifestanti georgiani hanno vinto una battaglia contro il governo, ma non certo la guerra. Il ritiro della proposta di legge, infatti, non garantisce che questa non torni ad essere discussa, né tantomeno indica un cambio di rotta del governo sul piano delle riforme democratiche caldeggiate da Bruxelles. La legge, infatti, è stata approvata nella prima delle tre letture richieste e non può essere semplicemente “revocata”, ma dovrebbe essere bocciata in seconda lettura. È probabile che le proteste riprendano se questo non dovesse succedere o se tutti gli oltre 130 manifestanti arrestati non dovessero essere rilasciati”

(da https://www.ispionline.it/, 9/3/2023)

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(foto: LE TRE BANDIERE dei manifestanti davanti al parlamento di Tbilisi, da Ansa.it) – Georgia, la vittoria dei manifestanti: il governo ha ritirato la legge liberticida “pro Putin” (la Repubblica, 11/3/2023) – ll voto era atteso per la prossima settimana, ma il governo, messo sotto pressione dai manifestanti, ha deciso di agire immediatamente –   La piazza georgiana ha vinto. Per ora. Il parlamento, in sessione straordinaria, ha votato sabato 11 marzo in seconda lettura contro il disegno di legge sugli “agenti stranieri” che aveva scatenato dure proteste, come promesso ieri in una nota del partito al potere “Sogno Georgiano” e del suo spin-off più radicale, “Potere del Popolo”. Il voto era atteso per la prossima settimana, ma il governo, messo sotto pressione dai manifestanti, ha deciso di agire immediatamente.

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Mappa dell’Ucraina e delle Repubbliche indipendenti del Caucaso meridionale (Georgia, Armenia, Azerbaigian) tratta da https://www.flapane.com/)

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IN GEORGIA UN FRAGILE SOGNO EUROPEO

da “Le Monde” (Francia), 9/3/2023

– Ottenendo il ritiro di un disegno di legge antidemocratico, gli europeisti hanno segnato un punto cruciale. Ma i leader georgiani devono ancora dimostrare la loro determinazione ad avvicinarsi all’Unione europea –

   Indebolita dalla regressione democratica e dalle conseguenze della guerra russa in Ucraina, la Georgia è ancora una volta in subbuglio. In uno scenario ormai familiare, questa piccola repubblica nel Caucaso meridionale, che faceva parte dell’URSS fino al 1991, è soggetta ai venti contrari della Russia e dell’Unione europea (UE). Gli europeisti hanno segnato un punto cruciale giovedì 9 marzo, ottenendo il ritiro di un disegno di legge antidemocratico sotto la pressione di grandi manifestazioni.

   Le truppe russe hanno occupato il 20% del territorio georgiano dal loro intervento nel 2008 con il pretesto di proteggere le minoranze russe in due territori separatisti, l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud. Nel 2022, la guerra in Ucraina ha causato l’arrivo massiccio in Georgia di centinaia di migliaia di russi che volevano sfuggire alla mobilitazione, sconvolgendo la vita del paese, in un contesto di grande confusione a Tbilisi.

   La vita politica è dominata dal miliardario Bidzina Ivanishvili, fondatore del partito di governo “Georgian Dream” (Sogno georgiano), che, nonostante le sue ripetute promesse di ritirarsi dalla politica, controlla ufficiosamente le principali leve del potere.

   L’appeal dell’UE tra la popolazione, tuttavia, è indiscutibile: secondo i sondaggi, oltre l’80% dei georgiani vuole che il proprio paese ne diventi membro. La Georgia ha presentato domanda di adesione un anno fa, ma Bruxelles si è astenuta dal concedere lo status di candidato all’Ucraina e alla Moldavia e ha fissato a Tbilisi una dozzina di condizioni da soddisfare prima di poter fare progressi.

   Martedì 7 marzo, l’adozione in prima lettura in Parlamento, a maggioranza, di un testo modellato sulla legge russa che impone alle associazioni finanziate per oltre il 20% da fondi stranieri di dichiararsi “agenti stranieri” è servita da scintilla, gettando migliaia di oppositori nelle strade per chiedere la cancellazione del testo.

   Nonostante la violenza delle operazioni di dispersione e gli arresti, i manifestanti si sono riuniti di nuovo mercoledì sera, più numerosi. Questa mobilitazione popolare è riuscita a piegare il partito di governo, che giovedì mattina ha annunciato di “ritirare incondizionatamente” il disegno di legge.

   Questa è una vittoria per le forze democratiche ed europeiste in Georgia. Qualificato come “legge russa” dall’opposizione, il testo simboleggiava il preoccupante declino dello stato di diritto che ostacola l’ambizione europea del paese. In aggiunta alla pressione della società civile, le reazioni dell’Occidente all’adozione del disegno di legge sono arrivate al momento giusto: il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, aveva giudicato mercoledì il disegno di legge “incompatibile con i valori dell’Ue”, e gli Stati Uniti, “profondamente preoccupati”, si erano dichiarati “solidali” con i manifestanti.

   La presidente della Georgia, Salome Zourabichvili, sebbene eletta con il sostegno di “Georgian Dream”, aveva chiesto l’abrogazione della legge che, secondo lei, “allontanava la Georgia dall’Unione europea”.

   Tuttavia, la situazione rimane fragile. L’UE deve oscillare tra la richiesta a Tbilisi di compiere progressi nel lavoro richiesto dalle condizioni stabilite da Bruxelles e il rischio, se il divario si allarga, di lasciare il campo aperto alle influenze russe. Ma spetta prima ai leader georgiani dimostrare la loro determinazione ad aderire all’Europa, mettendo ordine nei loro ranghi e lavorando seriamente per il ripristino dello Stato di diritto. (da “Le Monde” (Francia), 9/3/2023)

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(TBILISI, capitale della GEORGIA, foto da https://siviaggia.it/) – Tbilisi è l’affascinante capitale della Georgia, che, con una popolazione di oltre un milione di abitanti, è anche il principale centro urbano dell’ex nazione sovietica. Questa bellissima città è attraversata dal fiume Mtkvari ed è caratterizzata da una storia antichissima, che affonda le sue radici nei primi secoli dopo Cristo, quando il sovrano Vakhtang I Gorgasali fondò Tbilisi in un’area precedentemente immersa nella foresta.   La capitale della Georgia rappresenta la perfetta fusione tra Oriente e Occidente, tra antico e moderno: le sue strade raccontano di un antico e progressivo stratificarsi di influenze e di impollinazioni culturali, tuttora rintracciabili negli storici edifici e nelle rovine sparse sul suo territorio. (tratto da https://siviaggia.it/)

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UE: LA RIFORMA DEI TRATTATI – “Rispettare la volontà dei Cittadini e della Conferenza sul futuro dell’Europa”. PETIZIONE AL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA (da MFE, Movimento Federalista Europeo) –  Ad un anno dall’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia è ormai evidente che il corso della politica mondiale è radicalmente cambiato, e che gli Europei devono attrezzarsi per potervi far fronte.   In sintesi, è necessario e urgente che l’Unione europea sia dotata delle competenze, dei poteri decisionali e delle risorse indispensabili per poter garantire la nostra sicurezza, per assicurarsi un ruolo di peso sul piano internazionale, per far fare politiche efficaci in campo migratorio, economico, energetico, tecnologico, industriale, sanitario.   Le richieste elaborate dai Cittadini e discusse con i rappresentanti delle istituzioni europee e nazionali nel quadro della Conferenza sul futuro dell’Europa (CoFoE) hanno affrontato tutti questi temi e identificato anche una serie di punti su cui è indispensabile riformare i Trattati per rendere l’Unione europea più capace di agire e più democratica nel suo funzionamento politico-istituzionale, in modo da stabilire un rapporto diretto con i cittadini europei sul modello che caratterizza ogni governo democratico.   Ora, mentre il Parlamento europeo sta elaborando le proposte per cambiare i Trattati come emerso dalla CoFoE dobbiamo tutti pretendere, come cittadini e come Europei, che il Consiglio – ossia i governi nazionali – non blocchino questo processo da cui dipende il nostro futuro!

Sito della petizione: https://bit.ly/TreatyReformNow_ITA – Modulo di firma della petizione:

www.mfe.it/petizione

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L’intervista all’ex presidente della GEORGIA

SAAKASHVILI “STO MORENDO MA KIEV VINCERÀ LA GUERRA E LA GEORGIA SARÀ SALVA”

di Isabelle Lasserre, LE FIGARO, da “la Repubblica” del 14/3/2023

– La generazione che manifesta in piazza a Tbilisi non vuole sottostare ai diktat del Cremlino – MIKHEIL SAAKASHVILI, ex leader in carcere; nel 2004 il leader della Rivoluzione delle rose diventa presidente, dopo che le manifestazioni pacifiche portano alle dimissioni di Shevardnadze. Resta in carica fino al 2013. Nel 2015 diventa governatore di Odessa. Dopo 18 mesi denuncia la corruzione e si dimette. Nel 2017 Kiev gli revoca la cittadinanza. Privato già di quella georgiana quando aveva prestato fedeltà all’Ucraina, si ritrova apolide. Nel 2021 torna in Georgia nascosto in un traghetto per sostenere l’opposizione ma viene arrestato con diverse accuse di abuso di potere relative al suo operato presidenziale e condannato a sei anni di carcere –

   L’ex presidente riformista ed europeista Mikheil Saakashvili è stato incarcerato dalle autorità georgiane nell’ottobre del 2021, al rientro nel suo Paese dopo otto anni di esilio. Privato di cure mediche e avvelenato, a quanto afferma lui, dagli agenti filorussi del potere georgiano diretto nell’ombra dall’oligarca Bidzina Ivanishvili, vicino al Cremlino; ha perso 50 chili in un anno. I medici temono per la sua vita. Le sue parole sono state raccolte per iscritto grazie a un intermediario che fa a fargli visita tutti i giorni. Dal letto d’ospedale, l’ex presidente ha risposto alle domande del Figaro.

Come sta?

«La mia salute si degrada in modo lento e costante. Sono arrivato allo stadio in cui i medici si aspettano che diversi organi cedano. Passo tutto il tempo a letto, perché non riesco più ad alzarmi. Le mie ossa si stanno disintegrando e questo mi provoca dolori atroci».

Chi l’ha avvelenata?

«I russi attraverso i loro agenti in Georgia. Ricordo il giorno in cui mi hanno avvelenato; ho avvertito i sintomi e da allora la mia salute si è degradata in modo terrificante».

Stiamo assistendo a un Majdan georgiano a Tbilisi?

«Sì. La gente ha cominciato a organizzarsi quando ha capito che la legge imposta dal governo era un punto di non ritorno per il cammino europeo della Georgia».

Spera in una nuova rivoluzione in Georgia?

«Sì, i georgiani che manifestano sono nati dopo la Rivoluzione delle Rose, quando la corruzione era stata sradicata, non si conosceva la fame e il governo georgiano non tendeva verso la Russia. È una generazione che non vuole più sottostare ai diktat del Cremlino».

Lei pensa che la legge sugli “agenti esteri” sia stata varata su ordine diretto di Mosca? Continua a leggere

SICCITA’: la causa principale è il Cambiamento Climatico, ma ci si accorge dello Spreco individuale di acqua; della sua scarsa Conservazione; di Agricoltura e Industria con eccessivo utilizzo di questo bene prezioso; nonché di governi che allargano i laghi artificiali (per l’energia, il turismo…) (necessita un Ministero dell’Acqua?)

