Il caso di SAPPADA CHE PASSA DAL VENETO AL FRIULI (perché regione più ricca) – Il perpetuarsi della LOGICA DEI VECCHI CONFINI: con regioni a Statuto Speciale superate, Macroregioni che mancano (come quella del Nordest), comuni di montagna troppo piccoli: ma SAPPADA non apparterebbe al CADORE?

SAPPADA, provincia di Udine. Sappada lascia il Veneto e passa all’autonomo Friuli Venezia Giulia. Si potrebbe definire una piccola secessione, quella dell’ex comune veneto che ha richiesto, e ottenuto, di passare da una Regione a statuto ordinario ad una autonoma, passaggio che per la prima volta nella sua storia il Parlamento ha concesso. L’iter per lasciare la regione Veneto era iniziato nel lontano 2008, anno in cui i cittadini espressero il proprio consenso alla “secessione” mediante referendum.

   Sappada lascia il Veneto e passa al Friuli Venezia Giulia. Si è concluso il 22 novembre scorso, con il voto favorevole della Camera dei Deputati, l’iter per il passaggio del comune di Sappada al Friuli Venezia Giulia. L’iter per lasciare la regione Veneto era iniziato nel lontano 2008, anno in cui i cittadini espressero il proprio consenso alla “secessione” mediante referendum.
Interessante come nacque l’idea a Sappada. L’iniziativa era partita ancora nel 1966, quando i capifamiglia si riunirono dal parroco per lamentare la marginalità del paese rispetto a Venezia e per cercare la riaggregazione col Friuli: parliamo di riaggregazione perché in origine (fino al 1852, nel periodo di dominazione austriaca) il comune era sotto la provincia di Udine, e solo in quell’anno passò a Belluno.

SAPPADA (Plodn nel dialetto tedesco, Bladen in tedesco, Sapade o Ploden in friulano e Sapada in ladino) è un comune italiano di circa 1.300 abitanti e fino al 22 novembre scorso faceva parte della provincia di Belluno (ORA SARÀ NELLA PROVINCIA DI UDINE). Si sviluppa lungo una VALLE ATTRAVERSATA DAL FIUME PIAVE e si trova a 1.245 METRI DI ALTITUDINE nell’ESTREMITÀ NORD-ORIENTALE DELLE DOLOMITI, al confine tra Veneto, Friuli Venezia Giulia e Austria. Sappada è conosciuta soprattutto come META TURISTICA sia invernale che estiva e perché, IN VENETO, È UN’ISOLA GERMANOFONA. Il DIALETTO che si parla a Sappada è stato infatti classificato come AUSTRIACO-BAVARESE, cioè di matrice tedesca, e fu portato dai primi abitanti della valle che, secondo l’ipotesi più accreditata, provenivano dall’Austria. NEL 1400 IL PAESE PASSÒ ALLA SERENISSIMA REPUBBLICA DI VENEZIA e, dopo una breve parentesi di DOMINAZIONE FRANCESE, NEL 1814 PASSÒ SOTTO GLI AUSTRIACI che costruirono le prime scuole e le prime opere pubbliche. NEL 1852 SAPPADA PASSÒ DALLA PROVINCIA DI UDINE A QUELLA DI BELLUNO che a sua volta, qualche anno dopo, VENNE ANNESSA ALL’ITALIA. La parrocchia di Sappada fa invece tuttora parte della Pieve di Gorto, arcidiocesi di Udine.

   Falliti vari tentativi dal 1966, nel 2008 arrivò il referendum. Con un consenso plebiscitario verso quella che veniva considerata la madre patria, il Friuli appunto (il referendum avvenne nel marzo del 2008, e il 95 per cento degli elettori votò a favore dell’annessione friulana).
Secondo i comitati promotori l’aggregazione al Friuli ha a che fare con questioni sia GEOGRAFICHE (una più idonea appartenenza ai comuni friulani delle Alpi carniche, trovandosi nell’estremità nord-orientale delle Dolomiti), sia STORICHE (come appena detto fino al 1852 apparteneva alla provincia allora austriaca di Udine), che CULTURALI (forse date da un dialetto vicino a quello austriaco-bavarese, comunque con un’influenza germanofona)…… Boh…vien da dire, tutto questo ci appare una scusa….semmai un qualcosa legato a un passato remoto impossibile da ripristinare (per fortuna, crediamo).

Nel luglio 2007 il consiglio comunale di Sappada decise di indire un referendum popolare per il passaggio del paese alla regione autonoma del Friuli Venezia Giulia. La richiesta era stata sottoscritta da oltre 400 cittadini e i motivi, secondo i comitati promotori, avevano e hanno a che fare con questioni geografiche, storiche e culturali. Il referendum venne votato nel marzo del 2008 e il 95 per cento degli elettori votò a favore dell’annessione (su un totale di 1.199 aventi diritto al voto, andarono a votare 903 elettori e cioè il 75,3 per cento: di questi votarono per il sì in 860 e per il no in 41). Il passaggio dei comuni da una regione all’altra è regolato dal secondo comma dell’articolo 132 della Costituzione. Prevede un parere delle regioni e dice: «Si può, con l’approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Provincie e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un’altra».

   La spiegazione prevalente invece è che il desiderio di muovere verso la regione friulana confinante, a statuto speciale, sia esclusivamente determinata dalle risorse (i schèi)…. anche se non possiamo escludere una originaria motivazione di “ritorno a casa”, alle origini (identità territoriale).
Perché che desiderano PASSARE IL CONFINE non è solo Sappada, dal Veneto al Friuli o al Trentino: in Veneto ci sono ben 33 comuni di confine che vogliono cambiare regione (ora convinti che il Parlamento non potrà disconoscere loro quanto ha permesso a Sappada).
La vera questione è che le regioni come ora sono, risultano inadeguate, sia nella loro entità geografica (geomorfologica…pensiamo all’area dolomitica suddivisa rigidamente dal punto di vista istituzionale tra le regioni del nordest…ci si contende la cima della Marmolada tra Veneto e Trentino…), che dal punto di vista dei servizi offerti ai cittadini e dall’apparato burocratico messo in piedi dalla loro costituzione (istituite, quelle ordinarie, come il Veneto, nel 1970, il Friuli a statuto speciale nel 1963, Trentino, Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta nel 1948…).

