……………………..
………………………….
TRA ARRESTI E DISPARITÀ IL PAESE PIÙ POPOLOSO SI PREPARA AL VOTO
di Cristina Kiran Piotti, dal quotidiano “DOMANI” del 8/4/2024
– In India 968 milioni di elettori si sono registrati per andare alle urne. Ma la più grande democrazia al mondo ha qualche problema –
Secondo la Commissione elettorale indiana, oltre 968 milioni di elettori si sono registrati in vista delle elezioni generali, che si svolgeranno in sette fasi tra il 19 aprile e il primo giugno, decretando il partito di maggioranza del Lok Sabha (o “Casa del popolo”): con 543 membri, si tratta della più potente tra le due camere del parlamento perché oltre a contare un numero maggiore di seggi, esercita il controllo finanziario ed è la camera verso la quale è responsabile il Consiglio dei ministri.
Il grande favorito, suggellano senza gran stupore i più recenti sondaggi, è il Bharatiya Janata Party guidato dal primo ministro Narendra Modi, che governa l’India dal 2014 e che ha annunciato di voler superare, con la sua coalizione, quota 400 seggi.
DEMOGRAFIA DEL VOTO
Il paese più popoloso al mondo non può che mandare al voto l’elettorato più numeroso. Per assicurare questo diritto dai monti impervi dell’Himalaya alle assolate Isole Nicobare, saranno dispiegati in 15 milioni tra dipendenti governativi (principalmente insegnanti) e personale di sicurezza: una vera e propria sfida per i funzionari elettorali, che dovranno percorrere 40 chilometri per raggiungere la 44enne Sokela Tayang, unica a votare per il seggio di un minuscolo villaggio nello stato dell’Arunachal Pradesh.
A quelle che sono considerate le elezioni tra le più lunghe della sua storia recente (44 giorni) si aggiunge il fattore cambiamento climatico: secondo l’Istituto meteorologico indiano decine di ondate di calore colpiranno la nazione nella rovente stagione pre-monsonica, che coinciderà con il voto di grandi masse di popolazione.
Si vota con il sistema uninominale secco e il voto, espresso solo dagli elettori che si sono registrati, avviene utilizzando macchine per il voto elettronico. Tra i tanti, bisognerà prestare attenzione a come voteranno i giovani neomaggiorenni, che affrontano il primo voto: parliamo di poco più di 1,8 milioni di persone, ma meno del 40 per cento di loro si è registrato – quota che scende ad un quarto degli aventi diritto in stati popolosi e decisivi come Bihar e Uttar Pradesh.
I PARTITI
A queste elezioni si presenteranno 58 partiti politici statali e sei partiti nazionali. Tra questi ultimi ci sono il Bjp guidato dal primo ministro Narendra Modi e il suo principale avversario, il Congress, il cui presidente Mallikarjun Kharge si affianca all’uomo-simbolo Rahul Gandhi. Un tempo principale contendente nell’arena nazionale, dopo aver governato il paese per decenni, il partito si è ridotto all’ombra del suo antico splendore ottenendo nel 2019 appena 52 seggi, contro gli oltre 300 del Bjp.
Seguono l’Aam Aadmi Party di Arvind Kejriwal, chief minister di Delhi, attualmente in carcere per una indagine per corruzione che secondo le opposizioni è politicamente motivata. Poi il Bahujan Samaj Party (che nasce su ispirazione del lavoro dell’attivista Dalit Bhimrao Ramji Ambedkar) e il Partito Comunista dell’India (marxista) attualmente al potere nello stato del Kerala – ma che nella scorsa tornata nazionale era riuscito a ottenere appena tre seggi, tutti nel sud. Infine, il Partito popolare nazionale, che governa in Meghalaya con l’appoggio del Bjp.
I due principali partiti guidano due coalizioni, la Nda per il Bjp e India per il Congress – ma le fratture e le defezioni all’interno dell’intesa di opposizione, negli ultimi mesi, non si contano.
