
Proponiamo qui alcune considerazioni ed impressioni sul tragico fatto accaduto nella Repubblica Democratica del Congo, lunedì mattina 22 febbraio, con la uccisione dell’ambasciatore italiano LUCA ATTANASIO, del carabiniere che gli faceva da scorta VITTORIO IACOVACCI, e dell’autista congolese MUSTAPHA MILAMBO.

In particolare 4 elementi vorremmo dare, per poi proporvi, in questo post, alcuni a nostro avviso interessanti articoli apparsi sulla drammatica tragica vicenda e il contesto geopolitico in cui si pone.
1 – Per primo abbiamo visto, nella descrizione e nelle foto del giovane ambasciatore (43 anni) Luca Attanasio, che l’idea che ci siamo fatti e abbiamo degli ambasciatori e in genere del corpo diplomatico, è diversa, o perlomeno sta cambiando. Pensare che la “diplomazia” è una carriera popolata da figli di papà, da nobili amanti del tennis e dei cocktail forse quest’idea sta diventando obsoleta…. Che non ha nulla a che vedere con un ambasciatore come Luca Attanasio, disponibile ad essere un operatore di pace e di sviluppo, a mettersi in gioco nel luogo dove lavora, a dialogare con tutti e aiutare chi è in difficoltà… (forse non tutti gli ambasciatori sono così, e molti sono ancora “tradizionali”, però il giovane ambasciatore ucciso ci ha impressionati per la sua figura “nuova”…).

2 – E poi una riflessione va fatta su questi luoghi di pura violenza, “buchi neri”, di anarchia totale, dove ogni legalità nazionale ed internazionale non esiste. E questa è cosa assai grave: innanzitutto per la popolazione che lì vive (la schiavitù dei bambini, la violenza sulle donne…); o per chi deve in qualche modo frequentare luoghi così di assoluta insicurezza…. E poi è da credere che posti senza alcun limite di legalità, in mano a bande armate, sono incubatori di terrorismo e violenza esportabile in tutto il mondo.

3 – C’è anche da rilevare che la presenza di risorse minerarie così ricche cui il sottosuolo di parte del Congo, in particolare l’area orientale della regione del KIVU (proprio là dove c’è stata l’uccisione dei tre esponenti in missione), queste ricchezze del sottosuolo (oro, cobalto, nichel, diamanti e soprattutto il coltan, essenziale per la produzione di smartphone…), assieme all’incapacità di controllo del territorio da parte di alcuna autorità garante della legalità (lo stato del Congo, ma anche l’Onu, lì presente ma che non interviene direttamente contro i gruppi armati) creano un’ECONOMIA DI GUERRA cui è vittima in primis proprio la popolazione che lì ci vive. Ed è anche l’Africa, continente povero e “difficile” a mostrare al mondo di essere fuori controllo.

4 – Anche la cooperazione internazionale mostra in questo tragico frangente i suoi limiti. E non parliamo di operatori e missionari lì impegnati da decenni in progetti di sviluppo. Ma ci riferiamo al fatto che nella Repubblica Democratica del Congo c’è una delle più grandi missioni di peacekeeping e di stabilizzazione delle Nazioni Unite, la MONUSCO (sigla che, in francese, significa: Mission de l’Organisation des Nations Unies pour la Stabilisation en République démocratique du Congo), con oltre 15.000 soldati di 47 nazioni diverse: che però non interviene nei conflitti locali tra bande e negli scontri fra le truppe governative della Repubblica Democratica del Congo e le “Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda” (FDLR) (formate in particolare da hutu fuoriusciti dal Ruanda accusati dei massacri dei Tuutsi nel 1996) e appoggiate da gruppi di ribelli.

Mentre invece (e questo dovrebbe riguardare tutte le missioni di pace e interposizione) c’è la necessità di aiutare le popolazioni anche a sconfiggere la violenza, proteggere attivamente i deboli. A volte è utile la presenza di forze straniere, dell’Onu, ma non può bastare, non risolve il problema della violenza. E questo è uno dei punti chiave per poter affrontare le guerre dimenticate dell’Africa, che ce ne accorgiamo che ci sono solo quando accadono episodi che ci coinvolgono (come la morte dell’ambasciatore e del carabiniere). Servono missioni internazionali capaci di agire, di intervenire concretamente contro il terrorismo e le milizie armate, dimostrando che non c’è impunità per i crimini compiuti.

