A Rosarno lo scontro immigrati-popolazione è (ancora una volta) la rappresentazione del degrado del Sud: sviluppo economico negato (l’agricoltura, che potrebbe essere fiorente), ‘ndrangheta e illegalità che impediscono regole ed equilibrio di vita (e le migliori risorse, i giovani, se ne vanno)

Rosarno, la rivolta degli immigrati. Rosarno, 9 gennaio - La rivolta è scoppiata dopo il ferimento di alcuni lavoratori agricoli extracomunitari, fatti oggetto di colpi sparati con un'arma ad aria compressa da parte di alcuni sconosciuti. Alcune centinaia di immigrati hanno percorso il centro del paese calabrese appiccando il fuoco e danneggiando auto, causando ingenti danni nel centro cittadino. In alcuni casi, sono state prese di mira e colpite anche vetture con passeggeri. Dopo qualche carica e alcuni fermi tra i rivoltosi, solo in tarda serata l'intervento dei rinforzi delle forze dell'ordine giunti da Reggio Calabria ha persuaso i rivoltosi a ritirarsi e a liberare il centro cittadino. Nel corso della giornata, carabinieri e poliziotti hanno cercato di contenere la protesta in attesa dei rinforzi, mentre gli abitanti di Rosarno avevano inveito contro gli immigrati mentre questi, nel loro tragitto, danneggiavano tutto ciò che incontravano sulla loro strada. Tra Rosarno e Gioia Tauro ci sono almeno 1.500 immigrati che lavorano soprattutto in agricoltura e che vivono in due strutture abbandonate, una alla periferia di Rosarno ed una di Gioia Tauro

   Sembra di vedere immagini recenti dei rifiuti abbandonati sulle strade a Napoli. O i cassonetti bruciati a Palermo. Le immagini di scontro da “guerra fra poveri” tra popolazione e immigrati a Rosarno, in Calabria, dimostra ancora una volta la “non possibilità” (ma noi non crediamo in questa “non possibilità”) di uno sviluppo virtuoso nella parte sud d’Italia.

   Nel contesto europeo, nel nucleo originario (prima della caduta del Muro) di questi decenni, tre erano le aree geopolitiche in difficoltà, cioè dove fenomeni di latente sottosviluppo dovevano essere risolti: l’Irlanda, il Portogallo e il Sud Italia. L’Irlanda, pur nelle disavventure finanziarie di un anno fa, è diventato un paese moderno, innovativo, di grande prestigio. Lo stesso è accaduto per il Portogallo, cresciuto in questi anni con grande capacità innovativa, rivolto al futuro. Lo stesso non si può dire del nostro Sud, che si dibatte con i problemi di sempre. E’ così chiaro che l’annosa “questione meridionale” (concetto che scriviamo a fatica, memori di un contesto storico di irresoluzione totale) diventa pertanto prioritaria per tutta la nazione italiana (il Nord come le altre aree) e, appunto, lo diventa anche per una futura (sperabile) Europa forte ed unita.

IMMIGRATI: LA ‘NDRANGHETA NON SPIEGA TUTTO. NON SI VUOL VEDERE (l’editoriale di “Avvenire”)   

   Cinquemila immigrati, in gran parte irregolari, pagati (quando va bene) 18-20 euro al giorno per 12-14 ore di lavoro a raccogliere agrumi, ammucchiati in ex fabbriche senza acqua e senza luce, sfruttati da imprenditori e mafiosi, dimenticati da enti locali e istituzioni regionali e nazionali.

   Val di Non, Italia: settemila immigrati, tutti regolari, pagati 6,90 euro all’ora per 8 ore di lavoro a raccogliere mele, con vitto e alloggio assicurato dai datori di lavoro, sotto il rigoroso controllo della provincia di Trento e dei Comuni della zona.

Nomadismo agricolo nel Sud Italia

   “Dietro alla drammatica rivolta degli immigrati africani della Piana di Gioia Tauro, dietro la reazione degli abitanti, sfociata ieri sera in due feroci gambizzazioni, c’è ancora una volta questa Italia spaccata in due, questo Paese che, come ha denunciato più volte il capo dello Stato, viaggia a velocità diversissime. Due Italie, forse addirittura due pianeti diversi”. Lo afferma il quotidiano dei vescovi ‘Avvenire’ che con una severa lettura dei fatti drammatici culminati con gli scontri di Rosarno invita nell’editoriale a ”smetterla di ‘non vedere”’.