MAPPA DEL VENETO, CON SOPRA ALL’ESTREMO NORDEST SAPPADA – Il passaggio è poi normato dalla legge 352 del 1970 che stabilisce iter pratici e tempi: l’esito del referendum deve essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale ed entro 60 giorni dalla pubblicazione il ministero degli Interni deve proporre un disegno di legge sull’aggregazione-distacco che deve essere votato dal parlamento. Tutta questa procedura si applica anche quando, come nel caso di Sappada, si preveda il distacco di un ente locale da una regione a statuto ordinario (in questo caso il Veneto) e l’aggregazione a una regione a statuto speciale (il Friuli Venezia Giulia). Il parere favorevole delle regioni coinvolte nel caso di Sappada non arrivò subito dopo il referendum, ma nel 2010 quello del Friuli Venezia Giulia e nel 2012 quello del Veneto. Il disegno di legge per il distacco e l’aggregazione venne presentato nel 2013, l’esame in commissione si concluse nel febbraio del 2016 e il voto favorevole al Senato è arrivato nello scorso settembre, dopo quindi nove anni dal referendum. Lo scorso 22 novembre, infine, la Camera dei deputati ha votato a grande maggioranza per il passaggio di Sappada al Friuli Venezia Giulia. (da http://www.ilpost.it/ )

   E continuiamo a ragionare di confini amministrativi e di regolazione dei territori, rimanendo fermi a concezioni del passato, ottocentesche. Naturale sviluppo geografico e istituzionale vorrebbe, nel contesto nazionale ed europeo che si è creato (quest’ultimo, della UE, che speriamo pian piano si consolidi) che si arrivi ad avere delle MACROREGIONI in Italia che riducano drasticamente le attuali venti regioni.
Ma questo per il nordest sarà ancora più difficile. C’è un’impossibilità più di altri territori regionali di aggregarsi in macroregione. Perché Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige sono in condizioni attuali ben diverse. Nessuna delle due regioni a statuto speciale (Friuli e Trentino) ha voglia e interesse di diventare qualcosa di unico con il Veneto, godendo adesso di maggiori introiti finanziari (che non vogliono certo dividere con nessun altro) che restano nel proprio territorio, e di un’autonomia (un potere) ben maggiore del Veneto. Allora la macroregione diventa improbabile (almeno per adesso); e così il Veneto vuole anch’esso una maggiore autonomia sul tipo delle altre due (ma è difficile che raggiunga -anche dopo il successo del referendum autonomista del 22 ottobre scorso- situazioni simili alle altre due entità regionali del nordest).

IL CADORE – da http://www.nuovocadore.it/ – l Cadore si trova in una splendida posizione panoramica e costituisce uno dei più belli ed incantevoli territori d’Italia, avendo caratteristiche proprie ben distinte sia dal punto di vista geologico che dal punto di vista storico. Ha una superficie di 1.427,221 chilometri quadrati ed è composto da 22 comuni, per un totale di circa 32.000 abitanti: Pieve, che è il maggior centro, Auronzo, il più esteso, San Vito, Borca, Vodo, Cibiana, Valle, Perarolo, Ospitale, Calalzo, Domegge, Lozzo, Vigo, Lorenzago, Santo Stefano, San Pietro, SAPPADA, San Nicolò di Comelico, Comelico Superiore, Danta, Zoppè, Selva. Confina a Nord Nord-Ovest con la provincia di Bolzano (Val Pusteria) e con l’Austria, a Est Sud-Est con le province di Pordenone ed Udine, a Sud con la zona del Bellunese ed a Ovest con l’Agordino e lo Zoldano. Geograficamente il Cadore comprende tutto il bacino del fiume Piave dalla sua sorgente sul monte Peralba alla località di Termine.

   Poi, nelle motivazioni dell’aver voluto il passaggio, da parte della comunità di Sappada, dal Veneto al Friuli, il richiamo all’identità culturale, storica….. in un contesto nel quale siamo in presenza di una globalità che dovrebbe fare i conti con la territorialità forse in altro modo. Cioè come riuscire a creare OPPORTUNITA’ ai giovani anche in questi territori di montagna; come fare in modo che non si viva in condizione di PERIFERIA….
E’ su questo che si deve ragionare, e la riscoperta delle tradizioni (fatta anche di cose carine, turisticamente parlando, come le rievocazioni storiche, il cibo e i piatti della tradizione antica, la cultura con le inflessioni dialettali, il mito della Serenissima…), sono anche tradizioni interessanti ma da non prendere troppo sul serio come prospettiva vera per il futuro.
Le tradizioni possono essere (forse) identificazione per gli anziani, ma, come detto prima, non sono “opportunità” per i più giovani. Che cercano socialità, relazioni, occasioni da far nascere sui territori dove si trovano a vivere, sennò son costretti ad andarsene. Pertanto il passaggio al Friuli forse porterà un po’ più di denaro, ma non risolverà l’attuale destino delle terre di montagna, che sono vere “periferie”, solo (pur rilevantissimo) patrimonio di natura e (a volte) paesaggio a beneficio di chi viene da fuori a visitarle.