Sono contesti che sembrano non cambiare mai, e il ribadire la necessità di affermare e praticare la difesa delle popolazioni e di chi viene aggredito, queste sono solo cose che si auspicano ma non accadono quasi mai. Però modi nuovi di essere delle persone che si occupano dei rapporti internazionali, che operano sul campo, dell’esserci con forme innovative (come nel caso di Luca Attanasio che purtroppo non c’è più, e il suo interpretare specifico del ruolo dell’ambasciatore), dimostra che se si vuole si può cambiare, cercando di mettere in pratica positivamente quei principi fondamentali dei diritti umani che ancora sono così violati. (s.m.)

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VITTIME DI UN CONFLITTO DIMENTICATO?
da https://www.ispionline.it/, 24/2/2021 – Tra il 1994 e il 2003 la Repubblica Democratica del Congo è stata teatro di un sanguinoso conflitto che ha causato circa cinque milioni di morti e ha coinvolto diversi paesi della regione ed è stata ribattezzata dagli storici la prima Guerra mondiale africana. – La fine ufficiale del conflitto non ha segnato tuttavia la fine delle violenze e il Kivu è diventato tristemente famoso per i massacri e gli stupri di guerra. – Decine di milizie e gruppi ribelli continuano ad operare indisturbati nelle aree orientali del paese nonostante sul terreno sia dispiegata la più grande e longeva missione di peacekeeping dell’Onu (Monusco), con oltre 17mila militari sul campo. – La regione, al confine con Uganda e Ruanda, è anche teatro di conflitti tra gruppi di insorti e le forze armate congolesi, per il controllo del territorio il cui sottosuolo è ricco di oro, cobalto, nichel, diamanti e soprattutto il coltan, essenziale per la produzione di smartphone e cellulari. – In Kivu si concentra l’80% della produzione mondiale di questo materiale. Secondo le Nazioni Unite sono più di 5 milioni gli sfollati nella Repubblica Democratica del Congo, più che in ogni altro paese al mondo eccetto la Siria. – Il governo di Kinshasa, distante migliaia di chilometri e senza alcun controllo reale sulla instabile provincia transfrontaliera, non riesce ed anzi teme di intervenire in un’area in cui ogni cambiamento potrebbe compromettere il fragile status quo raggiunto con altre potenze regionali, in primis il Ruanda.