A questo s’è aggiunto l’arresto dello chief minister di Delhi e il congelamento dei conti correnti del Congress a causa di una controversia fiscale che i critici denunciano come una forma di repressione pre-elettorale da parte del primo ministro. Il tutto, nel pieno di uno scandalo legato ad un opaco meccanismo di finanziamento dei partiti (di cui il Bjp è risultato il principale ma non certo unico beneficiario). Non a caso, le campagne elettorali indiane sono tra le più costose al mondo: questa primavera secondo alcune previsioni il costo complessivo potrebbe superare i 10 se non i 16 miliardi di dollari.
SUD VS NORD
Storicamente, si ritiene che una faglia politica contrapponga gli stati federali del più prospero e istruito sud alla base di sostegno di Modi, nel cuore più conservatore del nord, il quale meglio risponde alla narrativa nazionalista hinduista cara al primo ministro.
Fatta eccezione per un breve periodo alla guida del Karnataka, il Bjp non è infatti mai riuscito a sfondare negli stati meridionali. Di contro, grossomodo il Congress, tra alleanze e coalizioni, negli ultimi anni ha mantenuto un ruolo centrale nel sud: sarà quindi interessante seguire il risultato del voto in Telangana, Karnataka, Kerala, Tamil Nadu e Andra Pradesh.
Anche perché, nelle ultime settimane, si è fortemente intensificata la campagna elettorale di Modi sia in questi stati, sia in Bengala Occidentale, dove il Bjp tenta di minare il partito dell’All India Trinamool Congress.
Molti osservatori, infatti, suggeriscono di iniziare a discutere di est vs ovest, e delle mancate promesse di sviluppo industriale del Bengala (governato dalla potente Mamata Banerjee del Tmc), rispetto alla crescita costante in Gujarat, a nord-ovest. Eppure, proprio nel Gujarat, stato d’origine di Modi, per la prima volta si verificano scontri sui nomi dei candidati Bjp.
RICCHEZZA E VOTO
Nel 2022 l’India è diventata la quinta economia più grande al mondo, superando la Gran Bretagna. Se continuerà di questo passo, potrebbe sorpassare Germania e Giappone, assicurandosi il ruolo di terza economia nel 2030, dietro a Cina e Stati Uniti.
Di pari passo macina terreno, ci rivela uno studio del World Inequality Database, la classe più ricca: il numero di miliardari indiani è quasi triplicato negli ultimi 10 anni. Tuttavia, prosegue lo studio, i redditi della maggior parte degli indiani sono rimasti stagnanti.
Numericamente, a pesare sul voto sarà la potente classe media, quella che maggiormente apprezza la visibilità internazionale ottenuta dal primo ministro, ma anche le misure appetibili per il voto urbano, come quella che il governo chiama “infrastruttura pubblica digitale”, e ovviamente la spinta finanziaria e industriale.
Ma la gran parte della forza lavoro indiana oggi si concentra nelle aziende agricole, e si ritiene che il 40 per cento della popolazione dipenda, in un modo o nell’altro, dall’agricoltura: alle classi più povere, il governo negli ultimi anni ha dedicato programmi che spaziano dall’elettricità ai servizi igienici nelle case dei villaggi più remoti.
E poi, una pioggia di sussidi governativi: a seconda delle classifiche, beneficerebbero di alcuni dei piani più noti e ampi, come il PMGKAY, soprattutto gli stati poveri del nord-est del paese. E parlando di campagne, andrà tenuto d’occhio l’esito del voto in Punjab e Uttar Pradesh, e di riflesso l’impatto delle proteste dei contadini, che più di una volta sono state in grado di impensierire il governo.
