UN MURO IN MENO NELLA GEOPOLITICA MONDIALE? – LE DUE COREE hanno avviato un processo di pacificazione insperato, superando la BARRIERA DEL 38° PARALLELLO – Conterà di più la CINA in quell’area? – Sono mesi di riequilibrio mondiale del potere delle superpotenze (in COREA come in SIRIA…)

IL 38º PARALLELO – La divisione della COREA (geograficamente, della PENISOLA COREANA) in COREA DEL NORD e COREA DEL SUD avvenne nel 1945 a seguito della vittoria Alleata nella seconda guerra mondiale, che portò alla fine del dominio di trentacinque anni dell’Impero giapponese sulla Corea. In una proposta (allora avversata da quasi tutti i coreani) gli STATI UNITI e l’UNIONE SOVIETICA decisero di occupare l’area dividendola in ZONE DI INFLUENZA LUNGO IL 38º PARALLELO. La proposta di protettorato era di stabilire un governo provvisorio di Corea che sarebbe dovuto divenire “libero e indipendente”. Sebbene le elezioni fossero state programmate, le due superpotenze supportarono i rispettivi capi e vennero stabiliti di fatto due Stati, ognuno dei quali reclamava la sovranità sull’intera penisola. (da Wikipedia)

   KIM JONG-UN il leader nord-coreano (che abbiamo imparato a conoscere in questi mesi per le minacce nucleari al mondo con i missili sperimentali lanciati) è andato a PANMUNJOM, sul versante sudista della frontiera, per aprire una nuova era di pace. Siamo a cavallo della frontiera originaria del secondo dopoguerra che da allora divide le due Coree data dal 38° Parallelo. E c’è stato calore nell’incontro tra lui leader del nord, con MOON JAE-IN, leader della Corea del Sud.  La pace non c’è ancora e scriverla in pochi mesi non sarà facile, perché sotto il Trattato sarà necessaria anche la firma di CINA e STATI UNITI, avversari sul campo nella guerra 1950-1953.

La penisola coreana, prima divisa lungo il 38º parallelo, poi lungo la linea di demarcazione – La GUERRA DI COREA (1950-1953) SEPARÒ DEFINITIVAMENTE LA COREA DEL NORD DA QUELLA DEL SUD con la ZONA DEMILITARIZZATA COREANA, e questa situazione contribuì al prolungarsi degli attriti tra i due Stati, i quali rimasero in perenne conflitto durante la guerra fredda, e oltre, fino ad adesso (che sembra aprirsi uno spiraglio di pace). La COREA DEL NORD è uno Stato che si definisce socialista, spesso descritto come stalinista e isolazionista. La sua economia crebbe inizialmente in modo evidente grazie a una serie di riforme di tipo socialista, che la portarono a essere il Paese asiatico più industrializzato dopo il Giappone, ma collassò negli anni novanta, diversamente da quella della vicina Cina comunista. La COREA DEL SUD fu inizialmente governata da vari governi filo-occidentali e anche militari e la sua economia, fino al 1975, era meno avanzata di quella della Corea del Nord, ma – dopo il crollo dell’Unione Sovietica e del blocco comunista – essa divenne UNO DEI PAESI PIÙ ECONOMICAMENTE AVANZATI DEL MONDO. E’ comunque dagli anni novanta che i due Stati incominciarono a fare piccoli, ma importanti passi verso una possibile riunificazione. (da Wikipedia)

La Guerra di Corea, è stata, molto più del Vietnam, un mattatoio specialmente crudele; e dopo, nei 65 anni successivi al 1953, fino ad adesso, ci son stati un milione di morti. Il conflitto coreano è stato “la guerra dimenticata”, quella che gli americani hanno per decenni preferito ignorare (e sono morti decine di migliaia di soldati americani).
La vera e propria guerra tra il 1950 e il 1953 tra le due Coree divise, portò a una carneficina indicibile. Quando fu firmato l’armistizio, il 27 luglio 1953, le perdite erano enormi: oltre due milioni di soldati morti, e circa tre milioni di civili uccisi. All’armistizio, non è mai seguito un trattato di pace: tant’è che adesso la pacificazione tra le due Coree in corso, e poi anche l’apposizione della firma di Stati uniti e Cina partecipante al massacro del 50-53, dovrebbe sancire (dovrà… si spera) la fine del conflitto dato da un armistizio mai tramutatosi in trattato di pace.

27 aprile 2018 – ll leader della COREA DEL NORD Kim Jong Un attraversa il confine al posto di frontiera di Panmunjom, diventando il primo leader nordcoreano a visitare la Repubblica della Corea del Sud

C’è chi prospetta che questo nuovo atteggiamento di pacificazione di Kim è dato dal fatto che è angosciato dalla crisi devastante dell’economia nordcoreana. Non tanto per il suo popolo ma per la classe dirigente, per la sua famiglia… Sembra che la Cina, che ha sopperito sempre sottobanco alle sanzioni proposte dal mondo al regime nordcoreano, adesso sta facendo sul serio: cioè ha chiuso i rubinetti dei beni di prima necessità, mettendo appunto in crisi pure l’approvvigionamento della nomenclatura.

Frontiera di PANMUNJOM – Panmunjom l’incontro tra i due leader

Qualcuno pensa anche che il regime nordcoreano rappresentato da Kim Jong-Un stia solo cercando di prendere tempo, ottenere qualche concessione immediata e dividere gli Stati Uniti dall’alleato sudcoreano. Anche perché, nella possibile riunificazione, la sua vita, di Kim Jong-U, e della sua famiglia, potrebbe essere a rischio, senza prospettive chiare. Il regno di Kim sopravvive se resta il regime chiuso, militarista e illiberale che è…
Comunque vedremo. Adesso è da apprezzare la storica svolta di una delle problematiche rimaste in sospeso dalla seconda guerra mondiale (cioè la separazione Nord-Sud coreana al 38° parallelo che pare risolversi).

IL CONTROLLO INTERNAZIONALE DELLA FRONTIERA FINORA: SOLO UNA FORMALITÀ, erano i due eserciti nord e sudcoreano ad affrontarsi minacciosamente – SONO IN CINQUE. È IL PIÙ PICCOLO CONTINGENTE DI PACE DEL MONDO. CINQUE UFFICIALI DELL’ESERCITO SVIZZERO, rigorosamente non armati, sorvegliano la linea di demarcazione del 38° parallelo che dal 1953 divide le due Coree. Si chiama linea smilitarizzata. In realtà è uno dei luoghi del pianeta più militarizzati e sorvegliati dagli eserciti in teoria ancora belligeranti. Perché tra le due Coree non è mai stato firmato un trattato di pace, ma solo un armistizio. E quando si trattò di scegliere chi avesse dovuto sorvegliare la pace precaria alla fine della guerra di Corea, Seul scelse Svizzera e Svezia, mentre Pyongyang Cecoslovacchia e Polonia. Per la Svizzera fu la prima missione all’estero se si escludono le Guardie Svizzere a protezione del Pontefice. Il contingente all’inizio contava 156 militari e la missione si chiama da allora NEUTRAL NATIONS SUPERVISORY COMMISSION. Ogni martedì il generale svizzero che la comanda apre la porta della casetta dove un tavolo è diviso in due dalla linea di demarcazione e infila nella cassetta delle lettere della Corea del Nord il rapporto settimanale della situazione. Poi fa la stessa cosa per l’altro lato della linea di demarcazione. (Alberto Bobbio)

Una Corea “denuclearizzata” (ma accadrà?) significa anche l’esclusione di ordigni americani, e comporterebbe la fine della Maginot Usa sul 38° parallelo e, in prospettiva, il tramonto del protettorato di Washigton sul Pacifico occidentale, imperniato sull’irrisolto nodo coreano. E questa possibile denuclearizzazione della Penisola Coreana, con gli americani che se ne vanno, è sicuramente un aumento dell’influenza, del potere della vicina Repubblica Popolare Cinese, la potenza emergente. L’affermazione dell’egemonia cinese sull’Asia orientale…
E altri scenari possibili (probabili) nei vari equilibri globali tra le superpotenze si stanno delineando (costruendo) in questi mesi, settimane, giorni… Come il caso del Medio Oriente, in Siria in particolare, ma anche altri contesti geopolitici si prospettano, ci sono; cercheremo di andare a vederli, capire cosa sta accadendo… (s.m.)

“IL PRIGIONIERO COREANO” film di KIM KI-DUK, nelle sale dal 12 aprile 2018 – (PER CAPIRE LA TRAGEDIA COREANA DI QUESTI ULTIMI 70 ANNI) – Dal regista di “Ferro 3” e “Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera” – TRAMA: A un pescatore della Corea del Nord si rompe il motore della barca e va alla deriva verso la Corea del Sud. Dopo aver subito brutali interrogatori, viene rispedito indietro. Prima di lasciare la Corea del Sud, ha modo di meditare sul lato oscuro di quella società che contrasta con la sua immagine “sviluppata”. Si rende conto che lo sviluppo economico non si traduce in felicità per tutti. Quando riesce a tornare a casa, è sottoposto a interrogatori simili a quelli del Sud. Preso da profonda pena, si sente intrappolato contro la sua volontà nell’ideologia che divide le due nazioni.

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UNA STRETTA DI MANO AL 38° PARALLELO: LE DUE COREE SI PROMETTONO LA PACE
di Guido Santevecchi, da “il Corriere della Sera” del 28/4/2018
– Per la prima volta, un leader del Nord arriva al Sud – Le parole nuove sul tavolo di Trump (e Xi); Kim e Moon: guerra finita – Il dilemma delle armi nucleari di Pyongyang – “Le Nazioni Unite salutano il coraggio e la leadership che hanno portato a importanti impegni e fa affidamento sulle parti perché li mettano in pratica” Antonio Guterres Segretario Generale dell’Onu – Molte incognite però: iI nodo nucleare rimane tutto da chiarire, e bisognerà evitare una trattativa infinita –
E’ un personaggio teatrale, oltre che brutale, KIM JONG-UN. Ma forse non recita e non esagera quando dice di essere venuto a PANMUNJOM, sul versante sudista della frontiera, per aprire una nuova era di pace. Bisogna guardare bene le immagini arrivate in una straordinaria diretta televisiva dal 38° Parallelo.

“A PANMUNJOM, nel 1953, gli Stati Uniti firmarono un ARMISTIZIO che mise fine alla prima guerra non vinta della loro storia. UNA GUERRA PAREGGIATA, poiché finì più o meno da dove era cominciata: IL NORD falli nel tentativo di occupare militarmente il Sud, ma, grazie all’intervento armato cinese, RIMASE COMUNISTA; e IL SUD RESTÒ SOTTO L’OMBRELLO AMERICANO. Per Washington quella coreana è una partita incompiuta.(…..)” (Bernardo Valli, “la Repubblica”, 30/4/2018)

C’è stato calore nell’incontro tra i due nemici, Kim sembrava sincero quando ha preso per mano MOON JAE-IN, invitandolo a mettere piede sul territorio del Nord.
Tenendo le loro mani unite e strette i due uomini dell’Asia hanno riportato alla memoria il tedesco Kohl e il francese Mitterrand che seppellirono un’era di guerre nel cuore dell’Europa. E’ giusto avere speranza. E sicuramente bisogna credere all’onestà intellettuale di Moon Jae-in, il presidente sudcoreano che da ragazzo è stato in carcere nella battaglia per i diritti civili e la democrazia a Seul e ora ha messo in gioco il suo futuro politico cercando il dialogo con il regime nemico.
Moon non si è rassegnato nemmeno nei momenti della massima minacciosità nordcoreana, a costo di sentirsi accusare da Trump di «appeasement», la bolla di disonore politico che pesa sulla memoria occidentale fin dal 1938 quando con il Patto di Monaco le democrazie europee si piegarono a Hitler.

