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CHIUDE NOVAYA GAZETA: A MOSCA NON C’È PIÙ SPAZIO PER UNA VOCE LIBERA
di Maria Michela D’Alessandro, da https://www.lasvolta.it/ del 29/3/2022
– Si ferma anche l’ultimo giornale indipendente rimasto in Russia. L’annuncio: sospese le pubblicazioni fino alla fine della guerra in Ucraina. La stretta del Cremlino su tutte le pubblicazioni che non si piegano alla propaganda –
Di questo passo, così, non ne rimarrà più nessuno. Anche se in Russia Novaya Gazeta era davvero l’ultima voce libera nel mare di censura sempre più profondo da un mese a questa parte. Ieri l’annuncio, sospese le pubblicazioni fino alla fine della guerra.
Sono bastate poche righe per spiegare la decisione: «Abbiamo ricevuto un altro avviso da Roskomnadzor (NDR: Roskomnadzor è un organo della Federazione Russa che controlla le comunicazioni, la possibilità di censurarle, la privacy e le frequenze radio) – si legge sul sito del giornale con data 28 marzo – Sospendiamo la pubblicazione online e sulla carta fino alla fine della “operazione speciale sul territorio dell’Ucraina”. Cordiali saluti, i redattori di Novaya Gazeta».
Qualche minuto prima, la notizia di un secondo avvertimento ricevuto dall’ente statale russo che controlla i media nei confronti della redazione e del fondatore del giornale per aver menzionato una associazione riconosciuta come “agente straniero” senza farlo presente ai lettori, violando di fatto la legge. Nel Paese i media che operano in Russia, finanziati dall’estero, sono infatti costretti a registrarsi con questa dicitura, pena multe, blocco o addirittura la detenzione.
Dalla sua entrata in vigore, il 21 novembre 2012, centinaia di organizzazioni non governative che ricevevano fondi dall’estero hanno subito una profonda riduzione delle donazioni, danni alla reputazione, intimidazioni e procedimenti giudiziari nei confronti dei loro esponenti. Dall’inizio della guerra in Ucraina, la maggior parte delle associazioni o media riconosciuti come “agenti stranieri” è stata costretta a chiudere o a lasciare il Paese (molti siti sono stati oscurati e bloccati).
Un’ulteriore stretta è arrivata il 4 marzo con la legge che introduce pene fino a 15 anni di carcere per la diffusione di notizie ritenute false sulle azioni militari russe in Ucraina.
Lo scorso 22 marzo Roskomnadzor aveva già inviato un avvertimento scritto alla redazione di Novaya Gazeta per non aver etichettato una ONG proprio come “agente straniero”. Tra pochi giorni l’ultimo periodico libero e indipendente russo avrebbe compiuto 29 anni dalla sua prima pubblicazione il 1° aprile 1993, due anni dopo il crollo dell’URSS: il sogno di un prodotto di informazione libero sostenuto e cofondato da Mikhail Gorbaciev e Dmitrij Muratov, premio Nobel per la Pace nel 2021 e direttore dal 1995.
Chissà se a complicare la situazione sia stato anche il video di Muratov nel giorno dell’aggressione militare russa in Ucraina in cui esprimeva “dolore e vergogna”, o la prima pagina del giornale stampato in russo e in ucraino in segno di solidarietà con il Paese invaso. In continua collisione con il governo per il bavaglio alla libertà di stampa, Novaya Gazeta si è sempre distinto per le inchieste, gli articoli di denuncia, e la voce di dissenso.
Ne è un esempio la morte di Anna Politkovskaja, uccisa nel giorno del 54esimo compleanno di Vladimir Putin, il 7 ottobre 2006, in un agguato di cui non è mai stato indicato il mandante. Nel giornale, c’era sempre spazio per la penna di Anna, per i suoi reportage sulla seconda guerra cecena e per le critiche contro i governi russi, così come per quelli di Anastasia Baburova, collaboratrice di Novaya Gazeta, uccisa nel 2009, a 25 anni, nel centro di Mosca per una ferita d’arma da fuoco alla testa.
