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CHE COS’È LA NATURE RESTORATION LAW
La proposta di legge sul ripristino degli ambienti naturali fa parte del cosiddetto “Pacchetto natura”, approvato il 22 giugno 2022, che prevede di istituire obiettivi giuridicamente vincolanti per gli Stati membri, con il fine di ripristinare entro il 2030 almeno il 20 per cento delle superfici terrestri e marine dell’Unione, il 15 per cento dei fiumi nella loro lunghezza e la realizzazione, sempre entro la stessa data, di elementi paesaggistici ad alta biodiversità su almeno il 10 per cento della superficie agricola utilizzata.
Un grande progetto di riqualificazione degli ambienti naturali che non riguarderà solo le aree protette, ma tutti gli ecosistemi, compresi i terreni agricoli e le aree urbane. “La legge europea sul ripristino degli habitat naturali rappresenta la punta di lancia di uno dei tre assi dello European Green Deal (ndr: gli altri due già approvati sono: la Legge sul Clima e il divieto dei nuovi veicoli benzina e diesel), lo sforzo senza precedenti di reinventare l’economia europea attorno alla transizione energetica, la salvaguardia della biodiversità e il passaggio a un’economia circolare”, ha detto Ariel Burner, direttore di Birdlife International. “Rappresenta la messa in pratica dello storico accordo internazionale raggiunto alla fine del 2022 a Montreal, nel quadro della Convenzione sulla biodiversità”.
Secondo l’ultima valutazione dell’Agenzia europea dell’ambiente (Eea) sullo “Stato della natura nell’UE 2020”, l’81 per cento degli habitat protetti, il 39 per cento delle specie di uccelli protetti e il 63 per cento delle altre specie si trovano in un cattivo stato di conservazione. Le cause vanno ricercate nelle continue pressioni antropiche sui sistemi naturali, quali l’agricoltura intensiva, il consumo di suolo, l’inquinamento, la silvicoltura non sostenibile e il cambiamento climatico.
E il punto della proposta di legge poggia su queste fondamenta, ovvero sul fatto che ecosistemi sani forniscono alimenti e sicurezza alimentare, acqua pulita, pozzi di assorbimento del carbonio e protezione dalle catastrofi naturali provocate dalla crisi climatica.
Nel 2022 lo stesso IPCC (l’Intergovernmental Panel on Climate Change, IPCC, è il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici, e fa parte dell’ONU; ndr) sottolineava come l’Europa stesse già registrando un aumento degli eventi meteorologici e climatici estremi, a causa del costante e insostenibile sfruttamento dei sistemi naturali e umani oltre la loro capacità di adattamento, determinando già conseguenze irreversibili.
Ripristinare gli ecosistemi degradati infatti è una delle soluzioni fondamentali proposte dai membri delle Nazioni Unite per mitigare gli impatti dei cambiamenti climatici, in particolare attraverso la ricostituzione di zone umide, fiumi, foreste ed ecosistemi agricoli degradati.
(da https://www.nationalgeographic.it/, Rudi Bressa, 20/6/2023)
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COS’È LA LEGGE SUL RIPRISTINO DELLA NATURA: LA NATURE RESTORATION LAW APPROVATA DAL PARLAMENTO UE CRITICATA DAGLI AGRICOLTORI
di Antonio Lamorte – 13/7/2023, da L’UNITÀ, https://www.unita.it/
– La proposta non impone la creazione di nuove aree protette in UE né blocca la costruzione di nuove infrastrutture per l’energia rinnovabile. Agricoltori allarmati, destra spaccata –
La Nature Restoration Law è stata approvata mercoledì 12 luglio (2023) dagli europarlamentari nel corso della plenaria del Parlamento dell’Unione Europea. La base del testo votata si avvicinava all’accordo raggiunto lo scorso giugno in Consiglio Affari Ambiente. Il via libera è stato accolto da un lungo applauso e seguito dal voto favorevole che rinvia la proposta di regolamento alla Commissione Ambiente. La legge però è molto contestata e controversa: è appoggiata dalle associazioni ambientaliste ma è criticata dagli agricoltori. Anche il governo italiano è molto critico su alcuni aspetti del cosiddetto “Green Deal” europeo. La prossima tappa prevede negoziati con il Consiglio Ue sul testo definitivo della legge, che sarà concordata anche con la Commissione Europea. Il cosiddetto trilogo.