27 APRILE 2018: L’INCONTRO DEI DUE LEADER ALLA FRONTIERA DI PANMUNJOM – UN CONFLITTO PERMANENTE • Giugno’50: la Corea del Nord varca il 38° Parallelo e prende la città di Seul. II conflitto che vedrà coinvolti gli Usa al Sud e la Cina a Nord causerà tra i 2 e i 4 milioni di morti. II 27 luglio 1953 viene stipulato l’armistizio • Ottobre 2006: la Corea del Nord realizza il primo test nucleare • Novembre 2010: Pyongyang attacca l’isola di Yeonpyeong, Seul risponde militarmente • Settembre 2017: sesto test nucleare di Pyongyang • Febbraio sudcoreano 2018: la Corea del attentato Nord partecipa alle Olimpiadi invernali

Ora arriva la DICHIARAZIONE DI PANMUNJOM. I leader dei Paesi separati, assurdamente fermi all’armistizio del 1953, quindi da 65 anni ancora tecnicamente in guerra, hanno promesso di trovare un accordo di pace entro la fine dell’anno e di lavorare verso l’obiettivo comune di «DENUCLEARIZZARE LA PENISOLA».
La pace non c’è ancora e scriverla in pochi mesi non sarà facile, perché sotto il Trattato sarà necessaria anche la firma di CINA e STATI UNITI, avversari sul campo nella guerra 1950-1953 che portò gli americani a considerare l’uso dell’atomica per fermare le masse di «volontari» cinesi.
E 65 anni dopo, l’arsenale nucleare nordcoreano è ancora al centro della sfida. Che non è finita ieri. Il secondo tempo di questa partita si giocherà tra poche settimane, nel vertice tra Kim e Donald Trump, che diversamente da Moon non ha nessun motivo sentimentale per fraternizzare con il Maresciallo. Gli Stati Uniti vorrebbero la denuclearizzazione completa, verificata e irreversibile.

KIM JONG_UN e MOON JAE_IN – Abbraccio «Il cuore continua a battermi forte», fin dalle prime parole il nordcoreano Kim Jong-un ha espresso gioia ed emozione per l’incontro con il presidente sudcoreano Moon Jae-in

Non bisogna dimenticare che ancora a gennaio Kim giurava con un ghigno da Dottor Stranamore di avere «il bottone di lancio sulla scrivania». Sono passati meno di quattro mesi e Kim è venuto al Sud, primo leader nordcoreano a varcare la linea terribile del 38° Parallelo. Le parole concordate con Moon nel documento del vertice suonano anche ispirate e commoventi, quando i due leader si rivolgono «ai nostri ottanta milioni di coreani», per dire che «la nostra urgente missione storica è di mettere fine allo stato abnorme di cessate-il-fuoco e di stabilire la pace, entro la fine dell’anno».
Ma è l’impegno al ritiro delle armi nucleari dalla Penisola l’obiettivo più importante e difficile da mantenere e potrebbe far saltare tutto il progetto dei due coreani. La parola denuclearizzazione può avere diversi significati, a Seul, Pyongyang e Washington. Kim, nei sette anni da quando è al potere, ha fatto sviluppare missili intercontinentali capaci di colpire le città americane e ha ordinato di costruire ordigni nucleari come polizza di assicurazione contro attacchi al suo regime (e alla sua vita). Ha costretto il suo popolo a vivere sotto sanzioni internazionali sempre più strette per completare il piano di «sopravvivenza». E ora non vuole fare la fine di Gheddafi, che aveva rinunciato alle armi proibite e poi è stato bombardato e ucciso.
Resta ancora un alto grado di incertezza sulla bella Dichiarazione di Panmunjom. Vista dalla Casa Bianca è la cornice di un quadro che bisogna riempire con linee chiare e colori non sfumati e opachi. C’è il sospetto che Kim fosse disperato per la crisi devastante dell’economia nordcoreana e stia solo cercando di prendere tempo, ottenere qualche concessione immediata e dividere gli Stati Uniti dall’alleato sudcoreano.
Denuclearizzazione della Penisola, come afferma l’impegno generico di Kim e Moon, può presumere come contropartita la chiusura dell’ombrello protettivo americano su Sud Corea e Giappone, il ritiro dei 28.500 militari del contingente Usa schierato dietro il 38° Parallelo. POTREBBE LASCIARE LA PENISOLA PACIFICATA NELLA SFERA D’INFLUENZA ESCLUSIVA DELLA CINA, LA POTENZA EMERGENTE.
Tutto andrà discusso e chiarito. Però senza ricadere in trattative estenuanti e inconcludenti com’è stato in passato. In questo senso, l’impetuosità di Trump può essere vantaggio. E anche se Trump ha cattiva stampa in patria e all’estero (e non senza ragione) bisogna dargli atto che la sua linea della «massima pressione» ha sicuramente aperto la via a questa svolta di Kim. Ed è stato abile quando alternava «fuoco e furia» a sorprendenti elogi per «quel tipo sveglio», non ha mai chiuso la porta a un accordo dell’ultima ora. Ha mostrato cautela e comprensione ieri nella sua prima reazione su Twitter: «La Guerra di Corea finisce, succedono buone cose, solo il tempo dirà».
E la Corea aspetta una pace stabile da troppo tempo, ha sofferto sotto il dominio coloniale giapponese dal 1910 al 1945; è stata divisa tra sovietici e americani «provvisoriamente»; è stata insanguinata dalla guerra d’aggressione ordinata dal nonno di Kim Jong-un nel 1950; dopo l’armistizio del 1953 ha vissuto in un clima di paura, segnato da minacce, attentati, cannonate sui villaggi di frontiera. Ora è giusto che le Due Coree dicano che la guerra è finita. (Guido Santevecchi)

IL 38° PARALLELLO “DA NOI” – In Italia Il MONUMENTO AL 38º PARALLELO sorge a BOCALE, zona di REGGIO CALABRIA, nel punto esatto dove tale parallelo incontra la strada statale 106 Jonica. Il monumento è costituito da un basamento a forma di tronco di piramide, sul cui lato obliquo sono posti dei medaglioni con l’emblema delle 6 CITTÀ ATTRAVERSATE DAL 38º PARALLELO: REGGIO CALABRIA, SEUL, SMIRNE, ATENE, SAN FRANCISCO, CORDOBA. Tale monumento fu creato nel 1987 in seguito al congresso internazionale della Società Dante Alighieri, e vuole celebrare un ideale legame di pace e collaborazione fra tutte le città che giacciono sul 38º parallelo.

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QUEI 65 ANNI D’ATTESA: ORA LA II GUERRA MONDIALE È FINITA ANCHE SUL 38° PARALLELO
di Vittorio Zucconi, da “la Repubblica” del 28/4/2018
– È stato il grande conflitto dimenticato. Fin dall’origine è stato spesso a un passo dal diventare uno scontro nucleare. Ora si avvia alla conclusione ma resta un non detto tra Cina e Stati Uniti –
WASHINGTON – Piccolo passo per due uomini in guerra che si tenevano per mano come fidanzatini, grande balzo per l’umanità che chiude l’ultima piaga rimasta aperta dalla Guerra mondiale e poi dalla Guerra fredda, la promessa di pace dei leader delle due mezze Coree è un viaggio lungo 65 anni e un milione di morti. Continua a leggere

IMMIGRATI: UN PUNTO DI SVOLTA? Una SCELTA realistica di LIMITAZIONE ma di INTEGRAZIONE, oppure una reazione populista, considerando IMMIGRAZIONE UGUALE a ILLEGALITÀ e TERRORISMO? – Il caso dei 1500 migranti ammassati nel Centro di CONA (Venezia) e la possibile accoglienza diffusa

CONA (provincia di Venezia), 1500 migranti nel centro di accoglienza per 200 migranti-profughi. Sovraffollamento, acqua fredda, poco cibo. E’ ritornata la tranquillità dopo il pomeriggio del 2 gennaio e la notte tra il 2 e il 3 dove, nel Centro di accoglienza, ci sono state le proteste dei migranti legate alla situazione di sovraffollamento della struttura e alla morte di una giovane ivoriana, SANDRINE BAKAYOKO, deceduta per una trombosi polmonare come ha stabilito l'autopsia. Gli operatori del centro, spaventati dalle proteste, si sono barricati in un container e negli uffici amministrativi della struttura. La protesta è durata diverse ore, 25 operatori sono rimasti chiusi nel centro fino alle 2 di notte del 3 gennaio, quando la crisi si è risolta con la mediazione delle forze dell’ordine. C’è stato il trasferimento deciso dal Viminale di 100 ospiti in strutture di accoglienza dell'Emilia Romagna. Ma la situazione nel centro resta drammatica. 1500 ospiti in un luogo che potrebbe ospitarne 200. Tendoni con persone ammassate e senza acqua calda. E un potenziale bubbone di risentimento
CONA (provincia di Venezia), 1500 migranti nel centro di accoglienza per 200 migranti-profughi. Sovraffollamento, acqua fredda, poco cibo. E’ ritornata la tranquillità dopo il pomeriggio del 2 gennaio e la notte tra il 2 e il 3 dove, nel Centro di accoglienza, ci sono state le proteste dei migranti legate alla situazione di sovraffollamento della struttura e alla morte di una giovane ivoriana, SANDRINE BAKAYOKO, deceduta per una trombosi polmonare come ha stabilito l’autopsia. Gli operatori del centro, spaventati dalle proteste, si sono barricati in un container e negli uffici amministrativi della struttura. La protesta è durata diverse ore, 25 operatori sono rimasti chiusi nel centro fino alle 2 di notte del 3 gennaio, quando la crisi si è risolta con la mediazione delle forze dell’ordine. C’è stato il trasferimento deciso dal Viminale di 100 ospiti in strutture di accoglienza dell’Emilia Romagna. Ma la situazione nel centro resta drammatica. 1500 ospiti in un luogo che potrebbe ospitarne 200. Tendoni con persone ammassate e senza acqua calda. E un potenziale bubbone di risentimento

   E’ un caso nazionale la rivolta del 2 gennaio scorso dei profughi nel Centro di accoglienza (CDA) di Cona (paese di 3.000 abitanti nella parte sud della provincia di Venezia, ben più vicino a Rovigo, al Polesine, che a Mestre-Venezia). Il CDA è in un’ex base militare (missilistica) collocata in una delle sparse 11 contrade-frazioni di Cona, in quella che si chiama Conetta, di soli 190 abitanti.

   E nel Centro di accoglienza di Conetta molti denunciavano da tempo le condizioni di vita disumane del campo, così com’è circondato da filo spinato e da vecchie strutture militari, in cui i dormitori sono stati costruiti all’interno di tensostrutture temporanee nelle quali sono state ammassate le brande per dormire. A Conetta pertanto c’erano già state delle proteste, anche da parte dei migranti che si lamentavano della mancanza di docce, dei servizi igienici, e della scarsità dei pasti.

SANDRINE BAKAYOKO, una giovane donna di 25 anni della Costa d’Avorio è morta nel campo di Cona. Era arrivata in Italia il 30 agosto 2016 ed era ospitata nell’hub in attesa di avere una risposta alla sua richiesta d’asilo. Il malore finito in tragedia. Un malore che non le ha lasciato scampo. La giovane donna si sarebbe sentita male in doccia intorno alle 7 e l’ambulanza che l’ha portata via intorno alle 15 non sarebbe riuscita a salvarla. Dall’hub intanto i migranti accusano: «È stata anche colpa della negligenza della cooperativa, l’ambulanza è arrivata solo 8 ore dopo». In una nota, però, l’ospedale di Piove di Sacco ha detto che i mezzi di soccorso sono partiti subito dopo aver ricevuto la chiamata
SANDRINE BAKAYOKO, una giovane donna di 25 anni della Costa d’Avorio è morta nel campo di Cona. Era arrivata in Italia il 30 agosto 2016 ed era ospitata nell’hub in attesa di avere una risposta alla sua richiesta d’asilo. Il malore finito in tragedia. Un malore che non le ha lasciato scampo. La giovane donna si sarebbe sentita male in doccia intorno alle 7 e l’ambulanza che l’ha portata via intorno alle 15 non sarebbe riuscita a salvarla. Dall’hub intanto i migranti accusano: «È stata anche colpa della negligenza della cooperativa, l’ambulanza è arrivata solo 8 ore dopo». In una nota, però, l’ospedale di Piove di Sacco ha detto che i mezzi di soccorso sono partiti subito dopo aver ricevuto la chiamata

   La rivolta iniziata nel primo pomeriggio del 2 gennaio, con il sequestro da parte degli immigrati degli operatori del Centro, è andata avanti fino all’una di notte Ed è scoppiata a seguito della morte, per cause naturali, di una profuga di 25 anni, della Costa d’Avorio, SANDRINE BAYAKOKO. Le trattative portate avanti dalla polizia per arrivare alla liberazione dei 25 operatori che si erano rinchiusi in una struttura prefabbricata del campo, hanno avuto buon esito verso l’una di notte. La protesta dei profughi poi è proseguita nella mattinata, chiedendo da parte di un gruppo di profughi di far entrare i giornalisti nella base di Cona per mostrare le loro condizioni di vita. Ma l’accesso è stato impedito.