Sappada, versante sud

   E dove il Veneto probabilmente è mancato, come Regione, nei confronti di “Sappada e le altre” è sicuramente stato nel non aver mai avuto una “politica della montagna”. Forse cosa più facile al Trentino (tutto montano) o al Friuli, territorio sì diversificato, dal mare alla montagna, ma più compatto; meno complicato di un Veneto che va dall’area del Po rodigino, ai territori rivieraschi, all’ ”estraneità” del veronese (che è proiettato verso ovest e nord ma poco nel Veneto), al polo centrale “Padova-Treviso-Venezia”, alla Pedemontana vicentina e trevigiana…ad appunto una montagna fruibile turisticamente ma con nessun progetto chiaro (pensiamo proprio in particolare all’area del Cadore).

NORDEST carta fisica

   Fa specie che la “Montagna verso l’abbandono” è fenomeno generale di tutte le aree montane, ma che nel Bellunese la perdita di popolazione (lo spopolamento) è doppia rispetto alle altre aree montane: abitanti sempre più vecchi, servizi essenziali smantellati, niente fondi strutturali e finanziamento virtuosi (non per solo turismo, ma per ricerca tecnologica, ripristino e ricerca ambientale autoctona con scuole e studi specialistici, artigianato di alta qualità e diffuso…com’era l’occhialeria nel Cadore…), infrastrutture inadeguate, economia in ginocchio. Insomma, tornando al tema di Sappada, questo passaggio di Regione sa di vecchio, non pare per niente cosa innovativa. (s.m.)

SAPPADA – La chiesa di Santa Margherita

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DOPO 165 ANNI IL COMUNE DI SAPPADA TORNA AL FRIULI. ZAIA PROTESTA: “UN’AMPUTAZIONE”
– Si è concluso il 22 novembre scorso, con il voto favorevole di Montecitorio, l’iter per il passaggio – anzi, del ritorno – del comune di Sappada al Friuli Venezia Giulia. Alcuni deputati veneti, però, promettono battaglia e invocano il ricorso alla Corte Costituzionale –
22/11/2017, da http://www.fanpage.it
Sappada lascia il Veneto e passa all’autonomo Friuli Venezia Giulia. Si potrebbe definire una piccola secessione, quella dell’ex comune veneto che ha richiesto, e ottenuto, di passare da una Regione a statuto ordinario ad una autonoma, passaggio che per la prima volta nella sua storia il Parlamento ha concesso. L’iter per lasciare la regione Veneto era iniziato nel lontano 2008, anno in cui i cittadini espressero il proprio consenso alla “secessione” mediante referendum.
Quel giorno i cittadini di Sappada approvarono il ritorno della località al Friuli Venezia Giulia, dando dunque inizio al conseguente iter burocratico che si è concluso solo oggi. Dunque, ora, dopo oltre 150 anni, Sappada può ritornare alla sua regione d’origine, da cui era stato separato nel lontano 1852. Il provvedimento per l’annessione di Sappada al Friuli aveva subito qualche rallentamento nel corso del tempo, ma dopo l’approvazione del Senato a settembre, è stato definitivamente approvato il 22 novembre anche dalla Camera, dando così conclusione a un iter quasi decennale.
Nelle ultime settimane, però, non sono mancati i tentativi di trattenere Sappada in Veneto. La Lega Nord, tramite il presidente del Consiglio Regionale Veneto Roberto Ciambetti, ha inutilmente provato a sollevare dubbi circa le procedure burocratiche utilizzate per ottenere il consenso del Consiglio del Veneto, ma nessun effetto ha sortito questa battaglia.
Nonostante il passaggio di Sappada al Friuli sia ormai legge, alcuni deputati veneti non hanno ancora intenzione di arrendersi e promettono il ricorso in Corte Costituzionale. “Oggi vincono la democrazia, i cittadini e la buona politica. Il voto di oggi è il giusto riconoscimento della volontà della comunità sappadina, che non poteva essere calpestata”; ha dichiarato l’europarlamentare del Pd, Isabella De Monte, prima firmataria della proposta di legge presentata quando era ancora al Senato. Per ora, dunque, Sappada è formalmente un comune del Friuli Venezia Giulia, fino a un eventuale stop della Corte Costituzionale. (…)

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“MANDI SAPADE” IL PAESE PASSA AL FRIULI