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APRIAMO GLI OCCHI SULL’AFRICA
di Gianni Vernetti, da “la Repubblica” del 23/2/2021
Il migliore modo per onorare la memoria dell’ambasciatore Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci, caduti durante una missione umanitaria in Congo è di non voltare lo sguardo di fronte alle guerre dimenticate, ma di tornare ad occuparci seriamente dell’Africa a tutto campo: più aiuti umanitari, più cooperazione allo sviluppo, più cooperazione nel settore della sicurezza da un lato, ma anche valorizzazione delle tante opportunità che possono emergere da un più solido rapporto con le economie emergenti del continente.
L’ambasciatore Luca Attanasio era da tre anni a Kinshasa a rappresentare il nostro Paese con la moglie e tre figlie piccolissime. L’ho incontrato diverse volte a Casablanca, quando era Console generale e poi a Kinshasa recentemente. Un uomo coraggioso e solare, un diplomatico capace ed efficace, la cui passione per l’antropologia e l’arte africana gli hanno fornito strumenti in più per comprendere la realtà che lo circondava.
È caduto in un quella zona instabile fra Repubblica Democratica del Congo, Uganda e Rwanda, che da quasi 30 anni non riesce a trovare pace. Il governatore del Nord Kivu Carly Nzanzu Kasivita fornisce una prima versione dei fatti: rapimento, fuga nel Parco Nazionale di Virunga, scontro a fuoco con l’esercito congolese (Fardc) e le “EcoGardes”, i ranger armati del parco, con l’esito tragico che conosciamo.
«I ribelli parlavano kinyarwanda» dice il governatore, e punta il dito su ciò che resta di quelle milizie “hutu” che nel 1994 in soli cento giorni si resero responsabili in Rwanda dell’ultimo genocidio dello scorso millennio: quello di un milione di “tutsi” nel piccolo Paese delle colline.
Sono i resti delle Forze democratiche per la liberazione del Rwanda (Fdlr), uno dei protagonisti della “guerra mondiale africana” che dal 1994 nel nord e nell’est del Congo ha visto morire circa 5 milioni di civili, coinvolgendo eserciti e milizie di una dozzina di paesi. Le Fdlr sono oggi un gruppo residuale che vive di rapimenti ed estorsioni fra i villaggi del North Kivu con qualche sconfinamento nella vicina Uganda.
Ma le milizie hutu non sono l’unico gruppo terroristico che potrebbe aver compiuto l’attacco. Gli occhi sono puntati anche sulle recenti infiltrazioni jihadiste che dalla Somalia, al nord del Mozambico si fanno largo in diversi Paesi dell’Africa orientale e centrale. Nel caso congolese si tratta delle “Adf-Allied Democratic Force”, gruppo ugandese da poco affiliato ad Isis, attivo anche nell’area dove è stato ucciso il nostro ambasciatore e più a nord nel bacino dell’Ituri.
L’allarme per la penetrazione jihadista nel Congo orientale fu lanciato lo scorso anno dal a cominciare da un rilancio a tutto campo delle relazioni politiche, economiche e commerciali con Usa ed Europa, per lungo tempo praticamente azzerate nuovo presidente della Repubblica Democratica del Congo, il riformatore FELIX TSHISEKEDI, che ha guidato dal gennaio del 2019 un cambio di regime pacifico e non violento, dopo 23 anni consecutivi di governo del Paese da parte della “dinastia” dei due presidenti LAURENT DESIRÉ KABILA e del figlio JOSEPH KABILA.
Dal 1 febbraio Felix Tshisekedi è anche presidente di turno dell’Unione Africana e su di lui sono riposte molte speranze della comunità internazionale per una svolta nella stabilizzazione del nord del Paese e per una normalizzazione delle relazioni con la comunità internazionale.
Oggi è ancora presente nella Repubblica Democratica del Congo una delle più grandi missioni di peacekeeping e di stabilizzazione delle Nazioni Unite, la MONUSCO, con oltre 15.000 soldati di 47 nazioni diverse. Ma come ricorda Denis Mukwege, Premio Nobel per la Pace 2018, dal suo Panzi Hospital a Bukavu, dove in quindici anni ha curato oltre 40.000 donne vittime di stupri di massa nelle successive guerre congolesi, «la missione delle Nazioni Unite ha ottenuto buoni risultati di contenimento, ma non ha risolto il problema alla radice. Le “regole d’ingaggio” delle missioni della Nazioni Unite hanno troppi vincoli di azione».
E questo è uno dei punti chiave per poter affrontare le guerre dimenticate dell’Africa che purtroppo ci riguardano da vicino. Servono missioni internazionali capace di agire, sconfiggere in modo definitivo terrorismo e le milizie armate, dimostrando che non c’è impunità per i crimini compiuti. La “Responsabilità di proteggere” può e deve diventare una vera priorità della comunità internazionale. I crimini di massa devono essere prevenuti con meccanismi che permettano azioni di “ingerenza umanitaria” da parte della comunità internazionale. L’Africa è un continente che ci riguarda. Tornare ad occuparsene con serietà è una priorità per l’Italia e per l’Europa. (Gianni Vernetti)
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COSÌ SI MUORE NELL’ELDORADO DEL JIHADISMO
di Domenico Quirico, da “La Stampa” del 23/2/2021
La foresta nel Kivu è così fitta che sembra un muro. È bella da ferirti gli occhi. E terribile al punto che Continua a leggere