   ”Lo diciamo chiaro e forte, perché nessuno può accusarci di trito e becero antimeridionalismo. Avvenire, con la stessa identica passione della Chiesa italiana e dei suoi vescovi -prosegue l’editoriale-, è da sempre attento alla realtà del Sud: al male che la affligge e al tanto bene che offre. Anche sul fronte immigrazione. Perché non è impossibile gestire e accompagnare questo fenomeno epocale. Proprio nella tanto disastrata Calabria due paesi della zona jonica, Caulonia e Riace, sono esempi di integrazione, apprezzati e studiati anche all’estero. Addirittura ospitano, su richiesta degli organismi internazionali, i profughi dei campi palestinesi. Dunque, si può agire nella legalità e nella civiltà. E non solo nell’efficiente Trentino”.

   ”Esperienze felici, ma purtroppo solo isole. Il resto -sottolinea ‘Avvenire’- è un mare di Rosarno, dove gli immigrati si spostano seguendo le stagioni. Nomadismo agricolo: a settembre in Sicilia (olive), tra ottobre e marzo in Calabria (agrumi), poi in Puglia e Campania (ortaggi). Così da almeno venti anni. Sotto agli occhi di tutti. All’aperto dei campi, non al chiuso di qualche fabbrica. Tutti vedono ma girano la testa dall’altra parte. Le istituzioni per prime. Gli 800 immigrati ammassati nell’impianto (mai entrato in funzione) dell’ex Opera Sila sono più o meno gli stessi che vivevano, in condizioni analoghe, nell’ex cartiera di Rosarno. Sbarrata quest’ultima dopo il ferimento a pistolettate, un anno fa, di due immigrati e una prima rivolta, gli 800 hanno solo cambiato ”inferno”. Intanto i due Comuni interessati, Rosarno e Gioia Tauro, sono stati (e non è certo una coincidenza…) sciolti per infiltrazione mafiosa. Ma neanche la diretta gestione da parte delle prefetture attraverso i commissari straordinari è stata capace di dare una svolta”.

   ”Perche’ -avverte ‘Avvenire’- non è solo una questione di ordine pubblico. Malgrado pistolettate, rivolte e gambizzazioni. Se in migliaia ogni giorno si ‘prostituiscono’ agli incroci della Piana di Gioia Tauro, aspettando di essere soppesati e assoldati dai ‘caporali’; se dopo fredde e interminabili giornate a raccogliere i dorati frutti degli agrumeti tornano a dormire tra mura diroccate, sotto teli e cartoni e perfino nei silos metallici; se al loro fianco hanno, come al solito, la sola preziosa e disinteressata presenza del volontariato; se vengono sfruttati e sottopagati con la scusa che il mercato degli agrumi non tira, davvero questa Italia non va. Non e’ solo colpa della ‘ndrangheta, che certo su di loro si arricchisce e magari li usa come facile manovalanza criminale (Rosarno, ahimè, è un noto punto di transito della droga, ”la farina” come la chiamano i corrieri di colore). E che forse ieri, come suo stile, ha voluto ‘fare giustizia’ sparando ad altri due immigrati”.

   ”Ma la ‘ndrangheta -conclude ‘Avvenire’- non spiega tutto. Dove sono le organizzazioni imprenditoriali? Battano un colpo. Chiaro, netto. Magari, come Confindustria Sicilia, espellendo chi usa lavoratori in nero o irregolari. E lo battano le istituzioni, come gia’ fanno in altre regioni o in altre zone della Calabria. Non ci saranno cosi’ più alibi per i violenti, italiani e immigrati”.

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A  ROSARNO  ESPLODE  LA  RABBIA:  ASSALTI  E  SPARI  AGLI  IMMIGRATI

da “il Corriere della Sera” del 9/1/2010 – di Mario Porqueddu

– Gli italiani: “hanno picchiato le nostre donne e non dovremmo reagire? Ci dicano che cosa dobbiamo fare” – Gli stranieri: “pensavamo fosse il Paradiso, qui è l’Inferno” – Il Comune presidiato: in segno di protesta un comitato di cittadini presidia a oltranza il palazzo dei Comune – I colpi dal balcone: fermato un uomo che ha sparato in aria dal balcone al passare degli immigrati – I numeri del fenomeno: 15.000 gli abitanti di Rosarno, comune in provincia di Reggio Calabria; 37 i feriti negli scontri, 19 extracomunitari e 18 uomini tra le forze dell’ordine – gli stranieri stagionali: 2.000, impiegati nel settore agricolo – 25 Euro, la paga in nero a giornata per gli immigrati che lavorano nei campi.

