Geolibri – “BIBO, DALLA PALUDE AI CEMENTI. UNA STORIA ESEMPLARE” di Nadia Breda – I PALU’ di San Vendemiano (Veneto Orientale) sventrati dal passaggio di un’autostrada (la A28) – Si poteva far meno danno, salvaguardando il territorio e costruendo la strada. Ma non si è voluto

Area agricola e naturale dei PALU’ di Zoppè, ora a pochi metri dall'A28 – Zoppè (frazione di San Vendemiano) è una delle località dei palù tra Monticano e Livenza, dove sopravvivono ancora alcune aree di questo particolare assetto territoriale naturalistico di grande valenza storica e ambientale (i PALU’), caratterizzato da acque di risorgiva, e che risulta (risultava?) ancora in buona parte incontaminato. - L'autostrada A28 è stata portata a termine nel mese di dicembre 2010, intersecando da est a ovest buona parte di queste aree naturali e modificandone l'assetto secolare

Per un’intuizione atavica, per aver visto sulle carte una terra integra e acque sotterranee, campi senza case, dopo aver riempito tutti gli altri spazi e averne individuato uno ancora libero, alcuni coltivatori di strade hanno collocato in queste terre un oggetto estraneo: una strada. Una auto-strada.  E così è capitato che, nei luoghi degli uomini antichi, coltivatori di strade e coltivatori di terre si siano incontrati e scontrati.   Solo per questo singolare motivo queste acque sono state dimensionate, pesate, valutate, questa terra fotografata, descritta, indagata, i suoi vocaboli usati dai poeti, la sua storia sviscerata, il suo uso studiato dagli antropologi, e antiche rappresentazioni pittoriche sono state rinvenute. Elicotteri hanno spiato dall’alto queste acque, e piedi importanti di soprintendenti e di ministri hanno calpestato queste minuscole terre e preso decisioni su di esse.  Ma vent’anni fa, quando la storia della strada è cominciata, di questi luoghi poco si sapeva.” (…) (Nadia Breda, da “Bibo, dalla palude ai cementi. Una storia esemplare”)

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   Ecco, questo articolo del blog è dedicato proprio a “una storia esemplare”. Una storia descritta nel libro di Nadia Breda (vissuta sulla sua pelle si potrebbe dire, ed è anche, tra le tante cose che questo libro rappresenta, un’autobiografia della propria infanzia sui luoghi vissuti e sui personaggi di famiglia…), dal titolo appena qui sopra citato. Ne riportiamo alcune righe, qui di seguito, alternandole alle nostre osservazioni dopo aver letto il libro, che ben vi consigliamo (ma difficile rendere la complessità di un’opera di 180 pagine…). 

La copertina del libro di Nadia Breda, “Bibo, dalla palude ai cementi. Una storia esemplare” ed. Cisu – Il libro (euro 22,00) si può trovare a Treviso alla Libreria Canova, o al Centro del Libro di Fiera; a Vittorio Veneto al Punto; a Conegliano alla libreria “Quartiere Latino” – oppure ordinandolo direttamente alla Casa Editrice CISU (Centro d’Informazione e Stampa Universitaria) di Roma, attraverso la mail info@cisu.it o andando al sito http://www.cisu.it

   Si viene a parlare di come un luogo, i Palù di San Vendemiano (poi spieghiamo cosa e dove sono) e la sua gente, sia sconvolto, prima dalla notizia, dal progetto, che di lì si vuol far passare un’autostrada; poi dal lungo e defatigante iter di approvazione preliminare, definitiva, esecutiva (e le osservazioni, le opposizioni, le proposte migliorative, i colpi di scena nell’iter burocratico…), fino a dover soccombere alla concreta realizzazione di quest’autostrada, dove ogni ragione ambientale, ogni proposta alternativa, viene superata dalla “ragion di stato”, dalla “priorità” di dare risposte (è da discutere se son risposte virtuose…) all’emergenza trasportistica; alla gente che “chiede strade”.

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   Il luogo di cui parliamo è l’ambiente naturalistico situato nell’area del Veneto Orientale a ridosso del confine friulano, identificabile nella parte sud dell’asse tra Conegliano e Sacile, e più specificamente un’area che viene chiamata come “Palù di San Vendemiano” comprendente superfici oltre che del suddetto comune di San Vendemiano, anche di quelli di San Fior, Godega Sant’Urbano, Orsago e Codognè. Ebbene questi territori di risorgiva, tra alta e bassa pianura, di altissimo pregio naturalistico, ma anche storico (alcuni paesaggi riportano a “modi organizzativi” rurali che potrebbero risalire al Medioevo), questi territori sono stati di fatto sventrati (lo possiamo dire, ma senza vena polemica, è la realtà…) dal completamento di un’autostrada, la A28, che collega appunto la parte orientale del Veneto con il Friuli (sia verso Pordenone che a sud-est verso Portogruaro e da lì Udine e Trieste…).   

