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Intervista di LUCA MERCALLI di FANPAGE
“SAREMO PROFUGHI CLIMATICI COME GLI ETIOPI SE NON RIDURREMO LE EMISSIONI DI CO2”
A cura di Davide Falcioni, 17/6/2022, da https://www.fanpage.it/
L’allarme di Luca Mercalli: “Siamo già in emergenza climatica e ogni giorno che perdiamo aumenta la quantità di anidride carbonica nell’atmosfera. Dobbiamo paragonare il nostro pianeta a un malato grave, bisogna intervenire subito per curarlo. Stasera stessa, non tra un anno”.
“Ci stiamo avvicinando sempre più alla catastrofe climatica. Dovremmo parlarne tutti i giorni, dovrebbe essere la notizia di apertura di tutti i giornali. Invece…“.
A parlare, intervistato da Fanpage.it, il climatologo Luca Mercalli all’indomani delle ennesime disastrose notizie sul fronte ambientale: sulle Alpi non c’è più un filo di neve, i livelli dei fiumi e laghi del nord Italia sono ai minimi storici, le temperature sono significativamente più alte rispetto alla media stagionale e la siccità sta già imponendo – e siamo solo a giugno – il razionamento dell’acqua. Ci sembra grave, e lo è: eppure è niente rispetto a quello che ci attende nei prossimi anni se non invertiremo subito rotta. “Dobbiamo abbattere le emissioni di CO2, dobbiamo cominciare a farlo stasera stessa, non tra 10 anni”.
Professore, il Po è in secca, i livelli dei laghi sono ai minimi storici, sulle Alpi non c’è più neve. Perché?
Le cause dell’attuale siccità risiedono nella circolazione atmosferica generale che, a partire dallo scorso dicembre, si è bloccata in una situazione poco evolutiva. Così tutta l’Europa è sotto una struttura di alta pressione che tiene alla larga le perturbazioni ricche di umidità provenienti dagli oceani, quelle che dovrebbero portare le piogge. Lo stallo dura da sei mesi: le ondate di caldo africano non fanno altro che peggiorare la situazione idrica. Un conto è avere siccità con temperature fresche, un altro con temperature anomale, superiori di almeno tre gradi rispetto alle medie del periodo: ciò infatti genera un’ulteriore necessità di acqua per l’agricoltura, le attività industriali e quelle domestiche. Il problema è che non si vede una soluzione a breve termine.
Cosa ci attende nei prossimi mesi?
Non c’è più neve sulle Alpi quindi la disponibilità di acqua si ridurrà ulteriormente. Riguardo i prossimi mesi è difficile essere accurati: le previsioni stagionali hanno un’affidabilità modesta, ma tutto lascia pensare che questa sarà un’estate calda e senza piogge almeno fino alla fine di settembre.
E cosa dobbiamo aspettarci invece nei prossimi anni?
La crescita delle temperature sta già causando la fusione dei ghiacci della Groenlandia, dell’Antartide e delle montagne di tutto il mondo: ciò provoca l’aumento dei livelli di mari e oceani, fenomeno a cui contribuisce anche il caldo stesso incrementando il volume delle acque. Di fatto, i livelli dei mari salgono di 4 millimetri ogni anno. In un Paese con 8mila chilometri di coste come l’Italia si possono ben immaginare le conseguenze. Senza politiche di riduzione delle emissioni di Co2 tra una trentina d’anni chi vive nel Delta del Po o nella laguna veneta dovrà scappare perché avrà il mare nel salotto di casa.
Quanto tempo abbiamo per invertire la rotta?
