Georiforme – Cambiare (o abolire?) le Province

la suddivisione in provincie
la suddivisione in province

Uno dei temi che ogni tanto appare, nella necessità italica di ridefinire la presenza e i ruoli dei vari (troppi) Enti di primo livello (quelli i cui rappresentanti sono eletti direttamente dai cittadini – le Regioni, le Province, i Comuni – ) e quelli di secondo livello (non eletti dai cittadini ma dai sindaci dei Comuni o nominati da Regioni e Province – come i Consorzi o gli ATO, ambiti territoriali omogenei, dei vari servizi come sull’erogazione dell’acqua o la raccolta e smaltimento dei rifiuti – ), uno dei temi dominanti è quello di abolire le Province, considerate enti inutili nel rapporto tra i servizi che erogano e il costo (anche politico, dei vari rappresentanti non tecnici) che hanno.

Se fossero abolite le Province uscirebbero di scena ben 4.200 politici che “vivono” con i proventi assegnati loro dall’ente: in modo molto cospicuo i presidenti (106), i vice presidenti (106) e gli assessori (894); meno bene, come reddito mensile (comunque di media sopra i mille euro per gettoni presenza di consigli e commissioni) i 3.001 consiglieri. In tutto il costo per lo Stato (per i cittadini) per questo presenza politica è di 115milioni di euro l’anno. Inoltre, allargando il discorso alle spese di gestione, amministrazione e controllo, cioè il costo delle Province solo da un punto di vista amministrativo e burocratico, i risparmi dell’abolizione salirebbero fino a circa 4 miliardi di euro all’anno, sui circa 16 miliardi di costo complessivo.

Ricordiamo che le Province italiane da quest’anno diventeranno 109 (la Valle d’Aosta non ha ufficialmente province: le corrispondenti funzioni amministrative sono svolte dall’ente Regione Valle d’Aosta) (mentre la provincia autonoma di Bolzano e la provincia autonoma di Trento sono province dal punto di vista geografico ma devono considerarsi Regioni dal punto di vista istituzionale).

Abbiamo detto 109 (mentre i dato che abbiamo dato sopra dei presidenti e vice parlano di 106) perché nel 2009 se ne aggiungeranno altre tre: la Provincia di Barletta-Andria-Trani –BAT-, la Provincia di Fermo, e la Provincia di Monza e Brianza. Le principali funzioni delle province sono date principalmente dall’edilizia scolastica degli istituti superiori, e dal sistema viario (che le province però tendono a delegare assegnandolo ai singoli comuni (in cambio di qualche opera come perequazione, cioè per convincere i comuni ad accettare gli oneri che costano di manutenzione le strade). E’ pur vero che negli ultimi dieci anni le province hanno avuto assegnati altri compiti importanti (sull’urbanistica, sullo smaltimento dei rifiuti, sulla tutela ambientale…).
Nel 1946, c’erano 91 province, oggi ce ne sono 109: un terzo di queste non raggiunge i 300.000 abitanti; ce ne sono 19 che contano meno di 200.000 abitanti, cifra che la legge di riforma degli enti locali 142 del 1990 ha fissato come soglia demografica per la costituzione di nuove province.

Della “questione province” abbiamo già accennato in questo blog il 3 febbraio scorso. Ora però il dibattito è tornato attuale. Buona parte della compagine governativa le vorrebbe abolire (esclusa la Lega). Il Centro-Sinistra è timido e non esprime pareri. C’è un quotidiano, “Libero”, che ne ha fatto una battaglia importante, cioè per l’abolizione (qui di seguito riprendiamo per primo un articolo da “Libero”). Altri giornalisti e imprenditori conosciuti ne parlano molto (degli sprechi di questi enti) e vorrebbero che ci fosse l’astensione dal voto elettorale nel giugno prossimo nelle provincie nelle quali si deve votare per il rinnovo di questi enti (“non serve non voto”) (riprendiamo un articolo di Gian Antonio Stella da “il Corriere della Sera”). Ed è nato un “Comitato per l’Abolizione delle Province” fatto di cittadini che stanno raccogliendo le firme in modo ufficiale per un Disegno di legge di iniziativa popolare (devono al più presto arrivare a 50.000 firme, autenticate dai notai) del quale vi diamo alla fine i dati e i siti per saperne di più (di questa iniziativa civica).