Nella foto, Giorgio Sarto, senatore dei “Verdi-l’Ulivo” dal 1996 al 2001, urbanista e architetto di Mestre-Venezia: importante la sua azione, in quelli anni decisivi per la costruzione dell’ultimo lotto dell’autostrada, volta a trovare una soluzione alternativa al completamento dell’A28 salvaguardando i Palù di San Vendemiano – A lui, ad Andrea Mattarollo del WWF (http://www.illeonedorme.it/), e alle bambine del borgo è dedicato il libro

   L’ultimo tratto da completare della A28, tra Sacile Ovest e Conegliano (13 chilometri e mezzo) è stata realizzata in due lotti, e l’ultimo lotto (il n. 29) di 4 chilometri di collegamento con Conegliano e con un’altra autostrada (la A27 Mestre-Belluno, detta Alemagna perché originariamente doveva arrivare in Germania, cioè Monaco, ma i sudtirolesi non la hanno voluta…), l’ultimo lotto di quattro chilometri della A28 passa appunto per quest’area di grande pregio dei palù (chiara, nel nome, la derivazione antica da “palude”), fatta di risorgive (l’acqua sotterranea delle dorsali prealpine che lì appunto “esce”) con un’organizzazione rurale che ancora faticosamente si è mantenuta integra, o quasi, rispetto al caos totale del territorio agricolo della pianura veneta. 

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(…) “E così quando vent’anni fa ci riunimmo a casa di Pietro (una casa in mezzo ai palù), ad ascoltare un amministratore che apriva grandi fogli, e spiegava che una grande strada sarebbe passata su queste terre, in mezzo alle sère (ndr da altra pagina del libro: le sère era il luogo dove crescevano in abbondanza quelle canne di palude –erbe lunghe, nastriforme, grasse e spadose- dette appunto sère, tife in italiano) e ai palù, c’ero anch’io in mezzo a quei contadini –io che ascoltavo- con mio padre, a veder nascere questa nuova storia. L’amministratore spiegava che erano decisioni irrevocabili, che bisognava comportarsi bene, che “non dovevamo accoglierli con il forcone”, i coltivatori di strade, quando fossero arrivati, di lì a poco. Diceva che l’amministrazione avrebbe chiesto, come compenso del danno, la costruzione di un velodromo. Intanto lui ci avrebbe tenuto aggiornati. I contadini quasi non sapevano cosa fosse un velodromo:” (…) (Nadia Breda, dal libro)

l'A28

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   Un libro molto rigoroso quello di Nadia Breda (nella scrittura, nelle descrizioni, nei contenuti). Sui vari piani in cui si muove, ogni cosa “è al suo posto”. Quando parla dei suoi avi (a partire dal Bibo, che sarebbe un prozio, un fratello del nonno, uomo disadattato al mondo “normale” ma che si innesta spontaneamente nella cultura contadina, nei lavori da fare, in quel mondo rurale del secolo scorso prima che lo sviluppo industriale e il benessere consumistico eliminasse del tutto quella civiltà). E’ assai rigorosa, l’autrice, quando traccia scientificamente le caratteristiche, ambientali, paesaggistiche, del sistema virtuoso delle acque di risorgiva dei Palù. Ma anche quando lei stessa si addentra nei meandri della politica, dei mass-media, delle procedure amministrative, cioè di tutto quel mondo che si mette in moto quando una grande opera, come un’autostrada, viene a interessare (servitù di passaggio) un territorio, che così inesorabilmente cambia, non è più lui.