Non ne abbiamo più, lo ripetiamo da anni. Siamo già in emergenza climatica e ogni giorno che perdiamo aumenta la quantità di anidride carbonica nell’atmosfera. Dobbiamo paragonare il nostro pianeta a un malato grave, bisogna intervenire subito per curarlo. Stasera stessa, non tra un anno. Il tempo che ci resta perché la “terapia” sia efficace è una decina d’anni: dopodiché non servirà più e i parametri fisici sceglieranno la loro strada definitiva. La temperatura media del pianeta aumenterà di oltre due gradi, limite stabilito dagli accordi di Parigi: se rimarremo sotto quella soglia le generazioni future potranno avere una vita accettabile; se la supereremo invece le conseguenze saranno catastrofiche.
Di “catastrofe” parlava mesi fa anche il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres.
Sì. Disse testualmente che l’insostenibilità del sistema energetico globale “ci avvicina sempre più alla catastrofe climatica”. Spiegò che ormai ogni minuto conta, che ogni chilo di CO2 è importante, che dobbiamo fare in fretta. Peccato che le sue parole non siano state l’apertura dei giornali di tutto il mondo. Eppure dovremmo averlo capito: quella del cambiamento climatico non è una notizia “ancillare”. È LA NOTIZIA, lo scriva in maiuscolo per favore. Dovremmo chiederci ogni giorno cosa abbiamo fatto per il clima, dovremmo dire che abbiamo un ministro della transizione ecologica impresentabile. Dovremmo chiedere al governo cosa sta facendo per il clima. La risposta è “niente”.
Saremo anche noi italiani profughi climatici, come etiopi o somali?
Sì. Lo saremo. C’è un bel libro di un autore italiano, Bruno Arpaia. Si intitola “Qualcosa là fuori”, è un romanzo, racconta l’emigrazione dei napoletani in Svezia alla fine di questo secolo per scappare dall’Italia desertificata, con tanto di scafisti sul Mar Baltico e razzisti svedesi che sparano loro addosso. È un romanzo, ma è molto realistico.
Professore, lei è anche un No Tav. Si dice che quell’opera permetterà di trasportare merci su gomma anziché su rotaia riducendo di conseguenza l’inquinamento. È così?
No. Quell’opera non serve a niente, non ha nessuna finalità ambientale come invece viene propagandato dai suoi promotori. Per realizzare i 57 chilometri di tunnel dell’alta velocità verranno emessi, da oggi al 2035, 10 milioni di tonnellate di CO2. Questo dato è stato fornito dai promotori stessi della Tav e molto probabilmente è sottostimato. Ma prendiamolo per buono e facciamo finta sia vero: quelle emissioni peggioreranno il clima. I promotori lo sanno ma dicono che si recupererà, tuttavia serviranno almeno 30 anni di servizio, quando comunque i camion saranno elettrici o a idrogeno. Dobbiamo abbattere drasticamente le emissioni subito, non tra 50 anni, né tra 30. Subito. Le emissioni dovranno essere zero nel 2050. (da https://www.fanpage.it/)
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QUEI RIMEDI SBAGLIATI CONTRO LA SICCITÀ
di Mario Tozzi, da “la Stampa” del 22/6/2022
Visto che il Gran Secco in Italia imperversa, ecco che iniziano a venire fuori le soluzioni più fantasiose per porre rimedio a una siccità come mai se ne erano registrate nell’ultimo secolo. Invece di studiare una gestione complessiva delle acque dolci durante il resto dell’anno, noi lo facciamo regolarmente e rigorosamente solo in emergenza: lo stesso atteggiamento che riserviamo al clima, alla fine delle risorse, al depauperamento della biodiversità.
Come se non ci fossero stati dati scientifici e ricercatori a ribadire gli elementi di crisi anche con un buon anticipo. A testimonianza ulteriore che: a) le emergenze ambientali nel nostro paese non esistono fino al momento in cui diventano troppo gravi, e allora si possono continuare a ignorare, tanto il problema è troppo complesso; b) non siamo assolutamente in grado di gestire le risorse, avendo sposato l’incomprensibile idea che esse siano infinite; c) perduriamo nell’ignoranza dei sistemi naturali e li riduciamo a contingenze ingegneristiche o economiche, non potendomi pronunciare su quali delle due sia quella peggiore.