di Francesco Dal Mas, da “la Tribuna di Treviso”, 23/11/2017
– La Camera vota sì a grande maggioranza per il cambio di Regione molti altri Comuni veneti hanno vinto il referendum ma restano al palo –
SAPPADA. «Mandi Sapade! Ben rivat tal Friul. Hallo Plodn! Zuruck in Friaul. Ciao Sappada, bentornata in Friuli». Poco dopo che Gianluigi Gigli, dai banchi di Montecitorio, ha così dato il benvenuto ai sappadini, nel loro idioma e in quello friulano, si materializza lo storico voto sul distacco di Plodn, nome di Sappada nel dialetto locale, dal Veneto ed il ritorno in Friuli. Un giorno storico: mercoledì 22 novembre, ore 13.55. Una data da segnare nella storia della provincia di Belluno, destinata a pagare il prezzo più alto per questa perdita.
«Diciamo la verità. Neppure noi ce l’aspettavamo» confessavano, ancora pochi minuti prima dell’esito parlamentare i referendari Danilo Quinz, Riccardo Breusa, Alessandro Mauro, pronti ad alzare un calice di prosecco «per riconoscenza al Veneto», specificatamente alla mozione del Consiglio regionale con la quale venivano lasciati liberi di andarsene. 257 voti favorevoli, 20 contrari (veneti soprattutto, ma anche marchigiani, trentini e sudtirolesi) e 74 astenuti.
A seguito di questo risultato, la Regione Veneto e la provincia di Belluno perdono una delle loro cittadine più caratteristiche, incorniciate nelle Dolomiti, ma anche, non bisogna dimenticarlo, le sorgenti del fiume sacro, il Piave, guarda caso dove il prossimo maggio la stessa Regione farà salire, anche a sue spese, il Giro d’Italia per il centenario della Grande guerra.
Questo, tuttavia, non è un punto d’arrivo per Plodn, semmai di ripartenza perché l’approdo in Friuli, terra a cui la comunità apparteneva fino al 1852, è ancora tutto da costruire nel percorso amministrativo.
La legge approvata il 22 novembre, infatti, non fissa alcun paletto operativo. Non chiarisce come avverrà il trasloco e in quanto tempo. Ma se Debora Serracchiani, presidente del Friuli Venezia Giulia, guadagna la stazione turistica più importante delle Prealpi Carniche e Giulie, Luca Zaia, governatore del Veneto, perde una perla di accoglienza (perfino dal Giappone arrivano i buongustai per apprezzare la cucina di Sappada Vecchia), al tempo stesso riceve un assist formidabile. Un volàno per la trattativa con il governo sull’autonomia. Dovrebbe essere un tema da discutere con il sottosegretario Giancarlo Bressa, anche lui peraltro contrarissimo alla fuga di Sappada, perché solo maggiori prerogative potranno frenare la “slavina”.
Ben 33, infatti, sono i comuni veneti pronti a varcare i confini col Friuli Venezia Giulia o con il Trentino Alto Adige, sicuri che il Parlamento non potrà disconoscere quanto ha permesso a Sappada.
Cortina sarà trattenuta dai Mondiali di sci, ma il referendum che festeggerà domani con Luis Durnwaldern nel 10° anniversario del voto per il ritorno in sud Tirolo, insieme agli altri ladini di Fodom, sarà ripreso dal cassetto già nel 2021, dopo l’evento sportivo.
Tutti gli altri comuni bellunesi dove il referendum per la fuga dal Veneto ha visto una valanga di sì, non hanno trovato dall’altra parte (in particolare nelle province di Trento e Bolzano) la stessa volontà di accoglienza, a differenza di quanto accaduto fin da subito per Sappada.
C’è, inoltre, un altro risultato che il Veneto e Belluno potrebbero incassare, fin dai prossimi giorni: la riedizione del Fondo Letta.
Una misura, questa, che il Pd, il Movimento 5 stelle e Forza Italia si sono impegnati ad inserire nella legge di stabilità che sarà varata in dicembre. La Lega non è contraria, insiste però – come ha detto ieri il capogruppo Massimiliano Fedriga – per affrontare e risolvere le problematiche di confine con la nuova autonomia.
Il parlamentare bellunese Federico D’Incà del Movimento 5 stelle ha specificato che il fondo di confine dovrebbe avere una valenza triennale, fino alla maturazione delle nuove competenze per il Veneto.
Sulla medesima lunghezza d’onda si è sintonizzato l’on. Roger De Menech del Pd, che già in passato aveva lanciato questa prospettiva sulla scorta dell’analoga esperienza col Trentino Alto Adige, da lui stesso coordinata. De Menech, peraltro, ieri in Aula ha sollecitato ben altre politiche anti-spopolamento, che evidentemente non possono transitare per un sostegno dal sapore meramente assistenzialistico.
Il voto a Montecitorio ha concluso un lungo viaggio, iniziato ancora nel 1966 quando i capifamiglia si riunirono dal parroco per lamentare la marginalità del paese rispetto a Venezia e per cercare la riaggregazione col Friuli. Falliti vari tentativi, nel 2008 arrivò il referendum. Con un consenso plebiscitario verso quella che veniva considerata la madre patria, il Friuli appunto. Ieri il sogno si è concretizzato, quando tanti degli stessi sognatori ritenevano che fosse soltanto un’illusione. (Francesco Dal Mas)

