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POSCOLE, PASSATO E PRESENTE. TESTIMONIANZE DI UNA VIOLENZA AMBIENTALE SENZA PRECEDENTI. TRA SPECULAZIONE E PFBA. I NUOVI DATI ARPAV
di SERGIO FORTUNA, 18/10/2023, da https://pfas.land/
La questione delle Poscole ci è sempre stata a cuore perché era un luogo bellissimo. La Poscola nasce in una grotta di acqua freschissima e chiarissima al Passo di Priabona e poi scende dalle creste del Pulgo e dei Campi Piani del Faedo per risorgere sulla Praderia. Tanto era bello, importante, unico, questo luogo baciato da Dio e da Pan, da mito e da storia (qui addirittura prende nome il Priaboniano), che si era pensato prima di proteggerlo e poi di farlo diventare perfino area di interesse comunitario. Poi sono arrivati i barbari (i Veneti contemporanei, con la lettera maiuscola identitaria), la speculazione iniziata con i Marzotto, la Superstrada Pedemontana Veneta voluta senza né scienza né sentimento da Luca Zaia e dai suoi satelliti politici ed economici, in joint “project financing” venture. Risultato. La distruzione di una zona bellissima, ricca di acqua e di storia, di flora e di fauna, e di umanità.
La Poscola oggi, dopo essere stata violentata ed inquinata dai PFBA (vedi nota su nuovi dati ARPAV in calce, con la presenza degli inquinanti a Sarego), dopo essere stata deviata per ben 3 volte dal suo alveo naturale e imbrigliata dentro al cemento, dopo essere stata lo scarico mefitico per decenni della Miteni di Trissino, rappresenta il torrente più violentato e inquinato d’Italia e forse d’Occidente. Un vero e proprio crimine ambientale permesso dalla politica distruttrice dei valori fondamentali di una civiltà. Da coloro che piangono il Vajont e in Dolomiti per le Olimpiadi e qui per la speculazione hanno fatto e stanno facendo lo stesso. La Poscola è la vergogna del Veneto a cielo aperto. La vergogna “naturalistica”.
A raccontarci tutto ciò un nativo del luogo e una grande sensibile artista. Nel mentre in alto passa la nuova Alta Via dei Montecchiani ribelli. Quelli che attraversando i territori in punta di piedi, su sentieri remoti e non allineati, si rivoltano contro il malaffare di chi li sta distruggendo quotidianamente.
Comitato di Redazione PFAS.land
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POSCOLA, PASSATO E PRESENTE
di Sergio Fortuna
Il passato di quei luoghi, data l’età, lo posso ricordare. Il fondovalle della Poscola a nord di Castelgomberto, dopo le Casarette, era fatto solo di campi, alberate, siepi e fossi. Alcune case c’erano, sui due versanti, ma ai piedi delle colline, costruite sul “sengio”, saldo e fuori dall’acqua.
Perché il posto si trova allo sbocco della valle della Poscola sulla più ampia valle dell’Agno e i sedimenti portati dal torrente principale avevano sbarrato la valle secondaria, creando una zona paludosa. Questa era stata bonificata nel Medio Evo mediante le “fosse” (toponimo attestato fin dal 1269), canali che drenavano l’acqua dai campi, ma essendo in buona parte al livello della Poscola erano (e sono ancora oggi) piene d’acqua tutto l’anno.
Fino agli anni Settanta la zona era rimasta in questo stato. Nelle Fosse si pescavano le tinche, mentre nella Poscola, che scorreva lenta e senza arginature, contornata da pioppi, si potevano trovare le “salgarele” e i “marsoni”, spesso pescati abusivamente mediante le “moscarole”. Il posto migliore era il Fosson, ufficialmente Poscoletta, che scendeva dai declivi di Cereda e portava acqua in ogni stagione, mentre a monte della confluenza spesso d’estate la Poscola era secca.
Siepi e alberate poi fornivano il terreno ideale ai cacciatori locali. Dal paese ci si arrivava attraverso una strada bianca che correva tra il ripido pendio del monte di Santo Stefano e la Poscola, che alle Cengelle veniva attraversata da un vecchio ponte in pietra a due arcate, con balaustra in ferro. La strada proseguiva verso il Tezzon, dall’altra parte della valle, verso Cereda, e incrociava con un angolo retto la roggia che da lì scendeva, con paracarri in pietra uniti da traversi in ferro: lì, si diceva, erano stati uccisi quattro soldati tedeschi, alla fine della guerra; ora c’è una rotatoria.