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   (…) “E fossi, e siepi sopra i fossi, e campi attorno alle siepi sopra i fossi furono sistemati dagli uomini antichi in modo che non ombreggiasse troppo, né da una parte né dall’altra, in modo che l’acqua non fosse invadente né troppo scarsa, ma irretita in un reticolo diffuso, che creava una geometria perfetta. Quando tracciarono l’autostrada sulle carte, la disegnarono sulla linea delle risorgive, calpestando geometrie di terre, impostandola in senso trasversale all’allineamento dei campi e delle siepi e dei fossi, voluto da questi uomini antichi. Una strada-diagonale. Una strada de travèrs, una strada di traverso, dissero i contadini. Sconvolsero le acque e il loro schieramento, ruppero righe di siepi, spezzarono i campi. Non valsero le rimostranze, il dire con forza che quei pochi metri di risorgiva erano un accordo, un segno e un confine, e che in base a quel fenomeno naturale era stata decisa da secoli la distribuzione delle terre. Non valse dimostrare che c’era un pensiero in quelle terre difficili, conviventi dell’acqua.” (…) (Nadia Breda, sempre dal libro)

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    Passionale, oltre che scientificamente attenta, Nadia Breda, nel raccontare la storia, la vicenda, da un’angolatura sua intimamente personale (fatta anche di sogni raccontati, di guidate farneticazioni date dal dolore o dal senso di rivolta), del legame con i suoi avi. Una narrazione che ritroviamo poi addentrarsi, senza mai dirlo, nella “difficoltà” di chi “ha studiato” (lei antropologa) e proviene da una civiltà contadina con nessuna dimestichezza di libri (ma di grande esperienza vissuta dei processi di vita). Pertanto, se il padre si rifiuta di opporsi all’autostrada con i mezzi politici e giuridici (“ci sono i sindacati degli agricoltori”) che magari “uno che ha studiato” può essere in grado di usare (questi strumenti politici e giuridici), dall’altra entrambi, il padre contadino (che ora non c’è più) e la figlia antropologa, sembrano percepire la “fine di un mondo”: un accadimento, un processo, che ad esempio Pasolini chiamava “il genocidio culturale”: un passaggio clamoroso, in pochissimi anni, da una civiltà ancora totalmente contadina ad una consumistica fatta sì di ricchezza e forse maggiori opportunità, ma anche di (non)valori, di “consumo”, di dissipatezza, di nuovo tipo di (non)comunicazione di massa (la televisione).

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(…) “Mio padre in quelle grandi carte aveva visto l’autostrada sopra le sue terre nelle sère, terre così piccole che nessuno ci faceva caso… disse che non avrebbe mai creduto che una strada così larga potesse accamparsi nella sua terra: c’era sempre sembrata così piccola, la sua terra, e ora venivamo a sapere che poteva contenere un’enorme autostrada! Lo svincolo autostradale di approdo è grande almeno venti volte il borgo degli uomini antichi: una sproporzione che basta guardare le carte topografiche per essere angosciati. Credo che mio padre abbia pianto, quella notte. Perché ho pianto anch’io.” (…) (Nadia Breda, sempre dal libro)

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   La (quasi) fine della civiltà dei Palù, a San Vendemiano, imposta dal passaggio di un’autostrada, di fatto si faceva sentire già prima (vent’anni prima dell’arrivo dell’autostrada, dice l’autrice). Con la minor attenzione dei contadini a quella terra preziosa; il loro passaggio appunto, ad essere voluti dalla società, come “imprenditori agricoli” e (chissà perché) il guardare a quella stessa terra forse con meno amore (solo distruggendo e inquinando la terra si può far maggior reddito?). Il poeta Andrea Zanzotto ha una volta espresso una sua teoria in merito al fatto che sono spesso i contadini i “maggiori nemici” della terra che per tante generazioni hanno lavorato. Secondo il poeta questo è dovuto a una specie di vendetta, di rivolta nei confronti della terra “nemica”, che per tanto tempo essi, contadini, hanno dovuto piegare la schiena su di essa, a togliere i sassi, nell’aratura, nella semina, nella raccolta, nei magri risultati; il tutto fatto appunto con grande dolorosa fatica; ed ora, nei decenni recenti, vi è quasi una vendetta nel voler “trattarla male”. Ipotesi suggestiva, interessante, a spiegare perché i “veneti poveri” del dopoguerra, ora relativamente ricchi, che si sono così accaniti sul loro paesaggio.