Ci ha provato fino alla fine Muratov, il giornalista che dopo aver vinto il premio Nobel per la Pace lo scorso ottobre aveva ringraziato proprio i colleghi del giornale: «Il merito è della Novaya Gazeta. Di quelli che sono morti difendendo il diritto alla libertà di parola. Dato che non sono più con noi, il Comitato del Nobel ha evidentemente deciso che lo dica io. Il merito è di Igor Domnikov, di Yuri Shchekochikhin, di Anna Stepanovna Politkovskaja, di Nastja Baburova, di Natasha Estemirova, di Stas Markelov. Ecco la verità. Questo Nobel è per loro». (di Maria Michela D’Alessandro, da https://www.lasvolta.it/ del 29/3/2022)
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IN RUSSIA CHI PROTESTA CONTRO LA GUERRA PERDE IL LAVORO
di Gabriella Mazzeo, da FANPAGE https://www.fanpage.it/ 21/3/2022
– Chi esprime dissenso in Russia perde il posto di lavoro. Questo è il caso di KAMRAN MANAFLY, insegnante 28enne che su Instagram ha detto di non voler essere “uno strumento della propaganda russa”. Il giovane è stato licenziato pochi giorni dopo l’accaduto –
Kamran Manafly ha 28 anni ed è un insegnante di geografia in Russia. Si sente un insegnante nonostante il fatto che abbia perso quel posto di lavoro pochi giorni fa dopo un post pubblicato su Instagram. L’ultima foto postata da Kamram è dell’8 marzo, pochi giorni prima che la Russia perdesse l’accesso al social network.
“Ho una mia opinione che chiaramente non coincide con quella dello Stato. Non voglio essere uno specchio della propaganda governativa e sono orgoglioso di non aver paura di dirlo” ha scritto l’insegnante 28enne sulla sua pagina personale a proposito della guerra in Ucraina. Il post è arrivato dopo una riunione del personale nella sua scuola al centro di Mosca.
Durante l’incontro, l‘insegnante ha ricevuto ordine di non parlare della situazione in Ucraina agli alunni. Un invito al corpo docenti ad allinearsi su una versione comune che non distogliesse dalle informazioni fornite dal governo.
Dopo la pubblicazione del post correlato alla foto nella piazza principale di Mosca, la scuola gli ha chiesto di fare un passo indietro. Lui ha rifiutato, però ha anche capito che non c’era margine di discussione. Non ha cancellato la didascalia: semplicemente si è dimesso dal suo ruolo. “Amo tutti gli studenti che ho e tutti quelli che ho avuto – scrive ancora su Instagram -. La mia coscienza non mi tormenta”. (Gabriella Mazzeo, da FANPAGE https://www.fanpage.it/ 21/3/2022)
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“I VERI UCRAINI SONO BUONI RUSSI” COSÌ LO ZAR RISCRIVE LA STORIA
di Anna Zafesova, da “la Stampa” del 27/3/2022
– Libri bruciati e monumenti abbattuti: ecco la cancel culture secondo il Cremlino; i testimoni: all’opera nelle zone occupate squadre speciali di censori –
Manuali scolastici, pubblicazioni sulla politica e l’attualità, libri sui Maidan del 2004 e del 2014, e sulla guerra del Donbass, ma soprattutto libri di storia: nei territori ucraini occupati i russi starebbero operando una «pulizia culturale» metodica e spietata.
Squadre di polizia militare, arrivate al seguito dell’esercito nelle regioni di Donetsk, Luhansk, Sumy e Chernihiv, vanno a perquisire biblioteche e a «confiscare» libri che non corrispondono ai dettami ideologici del Cremlino. I censori sono dotati di una lista di nomi da «epurare», indipendentemente dal contesto in cui vengono trattati, che vanno da Ivan Mazepa, il leader cosacco che nel Seicento sfidò la Russia, a Simon Petlyura, uno dei protagonisti del tentativo di indipendenza di Kiev del 1918, con particolare attenzione a Stepan Bandera e Roman Shukhevich, i leader collaborazionisti dell’Oun, l’organizzazione dei nazionalisti ucraini durante la Seconda guerra mondiale.
I libri sequestrati, stando a quello che testimoni presenti nei territori occupati hanno riferito al governo di Kiev, vengono distrutti sul posto, oppure portati via in direzione sconosciuta. Un’informazione non facile da verificare, che potrebbe ovviamente anche essere prodotta dall’intelligence ucraina che ne riferisce. Già più difficili da falsificare, però, sono i numerosi video di soldati russi che prendono a martellate lapidi commemorative sugli edifici, e strappano le bandiere ucraine, come ha fatto sotto le telecamere la cantante rock russa Yulia Chicherina a Energodar, nella regione di Zaporizzhia.