Ricordi personali, perché abitavo alla Villa, il vecchio centro del paese, e bastava poco per uscire verso quei luoghi favolosi. Dopo il ponte c’erano “cavezzagne” che si inoltravano nei campi, spesso coltivati a mais: bastava inoltrarsi per qualche decina di metri per sentirsi fuori dal mondo. Alcuni di questi campi venivano coltivati da una famiglia vicina a casa mia, i cui ragazzi dopo che i prati erano stati “segati” avevano il permesso di giocare a calcio in questi con gli amici. Così decine di bambini raggiungevano in bicicletta i prati, circondati dalle alte canne del mais, e potevano sfogarsi per un pomeriggio dietro a un pallone senza disturbare nessuno. Per la sete, c’era la limpida acqua della Poscola: sì, abbiamo fatto quello che oggi sarebbe un tentativo di suicidio, e senza danni.
Poi negli anni Sessanta la strada delle Cengelle venne allargata e asfaltata, e anche il ponte, con una gettata di cemento. Cominciò il traffico, perché dal paese attraverso questa strada si poteva raggiungere la provinciale di Priabona, e data la tortuosità del percorso, anche incidenti, diversi dei quali mortali. Più a sud, lungo la strada delle Casarette, venne costruito uno stabilimento dove si lavorava la plastica, primo insediamento che veniva a rompere l’integrità della Praderia, come era chiamato quel largo fondovalle allora fatto solo di campi coltivati e ora in parte occupato dalla zona industriale di Castelgomberto e Cornedo. Per la parte più a nord, che per la presenza di numerosi corsi d’acqua veniva detta “le Poscole”, al plurale, si cominciava a parlare di zona protetta.
(continua il racconto su: 18 ottobre 2023 | POSCOLE, PASSATO E PRESENTE. TESTIMONIANZE DI UNA VIOLENZA AMBIENTALE SENZA PRECEDENTI. TRA SPECULAZIONE E PFBA. I NUOVI DATI ARPAV – forever chemicals – informazione e azione contro i crimini ambientali (pfas.land)
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PFAS, ELIMINATO L’ULTIMO DUBBIO: “SONO CANCEROGENI CERTI”
di Stefano Baudino, da L’indipendente, https://www.lindipendente.online/, 4/12/2023
Trenta scienziati dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) hanno fatto chiarezza sul legame tra esposizione a sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) e insorgenza di tumori. In un lavoro che verrà presto pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet Oncology, i ricercatori hanno infatti concluso che una delle tipologie di PFAS più diffuse è certamente cancerogena e che pertanto va inserita nel gruppo 1 delle sostanze che possono causare neoplasie. L’aggiornamento della lista avrà una forte rilevanza in tutti quei processi in cui le vittime di queste pericolose sostanze industriali chiedono giustizia, come nel caso dei cittadini veneti che da anni si battono contro le istituzioni e l’azienda che ha sversato PFAS nella falda idrica sotto le province di Vicenza, Padova e Verona.
In particolare, i Pfoa, composto chimico della famiglia dei Pfas, sono stati considerati cancerogeni per gli esseri umani “sulla base di prove sufficienti di cancro negli esperimenti sugli animali – scrivono i ricercatori – e di prove meccanicistiche forti nell’uomo esposto”. Si parla, nello specifico, di un rapporto causa-effetto tra la presenza di Pfoa nel sangue, nei tessuti e negli organi dei soggetti contaminati e le patologie da essi sviluppate. I Pfos, altro appartenente al gruppo dei Pfas, sono stati invece fatti rientrare nel gruppo 2B (a cui in precedenza appartenevano i Pfoa) poiché “possibilmente” cancerogeni. La ricerca, che presto vedrà la luce, illustrerà gli utilizzi industriali dei Pfas e prenderà in esame le correlazioni con determinate tipologie di tumore, in particolare quelli del rene e dei testicoli. Il rapporto, inoltre, conferma la trasmissibilità da mamme a neonati, nonché il fatto che i Pfas determinano una minore reazione dei vaccini e una maggiore vulnerabilità alle infezioni.