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   (…) “Per anni io li studio e li sorveglio con la speranza che la conoscenza, la documentazione scientifica, la riflessione oggettiva renda coscienti le decisioni politiche, che si cambi rotta, che non si violenti questa terra. Scopro che i palù sono una pausa, un respiro.  Sono la notte nei giorni degli uomini, il limite, un punto nevralgico mai violato da infrastrutture rigide. Nei palù non ci si arriva dalle strade principali, non ci si arriva in automobile. Bisogna “andare” verso i palù, abbandonare qualsiasi meccanizzazione e addentrarvisi “con cautela”. Un silenzio, i palù, fino ad oggi non abitati, né infrastrutturati.   Percorsi sì, utilizzati, conosciuti, coltivati. Senza la mano dell’uomo contadino, che trasformò un lago in palude, una palude in palù, essi oggi non ci sarebbero.   Ma case no, strade no, costruzioni no: i palù erano un dentro nel quale non si costruiva. Stradine di campagna, labirinti, reticoli, esili passaggi sbarrati da fossi e corsi d’acqua, rogge dritte o serpeggianti, anche questo sono i palù.   Nessuna casa nei palù. Nessuna costruzione. Impossibile portarci le fabbriche: i loro camion si infangherebbero. Miracoloso vuoto, questi palù nel nord est megalopoli padana” (…) (Nadia Breda, dal libro)

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   Esistevano alternative possibili a quei 4 chilometri di autostrada in mezzo ai palù, a sventrare irrimediabilmente un paesaggio, che ora deve fare i conti con una servitù predominante. L’autostrada non è solo il nastro che si distende con i suoi cinquanta metri di larghezza: è anche i caselli che occupano spazi enormi inimmaginabili -far convogliare tutte le direttrici in un unico punto- (nel caso specifico il casello di Godega di Sant’Urbano inaugurato nel dicembre scorso); ed ancor di più sono impattanti le cosiddette “opere di adduzione”: nuove strade che servono per poterla raggiungere l’autostrada, rotatorie, opere connesse, con la necessità di fare l’opera in semi-rilevato perché  va in direzione “contro natura” (est-ovest) rispetto al sistema nord-sud di scolo, pendenza delle acqua dalle prealpi alla pianura-mare…. L’alternativa era uno spostamento di quei quattro chilometri affiancando il tracciato alla ferrovia a nord, meno impattante, e in alcuni tratti forse (pensiamo noi) adottando sistemi a galleria che oramai riescono ad esprimere tecnologie avanzatissime anche in luoghi di grande difficoltà ambientale (nel nord Europa, in Olanda, si costruiscono gallerie stradali in luoghi sotto il livello del mare…).

   Nadia Breda, nella parte finale del libro, riporta la corrispondenza avuta con un senatore (dal 1996 al 2001, dei verdi), Giorgio Sarto (urbanista e architetto veneziano) mettendo in rilievo la sua azione politica fatta per conciliare “l’esigenza del collegamento stradale” con il mantenimento del paesaggio a palù, dei sistemi naturali (Sarto su questo si è positivamente distinto, anche con grande efficacia politica, non solo per la A28 ma anche per la costruenda superstrada pedemontana veneta). Una capacità politica, la sua, di Giorgio Sarto, legata anche al fatto di dover trattare un tema che angosciava e cambiava la vita a tante persone (il venire a contatto con grandi infrastrutture, nei propri luoghi di vita, cambia e sconvolge equilibri personali consolidati).

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(…) “I momenti in cui gli ambientalisti e le loro associazioni sono stati insultati, erano i momenti in cui erano più forti, in cui stavano per vincere la battaglia. (…) Così le proposte degli ambientalisti sono state, per i canìba, solo impedimenti, le loro ragioni solo teorie, i dubbi sono stati definiti inganni e ostacoli pretestuosi, le informazioni che essi apportano sono state definite mistificazioni, le ragioni dell’ambiente intenti ostruzionistici, le risorgive storielle inventate. Il WWF è un’associazione di privati che intralcia per i suoi privati interessi il buon fare degli amministratori pubblici. – Basta con questi pasdaran dell’ambiente. – Condannate gli ambientalisti!   Gli ambientalisti verranno “condannati davvero. Alla fine dei due ricorsi che il WWF sostenne, entrambi persi, gli ambientalisti vennero condannati, anche pecuniariamente al pagamento delle spese di causa. ‘Ambientalisti condannati a pagare trenta milioni’. La nostra sconfitta non fu solo giuridica e monetaria. Fu l’umiliazione, la cosa più brutta. Il senso di intimidazione che provammo, il sentimento che ci stessero dicendo che era meglio non riprovarci più…Senso di essere alberi sfrondati, recisi.” (Nadia Breda, dal libro)