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SAPPADA È ORA OLTRE I CONFINI DI UNA REGIONE SENZA CENTRO

di Daniele Marini, da “Il Mattino di Padova” del 25/11/2017
– La spinta al trasloco non sono i “schei”: manca un polo attrattivo come Milano ma anche la classe dirigente non ha dimostrato progettualità di respiro ampio –
SAPPADA È OLTRE I CONFINI. Un pezzo di territorio veneto se ne andrà. E altri, che da tempo ci stanno pensando, troveranno una spinta ulteriore per traslocare. Sono le realtà di confine, che si percepiscono marginali rispetto a un centro (le Istituzioni, lo Stato, la Regione).
Si sentono abbandonati. Ora, la spiegazione prevalente è che il desiderio di muovere verso le altre regioni confinanti, a Statuto speciale, sia esclusivamente determinata dalle risorse (i schei) e da una sorta di “ritorno a casa”, alle origini (identità territoriale). Se non c’è dubbio che tali elementi costituiscano una molla importante, ciò non di meno non possono e non devono essere l’unica spiegazione. Allora, la vicenda di Sappada è utile come caso emblematico sul quale avviare una riflessione relativa al GOVERNO DI UN TERRITORIO DI FRONTE AI NUOVI SCENARI ECONOMICI E SOCIALI che stiamo vivendo. Il richiamo all’identità si acuisce perché I FLUSSI GLOBALI NEI QUALI SIAMO INSERITI GENERANO INCERTEZZA. Di qui la riscoperta delle tradizioni: dalle rievocazioni storiche, al cibo passando per la cultura, fino al mito della Serenissima è tutto una riscoperta.
Ma il significato attribuito a tutto ciò è diverso fra le generazioni: è identificazione per una parte dei più adulti, molto meno per I PIÙ GIOVANI. I quali comunque CERCANO un’identità, ma fatta di socialità, RELAZIONI, OPPORTUNITÀ che i territori possono offrire. Altrimenti si spostano. Perché IL LORO TERRITORIO È, nel contempo, QUI E IL MONDO. Solo una quota marginale della popolazione (ricerca Community Media Research) esprime un’appartenenza territoriale confinata al proprio paese o regione (localisti: 5,2%) e un’altra amplia l’identificazione al più all’Italia (italo-locali: 17,8%). Tutti gli altri (77,0%) manifestano orizzonti più estesi dell’appartenenza.
Sostenere che simili passaggi di confine rispondano a un ritorno alle proprie radici, può andare bene per la comunicazione politica, ma non al complesso fenomeno delle identità territoriali. Perché l’aspettativa è trovare territori che siano occasioni di relazioni (sociali ed economiche) e di opportunità di sviluppo (attrattività).
Il confine, appunto. Grazie a internet siamo sempre connessi col mondo. Le nuove tecnologie restringono, fino ad annullare, lo spazio e il tempo. Invece, CONTINUIAMO A RAGIONARE DI CONFINI AMMINISTRATIVI e di regolazione dei territori COME SE FOSSIMO ANCORA NELL’800.
I FLUSSI GLOBALI E LE NUOVE TECNOLOGIE della comunicazione, i processi di digitalizzazione e la Quarta Rivoluzione Industriale (che poi coinvolge l’intera società) CHIEDONO UNA RIVISITAZIONE DELL’IDEA DI STATO E DEI SUOI LIVELLI AMMINISTRATIVI. Che sono oltrepassati dai flussi di comunicazione e di mobilità degli oggetti e delle persone. Dunque, bisogna ripensare l’idea di confine all’interno di una prospettiva funzionale allo sviluppo socio-economico odierno e in prospettiva, fatto di reti e di addensamenti, riconoscendo le peculiarità dei territori.
Allora, facciamo un azzardo. Proviamo a pensare come potrebbe essere un livello di governance funzionale alla gestione e allo sviluppo di un territorio che – per economie di scala – deve avere un perimetro minimo che è l’attuale Nordest.
Al suo interno potremmo identificare l’AREA MONTANA Che da Trento e Bolzano coinvolge l’alto Veneto, la Carnia e le Alpi Giulie. L’economia di montagna ha le sue peculiarità in termini di gestione del territorio, di abitabilità, di necessità di servizi che non può essere gestito con criteri meramente economici.
Poi l’AREA PEDEMONTANA, caratterizzata dalla presenza dei tradizionali distretti industriali, dalla forte densità abitativa e dall’accentuata mobilità, che da Verona lambisce Udine come un’unica metropoli diffusa.
Quindi, la FASCIA LITORANEA che da Venezia giunge a Trieste caratterizzata da un’economia del mare e del turismo.
Non da ultimo, la FASCIA CHE COINVOLGE IL VERONESE FINO AL RODIGINO STRUTTURATA ATTORNO AL PO e caratterizzata da un’economia agricola.
CIASCUNA DI QUESTE PRESENTA PECULIARITÀ SOCIO-ECONOMICHE che andrebbero considerate e gestite attraverso servizi e programmazioni specifiche e dedicate.
Alla fine, resta una domanda. Perché vicende come quelle di Sappada si verificano più in Veneto piuttosto che in Lombardia o in Piemonte? È solo una questione della presenza di due regioni confinanti a Statuto speciale? È solo una questione di schei? Non credo.
C’è un tema più profondo. Veneto e Friuli Venezia Giulia hanno capoluoghi di regione, amministrativi, ma non riconosciuti come tali. All’interno delle singole province, poi, i capoluoghi subiscono la rivalità da parte delle cittadine più grosse. Non abbiamo un centro di riferimento, come Milano o Torino, che attragga, addensi e coaguli.
Non abbiamo classi dirigenti che esprimano progettualità di un respiro che vadano oltre il proprio confine, appunto, amministrativo o di rappresentanza. Che abbiano il coraggio di osare, anche oltre il consenso immediato, in un’epoca in cui si stanno scrivendo nuovi orizzonti. (Daniele Marini)

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LA FUGA PER L’AUTONOMIA DIVENTA SCORCIATOIA

di Fabio Bordignon, da “il Mattino” di Padova del 26/11/2017
Il confine può essere fattore di distinzione e conflitto. Ma anche fattore di attrazione, quando chi sta al di là del confine viene percepito come “simile” a noi, ma sembra stare “meglio” di noi: più ricco, considerato, provvisto di migliori servizi. Più autonomo. Scatta allora un senso di deprivazione relativa, e il desiderio di attraversare tale confine. È quanto sta avvenendo a Sappada. E che potrebbe avvenire per altri comuni veneti che chiedono di diventare friulani, trentini, sudtirolesi.
Intendiamoci, le ragioni di tipo identitario non mancano, per un comune che è stato friulano e si sente friulano. O, più precisamente, sente di appartenere a quella parte del Friuli settentrionale, di cultura germanofona, collocata più a Nord: al confine con l’Austria. Ma, più che la lingua, in questa vicenda sembrano contare fattori molto più “materiali”.

   Ad esempio quelli legati alle risorse per gli impianti sciistici di una perla alpina che, non a caso, il Friuli-Venezia Giulia è ben lieto di accogliere. Sappada fa parte di una lista di comuni aperta 12 anni fa da Lamon, che da allora attende di trasferirsi da Belluno a Trento. Casi simili si registrano anche in altre aree italiane e riguardano il passaggio fra regioni di “pari” statuto.

   Alcuni comuni ex-marchigiani sono già passati alla provincia di Rimini, altri sono in attesa di seguire lo stesso percorso. Anche in questi contesti conta l’identità romagnola, il fattore geografico (e orografico), la vicinanza al centro istituzionale. Ma conta anche il mito della buona amministrazione e dei servizi efficienti – quelli dell’Emilia-Romagna. Esattamente come per molti comuni veneti conta il mito dell’autonomia delle vicine regioni e province.
Così, mentre il Veneto è impegnato in una difficile trattativa per l’autonomia, si trova a subire l’abbandono di chi preferisce trovare una condizione di “specialità” – completa e immediata – attraverso la scorciatoia trans-frontaliera. Una singolare nemesi secessionista, per questa parte d’Italia e per un partito, come la Lega, che in passato ha immaginato patrie alternative. E anche in questa fase sembra alzare l’asticella delle proprie richieste fino a invocare la possibilità di trattenere, a livello locale, i 9/10 del prelievo fiscale: strategia negoziale o un modo per farsi dire No?