I contenuti del nuovo studio costituiscono l’ennesimo tassello tecnico-scientifico che ha evidenziato la grande pericolosità dei Pfas, dando ragione a quell’universo di movimenti e associazioni – primo tra tutti quello delle “Mamme No Pfas” – che da sempre, in piazza come nelle aule giudiziarie, denunciano la questione. Attualmente è in corso davanti alla Corte d’Assise di Vicenza un processo che vede alla sbarra i dirigenti della Miteni di Trissino – azienda chimica specializzata in produzione di intermedi fluorurati per agrochimica, farmaceutica e chimica, dichiarata fallita nel 2018 – per le responsabilità sottese al grave inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche di una vasta falda acquifera in Veneto, che avrebbe coinvolto 350mila cittadini nelle aree di Vicenza, Padova e Verona.
In aula Pietro Comba, ex dirigente in pensione di Iss, lo scorso giugno ha riferito che nel 2017 svolse con i tecnici della Regione un lavoro atto a porre le basi dello studio epidemiologico per accertare le possibili correlazioni tra la presenza di Pfas nel sangue e l’insorgenza di tumori. Un progetto che si sarebbe arenato, a detta di Comba, per motivazioni politiche.
Recentemente, in seguito alle pressioni ricevute dalle associazioni ambientaliste e dalle forze di opposizione, l’assessora regionale leghista alla Sanità Manuela Lanzarin ha ammesso che a bloccarlo furono «ragioni di approfondimenti di natura economica-finanziaria».
Un mese fa, peraltro, è stata archiviata l’indagine a carico degli stessi manager della Miteni per omicidio colposo ai danni di tre lavoratori e per lesioni colpose rispetto alle patologie che hanno colpito 18 loro colleghi. Il gip, su proposta dei pm, aveva deciso di archiviare anche per la difficoltà di delineare una connessione certa tra Pfas e patologie riscontrate. Ma ora i risultati della ricerca dello IARC sembrano dire esattamente l’opposto.
Un importantissimo ruolo, nella cornice di questa battaglia per la verità e la giustizia, è stato giocato da vari movimenti ambientalisti che, tra il 2015 e il 2016, riuscirono a inaugurare una rilevazione a campione che mise in luce valori elevati di Pfas nel sangue dei residenti dei comuni coinvolti dal disastro ambientale.
La questione fu così grave da indurre, nel 2018, il governo a dichiarare lo stato di emergenza, istituendo una zona rossa in ben 30 comuni, e, tra il novembre e il dicembre 2021, l’Alto Commissariato dell’Onu a inviare in missione in Veneto una delegazione per comprendere se la gestione dell’emergenza abbia violato i diritti umani. Ne conseguì un rapporto in cui si evidenziò come “in troppi casi, l’Italia non è riuscita a proteggere le persone dall’esposizione a sostanze tossiche”.
Successivamente, l’allarme Pfas è risuonato anche in Lombardia. Uno scenario inquietante è infatti emerso dal rapporto “Pfas e acque potabili in Lombardia, i campionamenti di Greenpeace Italia”, pubblicato due mesi fa dall’associazione ambientalista, in cui è stato attestato che ben 11 dei 31 campioni raccolti nelle acque potabili di una serie di Comuni di tutte le province Lombarde risultano contaminati da Pfas.
