
In Veneto si calcola che siano almeno 10mila i capannoni sfitti, inutilizzati, o totalmente abbandonati. Se estendiamo la cosa oltre i soli capannoni, allora si parla di più di 12 mila manufatti di rilevanti dimensioni vuoti, fra Veneto e Friuli.
Un’edificazione senza regole, campanilistica (ogni comune anche piccolissimo con le sue aree industriali), priva di programmazione: per dire, la provincia di Treviso ha 95 comuni e conta 1.077 aree industriali, e in queste aree molti, moltissimi, sono i capannoni vuoti. O capannoni impiegati in minima parte, sia negli impianti e merci contenute, che nella manodopera presente.

Cosa fare allora di quei cubi di cemento disseminati un po’ dappertutto? Abbatterli o tentare di recuperarli? Sono le domande che un po’ tutti si fanno (quelli che si guardano attorno, tutti, non solo gli amministratori, i politici, gli adetti ai lavori come urbanisti, architetti, geografi, studiosi…). Tutti noi, interessati alle sorti dei nostri luoghi, ci chiediamo “che fare”.

E non è solo questione di capannoni industriali, artigianali: pensiamo ai ruderi che ci capita di vedere lungo le strade del Veneto e del Friuli: abitazioni, palazzi, condomini, hotel, negozi…(adesso anche addirittura centri commerciali totalmente chiusi!); poi addirittura anche ex caserme (non solo in Friuli Venezia Giulia) dismesse….

Provate a pensare nelle vostre esperienze quotidiane di vita e spostamenti, che altro si potrebbe aggiungere di tipologia di fabbricati chiusi, inutilizzati…. manufatti che o sono in degrado totale o stanno lentamente cadendo a pezzi, di stagione in stagione, diventando appunto dei ruderi…immagine di un Nordest che non è più quello di prima, e non sa per niente cosa diventerà.

C’è stato un periodo, un decennio fa, che i capannoni abbandonati spesso venivano utilizzati, nel tetto come installazione di pannelli fotovoltaici: era l’epoca più redditizia del “conto energia”: cioè rendeva bene, con gli incentivi statali, la cessione di energia elettrica al GSE (cioè al Gestore dei Servizi Energetici) immettendo così in rete, dietro remunerazione per ogni kWh, l’energia elettrica prodotta dai pannelli solari fotovotaici.
E paradossalmente il sostanzioso bonus ai produttori di energia veniva (viene) pagato in bolletta da chi non aveva i pannelli solari di produzione energetica…. Il gioco speculativo dell’utilizzo dei capannoni in questo caso (ma anche di terreni agricoli, quando non convertiti a vigneti, elemento ora redittuale in forza…), l’elemento speculativo, dicevamo, del fotovoltaico regge (ha retto) fin tanto che lo Stato sponsorizzava la cosa (attraverso appunto gli ignari consumatori pagatori di bolletta elettrica). Pertanto nessuna conversione “seria” dei capannoni ad attività innovative in questo caso.

Ma non ci addentriamo in questo post sul tema della produzione energetica: l’utilizzo dei capannoni abbandonati rendeva ai proprietari l’affitto del tetto di questi per l’utilizzo a panelli solari fotovoltaici, con aggravio alle casse dello stato (cioè direttamente dei contribuenti in bolletta!) e che poco aveva questa attività di “virtuosamente ecologico” (tant’è che, diminuiti o cessati gli incentivi, si sta totalmente diradando, e rimangono gli impianti a base di silicio da smaltire, ed è facile osare pensare che tra qualche decennio, anche meno, la comunità (noi tutti), dovrà farsene carico (come spesso accade in questi casi).

E poi, oltre al degrado dei capannoni, va anche ricordato che molto spesso sono stati usati materiali per costruirli altamente inquinanti: uno su tutti è l’AMIANTO, che è stato ampiamente usato negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso nel campo dell’edilizia e dell’industria, specie proprio per le coperture dei tetti dei capannoni industriali…che ora sono lì, che cadono a pezzi…e rilasciano nell’aria le velenose cancerogene particelle.
Pertanto non è solo un problema “visivo”, del paesaggio massacrato, e del futuro economico incerto… ma anche di salute pubblica, di risanamento dovuto di vaste aree molto spesso densamente abitate, in mezzo a popolazioni che lì ci vivono….