   Sulle abnormi condizioni di vita dentro a questo Centro (1500 migranti, in una struttura in grado di accoglierne dignitosamente non più di 200; e oltre al sovraffollamento, in situazione con acqua fredda, bagni insufficienti, poco cibo…), sulla disastrosa condizione del Centro nessuno è in grado di smentire, di non essere d’accordo. C’è pure stata “un’incursione”, tempo fa, di un giornalista del Corriere del Veneto (Andrea Priante), che è riuscito a infiltrarsi dentro al Centro come operatore della cooperativa «Ecofficina» che gestisce la struttura («lavoro sei giorni su sette, dalle 9 del mattino alle 7 di sera. Il pagamento è in voucher: 200 euro alla settimana….3 euro e 70 centesimi l’ora….»… «…otto letti a castello in uno stanzino, venti se la sala è un po’ più grande, quaranta se tra un letto e l’altro si lasciano pochi centimetri…uomini di Paesi, culture e religioni diverse, stipati come polli dentro stanze disadorne, possono trasformare quel posto in una bomba a orologeria. E se finora la situazione non è precipitata, il merito è proprio di chi lavora lì dentro. Eppure le forze in campo sono sproporzionate: durante il giorno, per supportare 530 profughi ci sono tra gli otto e i dieci dipendenti della coop, quasi tutti giovani…A ricevere decine di profughi doloranti siamo in due e nessuno di noi è un dottore e neppure un farmacista. I casi più gravi vengono dirottati nell’ospedale cittadino ma per il resto ci si affida alla nostra (poca, almeno nel mio caso) esperienza. Distribuiamo Buscopan, Ibuprofene, Maalox….» (questa parte della testimonianza del giornalista).

Il NUOVO PIANO governativo per l’accoglienza prevede PER LA DISTRIBUZIONE DIFFUSA DEI MIGRANTI un rapporto su 2,5/3 MIGRANTI OGNI MILLE ABITANTI. Per i comuni fino a 2000 abitanti è previsto un minimo di 6 migranti. Per i comuni metropolitani il rapporto diminuisce e al massimo sarà di 2 migranti ogni mille abitanti. I sindaci saranno gli attori dell’accoglienza, saranno loro a scegliere dove sistemare i profughi senza subire imposizioni dalla Prefettura. Se c’è l’adesione, la presa in carico dei profughi e questi vengono sistemati, il governo mette a disposizione del comune 500 euro per ogni persona ospitata (fondi liberamente utilizzabili, senza vincolo di spesa)
Il NUOVO PIANO governativo per l’accoglienza prevede PER LA DISTRIBUZIONE DIFFUSA DEI MIGRANTI un rapporto su 2,5/3 MIGRANTI OGNI MILLE ABITANTI. Per i comuni fino a 2000 abitanti è previsto un minimo di 6 migranti. Per i comuni metropolitani il rapporto diminuisce e al massimo sarà di 2 migranti ogni mille abitanti. I sindaci saranno gli attori dell’accoglienza, saranno loro a scegliere dove sistemare i profughi senza subire imposizioni dalla Prefettura. Se c’è l’adesione, la presa in carico dei profughi e questi vengono sistemati, il governo mette a disposizione del comune 500 euro per ogni persona ospitata (fondi liberamente utilizzabili, senza vincolo di spesa)

   Pertanto Cona è come tutte le strutture per immigrati di questo genere: quasi sempre non sono adatte alla vita di centinaia di persone per lunghi periodi di tempo; e sono gestite da grandi cooperative che le amministrano in maniera poco trasparente, perché nel regime straordinario hanno meno obblighi di rendicontazione.

   La morte nel Centro di accoglienza di Cona di Sandrine, e le proteste dei richiedenti asilo, hanno sollevato molte polemiche. C’è chi ha usato questo drammatico episodio per chiedere l’espulsione dei migranti e politiche migratorie ancora più restrittive. Altri invece hanno puntato il dito contro il sistema di accoglienza italiano ancora dominato dalla logica dell’emergenza, nonostante il flusso di arrivi di migranti sulle nostre coste sia costante da anni.

   Il trasferimento dei richiedenti asilo nei centri di prima accoglienza è gestito dalle prefetture e dai vertici del ministero dell’interno, sulla base della disponibilità dei posti nelle diverse regioni italiane. In questo meccanismo che tiene conto solo dei numeri, i prefetti finiscono per preferire alberghi, caserme e tendopoli, invece di strutture medio piccole, che consentirebbero una gestione più accurata e maggiori controlli. Questo perché gran parte dei comuni, delle amministrazioni locali, si rifiutano ad accogliere migranti: a volte per ragioni condivisibili di difficoltà vera, a volte (spesso), per assecondare le ritrosie all’accoglienza della cittadinanza. Questo rifiuto dei comuni impedisce così una distribuzione dell’accoglienza di tipo diffusa, assai meno problematica e più gestibile. Va da se che i mega-centri di accoglienza, portano a un sistema finanziario regolato complessivamente da decine di milioni di euro all’anno. E questo finisce per favorire grandi cooperative e aziende di assistenza che si accaparrano molti appalti, spesso a scapito della qualità dei servizi.

DOMENICA 15 GENNAIO a CONA si tiene una Cerimonia pubblica per SANDRINE BAYAKOKO, la ragazza morta nel centro disumano ospitato nella Caserma di CONETTA. Una cerimonia per onorare la memoria di Sandrine, ma anche per chiedere tutti insieme IL SUPERAMENTO DI QUESTI CENTRI, PER UN'ACCOGLIENZA UMANA E DIFFUSA. “ (…)La cerimonia per Sandrine non è una manifestazione a favore dei profughi. Non è una prova di forza degli anti-razzisti contro i razzisti. Se continuiamo a vedere le cose in questo modo saremo per sempre in ritardo e ci sarà sempre qualcuno che decide sopra di noi. Credo che la cerimonia per Sandrine possa diventare un momento di svolta nel modo con cui tutti noi ci rapportiamo all'accoglienza. Il momento in cui non ci scontriamo sul Si o il No all'accoglienza, ma in cui discutiamo democraticamente del Come.(…)” (Andrea Segre, “il Mattino di Padova” del 9/1/2017) (Per adesioni: cerimoniapersandrine@gmail.com - Per informazioni: Facebook "Bassa Padovana Accoglie")
DOMENICA 15 GENNAIO a CONA si tiene una Cerimonia pubblica per SANDRINE BAYAKOKO, la ragazza morta nel centro disumano ospitato nella Caserma di CONETTA. Una cerimonia per onorare la memoria di Sandrine, ma anche per chiedere tutti insieme IL SUPERAMENTO DI QUESTI CENTRI, PER UN’ACCOGLIENZA UMANA E DIFFUSA. “ (…)La cerimonia per Sandrine non è una manifestazione a favore dei profughi. Non è una prova di forza degli anti-razzisti contro i razzisti. Se continuiamo a vedere le cose in questo modo saremo per sempre in ritardo e ci sarà sempre qualcuno che decide sopra di noi. Credo che la cerimonia per Sandrine possa diventare un momento di svolta nel modo con cui tutti noi ci rapportiamo all’accoglienza. Il momento in cui non ci scontriamo sul Si o il No all’accoglienza, ma in cui discutiamo democraticamente del Come.(…)” (Andrea Segre, “il Mattino di Padova” del 9/1/2017) (Per adesioni: cerimoniapersandrine@gmail.com – Per informazioni: Facebook “Bassa Padovana Accoglie”)

   Evidente pertanto che l’unica possibile alternativa è (sarebbe) la distribuzione dei profughi sul territorio nazionale con il coinvolgimento dei comuni nell’assistenza, e l’applicazione degli standard e dei controlli previsti dal “Sistema nazionale per richiedenti asilo e rifugiati”. E’ comunque questa, adesso, la volontà politica e amministrativa del nuovo piano messo a punto tra Ministero dell’Interno e Anci Nazionale.

   Se pertanto il Governo (con il consenso dell’Anci nazionale, l’associazione dei comuni…) decidono per andare verso l’accoglienza diffusa, dall’altra lo stesso governo, per parte sempre del Ministro dell’Interno (Minniti), con il capo della Polizia Gabrielli, hanno annunciato, alla fine dell’anno (pertanto poco prima dell’episodio di Cona) il rilancio dei Centri di identificazione ed espulsione (CIE), uno per regione, che dovranno arrivare in tutto alla capienza di 1600 posti complessivi. La ripresa dei CIE (Centri di espulsione) denota un atteggiamento più duro “a prescindere” verso ogni forma di migrazione (di profughi da guerre o economici) (non che i CDA non ammettano l’espulsione, più del 60% non vengono accolti, ma il discorso diventa “più duro”, si guarda ancora meno il motivo della migrazione…). E’ anche così (e dalle dichiarazioni che vengono fatte) che lo sviluppo dei CIE fa percepire l’idea che si crei UN COLLEGAMENTO TRA IMMIGRAZIONE IRREGOLARE, ILLEGALITÀ E TERRORISMO.

da Ansa
da Ansa

   Cose invece del tutto separate (immigrazione e terrorismo), ma che certamente esistono nella percezione popolare, in quella dei gruppi politici e culturali che cavalcano la cosa (appunto: immigrazione uguale terrorismo), e ora pare che ci sia un adeguarsi “governativo” (elettorale?) a questa percezione di immigrazione che causa terrorismo. Infatti il Ministro dell’interno e il Capo della polizia, parlano, in questo contesto, si voler raddoppiare le espulsioni: dalle attuali 5mila all’anno a 10mila, forse a 20mila (su che base oggettiva si stabiliscono precedentemente queste cifre?…).

   Un inasprimento sul fenomeno migratorio è dato sicuramente da paura, dal rischio di non riuscire a controllare lo stesso fenomeno; in una situazione nazionale, europea, mediorientale, africana… globale… caotica (a dir poco).

Dentro il CPA di Cona
Dentro il CPA di Cona

   Che dire? Si va così che da episodi di solidarietà estrema (i salvataggi in mare, il volontariato mobilitato…), ad altri di linea dura anche quando non serve, non ha ragione di esserci (migranti a volte integrati, che parlano italiano, che si vedono respingere la domanda di permesso di soggiorno…). E situazioni di contrasto create da chi cavalca la situazione (e le preoccupazioni, sincere, dell’opinione pubblica), proponendo soluzioni drastiche (muri, espulsioni, abbandono dei salvataggi in mare…).

   Contesti (le migrazioni dall’Africa in particolare) che richiederebbero autorevolezza, fermezza, ma anche ragionevolezza, comprensione, solidarietà. Nella trattazione complessiva del problema dei migranti da sud a nord ci sono situazioni complesse che avrebbero (hanno) bisogno di risposte concrete e vere. Ad esempio: a) creare corridoi umanitari e punti di raccolta sull’altra sponda del Mediterraneo, b) organizzare in modo trasparente le traversate togliendo spazio ai trafficanti, c) concedere permessi di soggiorno temporanei (anche per cercare lavoro, evitando richieste di asilo improprie), d) rimpatri volontari assistiti; e) verificare, in piccole strutture decentrate, le specifiche richieste e i requisiti in tempi celeri (non i quasi due anni attuali, attuando anche ricerche su identità e provenienza degli immigrati), f) produrre l’immenso sforzo che serve sul piano globale per dare speranza ai paesi di origine…. Tutte cose che poco si fanno, e si rischia di tappare i buchi, un poco con umanità, un poco con disumanità, tanto con incertezza e disagio. (s.m.)