In 4 casi l’organizzazione ha registrato una contaminazione da Pfas superiore al limite indicato nella Direttiva europea 2020/2184, ovvero 100 nanogrammi per litro. Lo scorso maggio, in seguito a numerose richieste di accesso agli atti inoltrate alle Agenzie di tutela della salute e agli enti gestori delle acque lombarde, la stessa associazione aveva pubblicato i risultati delle analisi eseguite dalle autorità competenti sulla concentrazione di Pfas nell’acqua destinata a uso potabile in Lombardia tra il 2018 e il 2022. Dall’esame era risultato positivo alla presenza di sostanze perfluoroalchiliche circa il 19% dei campioni (ben 738). Il valore più alto di positività ai Pfas (pari all’84% dei campioni) era stato trovato nelle acque della provincia di Lodi, seguita da Bergamo (60,6%) e Como (41,2%), mentre a Milano era risultato contaminato quasi un campione su tre. (STEFANO BAUDINO)
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Vedi su questo BLOG GEOGRAFICAMENTE:
Risultati della ricerca per “pfas” – Geograficamente (wordpress.com)
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RAPPORTO TECNICO GREENPEACE SUI PFAS IN VENETO (novembre 2023):
c00256b4-relazione-analisi-vegetali-e-alimenti-2023-3-novembre-2023.pdf (greenpeace.org)
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SCONCERTANTI COSTI SOCIALI DELL’INQUINAMENTO DA PFAS
(nuove mappe interattive dei territori contaminati del Veneto)
di Dario Zampieri, 25/7/2023, da https://pfas.land/
– “Nonostante la cortina di silenzio stesa dalle autorità, la saga dei Pfas che ha investito il territorio del Veneto occidentale si arricchisce continuamente di nuovi elementi. Il mito di un territorio operoso, affluente e felice, portato quotidianamente ad esempio dalla narrazione ufficiale e dalla stampa, si infrange non appena si cerchino informazioni non ufficiali, ma autorevoli in quanto provenienti da fonti indipendenti assolutamente attendibili. Sebbene chiunque ne possa intuire l’esistenza, quello dei veri costi della produzione e dell’uso dei Pfas è un argomento da conoscere nei suoi termini quantitativi, che sono veramente sconcertanti. Tenendo sempre presente che le sofferenze delle persone colpite nella salute non sono in alcun modo monetizzabili.
Dati alla mano, che troverete nell’articolo, risultano ancora insufficienti i nuovi limiti di sommatoria PFAS messi dalla Regione Veneto recentemente, su direttiva Europea, alle acque potabili. Da 390 ng/litro sui PFAS diversificati (vecchi e nuovi) siamo passati a 100 ng/litro (tutti inclusi). Piccoli passi di fronte ai grandi crimini ambientali permessi per decenni nei nostri territori. Talmente grandi che i nuovi limiti, seppur ancora alti, stanno mettendo a rischio la chiusura di molti acquedotti comunali, come accaduto poche settimane fa nel Comune di Montebello. Sta per collassare un intero sistema fondato sul silenzio. A dimostrazione di ciò le recenti mappe create da Felice Simeone, ricercatore CNR, che riportiamo in calce al nostro nuovo articolo, scritto dal prof. Dario Zampieri”.
Comitato di Redazione PFAS.land
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COSTI SOCIALI E PROFITTI PRIVATI DEI PFAS
Nel mondo, le aziende responsabili della produzione della maggior parte dei Pfas sono solo una dozzina (3M, AGC, Archroma, Arkema, BASF, Bayer, Chemours, Daikin, Dongyue, Honeywell, Merk, Solvay). A causa di scarsa trasparenza non è facile acquisire le informazioni sui volumi di sostanze chimiche prodotte annualmente. ChemSec (https://chemsec.org/reports/the-top-12-pfas-producers-in-the-world-and-the-staggering-societal-costs-of-pfas-pollution/) è riuscita ad investigare sui principali produttori di Pfas scoprendo che i costi sociali di tale produzione sono enormemente superiori ai profitti delle aziende.
La ChemSec, Segretariato internazionale di chimica, è un’organizzazione indipendente no-profit con base in Svezia nata nel 2002, che opera per la sostituzione dei prodotti chimici tossici con prodotti alternativi non tossici. È supportata economicamente dal governo svedese, da privati e da organizzazioni no-profit svedesi ed è membro dell’Ufficio Europeo per l’ambiente (EEB).
Lo sforzo investigativo sui Pfas ha prodotto dei risultati sconcertanti. I volumi di denaro della vendita dei Pfas – 26 miliardi di euro – non sono esorbitanti se confrontati col volume generato da tutti i prodotti chimici – 4,4 migliaia di miliardi di euro. In pratica, si tratta solo dello 0,5%.