   Il confine tra la vita e la morte è un muretto alto due metri. Il ragazzo nero lo salta con un balzo disperato e poi corre, si lascia indietro le urla di venti giovani calabresi armati di mazze, spranghe, tondini e manganelli. «U sartau», ringhiano, «U sartau». Sì, l’ha saltato ed è salvo. L’altro bracciante africano che era con lui scappa per i campi, lo inseguono come una muta di cani da caccia, incespicano nelle zolle, si perdono in lontananza dove cominciano gli alberi. Da un balcone del primo piano un gruppo di donne indica il giardino di casa gridando: «Un nero s’è nascosto quaggiù». I rosarnesi entrano, si acquattano per guardare sotto le foglie delle piante basse, lo chiamano: «Cugineeetto, dove sei?». Jack Nicholson in Shining faceva meno paura. Non trovano la preda.

   E’ l’imbrunire e alla contrada Bosco di Rosarno c’è ancora una barricata di carcasse d’auto e copertoni bruciati che interrompe la statale 18 in direzione Gioia Tauro. Dietro, protetto da una trentina di poliziotti in assetto antisommossa, sta l’ingresso della ex fabbrica dove sono nascosti almeno un migliaio di africani. Le macchine bruciate sono opera loro, resti della rivolta di giovedì sera. È a bordo di una di quelle che viaggiava Antonella Bruzzese, la ragazza che ieri è comparsa in tv con un occhio pesto, raccontando di quando gli immigrati l’hanno tirata giù e assalita.  

Hotel Africa, tra rifiuti e paura. Un momento della preparazione del pranzo, all'esterno della cartiera.

Momenti di terrore. Ma la vendetta dei calabresi è altrettanto terribile. Caccia all’uomo. O «andare a marocchini», come dicono qui quando hanno voglia di scherzare e simulano il linguaggio venatorio: ieri due africani sono stati feriti dai colpi di un fucile caricato a pallini lungo la strada che va a Laureana di Borrello, altri due sono stati presi a sprangate a Rosarno, cinque o sei sono stati investiti con le macchine.

   Per le strade è il Far West: nel primo pomeriggio un giovane africano con la testa insanguinata si aggira con un’asse di legno in mano, una macchina gli passa di fianco a 60 all’ora, lui colpisce il lunotto e lo rompe, tre carabinieri gli saltano addosso mentre l’autista scende e cerca di farsi giustizia da sè. L’immigrato se ne va in ambulanza, l’italiano si chiama Antonio Bellocco e lo portano via in manette, un militare finisce in infermeria.  Quando verso le sei di pomeriggio il commissario prefettizio che governa Rosarno legge il bilancio degli scontri parla di 7 arresti e 32 feriti, 14 immigrati e 18 uomini delle forze dell’ordine.

   Ma sono cifre provvisorie, in paese c’è ancora battaglia, continua la caccia al nero che si è aperta al mattino in una traversa della via Nazionale, quando un gruppetto di calabresi vede un ragazzo di colore e comincia a rincorrerlo.

   Quello corre più veloce dei suoi inseguitori, salta un muretto e s’infila in un cortile. Gli assalitori circondano lo stabile, i poliziotti si fanno largo a fatica, entrano e portano via il ragazzo fingendo di arrestarlo. Lui sta al gioco, tiene le mani dietro la schiena mentre lo caricano su una macchina e lo salvano dal linciaggio.

   A Rosarno si fronteggiano due eserciti di poveracci. Tra i mazzieri calabresi c’è chi ha le mani callose per il lavoro nei campi e per oggi i legni delle zappe ha deciso di usarli come armi: «Noi siamo le vittime – dicono -. Hanno picchiato le nostre donne e la polizia prima ci ha chiesto aiuto per sedare la rivolta e poi ci ha manganellato quando abbiamo provato a reagire. Ma cosa dobbiamo fare?».

   Dall’altra parte ci sono gli immigrati, ormai in rotta: vorrebbero scappare, andare il più lontano possibile da qui. «Vogliamo andare via, qui non si può restare». Andare dove? «Non lo so, a Napoli, a Roma, a Milano». I trecento che fino a ieri abitavano fra i topi alla Rognetta, una fabbrica dismessa a due passi dal centro, hanno preparato i bagagli: buste del discount piene di panni sporchi, fornelli da campo, sacchi a pelo.