Oltre ad aiuti e sussidi, il principale tema per l’elettore indiano è la disoccupazione. Secondo la Banca Mondiale, l’India (come del resto tutta l’area) non sta creando abbastanza posti di lavoro per sostenere i giovani: secondo il think tank Center for Monitoring Indian Economy, nel 2023 il tasso di disoccupazione giovanile era pari al 45,4 per cento e va in gran parte attribuito alla disoccupazione nelle campagne, rispetto alla disoccupazione urbana.
CLASSI E RELIGIONE
Altro fattore da considerare è la battaglia per il voto delle caste più basse o Obc, grande bacino elettorale del paese, che potrebbe sfiorare fino al 40 per cento della popolazione.
È indubbio che il successo del Bjp guidato da Modi (il quale si definisce egli stesso Obc) sia anche dovuto alla sua capacità di attirare elettori di gruppi svantaggiati, strappandoli al Congress, pur mantenendo alta l’attenzione a temi cari alle caste più alte, come si è visto nel corso della massiccia inaugurazione del tempio dedicato al dio Rama ad Ayodhya, ad inizio anno.
Tempio che sorgeva su un luogo contestato dalla comunità musulmana, principale minoranza religiosa del paese, che costituisce il 15 per cento della popolazione. Oggetto di una serie di misure e norme che varie organizzazioni considerano discriminatorie, come l’implementazione della legge sulla cittadinanza Caa, il voto musulmano potrebbe avere un peso importante.
Eppure nelle precedenti elezioni, il voto è risultato estremamente frammentato, contribuendo anzi alla vittoria del Bjp. Sarà così anche nei prossimi mesi?
(Cristina Kiran Piotti, dal quotidiano “DOMANI” del 8/4/2024)
………………………….
…………………………
………………………..
INDIA: LA PIÙ GRANDE DEMOCRAZIA AL MONDO È SEMPRE PIÙ AUTORITARIA
di Matteo Bertasio, da https://www.orizzontipolitici.it/, 19/10/2023
A luglio (2023), nel pieno della stagione dei monsoni, uno scandalo senza precedenti ha travolto l’India, accendendo i riflettori su una regione dimenticata dai media mainstream. Sui principali canali social indiani è circolato un video di due donne assediate da un’orda di uomini (tra le 800 e le 1000 persone). Secondo alcuni testimoni, sarebbe stata la polizia stessa ad aver consegnato le donne al gruppo. Il video proviene dal Manipur, una regione del nord-est tra Bangladesh e Myanmar, dove da almeno cinque mesi è in corso il più violento conflitto civile che l’India ricordi negli ultimi decenni. Le due donne appartengono alla minoranza cattolica dei kuki, mentre gli uomini alla maggioranza hindu dei meiteis.
Gli episodi di tensione tra gruppi etnici e religiosi sono sempre più diffusi e violenti in molte regioni dell’India. Ciò sembra seguire un pattern preciso, cristallizzato e perfezionato negli anni, sia da parte degli alti ranghi del Bharatiya Janata Party a Nuova Delhi sia nel complesso apparato burocratico di partito che governa gli stati. L’India è la nazione (e la democrazia) più popolosa al mondo e dal 2014 è governata dal BJP, il partito nazionalista Hindu del Presidente Narendra Modi. L’uomo è costantemente etichettato come “il leader più popolare al mondo” con approval ratings che sfiorano il 70% ed è in corsa verso una terza storica rielezione nel 2024.
IL SISTEMA MEDIATICO IN INDIA E IL CONTROLLO DEL BJP
Gran parte del successo di Modi è dovuto al controllo serrato dei media e dell’informazione che è riuscito ad imporre negli anni. Il Primo Ministro viene descritto come il “padre degli indiani” e il “messia dei poveri” e controlla un apparato strabiliante e diversificato di media: dai dibattiti su Twitter e Facebook (su cui ha un totale di quasi 300 milioni di follower) ai principali canali televisivi nazionali e le stazioni radio, dove gestisce un podcast in prima persona, chiamato Mann Ki Baat, che ricorda le fireside chats di Franklin D. Roosevelt, e in cui parla, con una linea telefonica aperta, di temi cari all’elettore medio induista. La radio, in quanto mezzo di comunicazione, porta con sé la credibilità e l’autenticità del passato, ma la diffusione effettiva del suo messaggio avviene attraverso i social media.