Ma quanti sono i profitti effettivi? La mega corporazione americana 3M dichiara di realizzare con i Pfas un margine di profitto del 16% su volumi di vendita di 1,3 miliardi di dollari, cioè appena 200 milioni all’anno. Assumendo questa percentuale per tutta l’industria dei Pfas, i profitti generati globalmente in un anno sarebbero di circa 4 miliardi di euro, una cifra importante, ma poca cosa rispetto ai profitti ottenuti con tutti i prodotti chimici.
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IN EUROPA
Ma qual è il costo reale della produzione e vendita dei Pfas? Un report del 2019 sponsorizzato dal Consiglio Nordico dei Ministri (https://www.norden.org/en) con il titolo Il costo dell’inazione stima che solo in Europa i costi sanitari diretti per esposizione ai Pfas sarebbero tra 52 e 84 miliardi di euro l’anno. A questi bisogna aggiungere i costi per rimuovere i Pfas dall’ambiente. Per i suoli si stimano 2000 miliardi di euro. Per le acque d’Europa (pensiamo ad esempio ai costi di rifacimento degli acquedotti e ai costi annui di filtraggio con carboni attivi in Veneto) si stimano 238 miliardi di euro. Estrapolando a tutto il mondo sarebbero 16 migliaia di miliardi di euro l’anno. A questi costi andrebbero aggiunti i danni agli animali e al deprezzamento di terreni e abitazioni delle zone contaminate. ChemSec conclude che se le aziende produttrici dovessero pagare i danni causati la maggior parte di esse andrebbe in fallimento.
Va inoltre ricordato che l’EFSA (Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare), modificando il proprio parere del 2018, nel 2020 ha stabilito una nuova soglia di sicurezza raccomandando una dose tollerabile di 4,4 nanogrammi per chilogrammo di peso corporeo alla settimana. Anche la sicurezza alimentare ha costi sanitari, sociali ed economici. Si veda questo documento >> https://doi.org/10.2903/j.efsa.2020.6223
Il prezzo medio dei Pfas è di quasi 19 euro per chilogrammo, ma il vero costo sarebbe di 18.297 euro per chilogrammo, cioè circa 1000 volte superiore.
In pratica, la produzione dei Pfas è insostenibile anche dal punto di vista economico. È tempo di includere nel prezzo delle merci anche i costi sociali, fra cui una ridotta durata della vita e una diminuzione dei giorni lavorativi; il mondo non dovrebbe essere una discarica e le persone non sono merci usa e getta o strumento per far ulteriore profitto con le cure sanitarie.
Senza tener conto che le sofferenze prodotte dalle patologie non sono monetizzabili.
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NEGLI USA
Negli Usa, tre aziende, Chemours, Dupont e Corteva hanno dichiarato di aver raggiunto l’accordo di sborsare 1,19 miliardi di dollari per contribuire a filtrare i Pfas dal sistema di distribuzione delle acque potabili (https://www.nytimes.com/2023/06/02/business/pfas-pollution-settlement.html). Centinaia di comunità hanno citato in giudizio 3M, Chemours e altre aziende, chiedendo miliardi di dollari di danni per far fronte agli impatti sulla salute e al costo della bonifica e del monitoraggio dei siti inquinati.
Bloomberg News ha riferito che 3M ha raggiunto un accordo provvisorio del valore di almeno 10 miliardi di dollari con città e paesi statunitensi per risolvere le richieste relative ai Pfas. Tuttavia, la responsabilità di 3M potrebbe essere ancora maggiore. In una presentazione online a marzo, CreditSights, una società di ricerca finanziaria, ha stimato che il contenzioso Pfas potrebbe alla fine costare a 3M più di 140 miliardi di dollari.
L’avvocato Robert Bilott ha dichiarato che il processo iniziato nel mese di giugno 2023 presso il tribunale federale della Carolina del Sud è un banco di prova per queste cause legali, un passo incredibilmente importante in quelli che sono stati decenni di lavoro per cercare di assicurarsi che i costi di questa massiccia contaminazione da PFAS non siano sostenuti dalle vittime, ma siano sostenuti dalle aziende che hanno causato il problema.
L’accordo preliminare con Chemours, DuPont e Corteva, che si sono tutti rifiutati di commentare l’annuncio, potrebbe non essere la fine dei costi per quelle società.