Quello che come GEOGRAFI da tempo sosteniamo, nel riassetto e revisione complessiva degli Enti Territoriali, è che le Province possono diventare “enti di secondo livello”, con presidente e assessori nominati dai sindaci del territorio provinciale, senza inutili costi di consiglieri, e diventare così enti operativi che accorpano tutti gli ATO (Ambiti Territoriali Omogenei) e Consorzi e quant’altro in questi anni si è diffuso in modo abnorme per gestire servizi che da soli i Comuni non sono più in grado di fare (acqua, rifiuti, catasto etc.). E ci fa piacere che la maggioranza governativa stia pensando a questa scelta. E’ da capire se ci sarà la forza “politica” (qualche dubbio lo abbiamo) necessaria ad arrivare a un risultato di razionalizzazione dei troppi inutili costi (delle Provincie, degli Ato, dei Consorzi…). Fermo restando il nuovo riassetto territoriale omogeneo di cui anche i Comuni devono farsi carico (cioè la sostituzione dei comuni in Città di almeno 60.000 abitanti).

Da “Libero” del 25-2-2009:

SUPERIAMO LE PROVINCIE

il Ministro della Pubblica Amministrazione Brunetta: “col federalismo non serviranno a niente: facciamo diventare un consorzio”

di Gianluigi Paragone

Prendiamola con le pinze perché illudersi, di questi tempi, è fatica sprecata. Al Tgcom, il sito internet di casa Mediaste, intervistato da Paolo Liguori, il ministro Renato Brunetta si è sbilanciato sulle Provincie parlando di “superamento”. Non ha detto proprio “eliminiamole”, ma ci è andato parecchio vicino. La politica ha il suo linguaggio.

“Le farei diventare un consorzio –ha dichiarato Brunetta- nel quale il presidente sia il sindaco del comune più grande e i consiglieri gli altri sindaci della zona”. Poi, visto che c’era ha preso le forbici e ha tagliato le comunità montane. “Le cancellerei, il risparmio sarebbe di 180 milioni l’anno”. Valli a buttare.

Brunetta nell’intervista è stato abbastanza cauto, ben consapevole che “nella maggioranza non c’è una linea comune. Però io ho le idee chiare in proposito. Col federalismo serviranno a ben poco, ma visto che sono costituzionalizzate, potrebbero diventare un ente di secondo livello e costerebbero miliardi euro in meno. E’ una riforma da studiare con calma, non imminente, considerato che ci si avvicina al rinnovo di alcune amministrazioni provinciali”. Aspetteremo.

Poco tempo fa Libero, ricorderete, si era fatto promotore di una raccolta spontanea di firme finalizzata proprio all’abrogazione delle Provincie. A parole, destra, sinistra e centro avevano aderito col sorriso stampato in faccia. “Bravi, siamo con voi. Andate avanti”. Dobbiamo riconoscere che qualcuno è andato addirittura oltre e ha presentato una proposta di legge per superare questi enti costosi e inutili. Gli unici ad aver criticato l’iniziativa erano stati i leghisti, per i quali quell’ente vale oro, poltrone e controllo del territorio. Lo sapevamo.

Ricordo che quando lanciammo la proposta, parlammo anche di un risparmio miliardario sulla spesa pubblica. Quel calcolo (preso da fonti ufficiali, mica giù al bar) fu però criticato: non è vero, ci dissero, che tagliando le provincie si risparmierebbero così tanto. Finì che ognuno restò sulle rispettive posizioni. E con i propri numeri in tasca.

Ora però cosa succede? Succede che il ministro della Funzione pubblica conferma che il risparmio miliardario ci sarebbe eccome. Ne siamo felici. Però rilanciamo: da qui alla fine della legislatura alle parole seguiranno i fatti, oppure saremo costretti a rivedere un film già visto ai tempi della recente campagna elettorale quando, sull’onda del successo del libro “la Casta”, tutti pensionavano celermente questi enti? Come diceva quel proprietario del ristorante: per colpa di qualcuno non si fa credito a nessuno. Così purtroppo facciamo ora: bravo Brunetta, però ci rivediamo alla fine della legislatura quando tireremo una riga e faremo i conti finali. Ci piacerebbe tanto poter attribuire al governo il merito di aver tagliato i costi della politica con riforme serie, condivise e coraggiose.