C’è anche un lato più oscuro, tuttavia, nella strategia implementata dal BJP per controllare la comunicazione. Il panorama mediatico nazionale si concentra spesso su casi sensazionali e scandalistici, studiati appositamente per incrementare gli indici di ascolto. Le periferie sono così intenzionalmente dimenticate e raramente vengono rese note al pubblico storie che provengono da aree rurali al di fuori delle principali metropoli di Mumbai e Nuova Delhi. È proprio in queste zone dimenticate, tuttavia, che nascono e si sviluppano le tensioni etniche e religiose e dove lo stato è maggiormente assente. Temi di fondamentale importanza politica, quali lo scarso accesso all’acqua potabile e al sistema sanitario in centinaia di villaggi del nord-ovest o l’aumento drastico del lavoro e della prostituzione minorile nelle caste più basse nel periodo post-COVID non sono noti agli elettori delle città.
Modi non parla delle periferie anche e soprattutto perché lì è dove si concentrano i suoi oppositori politici, principalmente di religione non induista. Secondo l’ultimo censimento nazionale, circa il 14% della popolazione indiana è di religione musulmana e il 2% di religione cristiana; i primi vivono principalmente nelle regioni del nord-ovest (Jammu e Kashmir, Uttar Pradesh) mentre i secondi costituiscono quasi il 50% della popolazione del Manipur che, come già analizzato, è diviso tra kukis e meiteis.
Gli episodi del Manipur hanno suscitato grande scandalo e il silenzio di Modi a riguardo è risultato assordante a molti. A tre mesi di distanza dall’accaduto il primo ministro è stato forzato ad esprimersi a riguardo, attraverso brevissime dichiarazioni parlamentari di solidarietà alle vittime, non menzionando, tuttavia, l’ampio contesto del conflitto etnico nella regione che ha già mietuto 180 vittime e costretto più di 60 mila kukis ad emigrare. Dall’inizio degli scontri, infatti, per ragioni di sicurezza l’amministrazione locale guidata dal BJP ha imposto un internet shutdown sull’intera regione che ha soppresso ogni copertura mediatica degli accaduti, spingendo di conseguenza giovani freelancer, specialmente donne, a documentare attraverso mezzi alternativi le violenze.
LA REPRESSIONE MEDIATICA IN INDIA: IN CHE MODO GLI SCONTRI RELIGIOSI AVVANTAGGIANO MODI
La limitazione all’accesso ad internet negli stati periferici è lo strumento più oppressivo di controllo della comunicazione del BJP e viene utilizzato sempre più frequentemente dai governi locali. L’ondata di censura ha avuto inizio il 5 agosto 2019, quando il parlamento indiano ha revocato con la maggioranza di due terzi dell’assemblea l’Articolo 370 della Costituzione. La norma garantiva un governo de facto autonomo alle regioni confinanti con la Cina del Kashmir e Jammu ed era resistita persino alla guerra sino-indiana combattuta nel 1972 per il controllo dell’area che ne ha ridefinito i confini.
Le due regioni, con il Reorganization act, sono state accorpate in un unico stato federato e separate dal Ladakh, un territorio più a nord conteso tra India, Cina e Pakistan. La riorganizzazione segue chiari fini politici di assoggettare la minoranza islamica ad un miglior controllo delle autorità locali ed ha suscitato l’ira dei residenti musulmani, che sono scesi in piazza in protesta contro il BJP.