(Emergenza siccità: il Garda è ai minimi storici, scorte idriche a rischio: L’ISOLA DEI CONIGLI è diventata una PENISOLA, raggiungibile a piedi – foto da https://www.bresciatoday.it/) – CHE COSA STA SUCCEDENDO IN ITALIA? – Le Alpi con poca nevela pianura Padana a secco, i fiumi e i laghi del centro Italia anche loro in difficoltà. E poi, di contro, un sud Italia che di acqua ne ha in abbondanza. Gli eventi meteorologici di questo inverno hanno creato una situazione particolare per l’Italia, quasi spaccata in due: siccità nelle regioni settentrionali, con previsioni che sfiorano il drammatico per l’agricoltura, e un Mezzogiorno che invece dovrebbe arrivare all’estate senza soffrire particolarmente il problema. (…)” (Simone Santi, da https://www.lifegate.it/, 28/2/2023)

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(MAPPA SICCITA DEL CNR: in rosso le zone più colpite, al 6 marzo 2023 – immagine da https://www.ilmeteo.it/) –
FINE MARZO 2023: METEO: GRANDI PIOGGE E STOP SICCITÀ??
6/03/2023, di MATTIA GUSSONI (Meteorologo), da https://www.ilmeteo.it/
Il problema della siccità è sempre più preoccupante in Italia. Solo il ritorno delle grandi piogge (tipiche della Primavera, quanto meno un tempo) potrebbe salvarci, cambiando una situazione che rischia di degenerare. Tuttavia, gli ultimi aggiornamenti meteo non sono affatto benevoli da questo punto di vista, almeno non nell’immediato.  L’estrema stabilità e l’aumento delle temperature stanno acuendo un grave pericolo per l’Italia: il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) ha confermato infatti il rischio siccità su molte regioni. Il 2023 si è aperto sulla scia di oltre un anno di siccità e temperature record non solo in Italia, ma su diversi Paesi europei. A livello italiano è ancora il Nord ad essere sotto la morsa di una siccità che risale al 2021 e che le precipitazioni dell’ultimo periodo non sono ancora riuscite a colmare in quanto concentrate principalmente al Centro-Sud.   Come possiamo vedere dalla cartina qui sopra quasi metà del territorio del Piemonte risulta ancora affetto da deficit di pioggia severo-estremo di lunghissimo periodo, ma anche le atre regioni settentrionali si attestano intorno al 30% (quasi al 45% la Valle d’Aosta e al 20% il Triveneto). Non se la passano meglio in Sicilia e sui settori ionici della Calabria dove la mancanza di piogge inizia a farsi sentire.  Purtroppo, nelle prossime settimane non sono previste perturbazioni in grado di apportare precipitazioni di rilievo e continuative a scala nazionale, almeno per tutta la prossima settimana. Ci saranno solo alcuni brevi passaggi perturbati su alcune regioni il cui effetto sarà piuttosto blando sul fronte siccità.
Uno sblocco a livello meteo potrebbe avvenire solo verso la fine di Marzo quando la ripresa del flusso instabile in discesa dal Nord Europa potrebbe innescare fasi di maltempo. Vedremo se questa tendenza verrà confermata: il rischio è che possa all’improvviso cadere tutta la pioggia che non è scesa negli ultimi mesi, magari nel giro di poche ore/giorni, innescando pericolose alluvioni lampo, come la storia recente ci insegna (Marche 2022).
(6/03/2023, di MATTIA GUSSONI, Meteorologo, da https://www.ilmeteo.it/)
SICCITÀ, L’ALLARME DELL’ANBI (Associazione Nazionale Bonifiche Irrigazione: l’associazione dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio e acque irrigui): “NON DIAMO PER SCONTATA L’ACQUA DAI RUBINETTI” – Cambiamento climatico: lo studio di Faranda, Bulut e Pascale, edito nel febbraio 2023 – “(…) Per accertare eventuali rapporti di causa ed effetto servono studi appositi. Nel caso della siccità che da più di un anno sta colpendo il Nord Italia oltre che la Francia, la Svizzera e altre regioni europee, causando molti problemi sia al settore agricolo che a quello della produzione di energia, ne è stato pubblicato uno da poco: dice che il cambiamento climatico l’ha aggravata.   Semplificando i risultati dello studio, è emerso che siccità analoghe a quella di questi mesi erano meno estese geograficamente e meno lunghe: il riscaldamento globale sembra aver ampliato le zone di alta pressione e causato una maggiore evaporazione dell’acqua dal suolo e dalle piante.   Lo studio è stato pubblicato il 28 febbraio dalla rivista Environmental Research Letters ed è stato realizzato da due ricercatori del Centre national de la recherche scientifique (CNRS), l’analogo francese del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) italiano, Davide Faranda e Burak Bulut, e uno dell’Università di Bologna, Salvatore Pascale. (…)” (Ludovica Lugli, da IL POST.IT del 4/3/2023 https://www.ilpost.it/)

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LA SICCITÀ NEL NORD ITALIA SEMBRA LEGATA AL CAMBIAMENTO CLIMATICO

di Ludovica Lugli, da IL POST.IT del 4/3/2023 https://www.ilpost.it/

– Non è banale accertare un rapporto di causa ed effetto tra il riscaldamento globale e un fenomeno del genere, ma uno studio l’ha trovato –

   È ormai risaputo che il cambiamento climatico causa un aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi meteorologici estremi, come alluvioni e siccità, ma per la comunità scientifica non è immediato ricondurre un singolo fenomeno di questo tipo all’aumento della concentrazione atmosferica di gas serra.  Per accertare eventuali rapporti di causa ed effetto servono studi appositi. Nel caso della siccità che da più di un anno sta colpendo il Nord Italia oltre che la Francia, la Svizzera e altre regioni europee, causando molti problemi sia al settore agricolo che a quello della produzione di energia, ne è stato pubblicato uno da poco: dice che il cambiamento climatico l’ha aggravata.

   Semplificando i risultati dello studio, è emerso che siccità analoghe a quella di questi mesi erano meno estese geograficamente e meno lunghe: il riscaldamento globale sembra aver ampliato le zone di alta pressione e causato una maggiore evaporazione dell’acqua dal suolo e dalle piante.

   Lo studio è stato pubblicato il 28 febbraio (2023) dalla rivista Environmental Research Letters ed è stato realizzato da due ricercatori del Centre national de la recherche scientifique (CNRS), l’analogo francese del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) italiano, Davide Faranda e Burak Bulut, e uno dell’Università di Bologna, Salvatore Pascale, che fa parte del gruppo di ricerca di fisica atmosferica del dipartimento di fisica e astronomia “Augusto Righi”. Lo studio rientra nella cosiddetta attribution science, letteralmente “scienza dell’attribuzione”: è la branca della climatologia sviluppatasi a partire dal 2004 che indaga i rapporti tra il cambiamento climatico ed eventi meteorologici specifici, sviluppando metodi per trovare eventuali collegamenti.

   «Abbiamo deciso di analizzare questa siccità per due ragioni», spiega Faranda: «Prima di tutto per la sua grande estensione geografica, dato che in passato eravamo abituati a siccità che interessavano solo l’Italia, o parte d’Italia, oppure la Francia e l’Inghilterra, oppure la penisola iberica. Poi perché per l’IPCC [il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’ONU] c’è una mancanza di studi sulle cause delle siccità nell’Europa occidentale». (Ludovica Lugli, da IL POST.IT del 4/3/2023 https://www.ilpost.it/)

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(la situazione dell’ACQUA nel pianeta, mappa ripresa da https://wenfo.org/globalwater/) – “(…) Oltre ad essere disastri naturali a sé stanti, le ondate di caldo e le temperature insolitamente elevate influenzano anche il ciclo dell’acqua. Nel 2022, intense ondate di caldo in Europa e in Cina hanno portato alle cosiddette “siccità improvvise”. Queste si verificano quando l’aria calda e secca provoca la rapida evaporazione dell’acqua dal suolo e dai sistemi idrici interni.   Nella scorsa estate molti fiumi in Europa si sono prosciugati, esponendo manufatti nascosti per secoli.   L’aria non solo sta diventando più calda, ma anche più secca, quasi ovunque. Ciò significa che le persone, le colture e gli ecosistemi hanno bisogno di più acqua per rimanere in salute, aumentando ulteriormente la pressione sulle risorse idriche. L’aria secca significa anche che le foreste si seccano più velocemente, aumentando la gravità degli incendi boschivi. Nel 2022, gli Stati Uniti occidentali hanno subito gravi incendi a gennaio, nel mezzo dell’inverno dell’emisfero settentrionale. (…)” (Renato Sansone, da https://www.geomagazine.it/, 16/1/2023)

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Ludovica Lugli, da IL POST.IT del 4/3/2023 https://www.ilpost.it/

   La siccità in corso è una siccità idrologica, a cui cioè è associata una riduzione delle acque presenti nei corsi d’acqua, nei laghi e nelle falde sotterranee, e al tempo stesso una siccità agricola, che ha cioè ripercussioni sulle coltivazioni. Non è dovuta solo a una carenza di precipitazioni molto estesa nel tempo, ma anche a temperature più alte della norma che, in associazione al prolungato bel tempo, hanno portato a un aumento della quantità d’acqua che evapora dal terreno e traspira dalle piante (evapotraspirazione). Dunque per analizzarla non basta tener conto unicamente di un’analisi delle precipitazioni, ma anche della temperatura e della risposta del suolo alla mancanza di pioggia.

   «Ci sono eventi meteorologici che sono più facilmente attribuibili al cambiamento climatico», dice Pascale: «Ad esempio le ondate di calore: a causa del riscaldamento globale, è intuitivo e logico aspettarsi che aumentino le probabilità che si verifichino questi fenomeni. La componente delle precipitazioni è più complessa da studiare e nelle siccità, che dipendono da diverse variabili, il nesso non è diretto, bisogna dipanare la matassa con attenzione».

   Faranda, Pascale e Bulut hanno tenuto conto dei tre fattori coinvolti usando un indice che li contempla tutti e diventa negativo in condizioni di siccità. Poi hanno studiato la circolazione atmosferica, cioè l’alternarsi delle condizioni di alta pressione (associata al bel tempo) e bassa pressione (brutto tempo), dal dicembre del 2021 all’agosto del 2022 nelle aree in cui l’indice della siccità era negativo, e hanno trovato un’associazione tra le zone di alta pressione e le zone più colpite dalla siccità.

   Successivamente hanno utilizzato una serie di dati meteorologici che partono dal 1836 per cercare distribuzioni di alta pressione analoghe a quelle del periodo 2021-2022 preso in considerazione. Nel farlo hanno distinto i casi precedenti al 1915, cioè relativi a un periodo storico in cui non si vedevano ancora effetti sul clima dell’aumento della concentrazione di gas serra nell’atmosfera, e quelli successivi al 1942.  «Abbiamo visto che le siccità simili c’erano anche prima, ma interessavano solo parte della Francia e dell’Inghilterra ed erano meno intense, sia in termini di carenza di precipitazioni che di evapotraspirazione», racconta Faranda. (Ludovica Lugli, da IL POST.IT del 4/3/2023 https://www.ilpost.it/)

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(La Nina altera il clima terrestre e determina eccessi meteo, immagine da https://www.meteo2.it/) – (La NIÑA è una esaltazione delle normali condizioni del Pacifico. Laddove le acque sono più calde diventano ancora più calde, mentre dove sono più fredde, nel Pacifico centrale e orientale, si raffreddano ulteriormente. Immagine da Wikipedia) – Il 2022 è stato caratterizzato dal terzo anno di “La Niña”, l’evento che consente il raffreddamento delle acque nel Pacifico tropicale centrale e orientale e il riscaldamento nel Pacifico occidentale. Un evento insolito, ma non senza precedenti. Un fenomeno che rafforza gli alisei orientali, portando la pioggia nel sud-est asiatico e in Australia. (…) Le inondazioni più devastanti si sono verificate in Pakistan, dove circa 8 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case a causa di massicce inondazioni lungo il fiume Indo.   L’Australia ha anche subito gravi eventi alluvionali (…).   Com’è tipico per La Niña, la pioggia è stata molto meno abbondante dall’altra parte dell’Oceano Pacifico. Una siccità pluriennale negli Stati Uniti occidentali e nel centro del Sud America ha visto i laghi scendere ai minimi storici. Un altro anno di siccità ha inoltre decimato i raccolti e portato a un rapido peggioramento della situazione umanitaria nel Corno d’Africa. (Renato Sansone, da https://www.geomagazine.it/, 16/1/2023)

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Ludovica Lugli, da IL POST.IT del 4/3/2023 https://www.ilpost.it/

   Tuttavia non basta verificare che un fenomeno sia stato diverso rispetto ad altri analoghi passati per dire che sia legato al cambiamento climatico.

   «Ciò che serve per poter attribuire la causa al cambiamento climatico è un meccanismo fisico che leghi i due fenomeni», continua Faranda: «In questo caso è quello che per semplificare abbiamo chiamato “effetto mongolfiera”: con le emissioni di gas serra facciamo aumentare la temperatura dell’atmosfera e, dato che nei gas la temperatura è legata alla pressione in maniera proporzionale, se aumentiamo la temperatura aumentiamo anche la pressione, proprio come succede nel pallone di una mongolfiera».

   In questa similitudine alla mongolfiera corrisponde la zona di alta pressione nell’atmosfera, l’anticiclone: «Arriva nella tropopausa [lo strato di atmosfera che separa la troposfera, in cui avvengono i fenomeni meteorologici, dalla stratosfera, più in alto], e si espande. Per questo questa siccità ha inglobato più aree geografiche e in particolare l’Italia del nord rispetto al passato».