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LA VITA NEI CENTRI DI ACCOGLIENZA

AMMUCCHIATI AL GELO COME BESTIE MENTRE ALTRI CI GUADAGNANO MILIONI

di Gian Antonio Stella, da “il Corriere della Sera” del 3/1/2017

– La testimonianza di un giornalista del Corriere del Veneto “infiltrato” nella struttura di Cona: «Uomini di Paesi, culture e religioni diverse, stipati come polli dentro stanze disadorne, possono trasformare quel posto in una bomba a orologeria» – Continua a leggere

IL RACCONTO DI NATALE: dal DON CHISCIOTTE di MIGUEL DE CERVANTES – SIAMO TUTTI DON CHISCIOTTE: Cervantes, morto 400 anni fa, ha dato vita a un visionario contemporaneo: chi, ogni giorno, ha una battaglia da perdere, trasformando il quotidiano in epica, e con il sogno di andare oltre l’impossibile

MIGUEL DE CERVANTES: 400 ANNI DALLA MORTE DEL GRANDE SCRITTORE (avvenuta il 23 aprile 2016). DON CHISCIOTTE è uno dei testi più famosi al mondo, tradotto in ogni lingua, oggetto di centinaia di trasposizioni teatrali e cinematografiche e motivo di ispirazione per migliaia di artisti (pittori, scultori, coreografi) sparsi in ogni paese
MIGUEL DE CERVANTES: 400 ANNI DALLA MORTE DEL GRANDE SCRITTORE (avvenuta il 23 aprile 2016). DON CHISCIOTTE è uno dei testi più famosi al mondo, tradotto in ogni lingua, oggetto di centinaia di trasposizioni teatrali e cinematografiche e motivo di ispirazione per migliaia di artisti (pittori, scultori, coreografi) sparsi in ogni paese

   Da questo blog geografico, Vi proponiamo, per il Natale 2016 (come facciamo ogni fine anno) dei brani di lettura a nostro avviso da riprendere in mano, da recuperare (oppure da “prendere possesso” se non lo si è mai fatto). E stavolta ci siamo un po’ dedicati al Don Chisciotte di Miguel De Cervantes.

   Don Chisciotte della Mancia è considerato il primo romanzo della storia della letteratura occidentale. Il libro, diviso in due parti, narra le vicende del cavaliere errante, Don Chisciotte, e del suo scudiero, Sancio Panza. La trama del romanzo si impernia attorno ai due personaggi, entrambi inscindibili e centrali.

   Tutto prende avvio dalla follia di un possidente, un piccolo proprietario, Alonso Chisciano, un cavaliere con non troppi averi. E Alonso, dopo aver letto moltissimi libri sulla cavalleria errante, celebri e meno celebri, si è identificato con quel mondo, farneticando in se una realtà fatta di cavalieri e dame, e regole, che intende follemente applicare alla sua vita. Ma ciascuno di chi qui legge ben conosce la vicenda di Don Chisciotte.

   Quel che conta, lasciandovi alla lettura di brani del Don Chisciotte e ad alcune interpretazioni contemporanee sulla figura di questo personaggio (e del suo autore-creatore Miguel de Cervantes), quel che conta è il fatto di doverci confrontare, bene o male, con lui, che segna le nostre esistenze, cui ci riflettiamo (in lui) come in uno specchio.

   Sognando di essere Don Chisciotte e contemporaneamente mettendoncela tutta per evitare di esserlo. Non voler essere perdenti (come quasi sempre accade), ma non essendo per niente felici di dover vincere (vincere cosa?)….

   E’ questo personaggio, e questo straordinario libro, qualcosa che esce dall’essere un semplice racconto-romanzo, per diventare, nella lettura piacevole delle sue pagine e avventure (con una scrittura sì tradotta e ammodernata, ma con uno scorrere lessicale di 400 anni fa… nonostante tutto questo la lettura è facile), per diventare, essere, anche un po’ un testo di psicanalisi, e di storia dell’uomo di ogni epoca, e più che mai della nostra personale vita. Per questo condividiamo il moto che, volenti o meno, “SIAMO TUTTI DON CHISCIOTTE”. Buona lettura. Buon Natale. (s.m.)

Madrid, Piazza di Spagna, monumento dedicato a don Chisciotte e Sancio Panza (foto di Alisa Kolobova tratta dal sito www.minube.it/ )
Madrid, Piazza di Spagna, monumento dedicato a don Chisciotte e Sancio Panza (foto di Alisa Kolobova tratta dal sito http://www.minube.it/ )

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All’inizio del suo romanzo, Miguel de Cervantes ci presenta il protagonista, un gentiluomo della Mancia che, totalmente assorbito dalla lettura dei romanzi cavallereschi, finisce con l’impazzire. E con la fantasia si trasforma in cavaliere errante con tanto di armatura, di destriero e di dama alla quale dedicare i propri trionfi. A Don Chisciotte della Mancia non resta pertanto che partire: straordinarie e mirabolanti imprese lo attendono!

DON CHISCIOTTE DIVENTA CAVALIERE ERRANTE

   In un paese della Mancia, di cui non voglio fare il nome, viveva or non è molto uno di quei cavalieri che tengono la lancia nella rastrelliera, un vecchio scudo, un ossuto ronzino e il levriero da caccia. Tre quarti della sua rendita se ne andavano in un piatto più di vacca che di castrato, carne fredda per cena quasi ogni sera, uova e prosciutto il sabato, lenticchie il venerdì e qualche piccioncino di rinforzo alla domenica. A quello che restava davano fondo il tabarro di pettinato e i calzoni di velluto per i dì di festa, con soprascarpe dello stesso velluto, mentre negli altri giorni della settimana provvedeva al suo decoro con lana grezza della migliore. Aveva in casa una governante che passava i quarant’anni e una nipote che non arrivava ai venti, più un garzone per lavorare i campi e far la spesa, che gli sellava il ronzino e maneggiava il potatoio. L’età del nostro cavaliere sfiorava i cinquant’anni; era di corporatura vigorosa, secco, col viso asciutto, amante d’alzarsi presto al mattino e appassionato alla caccia.

Alonso Quixano, non ancora don Chisciotte, nella sua biblioteca tra i romanzi cavallereschi

Bisogna dunque sapere che il detto gentiluomo, nei momenti che stava senza far nulla (che erano i più dell’anno), si dedicava a leggere i libri di cavalleria con tanta passione, con tanto gusto, che arrivò quasi a trascurare l’esercizio della caccia, nonché l’amministrazione della sua proprietà; e arrivò a tanto quella sua folle mania che vendette diverse staia di terra da semina per comprare romanzi cavallereschi da leggere, e in tal modo se ne portò in casa quanti più riuscì a procurarsene.

Insomma, tanto s’immerse nelle sue letture, che passava le nottate a leggere da un crepuscolo all’altro, e le giornate dalla prima all’ultima luce; e così, dal poco dormire e il molto leggere gli s’inaridì il cervello in maniera che perdette il giudizio. La fantasia gli si empì di tutto quello che leggeva nei libri, sia d’incantamenti che di contese, battaglie, sfide, ferite, dichiarazioni, amori, tempeste e altre impossibili assurdità; e gli si ficcò in testa a tal punto che tutta quella macchina d’immaginarie invenzioni che leggeva, fossero verità, che per lui non c’era al mondo altra storia più certa. don-chisciotte_1

Così, con il cervello ormai frastornato, finì col venirgli la più stravagante idea che abbia avuto mai pazzo al mondo, e cioè che per accrescere il proprio nome, e servire la patria, gli parve conveniente e necessario farsi cavaliere errante, e andarsene per il mondo con le sue armi e cavallo, a cercare avventure e a cimentarsi in tutto ciò che aveva letto che i cavalieri erranti si cimentavano, disfacendo ogni specie di torti e esponendosi a situazioni e pericoli da cui, superatili, potesse acquistare onore e fama eterna. E la prima cosa che fece fu ripulire certe armi che erano state dei suoi bisavoli che, prese dalla ruggine e coperte di muffa, stavano da lunghi secoli accantonate e dimenticate in un angolo. Le ripulì e le rassettò come meglio poté. Andò poi a guardare il suo ronzino, e benché avesse più crepature agli zoccoli e più acciacchi del cavallo del Gonnella, che tantum pellis et ossa fuit, gli parve che non gli si potesse comparare neanche il Bucefalo di Alessandro o il Babieca del Cid. Passò quattro giorni ad almanaccare che nome dovesse dargli; perché (come egli diceva a se stesso) non era giusto che il cavallo d’un cavaliere così illustre, ed esso stesso così dotato di intrinseco valore, non avesse un nome famoso; perciò, ne cercava uno che lasciasse intendere ciò che era stato prima di appartenere a cavaliere errante, e quello che era adesso; ed era logico, del resto, che mutando di condizione il padrone, mutasse il nome anche lui, e ne acquistasse uno famoso e sonante, più consono al nuovo ordine e al nuovo esercizio che ormai professava; così, dopo infiniti nomi che formò, cancellò e tolse, aggiunse, disfece e tornò a rifare nella sua mente e nella sua immaginazione, finì col chiamarlo Ronzinante, nome, a parer suo, alto, sonoro e significativo di ciò che era stato ante quando era ronzino, e quello che era ora, primo ed innante a ogni ronzino al mondo. Avendo messo il nome, con tanta soddisfazione, al suo cavallo, volle ora trovarsene uno per sé, e in questo pensiero passò altri otto giorni, finché si risolse a chiamarsi don Chisciotte.

Ma, da buon cavaliere, volle egli aggiungere al suo il nome della sua patria e chiamarsi don Chisciotte della Mancia, e così a parer suo egli veniva a dichiarare apertamente il suo lignaggio e la sua patria, e la onorava, assumendone il soprannome.

Ripulite dunque le armi, battezzato il ronzino e data a se stesso la cresima, si convinse che non gli mancava ormai nient’altro se non cercare una dama di cui innamorarsi: perché un cavaliere errante senza amore è come un albero senza né foglie né frutti o come un corpo senz’anima. Oh, come si rallegrò il nostro buon cavaliere quand’ebbe trovato colei a cui dar nome di sua dama! Ed è che, a quanto si crede, in un paesetto vicino al suo c’era una giovane contadina di aspetto avvenente, di cui un tempo egli era stato innamorato, benché, a quanto è dato di credere, essa non ne seppe mai nulla e non se ne accorse nemmeno. Si chiamava Aldonza Lorenzo: ed è a costei che gli parve bene dare il titolo di signora dei suoi pensieri; e cercandole un nome che non disdicesse molto dal suo, e che si incamminasse a esser quello di una principessa e gran dama, la chiamò Dulcinea del Toboso, perché era nativa del Toboso: nome che gli parve musicale, prezioso e significativo, come tutti gli altri che aveva imposto a se stesso e alle proprie cose.