   Nel frattempo, la Lega federalista, interpretata oggi dai governatori del Nord, si trova a subire la passione autonomista dei cittadini veneti. Schiacciata tra il fenomeno della micro-secessione e la nuova Lega di Salvini, pronta a espungere il Nord dalla propria ragione sociale.
Peraltro, il virus della traslochite (copyright di Gian Antonio Stella) sembra produrre tensioni anche negli altri partiti, i cui rappresentanti, almeno per qualche giorno, riscoprono il rapporto con il territorio, dividendosi (anche) sulla base della regione di provenienza. Per alcune formazioni, come il M5s, vale invece la regola aurea che il popolo, quando si esprime, “ha sempre ragione”. Anche quando si propone di rompere l’unità nazionale, come in Catalogna. Oppure, come nel Regno Unito, prende decisioni di cui potrebbe pentirsi. Proprio di fronte al caso di Sappada, peraltro, viene da chiedersi se la volontà popolare abbia una “scadenza”, visto che l’iter del passaggio di regione si conclude a qualche lustro dalla consultazione referendaria.
La questione federalista, in questo modo, appare nelle mani di singoli attori. Affidata alle loro fughe in avanti, spesso orientate da interessi “particolari” o dal calcolo politico. Che rischiano di portare al nulla di fatto, o addirittura di innescare conseguenze di segno inverso. Mentre appare quasi impossibile una (re)visione “di sistema”, che nel caso italiano significherebbe rimettere in discussione, a 360 gradi, il tema delle autonomie. Rispondendo a una esigenza che appare ormai ineludibile, ma, per le stesse ragioni, quasi irrealizzabile: portare la democrazia “più vicino” ai cittadini. Senza perdere di vista l’interesse generale. (Fabio Bordignon)

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L’IDENTITÀ DELLA MONTAGNA NON RESISTE SENZA I GIOVANI

di Francesco Jori, da “il Mattino di Padova” del 1/6/2017
– In Veneto spicca da sempre l’assenza di un progetto organico per le Terre alte; prevale la visione come appendice della domenica, il luna park del week end –
BELLUNO. “Quel mazzolin di fiori / che viene da Taiwan…”. L’onda lunga della globalizzazione ci costringe ad aggiornare perfino il testo di una delle più classiche canzoni di montagna, anche ai fini pratici: potrebbe perfino costare di meno di quello locale; e per di più essendo sintetico (finto fresco), ci esimerebbe anche dallo stare attenti al “bada ben che nol se bagna”.
È la conseguenza di un mondo senza muri, che mettendoci tutti in rete ci omologa, provocando spaesamento perché cancella i legami con la terra e rende tutti i posti del mondo uguali: alimentando una sorta di Mc Donald’s del vivere.
E generando, come controspinta, un riflusso nel localismo a volte esasperato; che a sua volta alimenta una domanda di autonomia, illudendosi che sia il toccasana. È condita anche con questi ingredienti, la richiesta di Belluno di un referendum che la sganci da Venezia; e che tocca comunque un tema più generale, quello dell’identità di montagna, colpevolmente trascurato dalle classi dirigenti venete, specie politiche, fin dalla prima Repubblica.
Il tema vero, in questo contesto, non è rivedere le regole o aumentare i soldi da portare a casa, ma una questione culturale di fondo: come preservare la montagna dal globale senza rinchiudersi nel locale; in altri termini, come costruire una propria identità in chiave moderna.      La montagna come fonte di identità: potete trovare un sindaco che tiene botta se gli chiudono la fabbrica o la farmacia, ma nessuno se gli si chiude la scuola; non solo perché i genitori vanno a protestare sotto il municipio, ma soprattutto perché la scuola è il caposaldo dell’identità locale. Al punto che ci sono stati Comuni (tra cui Sovramonte), disposti ad “affittare” bambini da altri centri per poter tenere aperte le scuole. Nel caso specifico del Bellunese, occorre ricordare che tutti i suoi 64 Comuni sono in area montana, che la loro popolazione è tra le più vecchie dell’intero arco alpino, e che nessuno presenta un saldo naturale positivo, anzi che ci sono aree a rischio abbandono.
A fronte di tutto ciò, in Veneto spicca da sempre l’assenza di un progetto organico per la montagna. Prevale una sua visione da fuori come l’appendice della domenica, il distretto dell’intrattenimento, il luna-park del fine settimana: si incentivano le infrastrutture anche attingendo a fondi Ue per portare turismo, intasando le vallate alpine nei fine settimana, e facendo diventare patologico in alcune aree il fenomeno delle seconde case (vedi l’altopiano di Asiago, dove rappresentano il 70 per cento del patrimonio edilizio), che nel lungo periodo non portano grandi benefici al territorio, anzi. Esiste inoltre il grave problema dell’invecchiamento della popolazione, come segnala una vecchia canzone del Comelico: “Quando muore un vecchio – se ne vanno le radici del paese – se ne va questo povero paese – verso un inverno, freddo – e forse un’altra primavera – per noi non verrà più”.
Viceversa, la dissennata urbanistica degli anni Settanta ha finito per smembrare le funzioni e disperdere i paesi, provocando la rottura delle relazioni e del tessuto sociale. Sopravvivono, e sempre più a stento, vecchie istituzioni come la parrocchia; ma famiglie e giovani tendono ad andarsene.
Se viste in un simile contesto, rischiano di rivelarsi velleitarie le iniziative dei non pochi Comuni che in passato alla spicciolata hanno provato (inutilmente) ad andarsene dal Veneto: il solo che ha portato a casa un primo risultato è Sappada.
Il fatto è che l’autonomia non è una concessione scritta su un pezzo di carta, ma una conquista realizzata attraverso il sapere autonomo; e per riuscirci bisogna investire sulle intelligenze, perché se non si genera una conoscenza vera non si diventa mai autonomi, come segnalava a suo tempo il feltrino Silvio Guarnieri.
L’identità non può essere mantenuta quando i giovani devono lasciare il loro territorio per studiare o trovare un lavoro: se oggi assistiamo a una nuova emigrazione di tipo intellettuale, è soprattutto per un bisogno di autorealizzazione al quale il territorio non è in grado di dare risposta. Esemplare la vicenda dell’università persa da Feltre dopo una quarantina d’anni, ma soprattutto l’incapacità del Bellunese di trovare un’alternativa condivisa. Ecco perché la risposta non è chiudersi, ma l’esatto contrario: aprirsi, costruendo le giuste alleanze. Quello che nessun partito in Veneto, di ieri e di oggi, ha mai saputo fare. (Francesco Jori)