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   Quella volta, i trenta milioni chiesti al WWF come spese processuali da pagare alla controparte, impressionò psicologicamente molto tutto il mondo ambientalista (del nordest, ma anche nazionale)… Un’azione di forza, “cattiva”, uno sgarro vero e proprio, la prevaricazione di non poter neanche addurre motivazioni legali (su leggi “di tutti”) per non disturbare il “manovratore”: un processo (di sviluppo?) che non aveva tempo e voglia di sentire voci contrarie. Le spese legali per gli Enti pubblici non son soldi “loro” e l’amministratore ha un “rapporto con esse” meno angosciante; e le grandi imprese private le mettono come costo nel conto economico; per l’aderente al circolo ambientalista son soldi da trovare in un bilancio finanziario personale, famigliare…

   In questa battaglia dura piace ricordare esempi anche di chi difende un principio ambientale e riesce a vincere: viene in mente, a proposito di “palù” (quelli del Quartier della Piave) quella condotta dall’allora sindaco di Moriago della Battaglia Pergentino Breda (non tutti i “piccoli” sindaci sono mediocri…) contro una grande ditta di produzione vitivinicola che aveva “invaso” i palù di quel comune con un progetto vitivinicolo del vino “prosecco” in un’area appunto, tutelata, dove non si doveva piantare viti: grandi interessi economici contro il piglio da “non soccombente” di un sindaco di un piccolo comune. Azione mediatica di grande forza della ditta vitivinicola contro il sindaco (striscioni e manifesti, con messaggi del tipo: “si ferma lo sviluppo e il benessere del territorio!”) e con il tentativo di coinvolgere gerarchie politiche ed ecclesiastiche; e dall’altra la resistenza del sindaco che alla fine riesce a vincere la sua battaglia: l’avanzata dei vitigni ad alto profitto economico in zone non consone, i palù di Moriago, è stata fermata.

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(…) “Agosto 2004 – E mentre i caniba pensano sempre a nuove strade, ecco il colpo di scena!   I palù che non esistevano e non dovevano esistere, ora ci sono, ben visibili e tra poco ben travolti dallo sbrego: i palù e le sère diventano, nell’agosto 2004, territori SIC, Siti di Interesse Comunitario, con il nome di ‘ambito fluviale del Livenza e corso inferiore del Monticano’ istituiti dalla stessa autorità (la Regione Veneto) che li devasta. (…) Il cannibalismo del territorio, una volta compiuto nei suoi più profondi e intimi processi, vuole una natura tutta natura, senza la sua gente, senza corpi sensitivi, senza amori e rabbie per la terra (…) Il cannibalismo del territorio, la nuova natura, vuole un ecosistema muto fatto di elenchi di flora e liste di fauna, senza dèi e fantasmi (…). Nel nuovo millennio, sère e palù tornano ad essere visibili, squarciati dall’autostrada e senza più tabù: ridotti a naturalità, biotopo, territorio, spazio, sito di interesse comunitario… Ad autostrada ottenuta, de-tabuizzati, de-sessualizzati, svuotati dei corpi contadini, svuotati dell’amore contadino, i palù verranno presentati dalle amministrazioni locali che ci hanno voluto l’autostrada come esempio di territorio di pregio. I palù con la loro autostrada.” (…) (Nadia Breda, dal libro)

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   La percezione di un territorio cambia da persona  a persona. Quel tratto di 4 chilometri dei palù per tanti, la maggior parte, è un ostacolo da superare, una “necessità di attraversamento”, di andar via veloci in un altro luogo (l’est… territorio ancora magico e sconosciuto, ripreso dall’autrice parlando del nonno…. “faranno una strada per l’est…”). Pertanto chi “deve solo passare”, andar lontano e velocemente in un altro luogo, lo “odia” quel territorio: è solo un inghippo, un ostacolo da superare; tempo che si perde. A volte qualcuno cerca di apprezzarlo (quel luogo da attraversare), di inchinarsi ad esso, conoscerlo; di “darsi tempo” nel suo viaggio; magari sceglie mezzi di trasporto più lenti ma che permettono di guardarsi attorno. Improbabile e impossibile per chi si sposta quotidianamente per lavoro. Ma tanti altri, per “non lavoro”, potrebbero andar più piano e guardare….

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LA PROPOSTA GEOGRAFICA DI DISEGNARE “AREE METROPOLITANE” IN OGNI DOVE

   Amore della continuità con il proprio passato, i propri avi, di trasmissione di quella continuità ai figli ….ed è forse questo il punto…. Per poter non sopravvivere ma “vivere”, dinamicamente, le aree di grande pregio naturalistico, ma anche storico (come alcuni significativi centri storici di paesi e città…. come la “Venezia-Museo” di adesso…) devono esprimere “autorevolezza” propria e “proposta di vita” autoctona, esportabile ad altri. Uscire così dalla situazione debole che lo sviluppo confuso e caotico del Nordest (ma anche altrove…) le ha relegate.