La copertina della prima parte del libro originario pubblicato nel 1605 - “Fate in modo che, leggendo la vostra storia, il malinconico si senta invitato a ridere, l’allegro lo diventi ancora di più, l’ignorante non se ne stufi, e chi è colto ne apprezzi la trama, il serio non la disprezzi, né il saggio manchi di lodarla.” MIGUEL DE CERVANTES
La copertina della prima parte del libro originario pubblicato nel 1605 – “Fate in modo che, leggendo la vostra storia, il malinconico si senta invitato a ridere, l’allegro lo diventi ancora di più, l’ignorante non se ne stufi, e chi è colto ne apprezzi la trama, il serio non la disprezzi, né il saggio manchi di lodarla.” MIGUEL DE CERVANTES

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IMPERDIBILE L’ASCOLTO DEL “DON CHISCIOTTE” LETTO DA TONI SERVILLO PER RADIOTRE:

La Grande Radio – Ascoltare Don Chisciotte – Radio 3 – Rai  

Voce recitante TONY SERVILLO – Musiche originali di STEFANO BOLLANI

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“WILLIAM SHAKESPEARE e MIGUEL DE CERVANTES, come stremati da un’identica vita titanica, sono MORTI LO STESSO GIORNO, IL 23 APRILE DEL 1616 (pur con 10 e più giorni di differenza, visti i due calendari diversi: in Spagna nel 1616 vigeva il calendario gregoriano, mentre in Inghilterra si seguiva ancora quello giuliano). Con una simmetria che non smette di stupirci, ENTRAMBI CI HANNO LASCIATO UN VERO TESTAMENTO IN MATERIA DI SAGGEZZA. È quello che ci raccontano le ultime pagine del DON CHISCIOTTE, e il monologo di Prospero che chiude LA TEMPESTA. Don Chisciotte morente, che riprende il nome di Alonso Chisciano e rinnega le imprese, non è diverso da Prospero, che consumata la sua vendetta depone arti magiche e potere.(…) Come tutti i grandi messaggi, anche questo punge e consola. Da una parte significa che la saggezza e il risveglio arrivano troppo tardi, e servono solo a morire bene; ma è ugualmente vero, e ricco di significato, che l’essere umano può risvegliarsi prima della morte, quando ancora è dentro la sua vita, non più come ospite ma come padrone.(…) (Emanuele Trevi, “Il Corriere della Sera” del 14/11/2016)
“WILLIAM SHAKESPEARE e MIGUEL DE CERVANTES, come stremati da un’identica vita titanica, sono MORTI LO STESSO GIORNO, IL 23 APRILE DEL 1616 (pur con 10 e più giorni di differenza, visti i due calendari diversi: in Spagna nel 1616 vigeva il calendario gregoriano, mentre in Inghilterra si seguiva ancora quello giuliano). Con una simmetria che non smette di stupirci, ENTRAMBI CI HANNO LASCIATO UN VERO TESTAMENTO IN MATERIA DI SAGGEZZA. È quello che ci raccontano le ultime pagine del DON CHISCIOTTE, e il monologo di Prospero che chiude LA TEMPESTA. Don Chisciotte morente, che riprende il nome di Alonso Chisciano e rinnega le imprese, non è diverso da Prospero, che consumata la sua vendetta depone arti magiche e potere.(…) Come tutti i grandi messaggi, anche questo punge e consola. Da una parte significa che la saggezza e il risveglio arrivano troppo tardi, e servono solo a morire bene; ma è ugualmente vero, e ricco di significato, che l’essere umano può risvegliarsi prima della morte, quando ancora è dentro la sua vita, non più come ospite ma come padrone.(…) (Emanuele Trevi, “Il Corriere della Sera” del 14/11/2016)

Questa è una delle più famose avventure di Don Chisciotte. Il “nobile cavaliere errante” vede da lontano dei mulini a vento, li scambia per giganti e li assale, ma…

DON CHISCIOTTE CONTRO I MULINI A VENTO

CAPITOLO VIII

DEL FORTUNATO COMPIMENTO CHE DIEDE IL VALOROSO DON CHISCIOTTE ALLA SPAVENTEVOLE E NON MAI IMMAGINATA AVVENTURA DEI MULINI DA VENTO CON ALTRI SUCCESSI DEGNI DI GLORIOSA MEMORIA.

Ed ecco intanto scoprirsi da trenta o quaranta mulini da vento, che si trovavano in quella campagna; e tosto che don Chisciotte li vide, disse al suo scudiere: «La fortuna va guidando le cose nostre meglio che noi non oseremmo desiderare. Vedi là, amico Sancio, come si vengono manifestando trenta, o poco più smisurati giganti? Io penso di azzuffarmi con essi, e levandoli di vita cominciare ad arricchirmi colle loro spoglie; perciocché questa è guerra onorata, ed è un servire Iddio il togliere dalla faccia della terra sì trista semente.

– Dove, sono i giganti? disse Sancio Pancia. – Quelli che vedi laggiù, rispose il padrone, con quelle braccia sì lunghe, che taluno d’essi le ha come di due leghe.

– Guardi bene la signoria vostra, soggiunse Sancio, che quelli che colà si discoprono non sono altrimenti giganti, ma mulini da vento, e quelle che le paiono braccia sono le pale delle ruote, che percosse dal vento, fanno girare la macina del mulino.

– Ben si conosce, disse don Chisciotte, che non sei pratico di avventure; quelli sono giganti, e se ne temi, fatti in disparte e mettiti in orazione mentre io vado ad entrar con essi in fiera e disugual tenzone.

Detto questo, diede de’ sproni a Ronzinante, senza badare al suo scudiere, il quale continuava ad avvertirlo che erano mulini da vento e non giganti, quelli che andava ad assaltare. Ma tanto s’era egli fitto in capo che fossero giganti, che non udiva più le parole di Sancio, né per avvicinarsi arrivava a discernere che cosa fossero realmente; anzi gridava a gran voce: «Non fuggite, codarde e vili creature, che un solo è il cavaliere che viene con voi a battaglia.»

In questo levossi un po’ di vento per cui le grandi pale delle ruote cominciarono a moversi; don Chisciotte soggiunse: «Potreste agitar più braccia del gigante Briareo, che me l’avete pur da pagare.» Ciò detto, e raccomandandosi di tutto cuore alla Dulcinea sua signora affinché lo assistesse in quello scontro, ben coperto colla rotella, e posta la lancia in resta, galoppando quanto poteva, investì il primo mulino in cui si incontrò e diede della lancia in una pala. Continua a leggere

PICCOLE PATRIE EUROPEE: i movimenti indipendentisti in Europa sono forti più che mai (come la loro recente vittoria in CATALOGNA) – L’inadeguata proposta geopolitica delle “Piccole Patrie” (che si comportano come “Stati Nazione”) e il rifiuto degli Stati nazione a un vero FEDERALISMO

MANIFESTAZIONE INDIPENDENTISTA IN CATALOGNA - Alle elezioni regionali in CATALOGNA di domenica 27 settembre c’è stata la netta vittoria degli INDIPENDENTISTI che hanno conquistato la maggioranza dei seggi. La coalizione indipendentista ha conquistato 72 scranni su 135 totali del Parlamento regionale, ma non supera il 48 per cento, mancando di poco quindi la maggioranza assoluta nelle preferenze degli elettori. Netta sconfitta per Partido Popular del premier spagnolo Mariano Rajoy. La lista JUNTS PEL SÌ del presidente secessionista ARTUR MAS, infatti, ha ottenuto 62 seggi e il 39,7%, mentre quella dei RADICALI SEPARATISTI di CUP è a 10 seggi e il 8,2%: INSIEME RAGGIUNGONO IL 47,9%, sfiorando quindi la maggioranza assoluta di voti e conquistando 72 seggi su 135 totali. Dietro JUNTS PEL SÌ arriva invece il partito moderato anti-sistema CIUDADANOS (25 seggi e il 17,9%), contrario all’indipendenza. Una vittoria netta quindi, ma non assoluta. Gli indipendentisti avranno il maggior numero dei seggi al Parlamento regionale catalano, ma non superando il 50 per cento dei voti non possono presentarsi a Madrid come titolari della maggioranza assoluta degli elettori della Catalogna. L’OBBIETTIVO DI ARTUR MAS, leader della coalizione indipendentista Junts pel Sì, È infatti LA PROCLAMAZIONE DI UNA DICHIARAZIONE UNILATERALE D’INDIPENDENZA NELL’ARCO DI 18 MESI
MANIFESTAZIONE INDIPENDENTISTA IN CATALOGNA – Alle elezioni regionali in CATALOGNA di domenica 27 settembre c’è stata la netta vittoria degli INDIPENDENTISTI che hanno conquistato la maggioranza dei seggi. La coalizione indipendentista ha conquistato 72 scranni su 135 totali del Parlamento regionale, ma non supera il 48 per cento, mancando di poco quindi la maggioranza assoluta nelle preferenze degli elettori. Netta sconfitta per Partido Popular del premier spagnolo Mariano Rajoy. La lista JUNTS PEL SÌ del presidente secessionista ARTUR MAS, infatti, ha ottenuto 62 seggi e il 39,7%, mentre quella dei RADICALI SEPARATISTI di CUP è a 10 seggi e il 8,2%: INSIEME RAGGIUNGONO IL 47,9%, sfiorando quindi la maggioranza assoluta di voti e conquistando 72 seggi su 135 totali. Dietro JUNTS PEL SÌ arriva invece il partito moderato anti-sistema CIUDADANOS (25 seggi e il 17,9%), contrario all’indipendenza. Una vittoria netta quindi, ma non assoluta. Gli indipendentisti avranno il maggior numero dei seggi al Parlamento regionale catalano, ma non superando il 50 per cento dei voti non possono presentarsi a Madrid come titolari della maggioranza assoluta degli elettori della Catalogna. L’OBBIETTIVO DI ARTUR MAS, leader della coalizione indipendentista Junts pel Sì, È infatti LA PROCLAMAZIONE DI UNA DICHIARAZIONE UNILATERALE D’INDIPENDENZA NELL’ARCO DI 18 MESI

   La netta vittoria in CATALOGNA di domenica 27 settembre nelle elezioni per il parlamento regionale degli INDIPENDENTISTI (che vogliono la secessione dalla Spagna, dallo stato nazionale spagnolo), segna una linea di confine netta tra quel che è adesso l’Europa (un insieme di Stati nazionali assai gelosi della propria sovranità) e quel che può accadere di qui a poco se in ogni stato (o in alcuni stati) si inizia un processo di separazione e autonomia dai poteri centrali nazionali. E’ infatti intenzione degli autonomisti catalani ottenere da Madrid la secessione entro 18 mesi, con la proclamazione di UNA DICHIARAZIONE UNILATERALE D’INDIPENDENZA.

   Già la Scozia, nel settembre dello scorso anno, aveva dato un segnale concreto di quel che appariva possibile, cioè la secessione dalla Gran Bretagna e la costituzione di una PATRIA A SÈ: gli scozzesi indipendentisti hanno perso il referendum con 55,4 “no” contro 44,6 “sì”, ma hanno lanciato o rilanciato la voglia latente di molte regioni d’Europa di indire analoghe consultazioni.

Dalla Corsica alla Baviera l'Europa si spacca nelle piccole patrie
Dalla Corsica alla Baviera l’Europa si spacca nelle piccole patrie

   All’origine della creazione dell’Europa (l’Unione Europea), a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, è stata l’idea di una «EUROPA DELLE REGIONI» che progressivamente soppiantasse l’ «EUROPA DELLE NAZIONI». Nazioni che nel 900 si erano combattute in due terribili sanguinosissime guerre civili… il nazionalismo è stato all’origine di tanti altre deleteri “ismi” (fascismo, nazismo, imperialismo…). E uno dei cardini del pensiero federalista dei padri fondatori dell’Europa era proprio quello di superare (o affiancare) le sovranità nazionali con un regionalismo molto spinto: appunto la creazione di un’Europa delle regioni. Ma essi (padri fondatori) hanno ben presto dovuto adattarsi a far legittimare il progetto europeo dagli stati nazionali. Ma sempre nella speranza che l’integrazione portasse al superamento dei nazionalismi e all’affermarsi di una comunità di popoli e di autonomie.

   Questo progetto purtroppo fallito, nello scorrere del tempo, con l’età della crisi glo­bale sta for­nendo le basi mate­riali per lo svi­luppo di NUOVI MICRO-NAZIONALISMI «fai da te», spesso con movimenti autonomisti che ribadiscono una propria identità ricavata dal passato e fomentata da una condizione economica che è assai peggiorata negli ultimi tempi. Per questo sono “contro”: contro il fisco del potere centrale, contro gli immigrati… Sia chiaro che certe rivolte e certe insoddisfazioni possono essere assai spiegabili, vere, inoppugnabili (sprechi dello stato centrale, corruzioni dell’apparato pubblico, tasse eccessivamente esose per i servizi offerti…).

Il presidente secessionista del governo catalano ARTUR MAS
Il presidente secessionista del governo catalano ARTUR MAS

   Su tutto forse vien da pensare che la “grande trasformazione” di questi anni che fa richiedere l’istituzione di nuove PICCOLE PATRIE sia data dalle con­se­guenze mag­giori dei pro­cessi di glo­ba­liz­za­zione (pensiamo alla crisi del lavoro manifatturiero trasferito in altri Paesi). E’ su quest’onda di cambiamenti e impotenza del potere centrale (spesso effettivamente parassitario, che non si è rinnovato…), (e anche mancanza a livello locale di intravedere altri progetti economici), che così c’è la per­dita di significato, e di auto­rità, degli Stati nazio­nali; e questo induce molti a pen­sare che sia venuto il momento di «deci­dere per sé», imma­gi­nando che per resi­stere alla competi­zione inter­na­zio­nale e al cor­to­cir­cuito dell’economia finan­zia­ria, sia meglio asse­starsi su di un terri­to­rio ben defi­nito. Un clima che ha creato quasi naturalmente la volontà di creare nuove «PICCOLE PATRIE». Sia ben chiaro comunque che le ORIGINE STORICHE DI DIFFERENZIAZIONE DALLO STATO CENTRALE sentito estraneo, a volte percepito come vero despota, il primo “seme che sviluppa la pianta secessionista” è dato o voluto da un’origine storica di vera o presunta diversità dallo Stato centrale, un “non riconoscersi all’origine”, questa è la base latente di ogni processo di voglia di indipendentismo.