Per l’ideologia sovietica, era una bandiera «nazionalista», e la propaganda russa si rifà alla tradizione staliniana che bollava ogni menzione dell’identità ucraina come «nazionalismo», e ogni manifestazione di nazionalismo veniva equiparata al «nazismo». «La popolazione delle città che liberiamo ci accoglie in russo, ci ringrazia in russo», dice la responsabile della propaganda del Cremlino Margarita Simonyan, la creatrice della famigerata tv di regime RT.
Gli ucraini buoni sono russi, dunque, e quando insistono a rimanere ucraini diventano «nazisti», che Simonyan definisce come «bestialmente feroci, pronti a cavare gli occhi ai bambini di altre etnie». E sul canale TV Rossia 24 un «esperto» sostiene che lo slogan «no alla guerra» usato dai dissidenti russi è «tipico del nazismo», un’altra scoperta «storica» sorprendente.
Del resto, la storia è la materia preferita di Vladimir Putin, che negli ultimi anni si è dedicato alla stesura di saggi «storici» che fondamentalmente pescavano dall’arsenale della storiografia sovietica, e che era difficile pensare avrebbero ispirato una guerra che il capo del Cremlino ha voluto per riparare a quella che considera un’ingiustizia storica, il collasso dell’Urss.
Non è un caso che abbia scelto come capo negoziatore Vladimir Medinsky, che da ministro della Cultura era stato un convinto produttore di falsi storici «patriottici» e ora guida la Società di storia militare. È una guerra sulla storia, e mentre Putin si lamenta che la cultura russa viene «proibita in Occidente» e si considera una vittima della cancel culture, paragonandosi a J.K. Rowling, mentre i suoi militari cancellano i manuali di storia ucraina, secondo il classico teorema di George Orwell che «chi controlla il passato controlla il presente».
Ovviamente scegliendo dal passato solo i frammenti che corrispondono al mosaico ideologico. Uno di questi tasselli, fondamentali per il regime putiniano, potrebbe essere Kherson, unico capoluogo regionale ucraino occupato dai russi, dove girano voci su un’introduzione del rublo come moneta, e su un’imminente «adesione alla Russia» che verrebbe proclamata il 1° aprile.
Nemmeno una «repubblica popolare» finto indipendente come quelle del Donbass, dunque, ma Russia a tutti gli effetti. Forse il Cremlino ha urgente bisogno di presentare al suo elettorato nostalgico una nuova conquista territoriale. Ma è possibile anche che Kherson occupi un posto speciale nella storiografia putiniana: fondata nel 1778 dal principe Potiomkin, è stata battezzata in onore di Khersones, l’antica colonia greca in Crimea dove, secondo una leggenda tutta da verificare, si sarebbe convertito al cristianesimo il principe Vladimir di Kiev. Il Vladimir odierno è particolarmente devoto al suo omonimo, e ha fatto erigere un’enorme e molto contestata statua che lo raffigura all’ingresso del Cremlino. Aveva già giustificato l’annessione della Crimea con il battesimo di Vladimir, ora potrebbe essere il turno del Sud ucraino. (Anna Zafesova, da “la Stampa” del 27/3/2022)
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IL LIBRO
ASCOLTANDO LE VOCI LIBERE CHE I REGIMI DI MOSCA E PECHINO VORREBBERO RIDURRE AL SILENZIO
di Jacopo Iacoboni, da “La Stampa” del 29/3/2022
– Il saggio “DISSIDENTI” di GIANNI VERNETTI (Rizzoli pagg. 360 euro 19) e il racconto delle distopie del presente –
Si sarebbe potuti essere quasi certi che Putin avrebbe invaso l’Ucraina semplicemente mettendo in fila la progressione di violenze e invasioni che la Russia ha prodotto in questi 22 anni, e la scia imponente e profetica di dissidenti che quelle violenze si sono portati dietro. La TRANSNISTRIA in Moldavia nel 1999, l’ABCAZIA e l’OSSEZIA DEL SUD in GEORGIA nel 2008, la CRIMEA e il DONBASS in Ucraina nel 2014.