   Perché questo sviluppo fatto di “imprese, creatività e dedizione al lavoro”, che ci ha dato degli indubbi vantaggi e benessere, ha però pure dato spazio a speculatori che si sono arricchiti a danno di tutti (e dell’ambiente); a un mondo (politico, economico) che la terra la ha vista come solo elemento di speculazione fondiaria, di arricchimento. Nel “mitico Nordest” riconoscere questa “valenza ambientale” in via di inesorabile dissoluzione, fatta di acque sotterranee che appaiono, di mezza montagna ora abbandonata, di Polesine visto ai soli usi energetici (nucleare, carbone…), di lagune inquinate… non può essere guardare ad esse, a queste aree, slegate dal territorio che le circondano, complessivo, nel quale esse esistono.

   E’ emblematico che si preveda in Italia di organizzare e qualificare i territori in sole 9 “aree metropolitane” (nel Veneto l’area tra Venezia, Padova e Treviso). E il resto? … come viene viene…. E allora può accadere che i palù tra Sacile e Conegliano si devono “prendere carico” che un’autostrada passi sopra di loro, li annulli…. (una servitù di passaggio che cambia la natura del luogo). Se l’area pedemontana veneto-friulana avesse individuato in sè un’unica “città metropolitana” (tra Conegliano, Vittorio Veneto, Sacile…) più difficile sarebbe stato per le autorità forti e autorevoli di questa metropoli sacrificare il pregio ambientale di un territorio “dentro di sè”, della città, diverso dal resto ma “proprio”, fondamentale; un luogo (i palù) che esprime qualità e “condiziona il resto circostante” con la sua valenza ambientale…. (e invece il piccolo comune chiede in cambio un velodromo… peraltro mai realizzato…).

   Ecco è tutto. Vi invitiamo a leggere i libro (i modi per procurarselo sono indicati nel riquadro nella prima pagina dell’articolo del blog, che illustra la stessa copertina del libro).

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da: http://www.territorioveneto.it/interventi14.htm

AMBIENTE E NATURA DEI PALU’ DI S. VENDEMIANO

Note tecniche per una definizione dei valori ambientali e naturalistici dell’area e delle sue unità geografico-paesaggistiche (di Nadia Breda e Michele Zanetti)

   L’area genericamente indicata come “I Palù di S. Vendemiano” si colloca in termini geografico amministrativi nel territorio dell’alta pianura orientale della provincia di Treviso e comprende superfici appartenenti ai comuni di S. Vendemiano, di S. Fior, di Codognè, di Orsago e di Godega S. Urbano. (…) 

   Il fenomeno più rilevante in termini ambientali e la componente ambientale di maggior rilievo è comunque costituita dall’acqua. Copiose acque di natura sorgiva, dovute alla vicinanza delle dorsali prealpine, scorrono infatti in superficie, dopo essere emerse dal sottosuolo che ne risulta densamente permeato e che esprime per tale ragione la propria prevalente vocazione palustre.(…)

   La campagna dei Palù è, per questa ragione, una campagna tipicamente a misura d’uomo, caratterizzata da piccole proprietà fondiarie condotte direttamente e organizzate secondo il tradizionale modello produttivo che vede coesistere il seminativo annuale a rotazione, l’erbaio da sfalcio ed il vigneto. L’erbaio da sfalcio, ovvero le praterie da foraggio, occupano in particolare le superfici basse, permeate come tali da acque di scorrimento ipogeo e per questa ragione di elevata resa produttiva.(…)

   Anche l’insediamento risente delle particolari caratteristiche e vocazioni palustri della campagna; le abitazioni non sono infatti disperse, secondo il modello dell’insediamento puntiforme sparso tipico delle aree di bassa pianura del Veneto, bensì raggruppate in “colmelli”, spesso abitati da gente avente legami di parentela. La stessa soluzione di continuità che caratterizza l’insediamento determina la presenza di vaste superfici di campagna quasi del tutto priva di edifici: condizione assai rara nell’attuale ambiente rurale veneto, dove il processo di urbanizzazione ha distrutto pressoché completamente la trama storica del paesaggio agrario.(…) 

   Nell’area dei Palù la campagna risulta pertanto esprimere una situazione in antitesi con la monocoltura dominante nella bassa pianura e la complessità del paesaggio stesso si esprime innanzitutto mediante la presenza di un ricco e frammentato mosaico di colture.(…) 