Secondo Human Rights Watch, tra il 2020 e il 2022 sono stati imposti 127 shutdown in India, incluso un blackout del 4G nel Jammu e Kashmir durato un anno e mezzo. I filmati trapelati dalla regione, tuttavia, mostrano scene sempre più violente di scontri tra militanti musulmani e induisti, che si sono radicalizzati in concomitanza del picco dell’ondata di COVID.
Tra i temi più ricercati su Youtube India sono emersi video di rapimenti e linciaggi di gruppo di credenti musulmani da parte dei cosiddetti Hindu vigilantes, discorsi di monaci induisti che condannavano alla dannazione i credenti che si fossero macchiati di sposare uomini o donne di religione islamica, e un discorso del segretario del partito di estrema destra, Hindu Mahasabha, che inneggiava apertamente al genocidio dei musulmani nel nord-ovest: “Se noi [hindu] diventeremo soldati e uccideremo due milioni di musulmani, allora saremo vittoriosi”.
La frangia estremista del movimento politico induista – seguace dell’ideologia Hindutva, che professa la superiorità degli Hindu sul territorio indiano – è diventata sempre più popolare da quando i media hanno iniziato a diffondere ossessivamente la teoria del complotto Love Jihad, secondo la quale sarebbe in atto da tempo un processo di conversione occulto da parte dei musulmani residenti in India con l’obiettivo di abbattere la maggioranza induista nel paese e costituire un califfato indiano negli anni avvenire.
Nonostante Modi e il BJP si siano più volte dissociati dalle violenze dei militanti, la carriera politica del Primo Ministro è segnata dall’attivismo Hindutva dai tempi del suo primo incarico come Ministro capo del Gujarat durante gli scontri del 2002, che hanno causato la morte di quasi 800 musulmani. Anche in quel frangente il primo Ministro mantenne un profilo basso, sminuendo gli accaduti nonostante emersero negli anni successivi molteplici prove riguardo il coinvolgimento dell’esercito nel massacro.
IL FUTURO DELL’INDIA: TRA IL DETERIORAMENTO DELLA DEMOCRAZIA E UN’ECONOMIA SEMPRE PIÙ SPECIALIZZATA
La strategia coloniale del divide et impera persiste ad oggi nella politica di Modi, anche se indirettamente. Il suo avversario politico, Rahul Gandhi – che lo affronterà per la terza volta nel 2024 a capo della coalizione elettorale INDIA – sta costruendo la propria campagna sull’apparente complicità del BJP nel conflitto etnico del Manipur. I suoi sforzi hanno portato alla creazione della più grande alleanza partitica nella storia della democrazia indiana: 28 formazioni unite affronteranno il messia delle folle nell’improbabile impresa di detronarlo. La sigla della coalizione è un acronimo per Indian National Developmental Inclusive Alliance, con un chiaro riferimento al nome della nazione. Sia in ottica induista che in chiave elettorale, dunque, può essere letto il tentativo di Modi di cambiare il nome dell’India in Bharat sui documenti ufficiali del G20.
Gli analisti regionali e i sondaggi concordano nell’indicare Modi come grande favorito per la vittoria il prossimo anno. Il primo ministro, nel suo discorso al 77esimo anniversario dell’Indipendenza dagli inglesi, ha dichiarato che il paese è in lotta per diventare la terza economia mondiale nei prossimi cinque anni. Le statistiche aggregate sulle performance indiane confermano un’ottima ripresa del Paese post-COVID e un trend macroeconomico diverso da quello delle altre nazioni “in via di sviluppo” dell’est asiatico. Piuttosto che scommettere sull’abbondanza di forza-lavoro per competere con i mercati occidentali e mantenere una politica di cambio stabile con euro e dollaro, l’India predilige una produzione orientata al mercato domestico, grandi investimenti nel settore tecnologico e una progressiva facilitazione del Foreign Direct Investment.
L’obiettivo del governo è quello di crescere grazie all’accumulazione di capitale piuttosto che attraverso gli export, sintomo di un’economia ormai matura e pronta al “grande balzo”.