La società 3M ha dichiarato che entro la fine del 2025 prevede di abbandonare tutta la produzione di Pfas e lavorerà per porre fine all’uso di Pfas nei suoi prodotti. Dopo il rapporto Bloomberg, le azioni di 3M sono aumentate notevolmente, così come le azioni di Chemours, DuPont e Corteva.
Lo scorso anno l’EPA (Agenzia per la protezione ambientale degli Usa) ha stabilito che anche livelli delle sostanze chimiche molto inferiori a quanto precedentemente stabilito potrebbero causare danni e che quasi nessun livello di esposizione è sicuro. L’EPA ha consigliato che l’acqua potabile non contenga più di 4 ng/L (nanogrammi/litro) di PFOA (acido perfluoroottanoico) e altrettanti di PFOS (acido perfluoroottansolfonico). In precedenza, l’agenzia aveva consigliato che l’acqua potabile non contenesse più di 70 ng/L di queste sostanze chimiche, mentre ora afferma che il governo richiederà per la prima volta livelli vicini allo zero.
L’EPA ha stimato che questo standard costerebbe ai servizi idrici statunitensi 772 milioni di dollari all’anno. Ma molti servizi pubblici affermano di aspettarsi che i costi siano molto più alti.
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NEL VENETO
L’ex azienda locale che conosciamo è, tutto sommato, piccola rispetto alle 12 principali, ma il territorio interessato del Veneto è grande, date le caratteristiche idrogeologiche della zona e la durata almeno trentennale della contaminazione delle acque sotterranee. Infatti, la localizzazione dell’impianto Miteni in un tratto di valle con sottosuolo costituito da sabbie e ghiaie molto permeabili, perdipiù a ridosso del torrente Poscola, ha permesso che lo spandimento di reflui liquidi raggiungesse la falda idrica sottostante, generando un plume che si è lentamente propagato per decine di chilometri a valle. Di fatto, la falda indifferenziata del tratto di valle tra Castelgomberto e Montecchio Maggiore costituisce la ricarica del sistema multifalde (più falde ospitate in materiali sabbiosi separati da strati impermeabili argillosi, che da Montecchio in giù costituiscono il sottosuolo), protette solo sulla verticale, ma non lateralmente da monte.
Come troppo spesso, se non quasi sempre, la pianificazione territoriale, quand’anche esista, considera gli interessi economici (di alcuni) e non le conoscenze scientifiche del territorio, rendendo di fatto i disastri cosiddetti “ambientali” e quelli “naturali” dei disastri artificiali largamente annunciati.
L’estrattivismo produce profitti per pochissimi, mentre territori definiti sacrifice zones sono sacrificati nella discarica globale del Wasteocene, l’epoca degli scarti. Quando i cittadini contaminati e ora costretti a pagare per tentare di risolvere i problemi apriranno gli occhi, chiedendo conto alla politica, che sembra sorda?
(DARIO ZAMPIERI, 25/7/2023, da https://pfas.land/)
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MESSA AL BANDO DEI PFAS: LE ALTERNATIVE ESISTONO? (“PFAS: 5 PAESI EUROPEI CHIEDONO LA RESTRIZIONE, di Daniele Di Stefano, da https://www.rigeneriamoterritorio.it/ del 26/9/2023)
I PFAS sono impiegati in una miriade di processi industriali: dalla manifattura che usa gas fluorurati al tessile, dall’edilizia al petrolchimico, all’elettronica. Ma le alternative esistono. L’Appendice E2 del documento pubblicato dall’ECHA le riporta raggruppate per settore di applicazione. (…) In GERMANIA, nonostante le alternative ai PFAS siano già sul mercato, l’industria generalmente non ha preso bene l’idea del bando. Sebbene la Germania sia uno dei Paesi che hanno avanzato la proposta, le aziende dell’automotive, dell’elettronica e della meccanica hanno avvertito che senza PFAS non ci saranno turbine eoliche, accumulatori di energia, auto elettriche e semiconduttori. Mettendo in subbuglio il governo.