È stata approvata con 336 voti favorevoli, 300 voti contrari e 13 astenuti. La proposta ha spaccato il Partito Popolare. Il testo è stato approvato con diversi emendamenti presentati da Renew. La Restoration Law è uno dei capisaldi del pacchetto clima della Commissione von der Leyen e si inserisce nella strategia sulla biodiversità per il 2030, anche in osservanza agli impegni internazionali presi dall’Ue come quelli indicati nel quadro globale sulla biodiversità della Nazioni Unite di Kunming Montreal. Prevede di istituire obiettivi giuridicamente vincolanti per gli Stati membri per il ripristino degli ecosistemi. Si serve dello strumento legislativo per ripristinare ecosistemi – fluviali, forestali, urbani e agricoli – degradati e per fermare la perdita di biodiversità.
Alcuni degli obiettivi, da raggiungere entro il 2030: ripristino di almeno il 20% delle superfici terrestri e marine dell’Unione e il 15% dei fiumi nella loro lunghezza; realizzazione di elementi paesaggistici ad alta biodiversità su almeno il 10% della superficie agricola utilizzata. La legge punta a recuperare tutti gli ecosistemi che necessitano di azioni di ripristino entro il 2050. Altri obiettivi: ridurre le barriere che limitano la connettività dei fiumi, aumentare gli stock di carbonio migliorando la gestione forestale, diminuire l’uso di pesticidi, rendere più sostenibile la pesca, aumentare il verde urbano, diversificare le aree coltivate per favorire farfalle, insetti impollinatori e uccelli, combattere l’uso indiscriminato di fertilizzanti e monocolture intensive.
È altissima però la preoccupazione negli ambienti degli agricoltori, allertati dalla possibilità che la legge possa ridurre nettamente gli spazi destinati alle attività agricole. Un disappunto esplicitato da Pekka Pekkonen, segretario generale del Copa-Cogeca, il sindacato degli agricoltori e delle cooperative agricole europee: “Ridurremmo di fatto la nostra capacità di produrre cibo e saremmo più esposti alle importazioni che noi e tante Ong e organizzazioni considerano rischiose. Vogliamo produrre cibo per i cittadini europei e questa legislazione minaccia seriamente questo obiettivo del nostro settore“.
Il commissario europeo all’ambiente Virginijus Sinkevičius ha assicurato in un’intervista a Politico.eu che “la legislazione è una minaccia” e che “la realtà sta raccontando una storia diversa”, ovvero che i raccolti degli agricoltori sono danneggiati dai cambiamenti climatici. I Popolari, come si accennava, si sono spaccati. Manfred Weber, presidente e capogruppo del Ppe, ha esortato il vicepresidente della Commissione Frans Timmermans a ritirare la bozza di legge perché “pericolosa per i cittadini e le imprese”. Parte dei parlamentari del Ppe ha però votato contro la linea del presidente: sono stati 21 quelli che hanno appoggiato la proposta. Contraria tutta l’estrema destra.
César Luna, relatore del gruppo Socialisti e Democratici, ha dichiarato: “La legge sul ripristino della natura è un elemento essenziale del Green Deal europeo e segue le raccomandazioni e i pareri scientifici che sottolineano la necessita di ripristinare gli ecosistemi europei. Gli agricoltori e i pescatori ne beneficeranno e verrà garantita una terra abitabile alle generazioni future. La posizione adottata oggi invia un messaggio chiaro. Ora dobbiamo continuare a lavorare bene, difendere la nostra posizione durante i negoziati con i Paesi UE e raggiungere un accordo prima della fine del mandato di questo Parlamento per approvare il primo regolamento sul ripristino della natura nella storia dell’UE”. Secondo la Commissione la nuova legge tradurrebbe ogni euro investito in otto euro di benefici.
“La nostra battaglia continua, senza natura non c’è futuro”, ha detto ai cronisti Greta Thunberg, l’attivista svedese che ha fatto partire i Friday For Future che si è unita al presidio in sostegno alla legge organizzato da Socialisti, Verdi e Sinistre davanti al Parlamento. “È scandaloso che si debba lottare per le briciole, questi problemi non dovrebbero neanche esistere”.