In tempi di grandi difficoltà economiche, l’idea che soltanto ai politici sia garantito sempre un pertugio al coperto non è un bel segnale. Sforbiciare gli enti inutili è sinonimo di risparmio sulla spesa pubblica. Il ministro della Semplificazione Roberto Calderoni è molto attivo su questo fronte, ma secondo noi pecca nella comunicazione.Ci permettiamo di dargli un consiglio, gratuito: faccia una bella lista di questi enti che ha tagliato o sta per tagliare e ci dica chiaramente il costo di ognuno, la sede, la composizione. Per dirla chiaro e tondo: ci conceda lo scalpo del sottobosco politico per cui proviamo un’allergia profonda. Vogliamo un po’ di sangue. Dopo aver versato noi il sangue (con le tasse) per tenere in vita questo popò di roba, rivendichiamo il diritto ad una equa soddisfazione del danno.

In fin dei conti la Seconda repubblica era nata per questo. Cioè per vivere in uno Stato più snello, meno costoso, più funzionale e quindi con meno burocrazia. Sono quindici anni che chiediamo questo alla politica. Mendicare ora l’abolizione delle Comunità montane –converrete- è da straccioni. Però se questo passa il convento, ce lo prendiamo di corsa. In attesa di tempi migliori.

da “Libero”, 25-2-2009, Gianluigi Paragone

Istituzioni, Europa, Enti Locali:

La lotta dimenticata per abolire le Province

da “il Corriere della Sera del 18/3/09” di Gian Antonio Stella

«Non serve e non la voto», strilla lo slogan del Comitato per l’Abolizione delle province. Nato nel Veneto per iniziativa di Michele Bortoluzzi, il movimento può contare sul sostegno dichiarato di Massimo Carraro (candidato dall’Unione contro Giancarlo Galan alle ultime regionali), dell’imprenditrice Marina Salamon, del deputato democratico ed ex presidente di Federmeccanica Massimo Calearo, dell’amministratore delegato del Gruppo Coin Stefano Beraldo e dell’ex presidente degli industriali veneti Luigi Rossi Luciani. Tutti convinti che, ormai evaporate nel nulla le promesse elettorali della sinistra e della destra (il più deciso pareva essere Berlusconi che si era sbilanciato a dire: «delle Province non parlo perché vanno abolite») occorra dare un segnale forte: massimo impegno elettorale, visto che sarebbe diseducativo un appello a disertare le urne, ma mirato. Raggiunto il seggio per votare alle europee e alle comunali, l’elettore dovrebbe rifiutare la scheda per le provinciali: no grazie. I partiti guardano all’iniziativa con un misto di diffidenza, irritazione e ostilità: in attesa di abolirle (domani, dopodomani, l’anno prossimo, nel millennio successivo…) le poltrone è meglio conquistarle. In ogni caso, da destra a sinistra, la parola d’ordine è: ignorare l’iniziativa. Non parlarne. Non scriverne. Non occuparsene. Silenzio. Eppure, Dio sa quanto sarebbe indispensabile una svolta. L’ennesima dimostrazione arriva dall’accanita resistenza ai tagli che sta animando le province regionali siciliane dopo la chiusura dell’indagine della Corte dei Conti sulle indennità extra-stipendio distribuite ai dirigenti e ai funzionari tra il 1999 e il 2005. Indennità quasi raddoppiate nonostante il magistrato contabile Francesco Targia abbia accertato che nella larga maggioranza dei casi i premi, che avrebbero dovuto gratificare i più bravi sulla base di una precisa «pagella », erano stati spartiti senza alcuna valutazione meritocratica. Così, a pioggia. E che aumenti! Impennate da un milione e 30 mila euro a un milione e 642 mila alla provincia di Palermo, da un milione e 292 mila a un milione e 814 mila a Catania. Per non dire di Agrigento. Dove i premi ai colletti bianchi, nel giro di sei anni, sono schizzati all’insù del 383%. Merito di una produttività parallelamente quadruplicata? Magari! Come spiega il presidente Eugenio D’Orsi, un presidente eletto da una coalizione di centro-destra ma oggi sempre più in urto con una parte del suo stesso schieramento, le cose funzionavano così: «Il direttore generale inviava a tutti i dirigenti (ce n’erano diciassette su 700 dipendenti: e non immaginate la battaglia per ridurli a tredici) una scheda in cui chiedeva: gentile dottore, come valuta se stesso in questo o in quel compito, questa o quella cosa? E i dirigenti rispondevano. Sapendo che dalla loro risposta dipendeva anche lo stipendio. Dopo di che il Comitato di Valutazione leggeva e, regolarmente, confermava l’auto-giudizio. Senza mai contestarlo ». E che voti si auto-davano? «Ovvio: tutti bravissimi. Non c’era un solo asino. Neanche uno. E neanche un mediocre. Zero». È bastato tagliare i premi da un monte di oltre 800 mila euro a circa 600 mila, sospira D’Orsi , perché all’interno della Provincia scoppiasse la rivolta: «Avete presente Saddam Hussein? Mi pare d’esser impegnato nella madre di tutte le guerre…».