Stati Uniti e Cina osservano con attenzione le dinamiche interne alla politica indiana. Modi mantiene un approccio amichevole con entrambe le potenze, rafforzando l’alleanza con il blocco atlantico da un lato e normalizzando le tensioni sul confine sino-indiano dall’altro. L’avvicinamento delle due più grandi economie al leader rinforza l’immagine che egli raffigura di sé ai media nazionali, contribuendo ad aumentare la sua popolarità. In un’apparente tensione tra democrazia e svolta autoritaria, la nazione più popolosa del mondo potrebbe diventare il partner più importante nel lungo termine non solo in chiave economica, ma anche geopolitica.
(Matteo Bertasio, da https://www.orizzontipolitici.it/, 19/10/2023)
……………………….
………………..
ELEZIONI IN INDIA: IL CLIMA NON È UNA PRIORITÀ
di Bianca Terzoni, da https://www.lasvolta.it/, 5/4/2024
– 950 milioni di elettori dovranno decidere sul futuro di uno dei maggiori Paesi responsabili di emissioni di gas serra. Il grande assente nei programmi elettorali? La lotta alla crisi climatica –
Dal 19 aprile al 1° giugno la democrazia più grande del mondo sarà chiamata alle urne. Serviranno quasi 44 giorni per far votare tutta la popolazione.
1,4 miliardi di abitanti per un totale di 950 milioni di elettori, incaricati di decidere chi siederà nel Lok Sabha, la Camera bassa del Parlamento indiano. Narendra Modi, l’attuale primo ministro e leader del Bharatiya Janata Party, cerca di ottenere un terzo mandato. La maggior parte dell’opposizione si è riunita nel gruppo India (Alleanza inclusiva indiana per lo sviluppo nazionale), guidato da Mallikarjun Kharge.
Tra i programmi elettorali manca una componente importante: la lotta al cambiamento climatico. Molti portavoce di Modi assicurano un continuo sviluppo per quanto riguarda le energie rinnovabili e la riduzione di emissioni inquinanti, ma nel programma non compare nulla di troppo specifico.
Secondo una ricerca della Cnn, nel 2022 l’India è stato il terzo Paese al mondo per le emissioni di gas serra, dopo Cina e Stati Uniti. L’assenza di tematiche ambientali nel dibattito pubblico è da ricercare anche nella poca informazione, specialmente nella parte sud del Paese.
Non è la prima volta che l’ambiente non è protagonista: secondo uno studio di Environmental Reasearch, tra il 1999 e 2019 l’emergenza climatica ha fatto parte dello 0,3% delle attività del Parlamento indiano. Negli ultimi anni la situazione è migliorata. Sotto la guida di Modi, il Paese si è impegnato nella decarbonizzazione, nell’impiegare energia fotovoltaica ed eolica al 50% entro il 2030, e a ottenere emissioni zero entro il 2070.
A livello internazionale l’India considera la questione climatica come una priorità, ma questo non si riflette nelle politiche del Paese e nel dibattito politico pre-elezioni. I combustibili fossili continuano a dominare la produzione di energia, e lo Stato rimane una delle più soggette al cambiamento climatico. Secondo l’Indian Meteorological Department, il Paese sperimenterà un’ondata di caldo estremo proprio nel periodo di elezioni tra aprile e giugno.
Tra le iniziative più rilevanti verso la sostenibilità si inserisce il progetto di Gautam Adani, direttore esecutivo di Agel, Adani Green Energy. L’imprenditore sta trasformando aree di un deserto di sale nell’ovest dell’India in una delle più importanti risorse di energia pulita disponibili sul Pianeta. Una volta che gli impianti fotovoltaico ed eolico del Khavda Renewable Energy Park saranno terminati, verrà generata una quantità di energia pulita tale da donare elettricità a 16 milioni di case indiane.