   Un’opposizione al prevalere di grandi nazioni (causa poi della degenerazione in “nazionalismo” di cui prima abbiamo detto, e che tutt’ora blocca ogni possibilità di vera “Federazione europea”), questo prevalere, questa imposizione dall’alto a territori che si sentono estranei allo stato-nazione, ha fatto sì che si riaffermassero opposizioni territoriali che volevano (vogliono), sognano, progettano di costruire una loro indipendenza, appunto una PICCOLA PATRIA.

“Vettore fondamentale nel mondo dell’identità catalana è stata negli ultimi anni LA SQUADRA DI CALCIO DEL BARCELLONA: ‘més que un clu’, catalano per ‘più di un club’, recita il suo motto. La sua rivalità con il Real Madrid non è puramente calcistica, ma anche geopolitica (…)” (Lucio Caracciolo, “la Repubblica” del 28/9/2015)
“Vettore fondamentale nel mondo dell’identità catalana è stata negli ultimi anni LA SQUADRA DI CALCIO DEL BARCELLONA: ‘més que un clu’, catalano per ‘più di un club’, recita il suo motto. La sua rivalità con il Real Madrid non è puramente calcistica, ma anche geopolitica (…)” (Lucio Caracciolo, “la Repubblica” del 28/9/2015)

   Che così il termine PICCOLA PATRIA è dato da un’aggregazione d’individui legati insieme da sentimenti di comunanza in passate vicende storiche, e dunque da tradizioni culturali, religiose, costumi e usanze ancor vive. E il TERRITORIO è sì un vincolo, UN’IDENTIFICAZIONE GEOGRAFICA BEN DEFINITA (ma non sempre assoluta), mentre però indispensabile è l’elemento psicologico della consapevolezza di stare insieme, di sentirsi COMUNITÀ (magari chiusa e rassicurante) con una comunanza progettuale anche d’intenti: insomma sentire un «SENSO DI APPARTENENZA».

   Ci sono allora queste spinte alle Piccole Patrie, che alimentano le tensioni e le pulsioni organizzate in alcuni territori degli Stati europei (dentro e fuori dell’Unione), e che contribuiscono a una loro risoluta espressione sul piano delle rivendicazioni popolari di sapore autonomistico, o talvolta del tutto indipendentista (vedi in ambito europeo i Paesi Baschi, la Galizia e la Catalogna di fronte allo Stato spagnolo, l’interminabile scontro fra Valloni e Fiamminghi in Belgio, le aspirazioni secessioniste della Scozia, della Comunità turca a Cipro, di varie altra comunità alloglotte – cioè territori in cui si parla una lingua diversa da quella ufficiale dello Stato nazione cui si appartiene – come nella penisola Iberica).

UN FILM SU UNA “PICCOLA PATRIA” (IL VENETO) - PICCOLA PATRIA, LA SOFFERENZA DEL NORD EST AI TEMPI DEI SECESSIONISTI - Il film del regista veneto ALESSANDRO ROSSETTO uscito nel 2014 era stato presentato alla Mostra di Venezia 2013 nella sezione Orizzonti. "Il problema è che questo dolore ha trovato nelle istanze razziste e xenofobe una rischiosa parabola crescente: si tratta di una guerra tra poveri che - spiega il regista porta solo a peggiorare le cose. Da noi sta dilagando una cultura leghistoide trasversale" – (di Anna Maria Pasetti | 4 aprile 2014, IL FATTO QUOTIDANO)
UN FILM SU UNA “PICCOLA PATRIA” (IL VENETO) – PICCOLA PATRIA, LA SOFFERENZA DEL NORD EST AI TEMPI DEI SECESSIONISTI – Il film del regista veneto ALESSANDRO ROSSETTO uscito nel 2014 era stato presentato alla Mostra di Venezia 2013 nella sezione Orizzonti. “Il problema è che questo dolore ha trovato nelle istanze razziste e xenofobe una rischiosa parabola crescente: si tratta di una guerra tra poveri che – spiega il regista porta solo a peggiorare le cose. Da noi sta dilagando una cultura leghistoide trasversale” – (di Anna Maria Pasetti | 4 aprile 2014, IL FATTO QUOTIDANO)

   La minaccia poi di essere “fuori dalla Unione Europea” se si diventa indipendenti (minaccia formulata ad esempio un anno fa nel referendum inglese per l’indipendenza della Scozia, e come si paventa adesso con la Catalogna…), sembra non un vero pericolo: i Trattati hanno conferito a tutti i popoli dell’Unione lo status di cittadini europei. E questa condizione, a meno di una esplicita rinuncia, sopravvive anche alla scelta di una nuova appartenenza nazionale. Pertanto la cosa sarebbe fattibile, come appunto poteva avvenire in Scozia l’anno scorso (se gli indipendentisti avessero vinto il referendum).

   Questo proliferare di Piccole Patrie possibili spesso però non ragionano per niente su un pensiero federalista, di apertura al mondo, all’Europa, e al riconoscimento del diritto all’autodeterminazione per ciascun popolo. Chi chiede l’indipendenza o forte autonomia si concentra sul “suo nuovo” stato nazionale, sulla sua nuova Piccola patria. Cioè quasi sempre le proposte territoriali indipendentiste “ragionano” allo stesso modo dei loro stati nazionali cui si oppongono: una sovranità che guarda al proprio ombelico (a partire dai “sacri confini” del proprio territorio), pensando che le difficoltà dell’oggi (economiche, di sicurezza, di identità che si va perdendo…) siano risolvibili nel chiudersi in se stessi.

L’ESPLOSIONE DEI MOVIMENTI INDIPENDENTISTI. È DIFFICILE NON IMMAGINARE IL FUTURO DELL’EUROPA COME UNA SORTA DI PUZZLE MULTICOLORE
L’ESPLOSIONE DEI MOVIMENTI INDIPENDENTISTI. È DIFFICILE NON IMMAGINARE IL FUTURO DELL’EUROPA COME UNA SORTA DI PUZZLE MULTICOLORE

   NESSUNA PROPOSTA FEDERALISTA quasi sempre nasce dall’indipendentismo delle “Piccole Patrie” che si vorrebbero costituire. Solo chiusure sperando che “riportino serenità, felicità” a comunità che si ritrovano ad affrontare un presente più complesso del previsto. Mentre il processo federalista prospetta un ripartizione efficiente e democratica di ciascun potere, da quello del governo mondiale (pensiamo al legiferare sul porre rimedio ai cambiamenti climatici), ai poteri dell’Europa, e via scendendo fino al potere di autodeterminazione del singolo individuo. (s.m.)

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DALLA CORSICA ALLA BAVIERA L’EUROPA SI SPACCA NELLE PICCOLE PATRIE

di Andrea Bonanni, da “la Repubblica” del 29/9/2015

– Dopo la vittoria alle regionali in Catalogna dei partiti indipendentisti riprendono forza i movimenti autonomisti o separatisti. Mettendo in imbarazzo la Ue –

BRUXELLES – Tante sono le “piccole patrie” di cui l’Europa si scopre casa comune, quante sono le sfumature dei movimenti indipendentisti, separatisti, federalisti e autonomisti che percorrono il Vecchio continente. Si va da chi, in passato, non ha esitato a imbracciare il fucile, come gli IRLANDESI DEL NORD, i BASCHI, i CORSI, i SUDTIROLESI, a chi rivendica il diritto al recupero di una identità culturale perduta, come gli OCCITANI IN PROVENZA e nel SUD DELLA FRANCIA. Continua a leggere

ISRAELE e il suo DECLINO INTEGRALISTA raccontato dal regista AMOS GITAI che con il suo docu-film “RABIN, THE LAST DAY” (alla Mostra del Cinema di Venezia), dall’assassinio del premier Rabin (4/11/1995) descrive l’incapacità di Israele di vivere in pace, in un MEDITERRANEO ORIENTALE che sta cambiando

AMOS GITAI regista di RABIN THE LAST DAY e ISCHAC HISKIYA che impersona Rabin - AMOS GITAI lascia il segno al LIDO DI VENEZIA, dove ha avuto luogo l'anteprima del suo nuovo film, RABIN, THE LAST DAY, resoconto della giornata che avrebbe cambiato per sempre la storia di Israele e del processo che ne conseguì. L'attentato al primo ministro YITZHAK RABIN, avvenuto la sera del 4 NOVEMBRE 1995, durante un comizio per la pace nella regione, segnò il momento esatto in cui la possibile risoluzione di uno dei conflitti più dolorosi del Ventesimo Secolo divenne improvvisamente lontana e improbabile. "QUEI TRE PROIETTILI AVREBBERO CAMBIATO IL DESTINO DEL NOSTRO PAESE - riflette Gitai in conferenza a Venezia (7/9/2015, da www.film.it/speciali/festival)
AMOS GITAI regista di RABIN THE LAST DAY e ISCHAC HISKIYA che impersona Rabin – AMOS GITAI lascia il segno al LIDO DI VENEZIA, dove ha avuto luogo l’anteprima del suo nuovo film, RABIN, THE LAST DAY, resoconto della giornata che avrebbe cambiato per sempre la storia di Israele e del processo che ne conseguì. L’attentato al primo ministro YITZHAK RABIN, avvenuto la sera del 4 NOVEMBRE 1995, durante un comizio per la pace nella regione, segnò il momento esatto in cui la possibile risoluzione di uno dei conflitti più dolorosi del Ventesimo Secolo divenne improvvisamente lontana e improbabile. “QUEI TRE PROIETTILI AVREBBERO CAMBIATO IL DESTINO DEL NOSTRO PAESE – riflette Gitai in conferenza a Venezia (7/9/2015, da http://www.film.it/speciali/festival)

   Parliamo di Israele e di quel che accadde il 4 novembre 1995, cioè l’assassinio del premier Rabin, che stava realizzando il più vero e concreto accordo di pace con il mondo palestinese, e del perché oggi più che mai Israele si dibatte su un vissuto (interno ed esterno al Paese) di integralismo, declino sociale e politico, che la sta isolando sempre più anche dai paesi suoi tradizionalmente alleati (come gli Usa). Facciamo questa breve analisi, in questo post, partendo dall’importante e splendido docu-film di AMOS GITAI presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2015, dal titolo RABIN, THE LAST DAY.

   L’uccisione di Rabin (4/11/1995 dicevamo) è avvenuta da parte del venticinquenne Yigal Amir, un colono ebreo estremista e sionista di destra. Avvenimento che sancisce il predominio integralista religioso su ogni possibilità (politica, umana…) di pace e convivenza.

mappa israele-palestina
mappa israele-palestina

   Circostanze immutabili della società israeliana: sionismo e purezza del paese; i religiosi e i coloni a cui il Likud (il partito conservatore) ha permesso di moltiplicarsi e che violando ogni trattato occupano anche le terre non di Stato, distruggono gli ulivi, minacciano i palestinesi.

   Il film di Amos Gitani uscirà in Israele il 4 novembre prossimo, nel ventennale dell’omicidio, nell’Auditorium della Israel Philharmonic Orchestra, a 200 metri dal luogo della morte. Ed è, questa fiction-documento, una vera lezione di cinema e storia contemporanea, e insieme un’impressionante descrizione delle dinamiche politiche del tempo presente in Israele. E Gitai, tecnicamente, mostra come ormai il confine fra cinema di finzione e documentario sia svanito.