   Pascale precisa che queste considerazioni non valgono per tutti gli episodi di siccità che ci sono stati in Italia in anni recenti, come quello del 2017, ma solo per le caratteristiche di questa specifica siccità: per le altre bisognerebbe fare studi appositi. In quella che stiamo attraversando in particolare «è molto forte l’evapotraspirazione, cioè il grado con cui il terreno si secca: avviene molto più in fretta rispetto all’Ottocento per l’aumento delle temperature».

   Secondo il climatologo Maurizio Maugeri, professore dell’Università Statale di Milano e presidente del corso di laurea magistrale in “Environmental Change and Global Sustainability”, che non ha partecipato allo studio, è una ricerca «originale, sicuramente solida» che è stata pubblicata peraltro su «un’ottima rivista» per il settore: «I risultati più importanti di questo lavoro mettono in evidenza non tanto che queste condizioni si presentano in modo più frequente negli anni più recenti rispetto all’andamento storico ma che, quando si presentano, sanno essere “più estreme”, “più cattive”».

   Maugeri sottolinea l’importanza del dato sull’evapotraspirazione: «Anche qualora le precipitazioni non fossero cambiate in nessun modo da 200 anni fa a oggi, il fatto che faccia più caldo causa una maggiore evaporazione, quindi l’acqua che abbiamo a disposizione nelle nostre riserve è minore». L’aumento dell’evapotraspirazione è stato oggetto anche di altri studi, tra cui uno a cui ha lavorato lo stesso Maugeri e dedicato al bacino del fiume Adda, che scorre in Lombardia, dalle Alpi Retiche al Po: «Per i 170 anni di cui abbiamo dati, le piogge si sono ridotte grosso modo del 5 per cento, quindi pochissimo, mentre le portate dell’Adda si sono ridotte del 20 per cento». (Ludovica Lugli, da IL POST.IT del 4/3/2023 https://www.ilpost.it/)

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(Siccità anomala invernale in Europa, mappa al 16/2/2023 tratta da https://meteobook.it/) – “(…) Il cambiamento climatico non è l’unico responsabile del grave squilibrio del ciclo dell’acqua. C’è stato un COSTANTE AUMENTO DEL VOLUME DEI LAGHI IN TUTTO IL MONDO. Ciò è dovuto principalmente alla costruzione e all’ampliamento di dighe da parte dei governi, al fine di garantire l’accesso all’acqua, modificando i flussi dei fiumi a valle. (…)” (Renato Sansone, da https://www.geomagazine.it/, 16/1/2023)

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Ludovica Lugli, da IL POST.IT del 4/3/2023 https://www.ilpost.it/

   Anche per Federico Grazzini, meteorologo dell’Agenzia regionale per la prevenzione, l’ambiente e l’energia dell’Emilia-Romagna (Arpae) e ricercatore all’Università di Monaco di Baviera, lo studio di Faranda, Pascale e Bulut «è importante» e l’approccio su cui è basato è «promettente, può essere usato anche per altri eventi»: «L’Italia è sul fronte del cambiamento climatico più di altri paesi e quindi dovrebbe essere “in prima linea” nel produrre questo tipo di elaborazioni. Però non siamo produttivi come altri paesi».

   Ramona Magno, ricercatrice dell’Istituto per la BioEconomia del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) e coordinatrice scientifica dell’Osservatorio Siccità, ricorda che in generale, da varie ricerche, sappiamo che nella zona del Mediterraneo il cambiamento climatico sta esacerbando gli eventi estremi: è già stato osservato un aumento sia nella frequenza che nell’intensità delle ondate di calore e delle siccità, e secondo le proiezioni aumenteranno ancora. Le cose sono meno chiare invece per quanto riguarda l’influenza del riscaldamento globale sulle circolazioni atmosferiche che riguardano l’Europa, ma come mostra anche lo studio sulla siccità del 2022 si vede che ci sono dei cambiamenti in atto.

   Per quanto riguarda la situazione attuale e quella dei prossimi mesi, «le recenti perturbazioni e i recenti abbassamenti di temperatura sono importanti perché “fanno tirare il fiato”, limitano un po’ le condizioni di deficit di precipitazione», spiega Magno, soprattutto nel Piemonte occidentale, la zona che più ha sofferto finora per la siccità. Tuttavia «le precipitazioni hanno interessato soprattutto il centro Italia» e «se non saranno continue e distribuite anche su periodi successivi, non saranno sicuramente sufficienti a colmare del tutto il deficit che si è formato al nord Italia, soprattutto nel nord-ovest».

   Le previsioni stagionali fatte da vari centri meteorologici europei dicono che nei prossimi tre mesi «con buona probabilità, tra il 40 e il 60 per cento, le temperature medie saranno superiori a quelle del periodo 1991-2020», mentre i modelli sono discordanti per quanto riguarda le precipitazioni: «Nel complesso le precipitazioni potrebbero essere in media, quindi potrebbe piovere come al solito in questo periodo, però siccome il deficit accumulato in alcune zone d’Italia è notevole, potrebbero non essere sufficienti».

   Insomma la siccità potrebbe proseguire. E un’estate di siccità che segue un’estate di siccità è più grave, soprattutto per le colture che richiedono molta acqua, come il riso e il mais.

   «Magari arriva una perturbazione, ma se è un momento passeggero il suolo non riesce a rimettersi in sesto», riassume Faranda: «È come quando una persona è depressa: ogni tanto vive un momento di felicità, però rimane sostanzialmente nello stesso stato e nel tempo si aggrava. La vegetazione è un po’ come un essere umano: non vive i nostri stessi tipi di stress, vive lo stress idrologico, ma c’è una similitudine. Alla lunga, dopo anni di siccità, la vegetazione non riesce più ad adattarsi e muore. E bisogna pensare di cambiare le colture». (Ludovica Lugli, da IL POST.IT del 4/3/2023 https://www.ilpost.it/)

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RAPPORTO SULL’ACQUA NEL MONDO NEL 2022: vedi su https://wenfo.org/globalwater/2022report/)

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(foto del fiume PO, da “la provincia di Cremona”, https://www.laprovinciacr.it/) – SICCITÀ, VIA LIBERA AL COMMISSARIO STRAORDINARIO E ALLA CABINA DI REGIA -Palazzo Chigi sdogana un pacchetto di misure per fronteggiare l’emergenza acqua – Via libera da Palazzo Chigi alle misure straordinarie per la crisi idrica. Lo annuncia il governo in un comunicato annunciando l’imminente nomina di COMMISSARIO STRAORDINARIO con poteri esecutivi rispetto a quanto programmato dalla Cabina di regia istituita con tutti i ministeri interessati per definire un PIANO IDRICO STRAORDINARIO nazionale d’intesa con le Regioni e gli Enti territoriali per individuare le priorità di intervento e la loro adeguata programmazione, anche utilizzando nuove tecnologie. (…) Ha annunciato anche un provvedimento normativo urgente che contenga semplificazioni e deroghe e che acceleri sui lavori essenziali per fronteggiare la siccità. Infine sarà lanciata una campagna di sensibilizzazione sull’USO RESPONSABILE DELLA RISORSA IDRICA. (…) (da “il Sole 24ore del 1/3/2023)

PERCHÉ NON PIOVE PIÙ, O PIOVE TROPPO: LA CRISI CLIMATICA E I SUOI EFFETTI

di Giacomo Talignani 20/2/2023 da https://www.repubblica.it/green-and-blue/

– Il paradosso meteorologico che vede Brasile e Nuova Zelanda sott’acqua; Italia, Argentina e Kenya in sofferenza per l’assenza di risorse idriche. Ecco come il riscaldamento globale e La Niña stanno cambiando gli equilibri –

   Troppa acqua o troppo poca. La fotografia attuale del pianeta Terra, osservabile anche dai satelliti, a inizio anno mostra un mondo diviso in due tra eventi di siccità estrema – come in Argentina, Italia, centro Europa o Corno d’Africa – e alluvioni devastanti che dalla Nuova Zelanda sino al Brasile stanno sconvolgendo la vita di milioni di persone.
   Perché in alcune aree non nevica? O perché piove troppo? Quanto incide la crisi climatica? Nel tentativo di rispondere a queste domande va detto che nelle condizioni estreme che stiamo vivendo anche nel 2023 appena iniziato c’è quasi sempre di mezzo lo zampino del riscaldamento globale innescato dall’uomo che sta amplificando l’intensità dei fenomeni meteo, anche se in alcuni casi a incidere maggiormente possono essere i fenomeni oscillatori come La Niña o El Niño.

Alluvioni in Brasile e Nuova Zelanda

In Brasile per esempio nelle ultime ore le piogge sempre più intense nelle zone costiere del sud est stanno causando inondazioni e frane, con quasi quaranta vittime già accertate, l’evacuazione di centinaia di persone in corso nello stato di San Paolo e diversi eventi del famoso Carnevale annullati in varie città dove erano attesti migliaia di turisti. In un solo giorno sono caduti oltre 600 mm di pioggia, fra le quantità più alte per il Brasile in questa stagione e registrate in così poche ore: il 50% dei disastri naturali nel Paese sudamericano è solitamente legato alle alluvioni e in questo caso è ancora presto per comprendere quanto la crisi del clima abbia inciso. Diversi studi però hanno trovato in passato una forte correlazione tra precipitazioni estreme e cambiamento climatico: per esempio le inondazioni letali del 2020 nella regione del Minas Gerais sono state rese più probabili del 70% dal riscaldamento indotto dall’uomo.

   Anche la Nuova Zelanda sta vivendo giorni drammatici tra massicce inondazioni e il ciclone Gabrielle.  Dodici le vittime, migliaia di persone senza elettricità e numerosi danni a case e infrastrutture: in questo caso il ministro del Cambiamento climatico, James Shaw, si è sbilanciato indicando la crisi del clima come principale causa della potenza delle alluvioni. Per gli scienziati neozelandesi parte degli impatti più potenti dei fenomeni meteo, compresi i cicloni, potrebbe essere legato ad acque oceaniche sempre più calde e un rilascio di energia maggiore e più duraturo rispetto al passato.

Siccità intensa in Argentina e in Italia

L’Argentina, così come il vicino Cile toccato da incendi devastanti, sta invece sperimentando un livello di siccità tra i peggiori degli ultimi 60 anni. Il fiume Paranà è a livelli bassissimi, con giganteschi impatti ad esempio sulla produzione di energia idroelettrica, ma è soprattutto l’agricoltura ad essere in ginocchio: crollano i raccolti di soia, mais e grano e il mercato degli allevamenti. I produttori potrebbero subire un danno economico stimato in oltre 10 miliardi di dollari con gravissime ripercussioni su una economia nazionale che si basa sul reddito delle zone rurali.

   Studi che hanno analizzato i dettagli degli ultimi dodici mesi di siccità in Argentina sostengono però che la crisi del clima non è la causa principale della carenza d’acqua. Certo, amplifica i fenomeni meteo, ma ad incidere sarebbe stata soprattutto La Niña, evento climatologico che aumenta la probabilità di temperature elevate e precipitazioni inferiori nella regione e che si è verificato per il terzo anno consecutivo. Le intense ondate di caldo aumentano i livelli di evapotraspirazione, riducendo la quantità di umidità disponibile nei suoli e peggiorando gli impatti sulle colture.

   La combinazione degli effetti de La Niña e della crisi climatica è anche quella che sta stravolgendo la vita di milioni di persone nel Corno D’Africa dove dal Kenya alla Somalia si sta sperimentando la siccità più estrema degli ultimi 40 anni e che non accenna a finire, portando morte e fame. Nel frattempo, poco più a sud, in questi giorni è allarme anche per il ciclone Freddy, di categoria 4, che potrebbe portare morte e devastazione in Madagascar.

L’Italia a secco

Anche l’Italia sta sperimentando in questo inizio anno una siccità preoccupante, soprattutto per risorse idriche e raccolti, tale da far pensare che se non arriveranno piogge a primavera potremmo toccare livelli peggiori del 2022, quando la siccità estiva fece 6 miliardi di danni per l’agricoltura (stime Coldiretti).

   Il Po in alcune zone è in secca (-3,3 metri rispetto allo zero idrometrico nel piacentino), il Lago di Garda a livelli quasi mai visti durante l’inverno e a metà febbraio nello Stivale si registra quasi la metà della neve media attesa in meno, raccontano i dati della Fondazione Cima. Al Nord, sul bacino del Grande Fiume, i deficit in termini di neve sono ormai del 61% e in Piemonte, come mostrano le mappe del servizio Hydrology IRPI-CNR, l’assenza di precipitazioni è davvero drammatica: non piove in maniera insistente e duratura da oltre 400 giorni.