I deputati a favore ritengono che il ripristino combatta il cambiamento climatico. La proposta inoltre non impone la creazione di nuove aree protette in UE né tantomeno blocca la costruzione di nuove infrastrutture per l’energia rinnovabile, al contrario sottolinea come questi impianti siano di interesse pubblico.
“È stato un testa a testa ma cosi è la democrazia – ha commentato il vicepresidente della Commissione Ue, Frans Timmermans -, il Parlamento ha un posizione negoziale, ora torniamo a negoziare e andiamo avanti a convincere anche chi non è ancora convinto”. Per quanto riguarda il Green Deal, i suoi due pezzi principali sono già stati approvati: la Legge sul Clima e il divieto dei nuovi veicoli benzina e diesel. La prima vincola l’Ue a ridurre del 55% entro il 2030 le emissioni nette e di azzerarle entro il 2050 (“Fit for 55”), la seconda riguarda il divieto di vendere nuovi veicoli a benzina e diesel a partire dal 2035.
(Antonio Lamorte – 13/7/2023, da L’UNITÀ, https://www.unita.it/)
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IL RIPRISTINO DELLA NATURA
di Carlo Petrini, da “la Repubblica” del 13/7/2023
Seppur con una maggioranza risicata il 12 luglio al Parlamento europeo è passata la legge per il ripristino della natura. Nei giorni in cui il pianeta Terra registra le più alte temperature da quando si è iniziato a misurarle circa duecento anni fa, l’Europa ha mandato un messaggio chiaro che ci schiera dal lato giusto della lotta alla crisi climatico-ambientale: quello del pianeta.
La legge, che ricade sotto il cappello della strategia sulla biodiversità al 2030 nell’ambito del Green Deal europeo, è lo strumento formale che consente di lavorare per mettere in sicurezza gli ecosistemi, creando i presupposti per un futuro più roseo per noi e per le generazioni che verranno. E mentre è fondamentale celebrare il traguardo (anche se su alcuni emendamenti proposti e accettati ci sarebbe da discutere), è anche giusto riflettere sulle motivazioni dietro alla netta spaccatura che si è andata a creare attorno al regolamento sul ripristino della natura.
Ne citerò una fra tutte che mi tange direttamente e che riguarda una narrazione erronea (a cui è collegato un pensiero produttivo), che vede natura e agricoltura in contrapposizione. Chi si oppone infatti sostiene che la legge non può essere applicata nel concreto e che andrà a ledere i diritti delle categorie interessate di agricoltura e pesca, o peggio ancora che il provvedimento minerà la sicurezza e la sovranità alimentare dell’Unione.
Questa visione trascura il fatto che senza un ambiente sano e biodiverso i raccolti saranno sempre più vulnerabili alle malattie e agli effetti del cambiamento climatico. Così come ignora che per tutelare la sicurezza e la sovranità alimentare non serve aumentare la produzione, ma bisogna agire sull’accessibilità del cibo, sulla riduzione dello spreco e sull’adozione di abitudini alimentari più sostenibili quali mangiare locale e stagionale o scegliere di mangiare proteine animali di qualità e in minor quantità.
La natura non è senz’altro funzionale all’agricoltura convenzionale che gestisce la terra come un mero input di un processo di produzione che è tanto più efficiente quanto si utilizzano impattanti pesticidi e fertilizzanti. Ma d’altronde quell’agricoltura che è ora uno dei settori più climalteranti non è più compatibile con l’attualità. C’è bisogno di dare spazio, di fare ricerca, e di accompagnare gli agricoltori nella transizione verso pratiche agricole rigenerative (come l’agroecologia), dove la natura è il primo alleato e non un acerrimo nemico.
A chi pensa – e qui mi rivolgo anche, e soprattutto, agli attuali rappresentanti della maggioranza di governo italiano che si sono opposti all’unanimità alla legge sul ripristino della natura – che questi ragionamenti siano pura ideologia che esula dal discorso economico e di crescita del Pil dico che si sbaglia. Stando a dati forniti dalla Commissione Europea, sanare gli habitat ricchi di biodiversità dovrebbe costare a livello europeo circa 154 miliardi di euro. Mentre i benefici che ne deriverebbero in termini di servizi ecosistemici (salute del suolo, regolazione del clima, depurazione dell’acqua, produzione di cibo) si aggirerebbero intorno ai 1.860 miliardi di euro. Insomma: un investimento eccezionalmente efficiente.