Seppur carente all’interno della campagna elettorale, il tema del cambiamento climatico è rilevante tra i giovani. Secondo un sondaggio di Climate Education, su 1.600 abitanti che andranno per la prima volta al voto la lotta all’ambiente è al terzo posto come priorità, dopo l’occupazione e l’economia. Per i partecipanti, i cittadini sarebbero responsabili al 44% del cambiamento climatico, anche se le risposte variano da regione a regione.
Nonostante il risultato delle seconde elezioni più lunghe nella storia dell’India, la lotta al cambiamento climatico e la transizione green saranno cruciali in un Paese che secondo molti si avvia a diventare la terza potenza economica al mondo. (Bianca Terzoni, da https://www.lasvolta.it/, 5/4/2024)
…………………………
(da Wikipedia) Il conflitto del Kashmir si riferisce in generale alla disputa tra India, Pakistan e Cina per la regione del Kashmir. Questa disputa è sfociata più volte in confronti armati fra i tre Stati. (…) Quasi immediatamente dopo l’indipendenza dal Regno Unito (15 agosto 1947, ndr), le tensioni fra l’India e il Pakistan cominciarono a degenerare. (…) L’India, a prevalenza induista, col corredo delle regioni che a tale cultura religiosa si richiamavano, e l’altro, il Pakistan, a maggioranza marcatamente islamica, con le regioni i cui abitanti abbracciavano tale credo. Questo portò a disordini nelle aree dove le minoranze dell’altra religione erano numerose. Fu così che scoppiò la guerra indo-pakistana del 1947-1948, la prima di tre guerre totali fra le due nazioni in relazione al Principato del Kashmir. (…) Il maharaja, chiedendo l’aiuto dell’India in opposizione al Pakistan, nell’ottobre 1947 firmò l’atto di annessione e il Kashmir, unilateralmente, entrò a far parte dell’Unione indiana e ne divenne il 25º Stato, detto “Jammy Kashmir“. Mentre l’annessione del Kashmir all’India fu ratificata dalla Gran Bretagna, il Pakistan al contrario rifiutò di riconoscere tale atto unilaterale e continuò a rivendicare l’annessione integrale del Kashmir di cui occupava già un terzo del territorio. (…) Dopo tre guerre totali, le schermaglie di confine tra India e Pakistan sono riprese nel 2016-2018, consistenti in pesanti scontri a fuoco tra le forze indiane e pakistane attraverso il confine di fatto, noto come la Linea di controllo (LoC), tra il due stati nella regione contesa del Kashmir… (leggi tutto: Conflitto del Kashmir – Wikipedia)
………………………..
…………………………
IL RUOLO PARADOSSALE DELLE DONNE NELLA POLITICA INDIANA
da https://terzomillennio.uil.it/ (Dipartimento Internazionale UIL), 7/1/2024
Le contraddizioni economiche, sociali e politiche continuano a caratterizzare l’ambiziosa crescita dell’India. Il colosso asiatico, che ad aprile 2023 ha superato la Cina per numero di abitanti (1,428 miliardi contro 1,425), continua il suo percorso per affermarsi come superpotenza a livello globale.
Secondo gli analisti, l’India ha fatto registrare buoni risultati economici nel 2023: il PIL continua a crescere (+7,60% a settembre 2023); la rupia è stabile e perde poco valore rispetto ad altre valute estere in confronto al dollaro statunitense; gli indici di borsa sono ai massimi storici; gli investimenti pubblici si concentrano nelle infrastrutture (120 miliardi di dollari entro il 2024) oltre che nell’industria pesante e nel settore manifatturiero.
Nonostante il crescente autoritarismo del governo nazionalista di Narendra Modi e la sempre minore libertà di stampa, in aggiunta al suprematismo induista a scapito di altre confessioni religiose, il Paese è ancora considerato la più grande democrazia del mondo: alle elezioni del 2019 il tasso di partecipazione è stato del 67%, superiore a molte democrazie occidentali.