Senza contare le tecniche di bombardamento a GROZNY, in CECENIA, o la guerra ibrida condotta a colpi di avvelenamenti (Sergey Skripal e Alexey Navalny), le morti di oppositori politici o giornalisti assassinati (da Anna Politkovskaya a Boris Nemtsov, per citarne solo due), gli hackeraggi ai danni di Paesi europei e all’America (dall’Ucraina di Not Petya alle elezioni presidenziali che portarono nel 2016 alla vittoria di Donald Trump).
Il nuovo lavoro di Gianni Vernetti compie tuttavia un’operazione rovesciata: la certezza della guerra finale e dell’invasione russa in Ucraina si sarebbe facilmente potuta ricavare osservando e studiando quelle che sono state a un tempo le vittime ma anche i personaggi più temuti dal Cremlino (e più in generale dalle dittature o delle autocrazie nel mondo, dalla Cina all’Iran al Venezuela, alla Bielorussia, la Siria, la Turchia, l’Iraq, per dirne solo alcune).
I DISSIDENTI (Rizzoli), da Alexei Navalny a Nadia Murad, da Azar Nafisi al Dalai Lama, incontri con donne e uomini che lottano contro i regimi. Perché questi ritratti? Cosa ci insegna la storia dei totalitarismi del Novecento e qual è la lezione che possiamo cogliere oggi dalle incredibili e coraggiose storie, tra gli altri, di Andrej Sacharov, Natan Sharansky, Václav Havel, Jiří Pelikán, fino a donne come Svetlana Thikanovskaya, ormai perseguitata dal dittatore di Minsk, Alexandr Lukashenko? «La prima: i regimi, le dittature e le autocrazie non sono immutabili e possono anche cadere». La seconda: possiamo cambiare anche noi la storia, aiutare a far cadere «le satrapie», noi che in Occidente ci dimentichiamo a volte di combattere per la libertà e la democrazia, cioè i nostri valori, e che i dissidenti non sono assolutamente dei generici pacifisti.
Ma bisogna raccontarne le storie anche per un motivo assai pratico e contemporaneo: siccome molti dei dissidenti contemporanei hanno trovato la loro voce usando, più o meno abilmente, Internet, i social network, le communities, le repressioni sanno che cancellare la dissidenza da Internet significa cancellarla dalla realtà. È quello che è stato tentato a Hong Kong dalla Cina, contro Joshua Wong. O, per fare solo un altro esempio tra i possibili, la Cina non solo fa sparire la tennista Peng Shui: la fa sparire da Internet (lei aveva denunciato sul social cinese Weibo di esser stata stuprata da Zhang Gaoli, membro del Consiglio permanente del Politburo cinese, e uno tra i più potenti di tutta la Cina).
Controllare il passato per cancellare il presente e il futuro, parafrasando Orwell. Dissidenti è dunque, anche, una distopia. Frutto di tanti incontri dell’autore nelle capitali della dissidenza, da Vilnius (specialmente per russi e bielorussi) a Taipei o a Dharamsala, il Tibet in esilio sulle montagne indiane. Per esempio quello con l’uomo più vicino a Navalny, il capo del suo staff, Leonid Volkov, che racconta come in Russia i sondaggi reali diano i sostenitori di Navalny al secondo posto, al 20 per cento, «ma non possiamo registrare un partito, né partecipare alle elezioni nazionali per la Duma e a quelle locali, e nonostante il controllo assoluto dei mezzi d’informazione il partito di Putin raggiunge solo il 27 per cento».
Volkov nel giugno 2021 già parla compiutamente di «crimini di guerra» di Putin (e non aveva ancora visto Mariupol, Kharkhiv, Irpin e le città ucraine rase al suolo in pieno stile Aleppo): «Da quando ha commesso crimini di guerra (l’aereo malese abbattuto, la guerra in Crimea, l’invasione del Donbasss), Putin ha scelto la via di non ritorno: non può certo immaginare per lui un sereno pensionamento in Toscana a coltivare pomodori…».
Dove il riferimento all’Italia è dovuto al fatto, spiega Volkov, che molti dei soldi e degli asset (ville e barche comprese) degli oligarchi putiniani (ossia spesso di Putin) sono appunto da noi, nel Belpaese. Vladimir Kara Murza si è battuto più di tutti con Boris Nemtsov per far approvare la legge Magnitsky (dal nome dell’avvocato ucciso in un carcere russo dopo aver svelato una serie di schemi offshore usati da soggetti legati al Cremlino per nascondere ricchezze e asset).