La VALLE DEL CREMISAN sorge in territorio palestinese, a pochi chilometri da Betlemme. È famosa per la produzione vinicola e per i suoi uliveti, ed è considerata uno dei territori naturali più belli della Palestina. Bulldozer e ruspe israeliani hanno cominciato a sradicare gli ulivi centenari della comunità di Beit Jala. Israele vuole espandere il muro di separazione tra la città palestinese e un insediamento israeliano
La VALLE DEL CREMISAN sorge in territorio palestinese, a pochi chilometri da Betlemme. È famosa per la produzione vinicola e per i suoi uliveti, ed è considerata uno dei territori naturali più belli della Palestina. Bulldozer e ruspe israeliani hanno cominciato a sradicare gli ulivi centenari della comunità di Beit Jala. Israele vuole espandere il muro di separazione tra la città palestinese e un insediamento israeliano

   Il regista israeliano ricostruisce i fatti e il clima di quel periodo, mescola finzione e repertorio: la piazza dei manifestanti, oggi intitolata a Rabin, l’assassino che avanza verso l’auto blindata, spara tre colpi, e quei tre proiettili cambiano del tutto il destino di Israele.    L’anno prima di essere ucciso, Yitzhak Rabin era stato insignito (insieme con Yasser Arafat e Shimon Peres) del premio Nobel per la Pace, proprio per quell’accordo di pace (ACCORDO DI OSLO) che sembrava definitivamente raggiunto. Ma l’uccisione di Rabin azzerò quel tentativo.

GLI ACCORDI DI OSLO - Il 13 settembre 1993 YTZHAK RABIN e YASSER ARAFAT si strinsero la mano nel cortile della Casa Bianca firmando quelli che passarono alla storia come gli accordi di Oslo (Delegati palestinesi e israeliani avevano preso contatto in Norvegia, che offrì di ospitare le trattative in una villetta circondata da un bosco fuori da Oslo). Era la prima volta che i due paesi si riconoscevano come legittimi interlocutori ed era la prima volta che i due leader si stringevano la mano in pubblico. - Con la “DICHIARAZIONE DEI PRINCIPi”, il nome del documento prodotto dagli accordi di Oslo, per la prima volta gli israeliani riconobbero nell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina l’interlocutore ufficiale che parlava per il popolo palestinese e gli riconobbero il diritto di governare su alcuni dei territori occupati. L’OLP da parte sua riconobbe il diritto di Israele a esistere e rinunciò formalmente all’uso della violenza per ottenere i suoi scopi, cioè la creazione di uno stato palestinese. - QUESTI RICONOSCIMENTI RECIPROCI ERANO GIÀ DI PER SÈ UNA NOVITÀ ASSOLUTA nei rapporti tra Israele e i palestinesi, ma l’accordo conteneva anche un piano specifico per mettere in atto una soluzione definitiva alla “questione palestinese”. ISRAELE PROMETTEVA DI RITIRARSI DA GAZA E DALL’AREA DI GERICO, NELLA CISGIORDANIA. Prometteva anche che nei cinque anni successivi si sarebbe ritirata da altri territori occupati militarmente. Secondo gli accordi in questi territori si sarebbero insediati dei governi palestinesi eletti localmente, l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) - NEL 1995 RABIN E ARAFAT FIRMARONO UN’ALTRA SERIE DI ACCORDI, OSLO II, che garantivano all’OLP il governo di numerose città e villaggi a Gaza e nella Cisgiordania, dopo che nel luglio del 1994, Israele aveva cominciato a ritirare l’esercito da alcuni dei territorio occupati. All’epoca però lo scetticismo nei confronti degli accordi stava già crescendo da entrambe le parti. - IL 4 NOVEMBRE DEL 1995 RABIN, IL PRINCIPALE FAUTORE DEGLI ACCORDI, FU UCCISO DA UN FANATICO RELIGIOSO EBREO. Nel 1996 il Likud (partito conservatore israeliano), ostile agli accordi, vinse le elezioni. Il nuovo primo ministro – che è anche l’attuale primo ministro, Benjamin Netanyahu – aveva più volte pubblicamente definito gli accordi di Oslo un errore. E tutto fallì (da IL POST.IT)
GLI ACCORDI DI OSLO – Il 13 settembre 1993 YTZHAK RABIN e YASSER ARAFAT si strinsero la mano nel cortile della Casa Bianca firmando quelli che passarono alla storia come gli accordi di Oslo (Delegati palestinesi e israeliani avevano preso contatto in Norvegia, che offrì di ospitare le trattative in una villetta circondata da un bosco fuori da Oslo). Era la prima volta che i due paesi si riconoscevano come legittimi interlocutori ed era la prima volta che i due leader si stringevano la mano in pubblico. – Con la “DICHIARAZIONE DEI PRINCIPi”, il nome del documento prodotto dagli accordi di Oslo, per la prima volta gli israeliani riconobbero nell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina l’interlocutore ufficiale che parlava per il popolo palestinese e gli riconobbero il diritto di governare su alcuni dei territori occupati. L’OLP da parte sua riconobbe il diritto di Israele a esistere e rinunciò formalmente all’uso della violenza per ottenere i suoi scopi, cioè la creazione di uno stato palestinese. – QUESTI RICONOSCIMENTI RECIPROCI ERANO GIÀ DI PER SÈ UNA NOVITÀ ASSOLUTA nei rapporti tra Israele e i palestinesi, ma l’accordo conteneva anche un piano specifico per mettere in atto una soluzione definitiva alla “questione palestinese”. ISRAELE PROMETTEVA DI RITIRARSI DA GAZA E DALL’AREA DI GERICO, NELLA CISGIORDANIA. Prometteva anche che nei cinque anni successivi si sarebbe ritirata da altri territori occupati militarmente. Secondo gli accordi in questi territori si sarebbero insediati dei governi palestinesi eletti localmente, l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) – NEL 1995 RABIN E ARAFAT FIRMARONO UN’ALTRA SERIE DI ACCORDI, OSLO II, che garantivano all’OLP il governo di numerose città e villaggi a Gaza e nella Cisgiordania, dopo che nel luglio del 1994, Israele aveva cominciato a ritirare l’esercito da alcuni dei territorio occupati. All’epoca però lo scetticismo nei confronti degli accordi stava già crescendo da entrambe le parti. – IL 4 NOVEMBRE DEL 1995 RABIN, IL PRINCIPALE FAUTORE DEGLI ACCORDI, FU UCCISO DA UN FANATICO RELIGIOSO EBREO. Nel 1996 il Likud (partito conservatore israeliano), ostile agli accordi, vinse le elezioni. Il nuovo primo ministro – che è anche l’attuale primo ministro, Benjamin Netanyahu – aveva più volte pubblicamente definito gli accordi di Oslo un errore. E tutto fallì (da IL POST.IT)

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   In questi  giorni Netanyahu ha annunciato che Israele inizierà a costruire una barriera alla frontiera con la Giordania, IL QUARTO MURO ERETTO DALLO STATO EBRAICO. “Per evitare l’arrivo di un’ondata di immigrati clandestini e attività terroristiche”, così ha giustificato.

Mentre l'Europa si sta interrogando su come fronteggiare l'emergenza immigrazione, in Medio Oriente il premier israeliano Benjamin Netanyahu avverte: non consentirò che Israele sia "sommerso" da rifugiati siriani e africani. E annuncia la costruzione di una recinzione al confine con la Giordania per evitare l'arrivo di "un'ondata di immigrati clandestini e attività terroristiche". (da rainews.it, 6/9/2015)
Mentre l’Europa si sta interrogando su come fronteggiare l’emergenza immigrazione, in Medio Oriente il premier israeliano Benjamin Netanyahu avverte: non consentirò che Israele sia “sommerso” da rifugiati siriani e africani. E annuncia la costruzione di una recinzione al confine con la Giordania per evitare l’arrivo di “un’ondata di immigrati clandestini e attività terroristiche”. (da rainews.it, 6/9/2015)

   Tanti gli episodi della regressione politica e sociale che Israele sta vivendo anche in queste settimane e ultimi mesi. Ha fatto scalpore il rogo che nella notte tra il 30 e il 31 luglio carbonizzò Ali Dawabshah, 18 mesi, e che una settimana dopo avrebbe ucciso anche Saad Dawabshah, il padre del bimbo palestinese, rimasto gravemente ustionato. Dopo quella notte in cui alcuni individui lanciarono bottiglie incendiarie contro l’abitazione dei Dawabshah nel villaggio di Kafr Douma, il mondo apprese della violenza degli estremisti di destra e dei coloni israeliani in CISGIORDANIA, terra dei palestinesi (ora e in futuro) e che invece è interessata da insediamenti dei coloni ultraortodossi israeliani (con l’appoggio del governo), da muri divisori già costruiti e in costruzione, da violenze quasi quotidiane.

   E non è solo una questione di scontro con i palestinesi. C’è uno scivolare della società israeliana verso la compressione dei diritti. Basti pensare a quel che accade in questi giorni con IL DIVIETO DELLE PARTITE DI CALCIO NEL GIORNO DELLO “SHABBAT”, il giorno sacro ebraico che corre tra venerdì sera e sabato e nel quale, tra le altre cose, è vietato lavorare, accendere il fuoco, guidare l’auto, telefonare, pedalare in bicicletta e qualsiasi altra cosa che riguardi una qualsivoglia attività… (salvo esoneri specifici – ospedali, polizia, pompieri, servizi di emergenza… – esoneri che devono però essere chiesti al ministro dell’economia). Una minoranza religiosa, gli ebrei ortodossi di Israele (circa il dieci per cento della popolazione) sono riusciti a imporre la sospensione delle partite di calcio per lo shabbat (e anche, si sta realizzando, la chiusura dei negozi sempre di sabato).

La scoperta (resa nota dall’ENI e dal GOVERNO EGIZIANO il 30 agosto scorso) di un IMPONENTE GIACIMENTO DI GAS NATURALE DAVANTI ALLE COSTE EGIZIANE manda in fumo i PIANI DI DOMINIO ENERGETICO DI TEL AVIV NEL MEDITERRANEO ORIENTALE (e tremano anche i regnanti del QATAR, piccolo “stato-regno” ricco in particolare ora per la vendita delle sue ingenti riserve di gas, che arrivano fino al rigassificatore di Porto Tolle, nell’Alto Adriatico, e sono il 10% del fabbisogno energetico italiano…). Ma à l’equilibrio di potenza energetica israeliana a risentirne di più nel Mediterraneo Orientale. IL GIACIMENTO EGIZIANO, BATTEZZATO ZOHR, RAPPRESENTA UNA DELLE MAGGIORI SCOPERTE DI GAS A LIVELLO MONDIALE. Presenta un potenziale di risorse fino a 850 miliardi di metri cubi di gas in posto (equivalenti a 5,5 miliardi di barili di petrolio) e un’estensione di circa 100 chilometri quadrati. Soddisferà la domanda egiziana per decenni
La scoperta (resa nota dall’ENI e dal GOVERNO EGIZIANO il 30 agosto scorso) di un IMPONENTE GIACIMENTO DI GAS NATURALE DAVANTI ALLE COSTE EGIZIANE manda in fumo i PIANI DI DOMINIO ENERGETICO DI TEL AVIV NEL MEDITERRANEO ORIENTALE (e tremano anche i regnanti del QATAR, piccolo “stato-regno” ricco in particolare ora per la vendita delle sue ingenti riserve di gas, che arrivano fino al rigassificatore di Porto Tolle, nell’Alto Adriatico, e sono il 10% del fabbisogno energetico italiano…). Ma à l’equilibrio di potenza energetica israeliana a risentirne di più nel Mediterraneo Orientale. IL GIACIMENTO EGIZIANO, BATTEZZATO ZOHR, RAPPRESENTA UNA DELLE MAGGIORI SCOPERTE DI GAS A LIVELLO MONDIALE. Presenta un potenziale di risorse fino a 850 miliardi di metri cubi di gas in posto (equivalenti a 5,5 miliardi di barili di petrolio) e un’estensione di circa 100 chilometri quadrati. Soddisferà la domanda egiziana per decenni

   Pertanto, chiudendo questa riflessione con il fim di Amos Gitai, quei tre colpi a Rabin uccisero la pace. E l’opera cinematografica del regista israeliano (RABIN, THE LAST DAY) è un’opera monumentale e densissima, tra fiction e documentario, per ricostruire l’impatto della morte del premier Yitzhak Rabin: un atto d’accusa forte.

   L’abilità di Gitai sta proprio nel mettere a nudo certi meccanismi che una parte di cultura ebraica ha assimilato come violenta auto-difesa. Per cui non condividere certe posizioni politiche equivale d’ufficio a diventare nemico d’Israele, che tu sia ebreo o meno. Non è solo un’inchiesta sulla morte di Rabin: l’omicidio del primo ministro israeliano quel 4 novembre 1995 diviene la lente con cui attraversare la politica e la società israeliane com’è adesso. E speriamo possa cambiare. (s.m.)