Una crescita fatta di profonde disuguaglianze
In realtà, osservando ulteriori indicatori di sviluppo, si nota come l’ascesa dell’India non sia priva di ambiguità e disuguaglianze profonde a tutti i livelli.
La disoccupazione è inferiore al 10% ma la partecipazione delle donne al mercato del lavoro non raggiunge il 20% e il reddito pro-capite è appena superiore ai duemila dollari annui. Tra le conseguenze di una crescita disarmonica c’è l’aumento della pressione insostenibile sulle città a causa dell’emigrazione dalle zone rurali, che ospitano ancora la maggior parte della popolazione in condizioni di povertà e arretratezza.
Secondo Oxfam in India vivono 228,9 milioni di poveri (il 16% degli abitanti), di cui 83 milioni in condizioni di estrema povertà, mentre il 5% degli indiani possiede oltre il 60% della ricchezza del paese.
In questo contesto socioeconomico segnato da luci ed ombre lo scenario politico non fa eccezione, in particolare in relazione al ruolo delle donne. A inizio dicembre 2023 si sono concluse le elezioni locali che hanno confermato il dominio del partito al governo, il Bharatiya janata party (Bjp), negli stati della “hindi belt”, dove vive un terzo della popolazione.
Le donne nella politica indiana
Con l’approssimarsi delle elezioni del 2024 la politica indiana cerca i voti cruciali dell’elettorato femminile ma le donne che riescono ad intraprendere la carriera politica sono poche ed il pensiero sessista dominante prende di mira anche le parlamentari. Queste ultime sono appena 31 alla Camera alta (12,6%) e 82 in quella bassa (15%), contro rispettivamente 208 e 457 colleghi uomini. Nella composizione di governo, tra ministri e sottosegretari, le donne con incarichi sono appena 12 su 79.
L’adozione delle quote di genere, previste dalle riforme degli ultimi anni, è rimasta solo sulla carta: tra i candidati presentati alle ultime elezioni dal Bjp e dal partito d’opposizione Indian National Congress (INC) le donne erano solo il dodici percento.
Una situazione paradossale considerando che l’elettorato femminile è sempre più importante in India, poiché forma una base elettorale molto ampia e generalmente, a differenza degli uomini, le donne non sono affiliate ai partiti. A novembre, nello stato del Madhya Pradesh la percentuale delle votanti è stata del 76% delle aventi diritto (negli anni Sessanta l’adesione era sotto al 30%).
Finché non vi sarà un reale cambiamento culturale accompagnato da criteri di selezione con meno barriere per l’accesso delle donne in Parlamento, le quote rosa e le leggi incideranno poco. E in questo contesto la già annunciata e controversa riforma dei collegi elettorali rischia di rimandare azioni concrete e l’entrata in vigore delle quote di genere previste dal Women Reservation Bill, approvato a settembre 2023.
In uno scenario di crescenti tensioni politiche in vista della tornata elettorale del 2024, la parità di genere, sia in politica sia nella società e nel mondo del lavoro, rischia di rimanere in secondo piano tra i chiaroscuri di una crescita non priva di contraddizioni e ostacoli per l’India.
(https://terzomillennio.uil.it/ – Dipartimento Internazionale UIL-, 7/1/2024)
………………………
………………………………
L’INDIA CONTINUA A CORRERE
di Valentino Federici, da https://www.mondomacchina.it/, febbraio 2024
– Anche nel 2024 il Subcontinente registrerà il maggior tasso di crescita del PIL fra i ‘grandi’ del pianeta. L’agricoltura resta un settore strategico per il sistema-Paese ma è condizionata dai cambiamenti climatici e da bassa produttività. Il ruolo della meccanizzazione per modernizzare il settore primario –
Fine gennaio 2024. Esce il World Economic Outlook. E il Fondo Monetario internazionale analizza lo stato di salute e le prospettive delle principali economie del pianeta. Continua a leggere