Ora dice a Vernetti che «quasi tutti i dittatori, da Mussolini a Hitler, hanno fatto affermazioni molto simili» a quelle di Putin («l’idea liberale è obsoleta»): un paragone tra il putinismo e il nazismo che risuona potente, ora che abbiamo visto le immagini della Z (wastika) del Cremlino sui carri armati in Ucraina e nella propaganda interna con l’adunata allo stadio.
Mikhail Khodorkovsy, l’oligarca che non si piegò a Putin e si fece 10 anni in Siberia in carcere (e che il Cremlino teme ancora a tal punto da dichiarare fuorilegge le sue tre charity), ci informa che «oggi ci sono circa 4 mila prigionieri politici nelle carceri russe». E le tecniche non sono cambiate da quelle delle infami «sette carceri del Kgb», come del resto col chekista Putin c’era da aspettarsi.
Ecco, Putin non è uno scacchista, un maestro di strategia (semmai un lottatore di judo). Il grande scacchista dissidente, Gerry Kasparov, lascia una profezia: «La Russia, anche alla luce della debolezza strutturale della propria economia, potrà essere solo uno junior partner del gigante cinese». La folle guerra all’Ucraina lo sta già dimostrando. (Jacopo Iacoboni)
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IL LIBRO
GARRY KASPAROV – L’INVERNO STA ARRIVANDO (2016)
– Una riedizione del libro tradotto in italiano nel 2016 –
L’ascesa di Vladimir Putin, un ex colonnello del KGB, alla presidenza della Russia nel 1999, da molti è stata letta come un primo segno di allontanamento del paese dalla democrazia. In questi lunghi anni, nonostante il mondo abbia tentato di trovare un canale di comunicazione pacifico con il nuovo Presidente, Putin ha trasformato sempre più la sua presidenza in un regime e rischia di diventare una minaccia globale.
Con il suo ampio arsenale nucleare, Putin è al centro di un assalto alla libertà politica.
Per Garry Kasparov, niente di tutto questo è una novità. Per più di 10 anni ha criticato aspramente la politica di Putin, fino a guidare una lista pro-democrazia nelle farsesche elezioni presidenziali del 2008. Dopo aver trascorso anni a inviare le sue fosche profezie sulle reali intenzioni di Putin, come una moderna Cassandra, Kasparov ha visto realizzarsi le sue più nere aspettative: la Russia di Putin si definisce, come fanno l’Isis e Al Qaeda, a partire dalla contrapposizione con gli stati liberi del mondo.
È come se stesse ancora combattendo una sua personale Guerra Fredda, dimenticando o smentendo le lezioni apprese da quella passata. Per evitare di essere trascinati in un altro prolungato e drammatico conflitto, Kasparov incita a una presa di posizione ferma – diplomatica, politica ed economica – contro la Russia. Se le più importanti democrazie del mondo continueranno a riconoscere e negoziare con Putin, lui manterrà la sua credibilità e consenso nel Paese. Il Presidente affronta pochi nemici interni, ormai allo stremo, quindi un’opposizione efficace deve provenire dall’estero.
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IL LIBRO
MARTA FEDERICA OTTAVIANI – BRIGATE RUSSE (2022)
Perché negli ultimi anni abbiamo sentito parlare sempre più di troll e bot russi? Cosa sono e quale strategia nascondono questi attacchi informatici? L’avvento al potere di Vladimir Putin, nel 2000, ha aperto una nuova fase nella storia della Russia, portando il Paese a nutrire maggiori ambizioni nell’arena internazionale non più sostenibili con le vecchie strategie.
La cosiddetta ‘Dottrina Gerasimov’, che prende il nome dal Generale che l’ha teorizzata, è il punto di partenza della guerra non convenzionale che vede come strumenti principali internet, le nuove tecnologie e i social network. Una guerra occulta, che si combatte anche in tempo di pace e che ha, fra i suoi obiettivi, la manipolazione dell’opinione pubblica e l’uso dell’informazione come arma a largo spettro.
In questo libro Marta Ottaviani illustra come Mosca sia riuscita a influenzare alcuni grandi conflitti e appuntamenti internazionali attraverso attacchi hacker ai danni di molti Paesi europei e legioni di troll al soldo del Cremlino, che operano per accrescere la popolarità di Putin e screditare gli oppositori. L’obiettivo è quello di far filtrare la versione dei fatti russa, ribaltando la realtà, anche attraverso una galassia di media legati a Putin e al suo cerchio magico.