   Già, ma quali sono i motivi per cui non piove  o nevica in Italia e quanto incide la crisi del clima?
In questi giorni a portare temperature più elevate e tempo stabile è stato l’anticiclone che in diverse zone di Europa ha fatto registrare anche in quota temperature intorno ai 20 gradi.
   Antonello Pasini, fisico del clima del Cnr, spiega a Green&Blue che “l’aumento del riscaldamento globale di origine antropica fa in qualche modo cambiare non solo le temperature medie ma anche la circolazione.  Nel Mediterraneo è successo proprio questo: la circolazione che prima era da ovest a est quasi sempre – o con gli anticicloni delle Azzorre o con le perturbazioni di origine atlantica – ora si è portata sempre di più sulla direttrice sud-nord e viceversa.

   Come impatta tutto ciò? Per esempio sulle Alpi nevica se arriva aria da sud, ma adesso l’aria che giunge dalla circolazione sud-nord è più calda di prima e questo fa sì che nevichi solo a quote più elevate o che cambino le perturbazioni. Di conseguenza perdiamo 300-400 metri di neve, ovvero diciamo addio alle risorse idriche per esempio fondamentali per il Po e la Pianura Padana, che ricordiamo dipendono più dalla neve che dalla pioggia. Quando invece arrivano le circolazioni da nord queste finiscono per impattare sulle Alpi e la conseguenza è che non nevica da noi ma sul versante est europeo. A mio avviso dunque la siccità che si sta configurando in Italia è legata a questi cambi di circolazione, fenomeni collegati al riscaldamento globale”.

   La conferma è anche in uno studio portato avanti dai ricercatori dell’Università di Bologna e del CNRS francese e pubblicato su Environmental Research Letters, che ha analizzato la siccità italiana del 2022 con conclusioni simili: “Persistenti condizioni anticicloniche e il riscaldamento globale antropico hanno avuto un ruolo importante nell’esacerbare l’eccezionale siccità che ha colpito l’Europa occidentale e l’Italia nel 2022″.

   Come spiega Salvatore Pascale del Centro per la Sostenibilità e i Cambiamenti Climatici della Bologna Business School l’anomalia anticiclonica persistente sull’Europa occidentale è stata “esacerbata dal cambiamento climatico causato dall’uomo, con anomalie di pressione atmosferica più grandi e più estese e temperature più elevate alla superficie. Questo ha portato ad un aumento della zona colpita dalla siccità e ad un’intensificazione dell’aridificazione del suolo attraverso l’evapotraspirazione“.

   Un mix di fattori, legati al cambio di circolazione e l’impatto della crisi climatica, che secondo il gruppo leader mondiale nell’analisi dei rischi fisici in relazione al clima XDI (The Cross Dependency Initiative), sta colpendo soprattutto il Nord e il Nord-ovest italiano. In un report appena pubblicato viene infatti indicato come VenetoLombardia Emilia-Romagna siano oggi al quarto, quinto e ottavo posto della classifica delle regioni europee in assoluto più esposte agli eventi meteorologici estremi e al cambiamento climatico. (Giacomo Talignani 20/2/2023 da https://www.repubblica.it/green-and-blue/)

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(nell’immagine: IL CICLO DELL’ACQUA, da https://www.geomagazine.it/) – “(…) Non è la pioggia a far crescere gli alberi, ma sono gli alberi a creare la pioggia, come ci ricordano queste parole di Fukuoka: “È stato in un deserto americano che improvvisamente mi sono accorto che la pioggia non cade dal cielo, ma viene dalla terra. La formazione dei deserti non è dovuta alla mancanza di pioggia, ma la pioggia smette di cadere perché la vegetazione è scomparsa”. Masanobu Fukuoka (da “SICCITÀ, COSA FARE. 10 STRATEGIE DA APPLICARE SUBITO, di Francesca Della Giovampaola, da https://www.boscodiogigia.it/)

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LE OTTO PROPOSTE DI LEGAMBIENTE PER UNA STRATEGIA NAZIONALE CONTRO LA SICCITÀ

da https://www.repubblica.it/green-and-blue/, 20/2/2023

– Non si può più parlare di emergenza” sottolinea l’associazione, quindi va attuato un piano per prevenire danni ulteriori. Zampetti: “Serve un approccio circolare” –

   Di fronte al perdurare della siccità, che definisce “un’emergenza mai finita”, Legambiente lancia un appello al Governo Meloni, perché non siano più rimandate misure per “prevenire ‘l’emergenza idrica’ che caratterizzerà sempre di più il nostro territorio e smettere di pensarci solo quando il danno è già stato fatto”.

   L’associazione ambientalista indica le priorità da mettere in campo, a partire dalla definizione di una strategia nazionale idrica, strutturata in otto punti, che abbia un approccio circolare con interventi di breve, medio e lungo periodo per favorire da una parte l’adattamento ai cambiamenti climatici, e dall’altro permettere di ridurre da subito i prelievi di acqua evitandone anche gli sprechi. “A partire dai prossimi mesi la domanda di acqua per uso agricolo si aggiungerà agli attuali usi civili e industriali che sono già in sofferenza – sottolinea Legambiente – e il fabbisogno idrico nazionale sarà insostenibile rispetto alla reale disponibilità“.

I punti fondamentali indicati dall’associazione per una strategia idrica nazionale sono otto:

1- favorire la ricarica controllata della falda, facendo in modo che le sempre minori e più concentrate precipitazioni permangano più a lungo sul territorio invece di scorrere velocemente a valle fino al mare;

2- prevedere l’obbligo di recupero delle acque piovane con l’installazione di sistemi di risparmio idrico e il recupero della permeabilità e attraverso misure di de-sealing in ambiente urbano; in agricoltura prevedendo laghetti e piccoli bacini;

3- attuare interventi strutturali per rendere efficiente il funzionamento del ciclo idrico integrato e permettere le riduzioni delle perdite di rete e completare gli interventi sulla depurazione;

4- implementare il riuso delle acque reflue depurate in agricoltura attraverso le modifiche normative necessarie;

5- riconvertire il comparto agricolo verso colture meno idroesigenti e metodi irrigui più efficienti;

6- utilizzare i Criteri Minimi Ambientali nel campo dell’edilizia per ridurre gli sprechi;

7- favorire il riutilizzo dell’acqua nei cicli industriali anche per ridurre gli scarichi inquinanti;

8- introdurre misure di incentivazione e defiscalizzazione in tema idrico, come avviene per gli interventi di efficientamento energetico, per tutti gli usi e per tutti i settori coinvolti.

   “Il 2023 è appena iniziato, ma sta mostrando segnali preoccupanti in termini di eventi climatici estremi e livelli di siccità. Bisogna da subito ridurre i prelievi nei diversi settori e per i diversi usi prima di raggiungere il punto di non ritorno. Serve poi adottare una strategia idrica nazionale che abbia un approccio circolare – spiega Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – e che permetterebbe di rendere più competitiva e meno impattante l’intera filiera. Non dimentichiamo che la transizione ecologica deve passare anche per il comparto idrico, oggi in forte sofferenza a causa soprattutto della crisi climatica“.

   Legambiente ricorda che l’Italia – con oltre 33 miliardi di metri cubi di acqua prelevata per tutti gli usi ogni anno – è nel complesso un Paese a stress idrico medio-alto secondo l’OMS, poiché utilizza il 30-35% delle sue risorse idriche rinnovabili, con un incremento del 6% ogni 10 anni. Una tendenza che, unita a urbanizzazione, inquinamento ed effetti dei cambiamenti climatici, come le sempre più frequenti e persistenti siccità, mette a dura prova l’approvvigionamento idrico della Penisola. Secondo i dati diffusi dallo GIEC (Gruppo Intergovernativo degli Esperti sul Cambiamento Climatico), all’aumento di un grado della temperatura terrestre corrisponde una riduzione del 20% della disponibilità delle risorse idriche. (da https://www.repubblica.it/green-and-blue/, 20/2/2023)

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IL PIANO “LAGHETTI” PER CONTRASTARE LA SICCITÀ, TRA PRO E CONTRO

di Marco Boscolo, da https://ilbolive.unipd.it/ 26/7/2022

– Il principale effetto negativo sull’ambiente è che i bacini ostruiscono il flusso naturale, per esempio per la migrazione dei pesci – Continua a leggere

IMMIGRAZIONE (nel Mediterraneo) ABBANDONATA: il governo e il parlamento approvano UNA LEGGE CONTRO LE ORGANIZZAZIONI NON GOVERNATIVE: e gli annegamenti aumentano, con i soccorritori bloccati, oltre ogni obbligo di soccorso (in violazione dei diritti umani e del diritto internazionale)

(nella foto la GEO BARENTS, la nave di ricerca e soccorso di Medici Senza Frontiere) – GEO BARENTS, NAVE FERMA 20 GIORNI E MULTA DI 10MILA EURO: È LA PRIMA SANZIONE DEL DECRETO ONG – Scatta nei confronti della nave di Medici Senza Frontiere il primo provvedimento emesso contro una Organizzazione non governativa dopo l’introduzione del cosiddetto “decreto ong”, diventato legge dal 23/2/2023. La comunicazione, arrivata proprio il 23 dopo lo sbarco del 17 febbraio scorso ad Ancona di 48 migranti a bordo, è stata riferita dallo stesso staff di ‘Msf’: «le autorità italiane ci hanno appena comunicato che la Geo Barents, la nave di ricerca e soccorso di Medici Senza Frontiere, è stata raggiunta da un fermo amministrativo di venti giorni e una multa da diecimila euro. La Capitaneria di Porto di Ancona ci contesta, alla luce del nuovo decreto, di non aver fornito tutte le informazioni richieste durante l’ultima rotazione che si è conclusa con lo sbarco ad Ancona».  Ma l’organizzazione sta adesso «valutando le azioni legali da intraprendere per contestare l’accaduto. Non è accettabile – commenta – essere puniti per aver salvato vite». (…) (da “Il Gazzettino.it del 23/2/2023”)

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(CLICCARE SULL’IMMAGINE PER INGRANDIRLA) (qui sopra: MAPPA MEDITERRANEO al 2022 delle rotte dei migranti, dal quotidiano “la Stampa”) – “(…) I profughi complessivamente morti nel corso del 2022 sarebbero stati ancora una volta tantissimi, più di dieci al giorno nel tentativo di arrivare in Europa, 3.724 sapiens scomparsi in viaggio, perduti alla propria vita e ai propri cari, quasi il 3% in più delle 3.619 vittime del 2021. Morti di cui hanno responsabilità anche istituzioni pubbliche che potrebbero o dovrebbero salvare e assistere mentre, invece, restano inerti e silenti di fronte all’annientamento di vite, pensando così di essere più “popolari”, di garantirsi consenso e potere. Delle 3.619 vittime del 2022, 3.403 sarebbero state “inghiottite” dal mare e 321 invece lungo le vie di terra africane, del Medio Oriente o della rotta balcanica. (…) Per un totale di 20.247 dal 2014 (progetto Missing Migrants dell’OIM, “Organizzazione internazionale per le migrazioni” presente in Libia collegata all’Onu). Ormai abbiamo già superato ampiamente i centotrenta quest’anno. (…)” (Valerio Calzolaio, 21/2/2023, da https://ilbolive.unipd.it/)

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LA CAMERA HA APPROVATO LA LEGGE CONTRO LE ONG

di Annalisa Camilli, 16/2/2023, da https://www.internazionale.it/

– Nel giorno in cui la legge è stata approvata a Montecitorio, di fronte alla Libia è avvenuto un nuovo naufragio in cui sono morte 73 persone. Cosa prevede la norma e quali sono le critiche –

   La camera ha approvato il decreto legge che inserisce ulteriori restrizioni sul soccorso in mare, su cui il governo aveva posto la fiducia. La norma è passata il 15 febbraio con 187 voti favorevoli, 139 negativi e tre astenuti. Il testo ora sarà esaminato dal senato. La nuova legge prevede che le navi umanitarie possano compiere una sola operazione di salvataggio in mare (per ogni missione), scoraggia i salvataggi multipli e fissa nuove sanzioni amministrative, tra cui multe fino a cinquantamila euro e il sequestro della nave per le organizzazioni che sono ritenute non in linea con il nuovo codice di condotta.