Muro di Cremisan
Muro di Cremisan

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Il nuovo film di AMOS GITAI RABIN, THE LAST DAY”

IN TRE COLPI DI PISTOLA, LA STORIA DI ISRAELE

di Cristina Piccino, da “il Manifesto” del 8/9/2015 – Festival cinematografico 2015 al Lido di Venezia

– Il nuovo film di AMOS GITAI mette in campo, tra archivio e narrazione, tutte le parti della società israeliana ferocemente ostili alla pace. –

VENEZIA – «SAREBBE STATA PIÙ STABILE OGGI LA SITUAZIONE DI ISRAELE SE RABIN NON FOSSE STATO UCCISO?» Continua a leggere

Il RACCONTO DI NATALE per i nostri affezionati (venticinque) lettori: IL GUIDATORE NOTTURNO (o L’AVVENTURA DI UN AUTOMOBILISTA) di ITALO CALVINO: in auto nella notte, nello spazio del cono di luce di un’autostrada, soli con i propri pensieri e l’elaborazione di SCENARI PERSONALI sulla propria condizione di vita

L’IMMAGINE qui sopra è tratta dal film LOCKE del regista Steven Knight. Thriller del 2013, USA e Gran Bretagna – E’ un piccolo grande film inglese girato in pochi giorni, che rappresenta IL VIAGGIO NOTTURNO IN AUTOSTRADA di un uomo che sta cambiando la propria vita, e in quel viaggio senza mai fermarsi, tutto accade (la TRAMA e la CRITICA la potete leggere nell’ultimo articolo di questo post)
L’IMMAGINE qui sopra è tratta dal film LOCKE del regista Steven Knight. Thriller del 2013, USA e Gran Bretagna – E’ un piccolo grande film inglese girato in pochi giorni, che rappresenta IL VIAGGIO NOTTURNO IN AUTOSTRADA di un uomo che sta cambiando la propria vita, e in quel viaggio senza mai fermarsi, tutto accade (la TRAMA e la CRITICA la potete leggere nell’ultimo articolo di questo post)

   Il GUIDATORE NOTTURNO è un racconto del 1967di ITALO CALVINO: pubblicato dapprima sul quotidiano IL GIORNO, venne poi incluso in TI CON ZERO e nel volume GLI AMORI DIFFICILI col titolo L’AVVENTURA DI UN AUTOMOBILISTA. Nel 1984 entrò infine a far parte delle COSMICOMICHE VECCHIE E NUOVE.

   Un uomo guida nell’autostrada mentre piove, di notte, “nella scatola d’ombra che i fari si portano dietro e nascondono”. Corre verso la città della donna che ama e che con essa ha avuto un alterco che potrebbe portare alla fine della loro storia d’amore. Ma pensa che anche lei, la donna che ama, vada incontro a lui, immaginandola nelle indistinte auto nell’altra direzione dell’autostrada. E c’è pure un rivale in amore che potrebbe interferire, esserci anche lui in quell’autostrada fatta di coni di luce di auto indistinguibili nel buio della sera, della notte, puri segnali luminosi, fari di luce accesi nel buio.

   Vi proponiamo pertanto, come piccolo omaggio di Natale di riconoscenza per aver visitato una volta, due volte…questo blog geografico…Vi proponiamo la lettura di questo racconto di Italo Calvino, assai famoso, ma che a nostro avviso merita di essere ripreso, riletto, anche per chi lo conosce già.

ITALO CALVINO nacque a CUBA nel 1923, ma poco dopo i suoi genitori (una naturalista e un agronomo), si trasferirono a S. REMO, dove egli compì i suoi studi fino alla fine del liceo. Era iscritto ad Agraria nel 1944, quando raggiunse la Brigata Garibaldi, per evitare l'arruolamento nella Repubblica Sociale. Fu un periodo breve, ma intenso di esperienze profondamente formative. ALLA FINE DELLA GUERRA, SI STABILÌ A TORINO e cominciò a lavorare presso la CASA EDITRICE EINAUDI, dove conobbe CESARE PAVESE e altri scrittori. Si laureò in Lettere, iniziando contemporaneamente la sua attività di narratore, preso dal generale fervore creativo. E’ morto a SIENA nel 1985 (l’immagine riprodotta qui sopra è tratta da http://teoden1976.blogspot.it/ )
ITALO CALVINO nacque a CUBA nel 1923, ma poco dopo i suoi genitori (una naturalista e un agronomo), si trasferirono a S. REMO, dove egli compì i suoi studi fino alla fine del liceo. Era iscritto ad Agraria nel 1944, quando raggiunse la Brigata Garibaldi, per evitare l’arruolamento nella Repubblica Sociale. Fu un periodo breve, ma intenso di esperienze profondamente formative. ALLA FINE DELLA GUERRA, SI STABILÌ A TORINO e cominciò a lavorare presso la CASA EDITRICE EINAUDI, dove conobbe CESARE PAVESE e altri scrittori. Si laureò in Lettere, iniziando contemporaneamente la sua attività di narratore, preso dal generale fervore creativo. E’ morto a SIENA nel 1985 (l’immagine riprodotta qui sopra è tratta da http://teoden1976.blogspot.it/ )

   “…più vado avanti più mi rendo conto che il momento dell’arrivo non è il vero fine della mia corsa: la meta, il viaggio, non è lo strumento per arrivarci, ma molto stesso il fine….”. Il viaggio, uno stato mentale che spesso diventa più importante della mèta da raggiungere.

   Per questo, allontanandoci un solo momento dal racconto di Calvino, forse viaggiare troppo veloce inibisce il percorso e la meditazione su se stessi… Per non parlare del paesaggio che fugge, che non si “impara”, non si valorizza, che si evita di vedere, conoscere…. guidare di notte

   Penso a gallerie di 50 e più chilometri fatte per oltrepassare, “bucare”, evitare le montagne, come quella che si sta costruendo sotto il Passo del Brennero, per superare le Alpi (una galleria traforo ferroviario di 55 chilometri…)…Viene in mente i mercanti, viandanti, pellegrini che, oltrepassando le Alpi, i Pirenei…di notte pernottavano in monasteri, o stazioni di posta, o taverne sporche e magari pericolose… per superare (loro) in tre giorni, una settimana, quello che adesso si supera in venti minuti o meno… O i 17 chilometri con l’automobile in Svizzera nel traforo del San Gottardo (e lì c’è pure il traforo ferroviario che tra due anni sarà ultimato ed è di ben 57 chilometri..), o tante altre gallerie che servono ad attraversare veloci, ad “evitare”, spazi e luoghi, territori che reclamerebbero il loro valore, la necessità di un attraversamento lento, magari faticoso ma ricco di vita, natura, storia, artificio umano, conoscenze (perché ogni luogo contiene in sé storia, bellezza, originalità).

   Tornando all’auto in autostrada, al buio della sera come nel nostro caso (nel racconto di Calvino che stiamo per proporvi), è ovvio che nel buio ogni luogo che si sorpassa non conta più; ma qui vengono a contare i pensieri del viaggiatore, delle angosce che sta vivendo (nel caso del racconto di Calvino un amore in crisi, in pericolo…).

IL GUIDATORE NOTTURNO, un racconto del 1967, pubblicato dapprima sul quotidiano IL GIORNO, venne poi incluso in TI CON ZERO e nel volume AMORI DIFFICILI col titolo L’AVVENTURA DI UN AUTOMOBILISTA. Nel 1984 entrò infine a far parte delle COSMICOMICHE VECCHIE E NUOVE
IL GUIDATORE NOTTURNO, un racconto del 1967, pubblicato dapprima sul quotidiano IL GIORNO, venne poi incluso in TI CON ZERO e nel volume AMORI DIFFICILI col titolo L’AVVENTURA DI UN AUTOMOBILISTA. Nel 1984 entrò infine a far parte delle COSMICOMICHE VECCHIE E NUOVE

   In Calvino l’inesplicabile paesaggio notturno che si forma è “un cono di luce lanciato a centoquaranta all’ora…” che pare quasi immobile; è solo il tempo che passa che scandisce il ridursi della distanza (un ridursi assai lento, pur andando sopra i cento all’ora…)….

   Nella scena quasi immobile che fittiziamente si crea, nell’abitacolo dell’automobile, una persona può concentrarsi bene sui suoi pensieri (a volte sui suoi drammi, come la fine di un amore…): e solo un elemento incombe a dimostrare la “storicità” del racconto, che cioè nel nostro presente qualcosa potrebbe esserci di diverso nel contesto del racconto. Ci riferiamo alla presenza dei telefonini mobili, dei cellullari, estremo pratico tentativo che si può concretamente attuare per superare la barriera invalicabile della più alta velocità possibile dell’auto, e approcciarsi alla persona (o al luogo) che si vorrebbe raggiungere….

   Nel 1967, anno della scrittura del racconto di Calvino sul guidatore notturno, impensabile era che in pochi decenni un telefono mobile avrebbe rivoluzionato il modo di comunicare…. (a parte che tenere appresso a sè un cellulare in macchina a cento all’ora è un’autentica follia alla propria salute: ogni 2 secondi il telefono deve ricercare, entrare, in una nuova cella banda di comunicazione, e le radiazioni elettromagnetiche che emette sono un bombardamento sul corpo del viaggiatore che il cellulare lo ha appresso…)….

   Ma pensare che i rapporti umani funzionino meglio da quando si può contattare in tempo reale il nostro prossimo che ci interessa, è un’autentica irrealtà: e le cose son tali e quali di come quando si doveva tenere in tasca pesanti gettoni telefonici (come il protagonista del racconto di Calvino che si ferma al bar dell’autostrada –“stazione di servizio”, non ancora autogrill- e compra una manciata di gettoni); e forse niente è cambiato, nei rapporti umani, quando ancor prima c’era il telegrafo ad alfabeto Morse….

   Ma ci fermiamo qui, e Vi auguriamo buona lettura (e buon Natale) (s.m.)

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L’AVVENTURA DI UN AUTOMOBILISTA

(1967) ITALO CALVINO

   Appena uscito dalla città m’accorgo che è buio. Accendo i fari. Sto andando in macchina da A a B, per un’autostrada a tre corsie, di quelle con la corsia di mezzo che serve per i sorpassi nelle due direzioni.

   A guidare di notte anche gli occhi devono come staccare un dispositivo che hanno dentro e accenderne un altro, perché non hanno più da sforzarsi a distinguere tra le ombre e i colori attenuati del paesaggio serale la macchiolina delle auto lontane che vengono incontro o che precedono, ma hanno da controllare una specie di lavagna nera che richiede una lettura diversa, più precisa ma semplificata, dato che il buio cancella tutti i particolari del quadro che potrebbero distrarre e mette in evidenza solo gli elementi indispensabili, strisce bianche sull’asfalto, luci gialle dei fari e puntini rossi.

   È un processo che avviene automaticamente, e se io stasera sono portato a rifletterci sopra è perché ora che le possibilità esterne di distrazione diminuiscono quelle interne prendono in me il sopravvento, i miei pensieri corrono per conto loro in un circuito d’alternative e di dubbi che non riesco a disinnestare, insomma devo fare uno sforzo particolare per concentrarmi sulla guida.

   Sono salito in macchina all’improvviso dopo un litigio telefonico con Y. Io abito ad A, Y abita a B. Non prevedevo d’andarla a trovare, stasera. Ma nella nostra telefonata quotidiana ci siamo detti cose molto gravi; alla fine, portato dal risentimento, ho detto a Y che volevo rompere la nostra relazione; Y ha risposto che non le importava, e che avrebbe subito telefonato a Z, mio rivale. A questo punto uno di noi due – non ricordo se lei o io stesso – ha interrotto la comunicazione.

   Non era passato un minuto e mi ero già reso conto che l’occasione del nostro litigio era poca cosa in confronto alle conseguenze che stava provocando. Richiamare Y al telefono sarebbe stato un errore; l’unico modo di risolvere la questione era di fare una corsa a B e avere una spiegazione con Y a faccia a faccia. Eccomi dunque su quest’autostrada che ho percorso centinaia di volte a tutte le ore e in tutte le stagioni ma che non mi era sembrata mai così lunga. Continua a leggere