L’approvazione della legge sul ripristino della natura da sola di certo non basta, ma segna e legittima un percorso di vera transizione ecologica che rallenta un po’ lo slancio delle destre negazioniste e anti Europa. A tal proposito mi permetto di dire che la politica, destra o sinistra che sia, deve rendersi conto che in materia ambientale è finito il tempo di ragionare per mandati politici e in previsione delle elezioni di turno.
Dalla salubrità degli ecosistemi dipende la sopravvivenza dell’umanità. Il tempo dei trastulli che vedono nella preoccupazione ambientale un vezzo, si è protratto fin troppo a lungo, ora dobbiamo passare all’azione. Le esigenze del Pianeta devono essere trattate come prerogative inderogabili che si collocano su un piano altro, e più alto delle posizioni pericolose delle alleanze e dei partiti.
Siccome su questo campo probabilmente si giocherà molta della campagna elettorale per le elezioni europee del prossimo anno è bene che i cittadini siano coscienti di questo. Il rischio altrimenti è di cadere in una trappola propagandista che altro non è che un pericoloso specchietto per le allodole che porterà l’homo sapiens dritto verso il baratro. (Carlo Petrini, da “la Repubblica” del 13/7/2023)
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IL REPORT WWF
BIODIVERSITÀ FRAGILE, MANEGGIARE CON CURA
da https://www.wwf.it/, 12/5/2023
– Il 68% degli ecosistemi della penisola italiana è in pericolo mentre il 30% delle specie di vertebrati e il 25% delle specie animali marine rischiano l’estinzione –
IL 68% DEGLI ECOSISTEMI ITALIANI È IN PERICOLO
Il declino degli ecosistemi nel mondo ha raggiunto le dimensioni di una vera catastrofe: gli scienziati calcolano che l’impatto del genere umano su tutte le altre forme di vita sia arrivato ad accelerare tra le 100 e le 1.000 volte il tasso di estinzione naturale delle specie, avviando la sesta estinzione di massa. Ci resta un misero 12,5% della foresta atlantica, abbiamo perso più del 50% delle barriere coralline e una vastissima porzione della foresta amazzonica (probabilmente il 20% se non di più) è stata distrutta.
Questa crisi di natura è evidente anche in Italia, dove la biodiversità raggiunge valori elevatissimi (contiamo metà delle specie vegetali e circa 1/3 di tutte le specie animali presenti in Europa), ma che con cieca determinazione stiamo erodendo e distruggendo, mettendo a rischio la nostra stessa sicurezza e il nostro benessere.
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I SEGNALI DELLA FRAGILITÀ
Dalle Liste Rosse nazionali della flora dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) emerge che, in Italia circa l’89% degli habitat di interesse comunitario si trova in uno stato di conservazione sfavorevole. Dei 43 habitat forestali italiani, ad esempio, 5 hanno uno stato di conservazione “criticamente minacciato” e 12 “in pericolo”. Il 68% degli ecosistemi italiani si trova in pericolo, il 35% in pericolo critico. Il 100% degli ecosistemi è a rischio nell’ecoregione padana, il 92% in quella adriatica e l’82% in quella tirrenica.
Il 57% dei fiumi e l’80% dei laghi si trova in uno stato ecologico non buono. E i dati sullo stato di conservazione delle specie non sono meno allarmanti: il 30% delle specie di animali vertebrati e il 25% delle specie animali marine del Mediterraneo sono a rischio estinzione.
LE MINACCE PER LA BIODIVERSITÀ E GLI EFFETTI DELLA CRISI IDRICA
Oltre alle pressioni dirette su specie, habitat ed ecosistemi, esercitate attraverso l’inesauribile richiesta di risorse naturali operata dalle società, esistono anche altre forze che agiscono indirettamente senza degradare o distruggere l’ambiente, ma ostacolando e rallentando la risoluzione dei problemi.
Si tratta, ad esempio, della cosiddetta governance ambientale (si pensi solo alla regolamentazione dello sfruttamento della risorsa idrica), inadeguata rispetto alla complessità dei problemi ed ostacolata da investimenti limitati, nonché dalla resistenza di soggetti con interessi politici o economici a breve termine, con scarsa attenzione alla tutela della biodiversità, alle comunità più deboli ed esposte e alle generazioni future.