   “Nel caso di operazioni di soccorso plurime, le operazioni successive alla prima devono essere effettuate in conformità agli obblighi di notifica e non devono compromettere l’obbligo di raggiungimento, senza ritardo, del porto di sbarco”, riporta la norma. Il decreto (che ora sta affrontando l’iter parlamentare per diventare legge) era stato varato d’urgenza tra Natale e Capodanno dal governo Meloni ed è in vigore dall’inizio di gennaio, in pratica ha comportato l’assegnazione di porti sempre più lontani alle navi umanitarie, che determinano un’ulteriore rallentamento nei soccorsi. (…..)

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(nella FOTO: un’operazione di soccorso nel Mediterraneo centrale compiuta dalla ong spagnola Open Arms nel marzo del 2021; foto da https://www.ilpost.it/) – “La delicata fase del soccorso – Quando una nave arriva nei pressi di una imbarcazione di migranti in difficoltà i problemi che deve affrontare sono moltissimi, anche nel caso abbia a disposizione apposite attrezzature per il soccorso in mare, come quelle delle ong. Spesso si tratta di imbarcazioni troppo piccole per essere avvicinate dalle navi delle ong, che invece sono molto più grandi: le onde causate dall’avvicinamento rischierebbero di causarne il ribaltamento. Gran parte delle navi delle ong usa invece delle specie di gommoni chiamati Rigid Hull Inflatable Boat (battello gonfiabile a chiglia rigida), o RHIB, che fanno avanti e indietro per portare a bordo i naufraghi.   È uno dei momenti più delicati di tutta la missione di soccorso: gli operatori a bordo del RHIB devono decidere chi soccorrere per primo (spesso le donne incinte e i bambini), e nelle situazioni più gravi compiono scelte che possono significare la sopravvivenza di una persona e la morte di un’altra. (…)” (Luca Misculin, da https://www.ilpost.it/ del 26/1/2023)

LE CRITICHE DEL CONSIGLIO D’EUROPA
Il 26 gennaio il Consiglio d’Europa aveva inviato una lettera al governo italiano, chiedendo di ritirare o di cambiare la norma. Roma “deve considerare la possibilità di ritirare il decreto legge” sulle ong oppure adottare durante il dibattito parlamentare tutte le modifiche necessarie “per assicurare che il testo sia pienamente conforme agli obblighi del paese in materia di diritti umani e di diritto internazionale”.

   Nel richiamo, la commissaria per i diritti umani Dunja Mijatovic diceva di “essere preoccupata che alcune delle regole contenute nel decreto ostacolino la fornitura di assistenza salvavita da parte delle ong nel Mediterraneo centrale”. In particolare, secondo la commissaria, le disposizioni del decreto, prevedendo che le navi debbano raggiungere senza indugio il porto assegnato per lo sbarco di chi è stato salvato, “impedisca alle ong di effettuare salvataggi multipli in mare, costringendole a ignorare altre richieste di soccorso nell’area se hanno già delle persone a bordo”.

   Mijatovic evidenziava che “rispettando questa disposizione, i comandanti delle ong verrebbero di fatto meno ai loro obblighi di salvataggio sanciti dal diritto internazionale”. Ma il governo italiano aveva replicato definendo “infondati” i rilievi mossi dall’istituzione che si occupa del rispetto dei diritti umani in Europa. (di Annalisa Camilli, 16/2/2023, da https://www.internazionale.it/)

Nel giorno in cui la Camera approva il contestatissimo decreto Piantedosi (il 15/2/2023, ndr), dalla Libia arriva la notizia di un nuovo naufragio con ben 73 vittime: 11 i corpi recuperati dalla Mezzaluna rossa, 62 i dispersi, solo 7 i sopravvissuti. A darne notizia l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni delle Nazioni Unite che ha aggiornato a 130 il numero delle vittime in mare in queste prime settimane del 2023 (foto da “la Repubblica” del 15/2/2023)

UNA NORMA DISUMANA
Nel giorno in cui la legge è stata approvata dalla camera, di fronte alla Libia è avvenuto un nuovo naufragio in cui sono morte 73 persone, mentre i sopravvissuti sono stati riportati in Libia, un paese che non riconosce la Convenzione di Ginevra per i rifugiati e in cui gli stranieri sono sottoposti a trattamenti inumani e torture. “Purtroppo la mancanza di vie legali d’ingresso in Europa costringe migliaia di persone a rischiare la vita affidandosi ai trafficanti”, ha affermato in un comunicato il centro Astalli, che ha sottolineato come “quest’ultima tragedia porti a 130 il numero dei morti dall’inizio di quest’anno”.

   “Non si può continuare a lasciar morire le persone in mare rimanendo fermi e persino inasprendo le procedure per il soccorso e l’approdo in Italia. Governare le migrazioni richiede visione, strategia e lungimiranza nel gestire un fenomeno che non può essere fermato da muri, recinti e blocchi”, ha detto Camillo Ripamonti, presidente del centro Astalli. La ong tedesca SeaWatch ha definito la norma “disumana” e l’ha accusata di “istituzionalizzare l’omissione di soccorso”. (di Annalisa Camilli, 16/2/2023, da https://www.internazionale.it/)

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(CLICCARE SULL’IMMAGINE PER INGRANDIRLA) (Nell’immagine: una mappa delle zone SAR del Mediterraneo. Ogni paese stabilisce la propria “zona SAR”, “Search and Rescue”, nella cui area di competenza è tenuto a prestare soccorso; da https://ilpost.it/) – “(…) Il diritto marittimo prevede che una nave che soccorre un’imbarcazione in difficoltà debba coordinarsi con lo stato costiero a cui appartiene la zona di mare in cui avviene.   Le aree in questione si chiamano zone SAR: in estrema sintesi, sono aree di mare in cui gli stati costieri competenti si impegnano a mantenere attivo un servizio di ricerca e salvataggio (in inglese search and rescue, abbreviato in SAR). Diversi accordi internazionali stabiliscono che per svolgere questo compito ciascuno stato costiero deve attrezzare un Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo (in inglese MRCC) e mantenere una piccola flotta col compito di soccorrere navi in difficoltà. Il centro MRCC di una certa zona SAR deve essere allertato e coordinare le operazioni di soccorso compiute da qualsiasi nave all’interno dell’area marittima di competenza. I confini delle zone SAR sono definiti da specifici trattati internazionali, e nel caso del Mediterraneo sono definiti da oltre vent’anni. (…)” (Luca Misculin, da https://www.ilpost.it/ del 26/1/2023)

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   La ong Open Arms ha detto che la norma avrà come risultato l’ulteriore allontanamento delle organizzazioni umanitarie dal Mediterraneo. L’ong Sos Humanity ha chiesto alla Commissione europea di intervenire, perché la nuova normativa “viola le leggi europee e internazionali”.

   Il 5 gennaio, venti organizzazioni umanitarie avevano già denunciato l’aumento dei morti in mare come risultato delle nuove restrizione imposte alle ong. Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci, ha commentato: “L’Italia ha raggiunto davvero un punto di non ritorno. Pur di portare a casa qualche risultato utile alla propaganda, la destra al governo è disposta a sacrificare migliaia di vite umane e di isolare sempre più il nostro paese in un’Europa che non è certo un continente aperto e solidale”. (di Annalisa Camilli, 16/2/2023, da https://www.internazionale.it/)

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Operazione di soccorso in mare di Emergency (foto da Avvenire.it)

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NESSUNA EMERGENZA
Con un leggero aumento degli arrivi di migranti in Italia, nel 2022 sono sbarcate nel paese 105mila persone, una cifra lontana da quella del 2016, quando ne arrivarono il doppio. “Nonostante questo nell’ultimo anno è tornata la retorica del sistema al collasso”, scrivono ActionAid e Openpolis in un comunicato, presentando i dati di un nuovo rapporto sul sistema di accoglienza italiano pubblicato sulla piattaforma Centri d’Italia. La stessa legge contro le ong è stata approvata con la motivazione data dall’urgenza di una situazione definita “di emergenza”.

   “Gestione irrazionale, completa assenza di programmazione, criteri discriminatori di accesso alle strutture e ai diritti. Sono questi i tratti caratteristici del sistema dell’accoglienza italiano, non il collasso delle strutture come spesso viene raccontato”, scrive il comunicato di Action Aid e Openpolis.

   Nel 2021 infatti nei centri di accoglienza italiani c’erano 20.235 posti vuoti. “Un dato che diventa sconcertante se si osserva la serie storica: i posti lasciati liberi nei centri sono il 20 per cento del totale tra il 2018 e il 2021 (nel 2019 addirittura i posti vacanti raggiungono il 27 per cento del totale)”. 

   Una conferma che non c’è un’emergenza causata da numeri troppo alti di arrivi è proprio il caso della Sicilia, definita negli ultimi mesi dal governo Meloni il “campo profughi d’Europa”. “Qui la situazione al 31 dicembre 2021 vede il 30,5 per cento di posti lasciati liberi nell’intero sistema regionale. Anche facendo riferimento al 30 settembre 2021, oltre duemila posti, il 21,5 per cento della capienza, risultavano liberi”, concludono le due organizzazioni. (di Annalisa Camilli, 16/2/2023, da https://www.internazionale.it/)

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Cosa prevede il nuovo decreto sui soccorsi in mare

UN SALVATAGGIO IN MARE di OPEN ARMS (foto da https://www.ilpost.it/)

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UN’EUROPA SEMPRE PIÙ CHIUSA

di Maurizio Ambrosini, da https://lavoce.info/ del 31/01/2023

– La Commissione prova di nuovo a definire un quadro di regole comunitarie su asilo e ingressi non autorizzati. Ma per cercare di ottenere l’approvazione dei governi europei sovranisti, il pacchetto allontana la Ue dalla carta dei suoi valori fondamentali –

La lettera di von der Leyen

Ursula von der Leyen ci riprova. Dopo almeno un paio di tentativi di definire un nuovo quadro di regole comunitarie sui temi dell’asilo e degli ingressi non autorizzati (non dell’immigrazione, che è questione ben più ampia e complessa, e rimane in larga parte di competenza degli stati membri), la presidente della Commissione ha pubblicato una lettera ai capi di stato e di governo dei paesi membri con cui prova nuovamente ad assumere l’iniziativa (…).

   Ogni pacchetto di proposte di von der Leyen sembra spostare la linea dell’Ue sempre più vicino a quella sovranista della chiusura dei confini nei confronti dei profughi provenienti dal Sud del mondo. A cominciare dalla premessa, in cui ha parlato di un forte aumento degli arrivi irregolari attraverso le rotte mediterranee e dei Balcani occidentali nel 2022, con le cifre più alte dal 2016.

   Sembra una constatazione obiettiva, nel felpato linguaggio delle istituzioni comunitarie, ma trascura almeno tre elementi: primo, i richiedenti asilo non riescono quasi mai ad arrivare con documenti regolari, tanto che la legge li sgrava da contestazioni legali se ottengono lo status di rifugiati; secondo, il 2022 viene dopo due anni di mobilità limitata causa pandemia; terzo, nel mondo, oltre alla guerra in Ucraina, si protraggono situazioni di conflitto come quella siriana, mentre l’Afghanistan riconquistato dai talebani continua a produrre fuggiaschi, e nel Sahel è aumentata l’instabilità, insieme alla pressione jihadista.

I quattro pilastri della proposta

Tra i quattro pilastri e i quindici punti del piano annunciato, il primo, significativamente, è dedicato a “rafforzare le frontiere esterne mediante misure mirate da parte dell’Ue”. Tra queste, compare la proposta di impiegare fondi comunitari per aiutare gli stati membri “a rafforzare le infrastrutture per il controllo delle frontiere”. Per parecchi commentatori, significa un cambiamento di linea di Bruxelles in favore del sostegno alla costruzione di muri e barriere, fin qui avvenuta su iniziativa dei governi nazionali, ma senza aiuti comunitari. Per altri, compresa la commissaria per gli Affari interniYlva Johansson, la costruzione di muri rimane (per ora) esclusa, ma vi rientrano posti di guardia, strade di collegamento e altre strutture al servizio della sorveglianza dei confini.

   Con i consueti artifici retorici, si prevede poi di offrire supporto, sotto forma di attrezzature e formazione, ai governi della sponda Sud del Mediterraneo, al fine di “rafforzare la loro capacità di ricerca e soccorso”.  Ossia, tradotto in termini operativi: fornire motovedette e addestramento perché riportino indietro i profughi che cercano di arrivare nell’Ue. È il modello libico applicato su scala più ampia.