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VENETO: EFFETTO DOMINO, 18 COMUNI ORA SPERANO

di Francesco Dal Mas, da “Il Corriere della Alpi” del 24/11/2017
BELLUNO – Esplode l’effetto domino. Sono 33 i Comuni veneti che, attraverso il referendum, hanno chiesto di fare le valige, chi verso Trento e Bolzano, chi in Friuli Venezia Giulia. In 18 casi, SAPPADA compresa, l’esito è stato positivo e già da tempo è avviato il percorso parlamentare.
In queste ore, da LAMON all’ALTOPIANO DI ASIAGO, scendendo a valle fino a CINTO CAOMAGGIORE si stanno riscaldano i motori. L’onorevole Simonetta Rubinato, Pd, ancora indispettita per il sì a Sappada, ha incontrato ieri Vania Malacarne (ex sindaco per otto anni di Lamon) per mettersi a disposizione del paese del fagiolo, il primo comune a rivendicare la secessione.
Francesco Rodeghiero, coordinatore del Comitato per il referendum dell’Altopiano di Asiago, è sceso a Roma, l’altro ieri, per riprendere i contatti parlamentari e ieri ha mobilitato i colleghi di PEDEMONTE (Vicenza) per la ripresa dell’iter.
A Cinto Caomaggiore è il sindaco a recuperare la regia. Lungo il confine del Livenza, sono i Comuni di CORDIGNANO, SARMEDE, FREGONA, GAIARINE, MANSUÈ a dare la sveglia referendaria. Anche nei 15 Comuni dove questa prova non ha superato il quorum, però, sta ritornando la voglia di riprovarci.
A SAN MICHELE AL TAGLIAMENTO, ad esempio, dove ci si recò alle urne il 30 maggio 2005, senza esito. Il primo voto utile è stato quello di Lamon, il 31 ottobre dello stesso anno.
Nella XV legislatura la prima Commissione della Camera, nella seduta del 26 luglio 2007, concluse l’esame in sede referente delle due proposte di legge costituzionale, una di iniziativa governativa e una parlamentare. Lo stesso accadde il 28 ottobre 2008, nella legislatura successiva. Nella XVII sono stati presentati alla Camera ben quattro ddl di cui due di natura costituzionale. Al Senato un quinto ddl. Risultato? Calma e gesso.
Da qui la disponibilità data ieri dall’onorevole Rubinato. Il 27 marzo 2006 sono andati al voto Cinto Caomaggiore, GRUARO, PRAMAGGIORE, TEGLIO VENETO. Solo il primo ha superato l’asticella. Nella XV legislatura è stato depositato un ddl costituzionale, di iniziativa governativa, di cui però non è iniziato l’esame. Senza esito anche il ddl esaminato in commissione a Palazzo Madama.
Nella XVI legislatura, la 1ª Commissione, il 10 luglio 2012, ha avviato analogo percorso e in quell’occasione il relatore Ceccanti (PD) ha rilevato, tra l’altro, che “le due regioni hanno espresso il consenso”, ricordando altresì che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 66 del 2007, ha chiarito che il distacco e l’aggregazione dei Comuni può essere realizzata con legge ordinaria, anche quando siano coinvolte regioni a statuto speciale.
Nella XVII legislatura è stato presentato alla Camera, da Zanin e Moretto, un nuovo ddl, così pure al Senato. Ma l’iter è bloccato. Il 9 ottobre 2006 è passato SOVRAMONTE, e l’anno successivo, il 7 maggio, l’intero Altopiano di Asiago. Per Sovramonte, nella XV legislatura, il ddl assegnato alla prima Commissione l’8 maggio 2007 non ha avuto esito. Nella legislatura successiva si è proceduto con un ddl di Bressa. Assegnato alla 1ª Commissione il 5 settembre 2008, è rimasto nel cassetto.
Nella XVII legislatura sono stati recapitati, sempre alla “Affari Costituzionali” un ddl e un pdl, il primo di Bellot, il secondo di D’Incà. Come nulla fosse accaduto. E di un comportamento analogo si lamentano i Comuni dell’Altopiano, ASIAGO, CONCO, ENEGO, FOZA, GALLIO, LUSIANA, ROANA, ROTZO.
Bloccati i ddl costituzionali alla Camera e al Senato del leghista trentino Divina, nella XV legislatura. Neppure nella legislatura successiva si è andati avanti con i ddl proposti da Stefani e Divina. È arrivata la XVII legislatura. Il ddl presentato da Divina non risulta essere stato neppure assegnato.
Il 29 ottobre 2007 sono andati alle urne CORTINA, COLLE SANTA LUCIA, LIVINALLONGO, stravince il sì. Nella XVI legislatura vengono depositati alla Camera ben tre disegni di legge costituzionale, di Zeller e di Bressa e uno al Senato (Vaccari). Assegnati alle Commissioni affari costituzionali, sono rimasti privi di esame. Bressa ci ha riprovato, la legislatura successiva, a Montecitorio, e Zeller ha fatto altrettanto a Palazzo Madama.
Il primo ddl non è stato nemmeno assegnato, il secondo sì, ma senza esito. Il 10 marzo 2008 si sono presentati alle urne Pedemonte e Sappada. Per Plodn sappiamo come andata a finire. Per il ritorno di Pedemonte in Trentino, Divina ha proposto due ddl, di cui uno di natura costituzionale, nella XVI legislatura, ma è rimasto ai blocchi di partenza in prima commissione. Divina ha fatto altrettanto, in Senato, nella legislatura successiva, tuttavia senza riscontri. Nella XVII legislatura i ddl sono diventati 3, di cui uno anche alla Camera. Ma Pedemonte è rimasta a guardare.
Nello stesso anno non hanno superato il quorum MEDUNA DI LIVENZA e nel 2013 neppure ARSIÈ, CANALE D’AGORDO, CESIOMAGGIORE, FALCADE, FELTRE, GOSALDO, ROCCA PIETORE, PIEVE DI CADORE. Ce l’ha fatta, invece, TAIBON AGORDINO, per il quale, però, non si è curato nessun parlamentare. E nessuno nemmeno per VOLTAGO AGORDINO nel 2014. Anno in cui si sono recati alle urne pure COMELICO SUPERIORE ed AURONZO, di fatto restando al palo. (Francesco Dal Mas)