   Ma questo esodo di straccioni è troppo pericoloso. «Rimanete dentro, vi prego, là fuori è rischioso per voi» implorano gli assistenti della Caritas. Per tutto il giorno polizia e carabinieri tengono i migranti raggruppati davanti al loro dormitorio. Alle undici di sera, mentre oltre 200 uomini delle forze dell`ordine vengono a rinforzare le squadre impegnate a Rosarno, iniziano le manovre per portare via i braccianti.

   E così se ne va Ahmed, marocchino, uno dei leader dei migranti. In tasca ha 70 centesimi, è un clandestino laureato in ingegneria, e dei suoi 34 anni gli ultimi tre e mezzo li ha passati in Italia. Raccoglie le arance a Rosarno d’inverno e vende costumi da bagno sulle spiagge toscane d’estate. «Noi siamo qui per lavorare.

Io ho rischiato la vita in mare per venire in Italia. Pensavo di trovare il paradiso e invece qui esiste solo l’inferno. Sai quante volte mi sono sentito dire “marocchino imonnezza”, senza motivo? Siamo persone, non siamo animali: non possono spararci addosso. Ora basta, chiediamo diritti».

   Poco lontano c`è un funzionario di polizia arrivato da Catania. Parla guardando un punto nel vuoto, come se cercasse soprattutto spiegazioni per sè: «Ma come ci siamo arrivati a tutto questo? Chi dà lavoro a queste persone? E loro, perché non affittano una stanza invece di ridursi a vivere così? I soldi per bere la sera ce li hanno…».

   Nemmeno Abdeljalil, un altro marocchino, ha idea di come sia stato possibile arrivare a questo. Racconta che nei campi il padrone lo chiama «cammello». Ha un cappello di lana con scritto sopra «Italia», prova a sorridere, accende una sigaretta: «Non sbagliarti, qui non c’è un problema di razzismo, qui c`è un problema di vita brutta». Forse ha ragione lui, questo è solo un incrocio di vite brutte, dove non c’è nulla che funzioni da qualunque parte le si voglia guardare.

   E’ una tragedia da 6 centesimi al chilo. Al netto degli aiuti europei, è il valore di un chilogrammo di arance della piana di Gioia Tauro in questi tempi di crisi. Le arance che portano qui gli immigrati in cerca di soldi. Le arance che oggi profumano l’aria perché fra i rosarnesì c’è chi ha scelto di lasciarle sugli alberi. Pagare la raccolta costerebbe troppo. Così c’è meno lavoro per i braccianti. E precarietà, dappertutto. Chi ha provato a mettere in regola i braccianti, racconta la sua frustrazione. «Ho fatto richiesta in prefettura per diciotto permessi di lavoro – dice il proprietario di un’azienda agricola -. Mi è arrivato il diniego: le quote erano esaurite. Me lo dite come devo campare?». E quell’interrogativo è l’unica cosa che tiene assieme tutti, bianchi e neri, padroni e clandestini.

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CHI USA GLI ULTIMI DELLA TERRA?

di Gad Lerner – da “la Repubblica” del 9/1/2010

   Viviamo a Rosarno una pagina oscura della storia italiana. Le ronde criminali scatenate nell´assalto agli africani, le sprangate in testa e le fucilate alle gambe degli immigrati, rappresentano una vergogna di fronte a cui possiamo solo sperare in un moto collettivo di ripulsa morale.
   Di quale tolleranza, “troppa tolleranza”, parla il ministro Maroni? Ignora forse che da trent´anni l´agricoltura del Mezzogiorno d´Italia si regge economicamente sull´impiego di manodopera maschile immigrata, sospinta al nomadismo stagionale fra Puglia, Campania, Sicilia e Calabria, con paghe di sussistenza alla giornata, ricoveri di fortuna in edifici fatiscenti, criteri d´assunzione malavitosi, senza la minima tutela sanitaria e sindacale? Ora non li vogliono più, s´illudono di espellerli come un corpo estraneo dopo che li avevano convocati alla raccolta degli agrumi.