   Il secondo pilastro, dall’apparenza tecnocratica, parla di “snellimento delle procedure di frontiera”: si tratta in realtà di perfezionare una lista di paesi di origine considerati sicuri, in modo da escludere per principio i loro cittadini dalla possibilità di ottenere asilo, di stabilire hotspot oltre le frontiere dell’Ue, così da obbligare i profughi a presentare lì le loro domande di asilo, di accelerare le procedure di rimpatrio, finora lente e inefficienti.

   Il terzo pilastro dovrebbe preoccupare il governo italiano, perché riguarda la prevenzione dei movimenti secondari, ossia dei tentativi di passare dal primo paese di asilo a un altro paese dell’Ue, solitamente più a Nord. Qui pesa il regolamento di Dublino, che impone al primo paese d’ingresso l’onere di valutare le richieste d’asilo. La menzione di una “solidarietà”, ovviamente “volontaria” e quindi non vincolante, non basta ad attenuare la minaccia di nuovi controlli sulle Alpi e nuovi rinvii verso l’Italia di rifugiati intercettati in altri paesi dell’Ue. I governi del gruppo di Visegrad, nonostante la prossimità ideologica con il governo italiano e l’alleanza in sede Ue, difficilmente si lasceranno commuovere.

   Il quarto pilastro riguarda gli investimenti negli accordi per favorire i rimpatri, con paesi come Pakistan, Bangladesh, Nigeria, oltre a Egitto, Marocco, Tunisia. I finanziamenti sulla partita dovrebbero arrivare al 10 per cento dei fondi Ue per l’estero. Tradotto: spostamento di fondi dalla cooperazione per lo sviluppo al finanziamento di governi autoritari perché si riprendano rifugiati e migranti che la Ue non vuole.

   Poche le parole dedicate al versante dell’accoglienza: una rapida menzione dei corridoi umanitari e un cenno agli ingressi per lavoro, che diversi paesi stanno cercando di incrementare.

   L’Ue in definitiva si allontana dalla carta dei suoi valori fondamentali per favorire un accordo che coinvolga anche i governi più refrattari alla tutela dei diritti umani universali. Il sogno sovranista si sta realizzando anche a Bruxelles. (Maurizio Ambrosini, da https://lavoce.info/ del 31/01/2023)

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(NELLO SCAVO, inviato del quotidiano “Avvenire”: “LIBYAGATE – Inchieste, dossier, ombre e silenzi”, ed. “Avvenire – Vita e Pensiero”, euro 13,00) (vedi al termine di questo post l’INTRODUZIONE del libro)

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MIGRANTI. ANCHE L’ONU CHIEDE ALL’ITALIA DI RITIRARE IL DECRETO ONG: SI RISCHIANO MORTI

da AVVENIRE https://www.avvenire.it/ 16/2/2023

– Dopo il Consiglio d’Europa, la richiesta arriva da Ginevra: «Modo sbagliato di affrontare le questioni umanitarie». La nave di Emergency salva 156 persone –

   A Ginevra l’Onu scende in campo a difesa delle ong, invitando il governo italiano a “ritirare” il dl che «punisce organizzazioni umanitarie e migranti», mentre a Lampedusa una successione senza sosta di sbarchi mette di nuovo in crisi l’hotspot di Contrada Imbriacola e in mare la nave di Emergency, reduce da due soccorsi, viene indirizzata verso il porto di Civitavecchia.

   Dopo il Consiglio d’Europa, è toccato alle Nazioni Unite bacchettare il governo Meloni: «È un modo sbagliato di affrontare le questioni umanitarie. Si rischia di far morire più persone in mare», ha detto l’Alto Commissario Volker Turk.

   Il dl Ong, approvato dalla Camera e tra poco in discussione al Senato, non fa altro che «punire sia i migranti sia coloro che cercano di salvarli. Questa penalizzazione delle azioni umanitarie trattiene le organizzazioni dei diritti umani dal fare il proprio lavoro».

   Il provvedimento, che andrà in discussione al Senato, richiede che le navi delle Ong non facciano soccorsi multipli e si dirigano, immediatamente dopo il primo soccorso, verso il porto assegnato, a prescindere dalla possibilità di salvare altri naufraghi nell’area. Al tempo stesso, fa rilevare l’Onu, l’Italia ha assegnato alle navi porti di sbarco distanti, talvolta a giorni di navigazione dal primo luogo in cui è stato compiuto un soccorso.  «In base al diritto internazionale – spiega Turk – un capitano è vincolato al dovere di immediata assistenza alle persone in difficoltà in mare, e gli Stati sono tenuti a proteggere il diritto alla vita, ma il nuovo provvedimento obbliga una nave di ricerca e soccorso a ignorare le richieste di soccorso da parte di coloro che sono in mare solo perché ne sono stati salvati altri».

   L’Alto commissario «sollecita con urgenza il governo dell’Italia a ritirare la legge proposta, e a consultare i gruppi che operano nella società civile, in particolare le Ong che si occupano di ricerca e soccorso, e assicurare una legislazione che rispetti le norme internazionali sui diritti umani, le leggi sui rifugiati e altre cornici normative, inclusa la Convenzione dell’Onu sul diritto del Mare e la Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare».

   Le partenze dalla Libia, intanto, sono riprese, complice il bel tempo, e, di conseguenza, i soccorsi. La Aita Mari ha salvato 31 migranti stipati in una piccola barca di legno. Tra loro donne incinte, bambini e neonati di pochi mesi. Altri 33 migranti, che si aggiungono a quelli arrivati negli ultimi due giorni, sono stati soccorsi davanti alle coste sud-occidentali della Sardegna. La nave Life Support di Emergency ha soccorso e salvato, in due distinte operazioni, 156 persone nel Mediterraneo centrale, ma è stata minacciata da unità libiche con «manovre azzardate – spiega la ong – e intimidatorie». Emergency «ha scoperto ieri che il mezzo in questione apparteneva alle Ssa (Stability Support Apparatus, un organismo dipendente dal ministero dell’Interno libico)». «Denunciamo – sottolinea l’ong – le intimidazioni ricevute e le manovre azzardate nei nostri confronti da parte di un mezzo che appartiene a forze di sicurezza libiche. Confermiamo che la nostra nave si trovava a oltre 25 miglia nautiche dalla costa libica, quindi a debita distanza delle acque territoriali che terminano a 12 miglia, come riscontrabile dagli apparati di navigazione presenti a bordo».

   Le autorità italiane hanno assegnato alla nave il porto di Civitavecchia. I naufraghi a bordo provengono da Bangladesh, Pakistan, Sudan, Eritrea, Egitto, Gambia, Ciad, Camerun, Senegal Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Guinea Conakri. «Tutte le persone soccorse – ha assicurato Agnese Castelgrandi, medico di bordo – stanno bene e stanno riposando. Stiamo monitorando costantemente le loro condizioni».

   A loro è andata bene. Non così, invece, all’uomo il cui cadavere è stato trovato al largo di Lampedusa dalla Guardia di finanza. Il corpo era nei pressi dell’isolotto di Lampione. Potrebbe trattarsi di una delle vittime degli ultimi naufragi avvenuti nel canale di Sicilia. La salma è stata portata alla camera mortuaria del cimitero di Cala Pisana. Ieri (il 15/2/2023, ndr) sono arrivati 735 migranti a bordo di nove imbarcazioni. Oggi (16/2/2023, ndr) ci sono stati oltre una ventina di sbarchi.

   Altri uomini e donne non arriveranno mai. Le persone soccorse da Emergency hanno segnalato di aver incrociato, prima di essere soccorsi, un’altra imbarcazione come la loro in mare “in condizioni precarie”. «Per ora non ve ne sono tracce», spiega l’equipaggio della nave, obbligata ormai a dirigersi verso Civitavecchia e a lasciare qualcuno indietro, in balia del mare. (AVVENIRE https://www.avvenire.it/ 16/2/2023)

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CONTINUANO A MORIRE, DOVEVANO ESSERE SALVATI

di Valerio Calzolaio, 21/2/2023, da https://ilbolive.unipd.it/

– Più traversate, più sbarchi, più morti, non essendoci vie regolari di accesso – La morte dei migranti sarebbe evitabile nella maggior parte dei casi, la partenza inevitabile quasi sempre – La migrazione è un fenomeno fisico sociale politico, la cui intima sostanza non è molto cambiata nei millenni –

   Continuano a morire per mare e per terra. Il 14 febbraio 2023, secondo quanto riferito dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni presente in Libia (OIM, collegata all’Onu), 73 erano i morti, fra cadaveri recuperati (undici nella stessa spiaggia di partenza, dieci uomini e una donna) e persone disperse (sessantadue al momento dell’allarme), sul gommone che aveva a “bordo” circa 80 persone (sette sopravvissuti portati in ospedale in brutte condizioni), partito da Qasr Al Kayer nel Mediterraneo centrale.

   Tra il 28 e il 29 gennaio 2023 Continua a leggere

Il doppio terremoto del 6 febbraio nel sud-est della TURCHIA e nord-ovest della SIRIA, nella tragedia di migliaia di morti (40mila?), alle sofferenze presenti e future dei sopravvissuti, acuisce la dinamica geografica di territori governati da dittatura (Siria) e democratura (Turchia); con milioni di profughi senza futuro (quale aiuto dare?)

(Terremoto in Turchia e Siria, foto da https://www.oggi.it/) – “Più di 40.000 morti, decine di migliaia di feriti, intere città e villaggi distrutti, monumenti e luoghi di culto millenari probabilmente danneggiati irreparabilmente. Il doppio terremoto che ha colpito lo scorso 6 febbraio il sud-est della Turchia e il nord-ovest della Siria ha aperto una faglia di oltre dieci metri in Anatolia, sconvolgendo non solo la geografia del luogo, ma innescando anche una serie di dinamiche socio-umanitarie che avranno un impatto decisivo nel panorama politico turco, specialmente alla luce delle elezioni presidenziali del prossimo maggio. (…)” (Nicolò Rascaglia, 14/2/2023, da https://www.geopolitica.info/)

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(carta del terremoto in Turchia e Siria, -febbraio-2023, MAPPA da https://blog.geografia.deascuola.it/) – Il terremoto in Turchia e Siria. Il 6 febbraio 2023 alle 02:17 ore italiane (04:17 locali) la Turchia meridionale e la Siria settentrionale sono state colpite da un terremoto molto intenso con una magnitudo pari a 7.9 (7.7 secondo la stima dell’AFAD, Agenzia turca per la gestione dell’emergenza e dei disastri). Si è generata un’energia pari a 30 volte il terremoto dell’Irpinia (1980) e circa 900 volte quella del terremoto di Amatrice (2016). L’ipocentro del sisma, secondo le rilevazioni, era posizionato a soli 20 km di profondità. Il terremoto ha colpito una zona altamente sismica, tra quelle con la pericolosità sismica più alta del Mediterraneo, dove sono a contatto quattro placche tettoniche (anatolica, euroasiatica, africana e arabica). Lungo la faglia anatolica orientale si è prodotto un imponente spostamento orizzontale della crosta terrestre che ha coinvolto un’area lunga 190 chilometri e larga 25. La prima scossa ha infierito su una zona densamente abitata, in cui molte costruzioni non erano in grado di resistere a terremoti di tale intensità, ed è stata seguita da numerose repliche di magnitudo anche elevata e una nuova scossa molto forte, M 7.5, è stata registrata alle ore 11:24 italiane con epicentro a nord rispetto all’evento delle 02:17. (da https://blog.geografia.deascuola.it/ )

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IL TERREMOTO CHE HA COLPITO TURCHIA E SIRIA

da https://www.ispionline.it/, 13/2/2023

   Lunedì 6 febbraio un potente terremoto di magnitudine 7.8 ha colpito all’alba le regioni al confine fra Turchia e Siria, radendo al suolo interi edifici e uccidendo oltre 34.000 persone. Il conto delle vittime è però purtroppo ancora provvisorio e rischia di salire ulteriormente.

IL SISMA COINVOLGE 23 MILIONI DI PERSONE

Una seconda scossa di magnitudine 7.5 ha poi fatto seguito alla prima, facendo tremare il terreno alle 13.24 ora locale. Il primo sisma si è verificato vicino alla città di Gaziantep, nella Turchia meridionale, a circa 90 chilometri dal confine siriano, cogliendo molte delle vittime nel sonno. Il secondo ha colpito invece vicino alla città di Kahramanmaras. Entrambi – seguiti da uno sciame sismico che ha già contato più di cento scosse – sono stati avvertiti anche in Libano, Cipro e Israele. L’Istituto Federale Tedesco di Geoscienze e Risorse Naturali ha rilevato almeno venti scosse di terremoto in due giorni nelle regioni della Turchia Centrale, dell’Est e del confine siriano. 