Il cambiamento climatico cambia i tempi del ciclo dell’acqua sulla Terra e diminuisce la permanenza nei fiumi, nei laghi e nelle falde sotterranee, contribuendo alla siccità più estrema, al propagarsi degli incendi e alla morte dei fiumi. Questo cambiamento, è bene ribadirlo, non è come quelli del passato e dipende dalle nostre attività produttive.
Però l’abuso e lo spreco di acqua da parte dei sapiens procurano danni ancora più gravi, danni che non riconosciamo subito perché non avvengono tanto al rubinetto di casa (l’acqua potabile ammonta al 20% scarso dell’uso complessivo), quanto nelle campagne, negli allevamenti e nel settore industriale.
E’ l’acqua occulta, quella contenuta in beni, servizi e merci che nessuno misura ma che cambia gli ordini di grandezza dei consumi: se a ciascuno di noi possiamo attribuire 50-60 litri al giorno per bere e lavarci, quando mettiamo insieme tutti gli usi dell’acqua, arriviamo tranquillamente a 5000 litri/persona. Al giorno.
Ecco dov’è il problema. Tutte cifre e ragionamenti noti da tempo che, però, non hanno impedito a chi ci amministra di fare finta di nulla, sperando nel classico stellone italico e proponendo oggi, in emergenza, soluzioni come il travaso di acque dai laghi alpini al Po, la canalizzazione di acque svizzere, la desalinizzazione dell’Adriatico e magari pure del Tirreno, lo svuotamento dei bacini idroelettrici, il recupero delle acque dei distretti minerari.
Nessuna di queste è una soluzione praticabile a breve, ma, fatto più grave, si tratta di palliativi che peggiorerebbero il complesso della situazione idrogeologica di un paese tradizionalmente ricco di acque che si è giocato un patrimonio collettivo anche sposando scelte produttive poco comprensibili se non in logiche di mero profitto, come il passaggio a colture particolarmente idrovore.
Desalinizzare, per esempio, va bene nelle piccole isole, ma non sulla riviera adriatica: quanta energia ci vuole e quanto costa? A prezzo di quali emissioni? E dove mettiamo i residui inquinanti e le salamoie? Scambiare i fiumi per canali abbracciando improbabili travasi transalpini o padani avrebbe conseguenze ecosistemiche di cui non conosciamo la portata, quando proprio ora è prioritario conservare l’integrità di un mondo naturale che ci garantisce la qualità di quelle stesse acque. Abbiamo prosciugato le falde e i fiumi oltre ogni limite e ora vorremmo riempirli come fossimo bambini capricciosi col secchiello cui stanno per levare il mare. (Mario Tozzi, da “la Stampa” del 22/6/2022)
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– 216 milioni di persone potrebbero essere costrette a migrare entro il 2050, a causa della siccità e degli eventi a essa connessi, secondo le stime della Banca mondiale.
L’INDICE SPEI (STANDARDIZED EVAPOTRANSPIRATION INDEX), o INDICE DI SICCITÀ MEDIA, è uno dei principali indicatori utilizzati per misurare desertificazione e siccità. Permette di quantificarne gli effetti su ecosistemi, coltivazioni e risorse idriche. Qui, è calcolato a livello annuale. Tiene conto sia delle precipitazioni che della potenziale evapotraspirazione dell’acqua e del loro contributo nella generazione di siccità. I dati si riferiscono ai cambiamenti previsti per gli anni 2040-2059 rispetto ai valori degli anni 1986-2005. I valori positivi (colore più scuro) indicano un grado sufficiente di umidità e quelli negativi (colore chiaro) una maggiore aridità. FONTE: elaborazione openpolis su dati Banca mondiale (ultimo aggiornamento: lunedì 13 Giugno 2022) (nell’immagine qui sopra INDICE SPEI, da https://www.openpolis.it/)
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DESERTIFICAZIONE E SICCITÀ RENDONO MOLTE AREE OSTILI ALLA VITA UMANA
da https://www.openpolis.it/ , 17/6/2022
– La desertificazione è uno degli effetti più dannosi del cambiamento climatico, perché la mancanza di acqua crea problemi di approvvigionamento idrico e insicurezza alimentare. Sempre più persone si trovano per questo costrette a migrare –
Uno degli effetti più evidenti del cambiamento climatico è la desertificazione. Sono sempre più frequenti i periodi di siccità e molte zone della Terra stanno gradualmente diventando più aride e inospitali per molte specie tra cui la nostra.