http://awsassets.wwfit.panda.org/downloads/report_wwf_2015_2_09.pdf
Le proposte per “togliere i capannoni” (e in genere ogni manufatto edile inutilizzato, che sta cadendo) sono tutte proposte un po’ deboli, scontate, con poco di innovativo.
Ad esempio una è quella dei CREDITI EDILIZI: cioè la demolizione dei manufatti irrecuperabili a ogni altra destinazione d’uso, e il recupero globale di aree abbandonate. In Veneto esisterebbe la legge urbanistica fondamentale che questo prevede appunto con i crediti edilizi (la legge regionale 11 del 2004): cioè l’abbattimento, con recupero del suolo (magari ritorno ad un difficile uso agricolo), e il “trasferimento” della volumetria demolita in altri luoghi, così da ridurre la perdita di valore dei manufatti esistenti e renderli commerciabili, non danneggiare i proprietari. Ma questo suscita forti perplessità, in un’epoca in cui si parla di arrivare presto a un “consumo del suolo zero”… lo spostamento in cunatura non convince…e poi per fare cosa? …il mercato immobiliare ora molto ridotto non ripagherebbe certo i proprietari dei capannoni demoliti…. i crediti edilizi diventano peggio della demolizione, in ogni caso uno strumento con poco senso…

Qui, in questo post non proponiamo alternative e idee di “rivoluzione per un nuovo Nordest”, perché non ci sono idee nuove. Ci limitiamo a dire e riportare, prosaicamente, quel che si può fare di ragionevole: lavorare su un territorio per migliorarlo il più possibile, con nuove forme di mobilità (ad esempio l’estensione che appare, pur lentamente, di piste ciclabili: ci pare cosa interessante); con nuove attività emergenti compatibili con l’ambiente; con nuove produzioni artigianali in rete più vasta, globale, cui il Nordest può essere presente. Con la creazione di infrastrutture leggere e importanti, come l’estensione in ogni dove dei cavi della BANDA LARGA (eviteremo pure la trasmissione WiFi con onde elettromagnetiche di cui non si sanno ancora gli effetti sulla salute…)… Con un’educazione all’innovazione, a un turismo più efficace, intelligente, conoscitivo dei vari modi delle realtà locali (non solo i paesaggi, ma l’economia, gli usi, le tradizioni…), turismo che valorizzi le enormi risorsi culturali, ambientali (luoghi anche piccoli “d’arte” ora dimenticati, una montagna favolosa, un mare così così…).
E negli articoli che seguono, in questo post, riportiamo anche l’indagine molto interessante, il reportage, dell’inserto regionale veneto del Corriere della Sera (il Corriere veneto) che nei giorni scorsi ha analizzato le prospettive possibili di recupero dal degrado dei manufatti non più operanti nel Nordest.
Ad esempio l’ex Centrale elettrica non più in uso di Porto Tolle, nel Polesine, diverrà un polo turistico, ludico, naturalistico ed agro-gastronomico. E’ vero che Porto Tolle ha una carta da giocare: cioè sorge in una zona di pregio, il Delta del Po.
Ma in pianura, fra un centro abitato e l’altro, cosa si può fare? laddove non esistono agglomerati tanto appetibili, magari ai margini di centri abitati medio-piccoli?
Un gruppo di studenti dell’Università Iuav di Venezia, su questo tema (del degrado di manufatti in pianura, in zone “meno interessanti”), ha preso a riferimento un nucleo di zone industriali «tipiche» fra Padova e Venezia, e sviluppato un progetto che prevede spazi ciclopedonali, orti urbani, vie d’acqua….

Oppure pensare ai capannoni per mettere servizi difficilmente collocabili nel cuore dei paesi, attività sportive, palestre, aree per fiere e sagre o mercati, o attività agricole per immagazzinare prodotti (ad esempio il cippato da legno combustibile)….non servirebbero grossi investimenti, trattandosi di edifici già infrastrutturati….
E’ questo che sta un po’ accadendo nella realtà di tutti i giorni, “individualmente”, nell’attività quotidiana ad esempio di ogni amministrazione comunale che si pone il problema per i “degradi” e “abbandoni” nel proprio territorio…. ma rimaniamo nel confuso, senza alcuna programmazione, senza alcuna idea innovativa di nuovo sviluppo. (s.m.)

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RICICLARE O DEMOLIRE I VECCHI CAPANNONI. PROGETTI E IDEE PER RICOSTRUIRE IL NORDEST
di Stefano Bensa, da “il Corriere del Veneto” del 18/6/2017
Soltanto in Veneto si calcola che siano almeno 10 MILA I CAPANNONI SFITTI O TOTALMENTE ABBANDONATI. Un patrimonio immobiliare immenso, spesso di scarsa qualità e che, dopo decenni di crescita impetuosa e l’altrettanto brusca frenata dell’ultimo decennio, propone un problema dai risvolti potenzialmente dirompenti sotto il profilo urbanistico e ambientale: COSA FARE DI QUEI CUBI DI CEMENTO DISSEMINATI UN PO’ DAPPERTUTTO? ABBATTERLI O TENTARE DI RECUPERARLI? Continua a leggere