   L’area colpita è quindi enorme. Quasi 23 milioni di personestima la Bbc, sarebbero interessate dal disastro, che ha colpito una zona che si estende per circa 450 km da Adana a ovest a Diyarbakir a est, e 300 km da Malatya a nord a Hatay a sud. Ora i sopravvissuti devono però anche affrontare il freddo estremo e la mancanza di cibo e di ripari.

   I sismologi spiegano che la devastazione del terremoto è dovuta al fatto che si è verificato intorno alla faglia dell’Anatolia orientale, una regione di instabilità che corre da sud-ovest a nord-ovest del confine sud-orientale della Turchia. La faglia, una delle tante che attraversano il paese, è considerata una delle zone sismiche più attive al mondo e, sebbene non ci sia stata alcuna attività significativa per diversi anni, in passato è stata responsabile di terremoti molto dannosi.

   Secondo il presidente Recep Tayyip Erdogan, quello verificatosi è il più grande disastro registrato nel paese dal 1939, quando un altro sisma a Erzincan provocò la morte di circa 33mila persone e oltre 100mila feriti. 

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(MAPPA delle tre PLACCHE, da http://www.saperescienza.it/) – Nel terremoto del 6 febbraio, la placca anatolica si è mossa verso ovest di oltre 3 metri lungo una rottura che potrebbe superare i 150 km. La profondità relativamente superficiale del terremoto (tra 10 e 20 km) ha amplificato i danni

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“IL PIÙ GRANDE DISASTRO REGISTRATO” (da https://www.ispionline.it/, 13/2/2023)

Sebbene dall’inizio del nuovo millennio la Turchia sia stata colpita da numerosi terremoti, era dal 1999 che non se ne registrava uno così disastroso in termini di morti e feriti, nonché di danni materiali a città e infrastrutture.

   Nel tentativo di coordinare i soccorsi e facilitare l’arrivo degli aiuti internazionali, il sette febbraio il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha dichiarato lo stato di emergenza per tre mesi in dieci province.  A poco più di tre mesi dalle elezioni presidenziali del 14 maggio, Erdogan si trova non solo a dover affrontare le conseguenze umanitarie del terremoto, ma anche quelle politiche.

   Sia da parte delle persone che abitano le città colpite, sia da parte degli oppositori, non si sono fatte attendere infatti le critiche alla risposta del governo alla catastrofe: soccorsi lenti e impreparati, inadeguatezza dei servizi di emergenza e prevenzione insufficiente. Tutto questo nonostante, dal terremoto che nel 1999 aveva colpito la regione di Istambul, esista una tassa che dovrebbe servire proprio a finanziare la macchina statale di risposta alle emergenze.

   Indirettamente, negli anni successivi, la tragedia del 1999 contribuì a legittimare agli occhi dell’opinione pubblica proprio il neonato Partito della Giustizia e dello Sviluppo, ovvero quello di Erdogan. La stessa ascesa al governo dell’attuale presidente venne favorita dalla disastrosa risposta da parte dell’allora presidente Ecevit a quel terremoto. Infatti, l’incapacità del governo di gestire la macchina dei soccorsi aveva dato il colpo finale alla fiducia della popolazione nei confronti della classe dirigente – già erosa da anni di malamministrazione.

   Erdogan seppe così cavalcare lo scontento pubblico e, ponendosi come alternativa ai politici tradizionali, fu abile nel costruire un discorso propagandistico che faceva perno sui successi della propria amministrazione nella ricostruzione post terremoto. Le accuse che allora Erdogan mosse a Ecevit ricordano molto quelle a cui il presidente deve rispondere oggi. 

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(SIRIA: L’ACQUA È TORNATA A SCORRERE NEL FIUME XABUR – da Twitter Manolo Luppichini www.lifegate.it/) –  SIRIA – Significativi effetti collaterali del sisma. La #Turchia ha costruito dighe con l’obiettivo di prosciugare diversi fiumi in #Siria. Il #terremoto ha distrutto alcune di queste dighe e l’acqua è tornata a scorrere nel fiume #Xabur. Era in secca dal 2015 (vedi immagine) – www.lifegate.it/ – “Il Grande Khabur è un fiume che nasce nella Turchia sudorientale, per poi proseguire attraverso la Siria fino a congiungersi con l’Eufrate. Ma di grande, negli ultimi anni, aveva ormai ben poco. Almeno nella parte siriana. A causa di una serie di dighe costruire dalla Turchia, infatti, buona parte delle sue acque viene deviata a scopi di irrigazione e, nella parte siriana, il Khabur è ormai ridotto a un wadi, un letto prosciugato. Il tremendo terremoto che ha colpito l’Anatolia nella notte di lunedì ha avuto un effetto collaterale: ha distrutto alcune di queste dighe e l’acqua è tornata a scorrere, per la prima volta dal 2015.   È forse l’unica buona notizia che arriva da lunedì 6/2/2023 a questa parte dalla zona della Siria (…)” (Simone Santi, da https://www.lifegate.it/ 10/2/2023)

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CHI CONTROLLA I TERRITORI IN EMERGENZA? (da https://www.ispionline.it/, 13/2/2023)

La situazione più drammatica potrebbe però riguardare il nord-ovest della Sira, dove il sisma ha colpito sia zone controllate dal governo che altre in mano ai ribelli che combattono contro il regime del presidente Bashar al Assad. A causa della guerra civile, che va avanti dal 2011, queste regioni sono abitate da circa quattro milioni di persone, sfollate qui da altre parti del paese, che vivono spesso in insediamenti improvvisati privi di ogni tipo di assistenza sanitaria. Tra le città più colpite dalle scosse c’è anche Aleppo, “due volte martire”: prima della guerra e poi del terremoto. 

   Le nevicate del rigido inverno stanno inoltre ulteriormente impedendo l’azione dei soccorsi, con il rischio che le temperature scendano ulteriormente.  

   Nelle aree controllate dal governo sono stati messi a disposizione tutti i servizi di emergenza presenti nel paese, compreso l’esercito e gli studenti volontari. Ma, secondo la BBC, il dispiegamento non è neanche lontanamente sufficiente per affrontare una devastazione di tale portata. Il paese ha già rivolto una richiesta formale di aiuti all’Unione Europea; e persino l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, una ONG che da 20 anni denuncia le violazioni e i crimini del governo siriano, ha rivolto un appello alla comunità internazionale perché apra canali di collaborazione con Damasco senza politicizzare la questione degli aiuti umanitari. 

   Il governo sembra però voler andare in tutt’altra direzione, usando la gestione dell’emergenza come una scusa per ottenere dei vantaggi nelle regioni contese. Le ultime dichiarazioni dell’ambasciatore siriano alle Nazioni Unite, secondo cui solo il governo di Damasco dovrebbe gestire la distribuzione degli aiuti, sembrano confermare questa intenzione. 

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(SIRIA le aree terremotate: tra il controllo governativo, quello dei ribelli turchi e quello dei CURDI) – “(…) La Siria vive almeno tre contemporanee tragedie: la guerra civile, che continua – come permane la presenza militare straniera – quella del terremoto e l’abbandono occidentale, colmato solo parzialmente dagli aiuti di russi, iraniani, iracheni, che sostengono al potere Bashar Assad. A TUTTO QUESTO si aggiunge la chiusura delle frontiere dal lato siriano controllato dalla Turchia (NDR: martedì 14 febbraio sono stati aperti per tre mesi i due valichidi frontiera diBal Al-Salam e Al Ra’ee), che ospita circa tre milioni di profughi siriani, e ha appena proclamato lo stato di emergenza per tre mesi: da qui, da un unico valico, passavano finora gli aiuti delle agenzie Onu alle popolazioni siriane lungo un confine che da tempo rappresenta come disse papa Francesco «una guerra mondiale a pezzi». Qui abbiamo i curdi, che combatterono contro il Califfato, poi lasciati alla vendetta di Erdogan, qui ci sono i jihadisti al Nusra, Al Qaida e Isis, che controllano sacche di territorio come Idlib, colpite nelle scorse settimane anche da un’epidemia di colera, di cui non avevamo notizia se non da organizzazioni come Medici Senza Frontiere. (…)” (Alberto Negri, da IL MANIFESTO https://ilmanifesto.it/ del 8/2/2023)

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LA DIPLOMAZIA DEGLI AIUTI POST TERREMOTO (da https://www.ispionline.it/, 13/2/2023)

Il terremoto che ha colpito la Turchia ha generato un’ondata di solidarietà e la macchina degli aiuti internazionali si è subito mobilitata. All’appello dell’esecutivo di Ankara hanno immediatamente riposto gli stati della regione, nonché – fra gli altri – Unione Europea, Stati Uniti, Russia e Cina

   La maggior parte degli stati sta mandando in Turchia squadre di soccorso formate da personale addestrato ed equipaggiato appositamente per la ricerca di sopravvissuti sotto alle macerie. È il caso dell’Unione Europea che, attraverso il proprio Meccanismo di protezione civile, insieme ad Albania, Montenegro e Serbia, ha già inviato oltre 1650 soccorritori e 100 cani da ricerca.  

   Estremamente necessari sono anche gli aiuti sotto forma di personale e dispositivi medici, oltre che equipaggiamenti e allestimenti come ospedali da campo e tende per accogliere gli sfollati. Ad esempio, il Qatar, tramite l’ONG Qatar Charity, sta provvedendo a distribuire pasti caldi e articoli di prima necessità nell’area circostante la città di Gazientep, dove l’organizzazione ha sede. 

   Meno immediato è invece l’invio in Turchia di prestiti o donazioni. L’aiuto tramite denaro è spesso infatti difficile da indirizzare e coordinare, con il rischio che finisca per essere inefficace. Per ora, infatti, solo pochi paesi hanno mandato finanziamenti liquidi. Fra questi gli Emirati Arabi Uniti: l’agenzia di stampa nazionale ha riportato la notizia che il Presidente Sheikh Mohammed bin Zayed al-Nahyan avrebbe ordinato l’invio di 50 milioni di dollari per sostenere gli sforzi di soccorso in Turchia. 

GLI AIUTI NON ARRIVANO IN SIRIA

Se ondate di squadre di primo soccorso si stanno precipitando in Turchia, lo stesso non si può dire della Siria, dove solo i volontari locali sono lasciati a cercare i superstiti nel mezzo delle macerie. La Difesa Civile Siriana – ovvero il gruppo di volontari noti come Elmetti Bianchi – ha infatti pubblicato una serie di video in cui racconta che i residenti stanno scavando alla ricerca dei sopravvissuti con le loro stesse mani.

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   Secondo Lina Khatib di Chatham House, il governo di Assad ha bombardato la zona di Marea poco dopo il terremoto. La legittima preoccupazione è quindi che gli attacchi continuino, ostacolando drammaticamente le operazioni di soccorso. 

   Al fine di facilitare l’invio nel paese di aiuti umanitari, il 9 febbraio il Dipartimento del Tesoro statunitense ha dichiarato la sospensione di una delle sanzioni imposte al regime di Assad. Nello specifico, la misura permetterebbe un più rapido invio di denaro a supporto della popolazione: infatti, al momento, tutte le transazioni economiche dirette in Siria devono essere approvate dall’ Office of Foreign Assets Control. Anche l’Unione Europe starebbe valutando la sospensione di alcune delle proprie sanzioni.

   Sono quindi molte le domande che rimangono aperte: il governo siriano permetterà l’arrivo di convogli umanitari nei territori controllati dall’opposizione? I gruppi ribelli accetteranno l’aiuto del governo siriano e dei suoi alleati? E i donatori internazionali acconsentiranno a incanalare milioni di dollari di assistenza attraverso il governo di Assad? 

UN TERREMOTO PURTROPPO STORICO

Valutato in base all’intensità sismica della scossa, quello che ha colpito Siria e Turchia è il quinto sisma per magnitudo dal 2000 a oggi. Al primo posto c’è il terremoto che, con una magnitudo di 9,1 ed epicentro nell’Oceano Indiano, ha colpito l’Indonesia il 26 dicembre del 2004. Per l’intensità della scossa e la devastazione causata dal conseguente maremoto, l’evento viene ricordato come uno dei più disastrosi dell’ultimo secolo: si stima che le vittime siano state più di 750mila fra morti, feriti e dispersi, e fra i 3 e i 5 milioni gli sfollati.