Alcuni dei paesi maggiormente colpiti da questi fenomeni sono tra i più poveri della Terra. Se poi consideriamo che gli eventi climatici estremi hanno anche numerosi effetti secondari, portando a conflitti e disordini sociali e politici, capiamo in che modo la desertificazione costringa moltissime persone ad abbandonare la propria abitazione, per cercare altrove una vita migliore.
La siccità, uno degli effetti più nocivi del cambiamento climatico
La mancanza di acqua è uno degli eventi climatici più frequenti e in assoluto più dannosi che il cambiamento climatico contribuisce a causare. Secondo il centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc), come capacità di devastazione del territorio, delle infrastrutture e della vita animale e umana sulla Terra è seconda solo a tempeste e alluvioni.
Come afferma l’Unccd (United nations convention to combat desertification), la siccità ha un forte impatto ambientale, danneggiando gli ecosistemi, ma anche numerosi effetti secondari che ricadono sulle popolazioni che ci vivono. Spesso è infatti all’origine di carestie, sfollamenti e conflitti.
La siccità di per sé è un evento climatico che ciclicamente è normale si verifichi. Tuttavia, negli ultimi anni gli episodi di estrema siccità hanno vessato sempre di più la Terra, lasciando costi elevatissimi da pagare e tracce profonde, come evidenziato dall’organizzazione mondiale per la sanità (Oms). E le previsioni per il futuro prossimo, purtroppo, confermano questa tendenza.
Come si misurano siccità e desertificazione
L’aridità del suolo è un fenomeno complesso, cui contribuiscono molte cause e da cui scaturiscono molteplici effetti. Conseguentemente, sono numerosi gli indicatori ad oggi utilizzati per misurarla. I fattori che vengono presi in analisi sono principalmente: le precipitazioni, le temperature medie, l’umidità del suolo e l’impatto sulle coltivazioni. Elementi che gli indicatori rapportano tra loro con variabili gradi di complessità.
Uno degli indicatori più diffusi è lo standardized precipitation index (Spi) che quantifica la siccità da un punto di vista meteorologico, misurando le anomalie nell’accumulo di precipitazioni, solitamente con cadenza mensile. Un avanzamento di questo indicatore è lo standardized precipitation and evapotranspiration index (Spei), che aggiunge il fattore dell’evapotraspirazione potenziale.
Secondo la definizione fornita dall’Ispra, l’evapotraspirazione corrisponde alla quantità di acqua che si trasferisce in atmosfera per i fenomeni di traspirazione della vegetazione e di evaporazione diretta dagli specchi. Si parla di evapotraspirazione potenziale quando il contenuto d’acqua nel terreno non costituisce un fattore limitante e può variare a seconda delle caratteristiche climatiche (temperatura, vento, umidità relativa, ecc.). In sintesi, rappresenta la massima quantità di acqua che può essere trasformata in vapore dal complesso dei fattori atmosferici e dalla vegetazione di un determinato territorio.