   Ma è dal 1980 che le colture specializzate meridionali non possono fare a meno delle migliaia di ragazzi africani trattati né più né meno come bestiame. E al tramonto, se la mandria non fa ritorno disciplinato nei recinti abusivi delle aree industriali dismesse, non trova certo istituzioni disponibili a riconoscerne l´umanità. Gli italiani con cui entrano in contatto questi lavoratori senza diritti sono solo di due tipi: i caporali spesso affiliati alla criminalità organizzata; e i volontari di Libera, della Caritas e di Medici senza frontiere. Le forze dell´ordine si sono limitate finora a un blando presidio territoriale per evitare frizioni pericolose con la popolazione locale. Ma l´importante era che il ciclo produttivo non si interrompesse: la mattina dopo il reclutamento ai bordi della strada non subiva intralci.
   Chi ha tollerato che cosa, ministro Maroni?   Rosarno era teatro da anni di una conflittualità quotidiana, pestaggi isolati, sfide tra giovanissimi divisi dal colore della pelle ma accomunati da una miseria culturale che li induce a viversi come nemici. Dopo i colpi di fucile che hanno ferito due immigrati, giovedì la furia degli immigrati ha colpito indiscriminatamente la popolazione calabrese. Ieri, per rappresaglia, è scattata la “caccia al nero”: disordini razziali che evocano scenari di un´America d´altri tempi. Di nuovo sparatorie a casaccio per terrorizzare i miserabili che hanno osato ribellarsi, insanguinando la Piana di Gioia Tauro dove governano ben altre autorità che non lo Stato democratico.
   La riconversione legale dell´agricoltura del Sud implicherebbe, accanto agli investimenti economici, un´opera di civilizzazione che mal si concilia con l´offensiva propagandistica imperniata sulla criminalizzazione del clandestino. Non solo i mass media ma anche i portavoce della destra governativa hanno eccitato, legittimato sentimenti d´ostilità da cui oggi scaturiscono comportamenti barbari, indegni di un paese civile.
   Se a Castelvolturno, nel settembre 2008, fu la camorra a sterminare sei braccianti africani, a Rosarno assistiamo a un degrado ulteriore: settori di cittadinanza coinvolti in un´azione di repulisti inconsulta. La chiamata alle armi contro i dannati della terra che certo non potevano garantire – con la sola forza disciplinata delle loro braccia – il benessere di un´area rimasta povera.
   Vi sono probabilmente motivazioni sotterranee, indicibili, alla base di questo conflitto. Non tutti i 25 euro di paga giornaliera finiscono nelle tasche dei braccianti illegali. Pare che debbano versare due euro e mezzo agli autisti dei pulmini che li trasportano nelle piantagioni. Si vocifera addirittura di una odiosa “tassa di soggiorno” di 5 euro pretesa dalla ´ndrangheta. Di certo non sono associazioni legali quelle che pattuiscono le prestazioni di lavoro. Ma soprattutto è chiaro che una relazione trasparente con la manodopera immigrata viene ostacolata, resa pressoché impossibile dalla legislazione vigente.
   Altro che pericolo islamico: qui la religione non c´entra un bel nulla. L´Italia dell´economia illegale, non solo al Sud, lucra sulla farraginosità normativa che sottomette il lavoratore immigrato a procedure arbitrarie sia in materia contrattuale, sia nel rilascio del permesso di soggiorno. Quando Angelo Panebianco, sul “Corriere della Sera”, asserisce che affrontare il tema della cittadinanza significherebbe “partire dalla coda anziché dalla testa”, ignora che restiamo l´unico paese europeo in cui le procedure di regolarizzazione e di naturalizzazione non contemplano alcuna certezza di tempi e requisiti. Assecondando, di fatto, un´informalità di relazioni per cui ai doveri non corrispondono mai i diritti.
   Sulla scia di un´analoga iniziativa francese, circola fra gli stranieri residenti in Italia l´idea di dare vita a marzo a una iniziativa forse velleitaria ma dal forte significato simbolico: “24h senza di noi”. Che cosa succederebbe se per un giorno tutti gli immigrati si astenessero dal lavoro? Quanto reggerebbe il nostro sistema di vita senza il loro apporto? Farebbero bene, i sindacati, a prendere in seria considerazione questa iniziativa, contribuendo con la loro forza organizzativa al moto spontaneo. Ma prima ancora è l´intero arco delle forze politiche, culturali e religiose che rifiutano la contrapposizione incivile fra italiani e stranieri a doversi mobilitare: l´inciviltà dei pogrom è contagiosa.