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Leggi anche:
• Pfas Veneto: nel sito della Miteni si aspetta la bonifica da 6 anni
• Pfas Lombardia, Greenpeace lancia l’allarme
- Pfas: cosa sono, dove si trovano, il processo e le altre notizie da Lombardia, Veneto e Piemonte
• Pfas Veneto: analisi del sangue concesse (finalmente) anche in zona arancione, ma saranno molto costose - Pfas: Veneto, la battaglia per la salute e contro l’inquinamento ambientale
• Pfas Piemonte: la ribellione di Alessandria contro il polo industriale
• Pfas Veneto: parte il processo ambientale più importante d’Italia
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PROCESSO PFAS, A VICENZA PARLANO LE VITTIME
di Laura Fazzini, da https://www.osservatoriodiritti.it/ 2/11/2023
– Al tribunale di Vicenza prosegue il processo per il grave inquinamento da Pfas. Questa volta hanno testimoniato i cittadini, che per decenni hanno bevuto acqua contaminata –
Nel tribunale di Vicenza, in un’aula piena e silenziosa, il 26 ottobre si sono alternate le diverse parti civili davanti alla giuria popolare che da due anni raccoglie testimonianze nelle tre provincie venete stravolte dalla contaminazione da Pfas nell’acqua di rubinetto.
Sindacati, associazioni e semplici mamme hanno cercato di spiegare cosa ha voluto dire aver paura dell’acqua, l’ansia di non sapere cosa fosse finito nel loro corpo né di come sarà il loro futuro.
PROCESSO PFAS, LA TESTIMONIANZA DEL SINDACATO
Il primo ad essere sentito è stato il referente Cgil della provincia di Vicenza, Gianpaolo Zanni. Sin dal 2013, il sindacato ha cercato di raccogliere le paure dei circa 500 operai che per decenni hanno lavorato le sostanze Pfas, considerate “perfette” perchè impossibili da distruggere. Paure legate alle analisi del sangue fatte dentro lo stabilimento dal medico aziendale, Giovanni Costa. Medico che avrebbe sempre tranquillizzato sulla bassa tossicità di questi composti, considerati però dalla comunità scientifica come interferenti endocrini e correlate a diverse patologie come colesterolo alto e ipertensione.
«Abbiamo chiesto all’azienda e allo Spisal (Servizio sanitario locale destinato al monitoraggio sanitario negli ambienti di lavoro, ndr) come stessero gli operai, cosa fossero queste sostanze. Per anni ci hanno tranquillizzati, ora mi siedo qui come parte civile in un processo per avvelenamento delle acque e disastro ambientale per sostanze considerate tossiche».
Alle domande degli avvocati difensori sulla mancata azione del sindacato, Zanni ha risposto così: «L’azienda ci ha promesso nuove misure di sicurezza e che le produzioni erano sicure. Gli operai hanno i valori di Pfas più alti al mondo, quale sicurezza hanno fatto prima di essere imputati per disastro ambientale?».
LEGAMBIENTE E ISDE IN LOTTA CONTRO I PFAS
Piergiorgio Boscagin, presidente del circolo PerlaBlu di Legambiente e volto noto nel mondo della lotta no Pfas, è tra i testimoni che sono stati ascoltati. Dopo aver lottato 10 anni per ottenere questo processo, si è preso tempo per guardare in faccia chi giudicherà quello che potrebbe risultare essere il più vasto inquinamento da sostanze pericolose d’Europa.
«Dal 2007 mi occupo degli scarichi della zona industriale dove insisteva Miteni. Abbiamo fatto denunce, manifestazioni e presidi. All’inizio ci tranquillizzavano sia l’azienda che le istituzioni, poi hanno smesso di venire ai nostri incontri e ora siamo qui», spiega con voce ferma. Legambiente, insieme ai medici per l’ambiente Isde, dalla scoperta dei Pfas nelle acque potabili di tre province nel 2013 ha cercato di avvisare la popolazione.
«Abbiamo sempre chiesto che chi inquina paghi, che le acque pulite destinate alla nostra agricoltura non vengano perse per diluire i reflui industriali dei privati, di Miteni. Dopo 10 anni di lotte io sono qui, con i miei 135 nanogrammi di Pfoa nel sangue quando la soglia è 8», conclude Boscagin.