In oltre il 70% dei paesi del mondo la siccità è in aumento
Le previsioni sulla variazione di umidità per gli anni 2040-2059 rispetto agli anni 1986-2005
Stando ai dati della Banca mondiale, l’anomalia prevista per gli anni 2040-2059 rispetto alla media del periodo 1986-2005 sarebbe nella maggior parte dei paesi del mondo caratterizzata da una notevole aridità. Sono appena 52 su 193 gli stati in cui il dato è invece positivo, e si tratta perlopiù di piccole isole, che ospitano una porzione molto ridotta della popolazione mondiale.
In 140 nazioni invece le previsioni anticipano una crescente aridità. Alcune zone risultano particolarmente colpite, soprattutto quelle che già oggi sono desertiche, come l’Africa settentrionale e il Medio oriente. Ma anche Asia centrale, Africa meridionale, Australia e alcune aree dell’America centrale presentano valori negativi elevati.
A registrare una tendenza opposta, verso una maggiore umidità, sono Canada, Russia e la Scandinavia, oltre ad alcuni stati dell’Asia sud-orientale (Filippine, Cambogia, Indonesia e Tailandia) e orientale (Giappone e Corea in particolare).
Le migrazioni causate dalla siccità
La siccità è un fenomeno fortemente sottostimato, nonostante comporti numerosi effetti secondari a catena, che come accennato non si limitano al danneggiamento degli ecosistemi ma hanno un impatto profondo anche sulla vita delle comunità.
La siccità causa insicurezza alimentare.
Può causare infatti difficoltà di approvvigionamento idrico, danni al settore agricolo e, di conseguenza, una situazione di insicurezza alimentare. Tutto ciò contribuisce ad aggravare – soprattutto in territori già instabili – conflitti e disordini. Una caratteristica che anche l’organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) considera tipica degli eventi climatici.
Tutto questo fa sì che molte persone siano costrette, a causa di eventi legati alla desertificazione della Terra, ad abbandonare la propria abitazione per cercare altrove condizioni di vita migliori. Come riporta l’organizzazione meteorologica mondiale, le stime realizzate dalla Banca mondiale nel 2021 anticipano che la siccità e i fattori a essa legati potrebbero portare oltre 200 milioni di persone a migrare.
216 milioni di persone potrebbero essere costrette a migrare entro il 2050, a causa della siccità e degli eventi a essa connessi, secondo le stime della Banca mondiale.
Da sottolineare che nella maggior parte dei casi, queste persone non arrivano a oltrepassare i confini del proprio paese. Si parla quindi di “sfollati interni”.
Lo sfollato interno è una persona costretta o obbligata a lasciare il luogo di residenza abituale a causa di conflitti, violenze o disastri naturali, e che si è mossa all’interno dello stesso paese di provenienza.
Alcuni dei paesi più colpiti da questi disastri naturali rientrano tra quelli più esposti al rischio di insicurezza alimentare e sono anche paesi considerati prioritari dalla cooperazione italiana.
Si tratta di Afghanistan, Somalia, Sud Sudan, Etiopia, Kenya, Pakistan e Iraq, come abbiamo approfondito in un recente articolo su questo tema. (da https://www.openpolis.it/, 17/6/2022)
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GHIACCIAI PERDUTI
di Enrico Martinet, da “la Stampa” del 23/6/2022
– Dal Bianco al Rosa fino alla Marmolada le alte temperature svestono le montagne cambiando il panorama e riducendo le riserve – Soltanto in Valle d’Aosta ne sono scomparsi oltre 30 in vent’anni – L’amarezza degli esperti “Facciamo da anni sempre gli stessi errori” – 23% la riduzione della riserva idrica in Valle d’Aosta rispetto alla media; 75% la percentuale di neve in meno registrata a giugno nell’arco alpino; 9 i metri di spessore persi dal ghiacciaio della Marmolada in dieci anni –
Vesti che cadono. Anzi, fondono. E la montagna resta nuda, con rocce che paiono di un altro pianeta e morene che crescono. Ciò che è fragile, come tutto ai confini tra terra e cielo, diventa Continua a leggere