   La trama del paesaggio agrario risulta disegnata dai ruscelli-scolina, dai ruscelli naturali e dai piccoli fiumi che solcano l’area con andamento reticolare. La dimensione media degli appezzamenti risulta generalmente ridotta, anche se negli ultimi decenni la tendenza all’accorpamento delle superfici ha cominciato a manifestarsi. Soprattutto il mosaico degli appezzamenti è segnato dalla presenza dei tipici elementi verticali del paesaggio agrario di pianura, costituiti dalle siepi, dalle siepi-alberate e dai filari arborei.(…) 

   Si tratta, in questo caso di un’autentica foresta reticolare, che chiude gli orizzonti visuali e favorisce un particolare microclima fresco-umido. Il binomio paesaggistico “prateria-alberata”, in particolare, esprime situazioni di pregio estetico elevatissimo ed evidenzia il valore dell’area anche in termini di archeologia del paesaggio, ovvero di situazioni letteralmente assimilabili a paesaggi agrari di tipo medioevale, attualmente estinti nella devastata campagna del Veneto industrializzato.(…)

   Le aree dotate di pregio ambientale, paesaggistico e naturalistico del Palù di S. Vendemiano, ovvero quelle che conservano un elevato livello di integrità, costituiscono un mosaico formato da superfici agro-fluviali contigue e disgiunte, di entità variabile tra alcune decine e qualche centinaio di ettari. Queste stesse sono costituite da tre macro unità: Le Sere, Le Sangole e I Palù, cui se ne affiancano altre, di minore superficie ma di pari importanza bio-ecologica.(…) – (PER IL TESTO INTEGRALE CONSULTARE IL SITO QUI SOPRAINDICATO)

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SCHEDA

L’autostrada A28 ha origine a Portogruaro dalla autostrada A4, passa per la città di Pordenone e dopo un percorso di poco più di 40 km termina a Conegliano. È stata per anni soprannominata l’eterna incompiuta, in quanto i lavori per il completamento sono durati 38 anni, bloccati a lungo da problemi legati all’impatto ambientale.

L’autostrada è stata aperta in diverse fasi:

– A4-Portogruaro – Pordenone il 31 dicembre 1974 (I lavori erano iniziati nel 1972.)

– Pordenone – Fontanafredda il 1 agosto 1992

– Fontanafredda – Sacile Est il 17 dicembre 1994

– Sacile Est – Sacile Ovest il 20 luglio 1996

– Sacile Ovest – Godega di Sant’Urbano dal 16 settembre 2006 al 1° settembre 2009, quindi riaperta il 23 ottobre 2010. La chiusura di tale tratto è stata determinata dalla protesta dei cittadini di Pianzano per l’intensità del traffico in uscita dallo svincolo di Godega che intasava le vie del paese. Lo svincolo di Godega di Sant’Urbano è stato invece chiuso fino al 10 dicembre escluso quando è stata aperta la bretella di collegamento con la SS13 Pontebbana che permette di evitare l’attraversamento del centro di Pianzano.

– Godega di Sant’Urbano – innesto A27 a Conegliano il 23 ottobre 2010. L’apertura di questa tratta è stata anticipata nei weekend di agosto 2010 per permettere di evitare il tratto critico dell’autostrada A4 tra Mestre e Portogruaro.

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A28 COMPLETATA: OGGI LA FINE DI UN ITER LUNGO 40 ANNI

(da “la Tribuna di Treviso.it del 10/12/2010)

GODEGA. L’inaugurazione e l’apertura avvenuta stamattina del casello di Godega, intermedio tra quelli di Sacile e San Vendemiano, rappresenta il completamento dell’autostrada A28, nodo di congiunzione tra Veneto e Friuli, arteria fortemente voluta da 40 anni per drenare il traffico di una Pontebbana sempre più intasata e sempre più teatro di incidenti gravi. Occhio però ai pedaggi: dal primo gennaio aumenteranno dell’11 per cento su tutta la rete autostradale gestita da Autovie Venete, quindi anche su A28 e A4.