Tra i fattori alla base della perdita di biodiversità c’è anche il cambiamento climatico, processo profondamente interconnesso all’estinzione delle specie. La perdita di biodiversità influenza il clima, soprattutto attraverso l’impatto sull’azoto, il carbonio e sul ciclo dell’acqua. A sua volta il cambiamento climatico influenza la biodiversità attraverso fenomeni come l’aumento della temperatura e la riduzione delle precipitazioni. Queste si manifestano ormai sempre più spesso come piogge torrenziali, causa di frane e alluvioni disastrose.
Altro effetto della crisi climatica è l’innalzamento del livello del mare. Sono 21.500 i km quadrati di suolo italiano cementificato, mentre si calcolano oltre 1.150 km2 di suolo consumati in 15 anni, una superficie quasi corrispondente a quella di una città come Roma, mentre nel Mediterraneo le temperature stanno aumentando il 20% più velocemente rispetto alla media globale.
Poi ci sono le specie aliene invasive, identificate da alcuni studi come la seconda principale minaccia alla biodiversità globale, che ha contribuito in modo determinate al 54% delle estinzioni delle specie animali conosciute, tramite predazione su specie autoctone o competizione per le risorse (es. cibo, luoghi di riproduzione). Attualmente, si stima che in Italia ci siano intorno a 3.000 specie aliene, con un incremento del 96% negli ultimi 30 anni.
La perdita di natura non rappresenta solo una minaccia di per sé, ma mette a rischio sistemi che ci garantiscono la vita, primo fra tutti quello che regge l’equilibrio della crisi idrica. A causa del riscaldamento globale in atto, la disponibilità media annua di acqua si potrebbe ridurre da un minimo del 10% entro il 2030 ad un massimo del 40% entro il 2100, con picchi fino al 90% per l’Italia meridionale. Il ciclo perverso della crisi idrica provoca effetti sulla biodiversità con l’estinzione (già in atto) di molte specie, perdita delle zone umide, l’incremento di parassiti e patologie, della frequenza e intensità degli incendi forestali. Gli effetti sulle persone, oltre alla riduzione delle disponibilità di acqua, saranno l’incremento dell’erosione del suolo e la riduzione della fertilità dei terreni agricoli.
LE SOLUZIONI
Il report WWF lancia anche un appello: è necessario di intervenire in maniera concreta mettendo immediatamente in pratica la Strategia Nazionale per la Biodiversità al 2030, che prevede che almeno il 30% delle specie e degli habitat di interesse comunitario il cui stato di conservazione non è soddisfacente, lo raggiungano entro il 2030.
La strategia prevede anche che gli ecosistemi vengano tutelati attraverso l’incremento della superficie protetta al 30% del territorio terrestre e marino e che il 30% degli ecosistemi attualmente degradati vengano ripristinati. Per ogni ambiente da tutelare il report WWF approfondisce le soluzioni da mettere in atto: dal recupero e ripristino delle zone umide, al potenziamento della rete di monitoraggio delle acque interne superficiali e sotterranee; dalla necessità di un Piano di Adattamento alla crisi climatica, promuovendo le Nature Based Solutions, alla gestione forestale; dalla drastica riduzione dell’uso dei pesticidi in agricoltura, fino all’ampliamento della superficie marina protetta.
Oggi più che mai è importantissima l’attivazione di tutti, a partire dalla società civile, per strappare la crisi dei sistemi naturali da quel cono d’ombra che impedisce ai cittadini di capire la portata di quello che sta succedendo e alle istituzioni di agire riconoscendo alla natura la priorità che ha, di fatto, nel presente e nel futuro. (da https://www.wwf.it/, 12/5/2023)
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LA (GIUSTA) VISIONE SU EUROPA E AMBIENTE
di Francesco Giavazzi, da “il Corriere della Sera” del 16/7/2023
I RISCHI, LE SCELTE – Sarà la capacità dei Paesi di comprendere e sostenere la transizione che li renderà più o meno competitivi –
L’ambiente, e in particolare le politiche per rallentare il riscaldamento della terra, saranno il tema centrale della campagna elettorale per il voto del Parlamento europeo che si terrà dal 6 al 9 giugno del prossimo anno. Vediamo perché. Continua a leggere