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IL CADORE

da www.nuovocadore.it/

l Cadore si trova in una splendida posizione panoramica e costituisce uno dei più belli ed incantevoli territori d’Italia, avendo caratteristiche proprie ben distinte sia dal punto di vista geologico che dal punto di vista storico.

Ha una superficie di 1.427,221 chilometri quadrati ed è composto da 22 comuni, per un totale di circa 32.000 abitanti: Pieve, che è il maggior centro, Auronzo, il più esteso, San Vito, Borca, Vodo, Cibiana, Valle, Perarolo, Ospitale, Calalzo, Domegge, Lozzo, Vigo, Lorenzago, Santo Stefano, San Pietro, SAPPADA, San Nicolò di Comelico, Comelico Superiore, Danta, Zoppè, Selva.

Confina a Nord Nord-Ovest con la provincia di Bolzano (Val Pusteria) e con l’Austria, a Est Sud-Est con le province di Pordenone ed Udine, a Sud con la zona del Bellunese ed a Ovest con l’Agordino e lo Zoldano.

Geograficamente il Cadore comprende tutto il bacino del fiume Piave dalla sua sorgente sul monte Peralba alla località di Termine.
La sua linea di confine segue lo spartiacque dell’intero bacino come segue:
• verso Est: partendo da Termine i monti che dividono il Cadore dalla Carnia: il Duranno, gli Spalti di Toro, il Cridola e la Terza Grande.
• verso Nord: da Cima Sappada al Monte Peralba fino al valico di Monte Croce Comelico. La linea continua verso il Monte Popera, la Croda dei Toni, le Tre Cime di Lavaredo fino al Monte Cristallo e alla Croda Rossa;
• verso Ovest: il Cadore è diviso dalla valle della Pusteria e della Val Badia dallo spartiacque composto da Croda del Becco, Fanes, Monte Cavallo fino a raggiungere il Passo Falzarego e Tra Sassi. Lo separa dalle zone dell’Agordino e dello Zoldano lo spartiacque delle valli dei fiumi Maè e Cordevole composto da maestosi gruppi montuosi quali Nuvolau, Pelmo, Bosconero.

Questi in breve i confini naturali, diversi da quelli amministrativi attuali, entro i quali vengono compresi il comune di Sappada, che fece parte del Cadore durante il dominio dei Caminesi (1077-1337) e la zona dell’Ampezzano.
Anticamente era più esteso che attualmente, infatti il Cadore “storico” comprendeva nei suoi confini Caprile, Livinallongo, Colle S. Lucia, una parte di Agordo, Zoldo, Barcis, Claut, Cimolais e il già citato Ampezzo. Attualmente ne possiamo notare ancora qualche traccia nelle divisioni amministrative in quanto alcuni territori, malgrado siano posti al di là dei confini naturali sopra citati, sono considerati Cadorini: Selva, Zoppè, alcune zone della Val Fiorentina (comune di S. Vito), Valle del Rio Popena, Rimbianco e Monte Piana.

Tradizionalmente il Cadore viene suddiviso nelle seguenti sub-regioni, dei territori minori che hanno, più che origini geografiche, origini storiche:
Basso Cadore: la parte occidentale da Termine a Perarolo fino a Valle, ovvero il canale del Piave fino al tratto terminale del Bòite;
Centro Cadore: il versante destro del fiume Piave dall’inserimento di Bòite ed Ansiei, ovvero la zona di Pieve di Cadore, Calalzo, Domegge fino a Lozzo;
Oltrepiave: il versante sinistro del fiume Piave, ovvero Vigo, Lorenzago fino al Passo della Mauria;
Auronzo: comprende tutto il bacino dell’Ansiei da Cima Gogna a Misurina fino alle Tre Cime di Lavaredo;
Comelico: l’alta valle del Piave da Santo Stefano verso Sappada fino all’orrido dell’Acquatona ed alla Val Visdende (Comelico Inferiore) e dall’altra parte la valle del Padola fino al valico Monte Croce (Comelico Superiore);
Sappada: sotto il monte Peralba fino al valico di Cima Sappada e alle sorgenti del fiume Piave sul monte stesso;
Oltrechiusa: dalla Chiusa di Venas fino ai confini della zona dell’Ampezzano, comprendendo quindi tutto il medio corso del Bòite;
Ampezzano: tutto l’alto bacino del Bòite fino alla linea dello spartiacque sopra descritto;
Oltremonti: Selva, Zoppè e Pescul oltre la Forcella Forada.

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