IL LIBRO

Abolire le Province?”. È il titolo del libro (edito da Rubbettino/Leonardo Facco) di Silvio Boccalatte che affronta il tema delle riforme istituzionali e federali sostenendo la necessità di eliminare «enti dalle ridottissime competenze» che comportano «spese assolutamente sproporzionate». Per Gianfranco Fabi, che cura la prefazione del volume (in vendita a 11 euro), «Il caso delle Province è drammaticamente emblematico di una filosofia di fondo di uno Stato che è ormai incapace di una significativa progettualità istituzionale».

da “Il Giornale” dell’ 1-4-09:

“Si è detto tante volte ma nessuno ha mai osato: abolire le province. Accadrà adesso. Anche se ‘abolire’ è un termine non corretto: gli enti intermedi che stanno a metà strada tra Comune e regione saranno ‘svuotati’”. Ha usato questa parola il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta in un’intervista al Tgcom in cui ha anticipato un provvedimento che il governo discuterà ‘tra una settimana’. Le elezioni amministrative di giugno potrebbero essere le ultime per alcune delle province dove il consiglio sarà rinnovato.

Ci sono delle novità. Il ministro Maroni sta presentando una riforma’, ha spiegato Brunetta. È ‘il codice degli enti locali’, un provvedimento in cui la parola riforma potrebbe essere sostituita con rivoluzione, perché per la prima volta si inizierà a pianificare un cambio dell’assetto dell’amministrazione pubblica che nessun governo sinora aveva azzardato. È un processo d’inizio, perché la morte delle Province non sarà istantanea: all’interno del nuovo ‘codice’ è contenuta un’’idea comune’ di Maroni e Brunetta, come ha spiegato il ministro anti-sprechi. L’idea è che ‘non da questa volta ma dal prossimo ciclo, cioè tra quattro o cinque anni’, alla scadenza della prossima tornata amministrativa, ‘le Province molto probabilmente non saranno più quelle che abbiamo conosciuto fino a oggi…’. Saranno cioè degli ‘enti di secondo livello’.

La Provincia non sparirà dal punto di vista formale, ma non avrà più un costo politico: ‘Rimarrà l’ente provincia ma non avrà più degli eletti’, ha chiarito Brunetta: ‘I consiglieri provinciali e presidente non saranno altro che i sindaci dei comuni nella provincia’.

Il presidente sarà il sindaco del capoluogo di provincia, e il parlamentino sarà formata dagli altri primi cittadini del territorio. Si ‘elimineranno così un po’ di costi della politica – ha detto ancora il ministro nemico dei fannulloni – e quello che fa ora la provincia lo faranno i Comuni all’interno della provincia’.

Tra cittadino e Stato rimarranno quindi solo due livelli: ‘Regione e comune’. Che possono bastare. ‘Le province per essere abolite richiedono un cambio costituzionale – ha illustrato Brunetta – mentre questa formula di svuotarle di contenuto politico primario e di farle diventare sostanzialmente dei consorzi funzionali si può fare senza modificare la costituzione’. ‘Un passo in avanti – lo definisce – per semplificare il sistema dei livelli di governo che ora è farraginoso’. E lo stesso criterio si adotterà ‘per le comunità montane’ che verranno ‘cancellate come enti autonomi’”.

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Per il COMITATO PER L’ABOLIZIONE DELLE PROVINCIE:

http://www.aboliamoleprovince.it/blog/

http://www.nonservenonvoto.it/cms/

per informazioni contattare lorenzo.furlan@aboliamoleprovince.it

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