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LOIERO: CONDIZIONI DI VITA SUBUMANE, PEGGIO QUI CHE NEI PAESI D’ORIGINE

da “Il Messaggero” del 9/1/2010

 

E` un fiume in piena Agazio Loiero, governatore della Calabria.

Presidente, a Rosarno si spara: residenti contro immigrati. Di chi è la colpa?

«La responsabilità è dello Stato. Perché? Perché conosceva la situazione. Non si possono lasciare migliaia di immigrati che sono sfruttati, sottopagati, vivono in condizioni subumane, a contatto con la criminalità. Se li lasci così, senza un filtro con le varie comunità di insediamento, è chiaro che diventano una miccia pronta ad esplodere ad ogni momento. E quando l`esplosione arriva, non la puoi più governare».

Ma lei aveva informato della gravità della situazione Maroni?

«Naturalmente. Sapevano tutto benissimo. Ho fatto un casino perché c`era bisogno di dare un alloggio più decente agli immigrati. Si figuri, vivevano ammassati in una cartiera, in condizioni impossibili, con servizi igienici neanche da terzo mondo. Per capirci: stavano a Rosarno peggio di come stavano nei loro Paesi d`origine».

Sicuro che la Regione e lei non hanno nulla da rimproverarsi?

«Giudichi lei. Intanto l`immigrazione è competenza esclusiva dello Stato, le regioni non ci possono mettere le mani. Il Consiglio regionale ha approvato all`unanimità una legge sull`accoglienza, in Calabria ci sono comuni che accolgono gli immigrati e fanno fare loro i lavori che stanno scomparendo, soprattutto di artigianato.   Lo conosce Wim Wenders, il regista de”Il cielo sopra Berlino?” Bene, un mese e mezzo fa davanti ad una platea di premi Nobel ha detto: voi pensate che l`utopia sia la caduta del Muro, invece l`utopia è quel che sta avvenendo in Calabria accogliendo tanti immigrati e integrandoli con la popolazione locale. Lo ha detto a ragion veduta visto che è venuto nella nostra regione proprio per girare un cortometraggio.  Io sono andato di persona a vedere la situazione di Rosarno.  Ho stanziato 50 mila curo peri servizi igienici. Cosa potevo fare di più? A Rosarno ci sono immigrati che arrivano per lavori stagionali e poi restano tutto l`anno e vivono sfruttati dal caporalato. Riesce ad immaginare cosa succede se si riversano migliaia di immigrati in un paesino, senza nessun filtro?».

Succede che si crea una situazione ad alto rischio…

«Infatti. L`anno scorso alcuni delinquenti hanno sparato con armi da fuoco ad alcuni immigrati. Loro tutti in fila, con grande coraggio visto che parliamo di una zona difficile sul piano della criminalità, sono andati dalla Polizia a denunciare l`aggressione. Anche stavolta dovevano fare lo stesso, non gettarsi nella guerriglia. Non dovevano prendersela con una cittadina che è incolpevole».

Già. Ma forse l`hanno fatto esasperati perchè quel gesto così civile e coraggioso appunto, non ha dato esito.

«Può essere. Ma il punto vero, che va chiarito con chiarezza e compreso da tutti, è che il torto non sta dalla parte degli immigrati».

Il ministro Maroni la pensa diversamente. Dice che c`è troppa tolleranza verso gli immigrati. Condivide?

«Ma come fa a dirlo. e proprio oggi poi… Davvero non lo so. Capisco che un governo deve governare i flussi migratori, però stiamo attenti: quello degli immigrati è un esercito che non si riuscirà a fermare. Neanche con i respingimenti forzati. C`è bisogno di investimenti, bisogna stabilire un rapporto serio con la Libia, altro che stupidaggini. Ma lei lo sa che il canale di Sicilia è diventato il cimitero forse più grande d`Europa? Cosa spinge una mamma con un bambino ad attraversare quel braccio di mare sapendo che ha una possibilità su due di morire? Ci sono esigenze di vita che non si possono comprimere».

Dunque il governo ha sottovalutato la pericolosità della situazione, è così?

«E` un fatto che grida vendetta. C`è stata una drammatica sottovalutazione da parte del governo che di queste cose non vuole sapere. Poi le cose scoppiano ed ecco i risultati. Maroni mi ha chiamato, ha detto che manda una task force. lo ci metto un responsabile perla parte sanitaria. Ma sono iniziative tardive, molto tardive.

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