LE MAMME NO PFAS CHIEDONO GIUSTIZIA AL TRIBUNALE DI VICENZA
Anche il movimento Mamme No Pfas, un gruppo di madri e padri che da anni chiede giustizia e prevenzione, interviene al processo. «All’inizio non ci credevo, mi pareva impossibile che dai nostri rubinetti uscissero sostanze pericolose. Ma poi ho visto le analisi dei miei figli e ho detto no, non era Scherzi a Parte, era la nostra vita», ha detto una di loro.
Le analisi Pfas vengono svolte per la popolazione che vive nella zona più inquinata, denominata rossa, dal 2017. «In quel periodo stavo vivendo un altro incubo, un tumore che mi aveva colpito dopo aver travolto mia sorella. Ci siamo chieste come mai fossimo malate, ora che conosco i Pfas come interferenti endocrini si spiega tutto».
Lei da quel tumore si è ripresa, la paura però rimane per quelle sostanze che studia notte e giorno. «All’inizio con alcune mamme volevamo condannare i gestori dell’acqua per averci dato un prodotto guasto. Ma poi abbiamo capito che non era un prodotto guasto, era una violenza contro il nostro territorio e i nostri figli. E siamo arrivate a sederci qui, per chiedere giustizia per il nostro futuro»
ACQUA INQUINATA, L’AIUTO NEGATO A UNA GIOVANE MADRE
«Nel 2017, quando ho fatto il prelievo per le analisi Pfas, ho detto all’infermiere che stavo allattando il mio primo figlio. Mi ha detto che i Pfas passavano al feto dalla placenta e poi nel latte materno». A dirlo – in un’aula immobile e muta – è stata una giovane Mamma No Pfas.
«Poche settimane dopo, in un’assemblea pubblica nel teatro del mio comune, dove le istituzioni ci spiegavano cosa fossero i Pfas, mi sono alzata e ho chiesto se dovevo smettere di allattare dopo l’allarme di quell’infermiere. Un rappresentate dell’’istituzione sanitaria locale mi ha risposto che la notizia dell’infermiere non era fondata a livello scientifico e ho continuato ad allattare, tranquillizzata». Ma dal 2019 è dimostrato a livello scientifico che i Pfas, interferenti endocrini, passano attraverso il latte materno e la placenta.
Il marito della donna ha 208 nanogrammi di Pfoa nel sangue, quando la soglia italiana è 8.
PROCESSO PFAS, LE VITTIME RACCONTANO L’ANGOSCIA PER FIGLI E PARENTI
A sedersi al posto dei testimoni c’è stata anche una madre di Lonigo, lì dove l’acqua potabile ha raggiunto mille nanogrammi per litro di Pfoa. Anche lei, come le altre, ci ha chiesto di non essere citata per nome.
«Siamo tutti e quattro parti civili, abitando nell’epicentro della tragedia abbiamo tutti valori alti. Ma vi immaginate cosa voglia dire fare fatica a pagarsi una casa nuova e sapere solo dopo di aver scelto uno dei posti più inquinati d’Europa? Sapete cosa significa vivere nell’incertezza di non sapere cosa succederà ai miei figli, a quel futuro che ho voluto io?» chiede alla giuria.
Dai primi articoli sulla contaminazione usciti nel 2013 ha smesso di usare l’acqua di rubinetto e spende soldi ogni mese per avere acqua pulita in bottiglia. «Sapete cosa vuol dire riempirsi la casa di bottiglie di vetro e preferire l’insalata in sacchetto per non doverla lavare con acqua inquinata? Non è un incubo, è la nostra vita dal 2013».
E ancora: «Sapete cosa significa avere un marito giovane che per anni ha perdite ematiche spaventose per una colite ulcerosa tremenda? Questa malattia, cronica, è una delle cinque patologie correlate all’esposizione da Pfas. E lo sappiano noi perchè studiamo giorno e notte per difenderci e per difendere i nostri figli».
(LAURA FAZZINI, da https://www.osservatoriodiritti.it/ 2/11/2023)
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I PFAS E LO STUDIO «DESAPARECIDO»: CRISANTI INFILZA LANZARIN, ANNICHIARICO, TONIOLO E RUSSO
di MARCO MILIONI, da https://www.veronasera.it/ del 12/10/2023 Continua a leggere