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IL LIBRO
GIORGIO DELL’ARTI – LE GUERRE DI PUTIN (2022)
Se non sai che cosa accadrà domani, perché parlare a vanvera oggi? (Vladimir Putin)
“Ho raccolto informazioni su Putin per vent’anni. Quando ha attaccato l’Ucraina, ho cominciato a scrivere questo libro che ripercorre la vita dell’ultimo autocrate russo, dal primo vagito a oggi, per mostrare come, attraverso una fitta rete di alleanze e di sostegni, palesi o occulti, e un’implacabile caccia a nemici e oppositori, è arrivato fin dove è arrivato. La tattica e i pretesti sono sempre gli stessi, e basterà rileggere le vicende relative alla Georgia o alla Crimea per rendersene conto. È cioè la storia appassionante e incredibile di una presa di potere nel paese più grande del mondo, illuminata dal racconto di centinaia di aneddoti.”
Giorgio Dell’Arti
Il libro racconta – ed è la prima volta, almeno in Italia – la vita di Putin dall’infanzia fino ad oggi, illustrandone non solo vizi, amori, ossessioni, delitti e colpi di genio, ma anche le ragioni strategiche che stanno dietro all’invasione della Georgia, ai bombardamenti in Siria, alla presa di possesso della Cirenaica. Questo col sistema di far raccontare la vicenda attraverso un dialogo, in cui l’interlocutore (cioè Dell’Arti) pone a colui che racconta (sempre Dell’Arti) le stesse domande che si fanno tutti.
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IL LIBRO
ANNA POLITKOVSKAJA – LA RUSSIA DI PUTIN (ed. italiana 2015 e 2022)
«Siamo solo un mezzo, per lui. Un mezzo per raggiungere il potere personale. Per questo dispone di noi come vuole. Può giocare con noi, se ne ha voglia. Può distruggerci, se lo desidera. Noi non siamo niente. Lui, finito dov’è per puro caso, è il dio e il re che dobbiamo temere e venerare. La Russia ha già avuto governanti di questa risma. Ed è finita in tragedia. In un bagno di sangue. In guerre civili. Io non voglio che accada di nuovo. Per questo ce l’ho con un tipico čekista sovietico che ascende al trono di Russia incedendo tronfio sul tappeto rosso del Cremlino».
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DI CHE COSA PARLA QUESTO LIBRO| Questo libro parla di un argomento che non è molto in voga in Occidente: parla di Putin senza toni ammirati. A scanso di equivoci, spiego subito perché tale ammirazione (di stampo prettamente occidentale e quanto mai relativa in Russia, dato che è sulla nostra pelle che si sta giocando la partita) faccia qui difetto. Il motivo è semplice: diventato presidente, Putin – figlio del più nefasto tra i servizi segreti del Paese – non ha saputo estirpare il tenente colonnello del kgb che vive in lui, e pertanto insiste nel voler raddrizzare i propri connazionali amanti della libertà. E la soffoca, ogni forma di libertà, come ha sempre fatto nel corso della sua precedente professione. Questo libro spiega inoltre come noi, che in Russia ci viviamo, non vogliamo che ciò accada. Non vogliamo più essere schiavi, anche se è quanto più aggrada all’Europa e all’America di oggi. Né vogliamo essere granelli di sabbia, polvere sui calzari altolocati – ma pur sempre calzari di tenente colonnello – di Vladimir Putin. Vogliamo essere liberi. Lo pretendiamo. Perché amiamo la libertà tanto quanto voi.
Questo libro, però, non è un’analisi della politica di Putin dal 2000 al 2004. Le analisi politiche le fanno i politologi. Io sono un essere umano tra i tanti, un volto nella folla di Mosca, della Cecenia, di San Pietroburgo o di qualunque altra città della Russia. Ragion per cui il mio è un libro di appunti appassionati a margine della vita come la si vive oggi in Russia. Perché per il momento non riesco a fare un passo indietro e a sezionare quanto raccolto, come è bene che sia se si vuole analizzare un fenomeno. Io vivo la vita, e scrivo di ciò che vedo (…..) (Anna Politkovskaja, uccisa dai sicari di Putin il 7 ottobre 2006)