   Solo un anno dopo l’Indonesia venne colpita da un altro terremoto, questa volta generato al largo della costa occidentale del nord di Sumatra. Con una magnitudo di 8.6, le scosse causarono fra i 900 e i 1300 morti. Come il terremoto indonesiano del 2004, anche quello in Giappone nel 2011 generò un maremoto: quello che distrusse i generatori che alimentavano i sistemi di raffreddamento dei reattori della centrale nucleare di Fukushima. Con una magnitudo di 9,1 il terremoto provocò più di 19mila morti accertati. (da https://www.ispionline.it/, 13/2/2023

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(Siria, operazioni di ricerca tra le macerie di un edificio crollato a seguito del sisma, foto da https://ilmanifesto.it/) – (da https://www.aibi.it/ 15/2/2023: Lo scenario nel sud della Turchia e nel nord ovest della Siria si presenta con circa 41mila vittime totali, 1,6 milioni di sfollati solo in Turchia e quasi 5 milioni di persone in grandissima difficoltà in Siria, dove già la gran parte di chi vive nelle zone più colpite dal terremoto era sfollata lì a causa della guerra. Proprio per quanto riguarda la Siria, l’ONU ha lanciato un appello per raccogliere 397 milioni di dollari per aiutare le vittime del sisma per un periodo di almeno 3 mesi. Il problema più grande, già più volte denunciato dagli operatori, è la difficoltà di raggiungere e di operare nelle aree del Paese controllate dai ribelli: a questo proposito, martedì 14 febbraio sono stati aperti per tre mesi i due valichi di frontiera di Bal Al-Salam e Al Ra’ee, che consentiranno un migliore e più veloce accesso alla regione. Proprio dal primo dei due valichi, che era chiuso dal 2020, è passato un primo convoglio di 11 camion, mentre altri 26 convogli con aiuti forniti dall’OIM, dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sono transitati dal valico di Bab Al-Hawa, quello finora più utilizzato. (…)” (da https://www.aibi.it/ 15/2/2023)

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(I DUE VALICHI SIRIANI ora aperti – mappa da https://www.aljazeera.com/)

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(Il terremoto ha spostato il suolo; una rottura di almeno 190km lungo la faglia anatolica; mappa da https://www.meteoweb.eu/)

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LE ORIGINI DEL TERREMOTO IN TURCHIA-SIRIA

di Alina Polonia (Geologa e ricercatrice presso l’Istituto di Scienze Marine, ISMAR-CNR, di Bologna); articolo rispreso da http://www.saperescienza.it/ del 10/2/2023

   Il violento terremoto del 6 febbraio (di magnitudo M = 7.9) nella provincia turca di Kahramanmaraş è uno degli eventi sismici più distruttivi della regione. È davvero difficile assistere a questa tragedia con la consapevolezza che il bilancio dei morti è destinato ad aumentare e che sarà comunque sottostimato, visto che questa regione ospita molti profughi siriani che non vengono censiti regolarmente.

DA DOVE HA AVUTO ORIGINE IL TERREMOTO?

Gli epicentri dei terremoti principali della sequenza sismica sono localizzati lungo la faglia dell’Anatolia orientale, nell’area in cui incontra la zona di subduzione del Mediterraneo e la faglia del Mar Morto. Queste strutture bordano tre diverse placche (anatolica, araba e africana) che si muovono l’una rispetto all’altra accumulando forti tensioni meccaniche nelle cosiddette zone di asperità. La placca africana e quella araba si muovono entrambe verso nord, la prima comprimendosi lungo l’arco di Cipro, e la seconda scorrendo lateralmente alla placca africana lungo la faglia del Mar Morto. Schiacciata tra queste grandi masse litosferiche, la placca anatolica viene “estrusa” verso ovest, e questo avviene lungo le strutture che si sono attivate in questi giorni.
   I lenti movimenti reciproci tra le placche (< 10 mm/anno) sono generalmente impercettibili, ma provocano l’accumulo di energia sul piano di faglia. Quando questa supera una certa soglia, viene liberata generando il terremoto, che a sua volta provoca scuotimenti del terreno, rotture superficiali e scivolamenti dei blocchi crostali a cavallo delle faglie.

QUAL È IL LEGAME TRA TERREMOTI E TSUNAMI?

Se l’epicentro si trova in prossimità della costa e la rottura interessa anche la porzione sottomarina delle strutture tettoniche, al rischio sismico si aggiunge anche quello da tsunami, legato direttamente al movimento della faglia o alla generazione di grandi frane sottomarine. Nel 365 d.C., ad esempio, un terremoto di magnitudo 8-8.5 a Creta ha prodotto un mega-tsunami che ha interessato tutte le coste mediterranee, dall’Egitto all’Italia meridionale.
   Nel caso del terremoto del 6 febbraio, la placca anatolica si è mossa verso ovest di oltre 3 metri lungo una rottura che potrebbe superare i 150 km. La profondità relativamente superficiale del terremoto (tra 10 e 20 km) ha amplificato i danni, ma per fortuna l’allerta tsunami è rientrata dopo poche ore. La regione sottomarina in prossimità dell’epicentro è infatti caratterizzata da una morfologia del fondale che non favorisce la formazione di frane, perché la piattaforma continentale è molto ampia e la scarpata che collega la linea di costa alla zona abissale non è molto ripida.

TERREMOTI CHE RITORNANO?

Sebbene i dati strumentali della sismicità recente rivelassero solo terremoti di piccola o moderata entità, era noto che le regioni della Turchia meridionale e della Siria settentrionale avessero sperimentato in passato terremoti significativi. Aleppo, in Siria, è stata più volte devastata da terremoti nella storia, anche se le località e le magnitudo precise di questi possono essere solo stimate.
   L’ultimo di questi eventi, nel 1822, sembra abbia provocato tra le 20.000 e le 60.000 vittime. Purtroppo esistono pochi studi di paleosismologia lungo la rottura dell’ultimo terremoto per ricostruire la storia sismica di questa regione alle scale temporali delle decine di migliaia di anni. Per questo motivo si sa poco sia sui tempi di ritorno dei terremoti principali, sia su come il trasferimento di stress post-sismico possa provocare l’innesco di altri terremoti sui sistemi di faglie adiacenti. (Alina Polonia, da http://www.saperescienza.it/ del 10/2/2023) 

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LA TRAGEDIA DEL SISMA

AUTOCRATI E INTRECCI LETALI

di Antonio Polito, da “il Corriere della Sera” del 9/2/2023

   «Filosofi che osate gridare tutto è bene,/ venite a contemplar queste rovine orrende:/ muri a pezzi, carni a brandelli e ceneri./ Donne e infanti ammucchiati uno sull’altro/ sotto pezzi di pietre, membra sparse;/ centomila feriti che la terra divora,/ straziati e insanguinati ma ancora palpitanti,/ sepolti dai loro tetti, perdono senza soccorsi,/ tra atroci tormenti, le loro misere vite».

   Da quando Voltaire scriveva questi versi per le vittime del terremoto di Lisbona, nel 1755, abbiamo imparato a non dare più alla volontà di Dio la colpa dei disastri naturali. Ma ancora non abbiamo imparato a fare la nostra parte di esseri umani per alleviarne le sofferenze. Adesso, mentre leggete queste righe, ci sono ancora in Anatolia «centomila feriti che la terra divora». In questo momento, ancora, donne e infanti «perdono senza soccorsi le loro misere vite».

   Nell’immane tragedia dell’Anatolia ce n’è una perfino peggiore che sta colpendo i popoli che vivono nel Nord della Siria. Dopo una guerra brutale di dodici anni, intrappolati da un despota che ha usato ogni possibile arma contro la sua gente, in un panorama desolato dalla distruzione arrecata dalle bombe, quattro milioni e mezzo di civili, tre milioni dei quali profughi o sfollati, aspettano un soccorso che chissà se arriverà.

   Già da anni la loro vita dipendeva interamente dall’aiuto umanitario occidentale. Grazie a una risoluzione Onu del 2014, presa contro il volere di Assad, gli aiuti passavano infatti dall’ormai unico varco aperto nella frontiera siriana a Bab al-Hawa. In realtà una volta le porte d’ingresso in Siria erano tre, ma la Russia, alleata del dittatore di Damasco, ha usato il suo potere di veto nel Consiglio di sicurezza per chiudere le altre due.

   A lungo le macerie, la neve, gli aeroporti danneggiati, e la ferma intenzione di Erdogan di pensare prima ai turchi, che a primavera decideranno il suo destino nelle elezioni, hanno chiuso anche l’ultima via della speranza. Solo ieri, finalmente, si sarebbe riaperta.

   I siriani del Nord, in questa regione controllata da «ribelli» molto spesso curdi, sono ancora a migliaia sotto le macerie, denuncia su Foreign Policy un esperto di Medio Oriente, Charles Lister. I tremila eroici volontari civili di White Helmets hanno acquisito negli anni una grande esperienza nel tirar fuori i feriti dalle macerie dei palazzi e degli ospedali colpiti e distrutti dall’aviazione siriana e russa; ma il disastro ora è troppo immane, non hanno i mezzi, non hanno gli uomini e, anche quando riescono a raggiungere i sepolti vivi, non hanno i medici per curarli.

   L’Occidente d’altro canto applica da tempo sanzioni al regime di Assad. Numerose voci si stanno sollevando in Europa perché l’embargo venga sospeso per ragioni umanitarie. Ma il rischio reale è di aiutare così il tiranno di Damasco a dirottare gli aiuti verso le zone da lui controllate, tra le quali la città di Latakia, luogo d’origine e roccaforte storica del clan degli Assad. Mentre, approfittando del sisma, lui regola i conti con i nemici bombardandoli con rinnovato vigore, come ha fatto subito dopo la scossa a nord di Aleppo.

   Anche se il tiranno ha mandato una mail all’Europa per attivare gli aiuti promettendo di distribuirli anche ai ribelli, la figlia di Bashar, la diciannovenne Zein, dalla sua dorata residenza londinese ha messo in guardia i follower sui social dal rispondere all’appello per Idlib, una delle città più colpite dal terremoto ma in mano ai ribelli: «Per favore – ha scritto – attenti a quelli a cui donate. Questo è un gruppo che sostiene i terroristi, le vostre donazioni non andranno ad Aleppo, a Latakia, ad Hama».

   In Occidente, dalla Rivoluzione Francese in poi, cittadini sono tutti coloro che abitano su un territorio; nelle autocrazie i sudditi meritevoli di soccorso sono solo quelli che fanno parte della gens del capo, o gli sono fedeli. L’ambasciatore presso le Nazioni Unite ha detto che la Siria accetterà aiuti solo se passeranno da Damasco, dunque sotto il controllo del regime. Che però ha una lunga storia di ruberie e speculazioni, grandi quantità di fondi umanitari deviate verso la cricca al potere: secondo alcune stime, per ogni dollaro di aiuti la metà è finita a rafforzare il principale responsabile dei problemi di questo Paese.

   Ci vorrebbe un nuovo Voltaire per raccontare l’intreccio letale tra guerra, tirannia e disastro che ha sepolto un popolo. La Natura è neutrale, colpisce dove e quando crede; ma i regimi ne possono moltiplicare la forza distruttiva. Così come le placche tettoniche, gli enormi segmenti di crosta terrestre che si spingono e si scontrano provocando i terremoti, così anche i popoli sono sbalzati in aria quando la guerra li muove gli uni contro gli altri.

   Assad è riuscito a isolare la sua nazione dal mondo, e l’ha resa così più vulnerabile all’insulto della Natura. È forse uno dei più perfetti interpreti di quella «civiltà del potere» che si oppone alla «civiltà della libertà» di cui parla il filosofo Biagio de Giovanni; il protagonista di un gioco orientale in cui, come negli scacchi, pedoni e alfieri possono essere sacrificati, ma la partita finisce quando cade il Re. «Delle sette piaghe di Siria – ha scritto ieri su questo giornale Francesco Battistini – le scosse, i morti, il buio, il gelo, la fame, la paura, Assad è la peggiore». Purtroppo è così. Perfino davanti al terremoto ci sono popoli più sfortunati di altri. (Antonio Polito, da “il Corriere della Sera” del 9/2/2023)

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SE ERDOGAN SI SCOPRE VULNERABILE

di Enrico Franceschini, da “la Repubblica” del 8/2/2023

   Le prime proteste che serpeggiano in varie città per i ritardi nei soccorsi in Turchia, Continua a leggere