Per Pietro Ciucci, presidente dell’Anas, “il casello di Godega dell’autostrada A28 e il collegamento tra la Statale 13 e la rete autostradale è importante per tutto il Nord Est d’Italia”. Secondo Ciucci, che ha partecipato stamattina alla breve cerimonia di inaugurazione, “il completamento dell’A28 è una pietra miliare nella storia della viabilità perché unisce Veneto e Friuli”. L’autostrada, stando a previsioni e studi, consentirà di ridurre di 40 minuti il tempo di percorrenza della tratta Portogruaro-Pordenone e ridurrà gli incidenti stradali sulla Pontebbana del 20 per cento. Una storia lunga 40 anni, quella dell’A28, fatta di progetti modificati e rinviati, numerosi stop della Commissione Via per questioni di tutela ambientale, comitati sul piede di guerra. Alla fine sulla necessità dell’arteria, completa delle opere accessorie, hanno convenuto quasi tutti. Il presidente del Veneto Luca Zaia ha chiesto scusa alle comunità locali per i ritardi di realizzazione, attribuendone la responsabilità “a chi veniva da Roma per spiegarci come si potevano fare le varianti di questa autostrada, che in molti casi non sarebbero servite”. Per gli automobilisti, prima costretti a imboccare l’autostrada a San Vendemiano o a Sacile, ora c’è un casello intermedio. Dal primo gennaio, però, ci sarà anche l’aumento dell’11 per cento su tutta la rete autostradale di Autovie Venete (A28 e A4 comprese).

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A28 GRATIS

da http://www.oggitreviso.it/ del 18/12/2010

Su Facebook sono oltre 3.560 le persone a chiedere la liberalizzazione del tratto veneto dell’A28

CONEGLIANO – Non ci stanno le migliaia di persone che ogni giorno devono percorre il nuovo tratto dell’A28, quello atteso per oltre quarant’anni e che collega Conegliano a Sacile, a dover pagare 1 euro e 20 centesimi per percorrere i 4 chilometri che separano il casello di San Vendemiano-Conegliano alla barriera di Cordignano, da cui il transito sull’A28 diventa gratuito.

Dopo le proteste dei giorni scorsi, ora anche il popolo di Facebook si mobilita. Sono già oltre 3.560 le persone che si sono iscritte al gruppo “A28 Cordignano – Conegliano gratis”, un gruppo che nelle ultime ore ha registrato anche l’adesione del sindaco di Conegliano, Alberto Maniero, e del suo predecessore, ore vice-presidente della provincia di Treviso, Floriano Zambon.

Dopo l’apertura del casello di Godega e l’aumento del 70% delle tariffa per percorrere i 4 chilometri (passata da 70 centesimi a 1,20 euro), sono migliaia le persone che a gran voce chiedono la liberalizzazione del tratto veneto dell’A28, così come avviene da anni sul tratto Sacile – Portogruaro.

C’è chi, nelle scorse ore, ha anche inviato una mail per chiedere ad Autovie Venete una spiegazione sugli aumenti della tariffa per percorrere questi pochi chilometri: «Fatevi sentire anche voi – scrive uno dei membri del gruppo di Facebook – magari dopo 3.524 mail a qualcuno viene in mente di fare qualcosa».

«Con 1,20 euro in pianura si dovrebbero percorrere 20 km – scrive sulla bacheca un’altra persona – quindi l’A28 costa il doppio delle altre strade». «Il fatto è – aggiunge un altro cittadino arrabbiato – che ti fanno anche pagare il tratto Cordignano – Portogruaro».

Ma c’è anche chi, infine, propone di boicottare l’uscita di Godega ritornando a percorrere la “vecchia” Pontebbana.

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Nadia BREDA

Bibo. Dalla palude ai cementi. Una storia esemplare

EDIZIONE “CISU” – Etnografia sperimentale, Sperimentazioni  2010 – € 8,00 – p. VIII + 184

   La scomparsa di un Veneto primigenio contadino e la violenza che caratterizza il Veneto contemporaneo, convertito in cupo distretto industriale, nella narrazione di una antropologa, la cui personale vicenda biografica attraversa questo lacerante passaggio e la costringe a fare i conti con le proprie origini, la memoria, la politica e la religione, con le questioni di genere e anche con il mutare del corpo, nella sua femminile fisicità.

   Ne risulta una narrazione vissuta che rende conto di una macerazione estrema, condotta fino ai limiti del possibile. L’autrice riversa in un raccontare  a tratti drammatico, a tratti gioioso, una polifonia di personaggi antichi ed attuali, dentro ad un paesaggio cosmico che ha annullato la scansione del tempo: un mondo apparentemente onirico e invece così vero, in cui tutto è contemporaneamente presente ed animato. Il risultato di quest’opera è un dialogo dagli accenti ora teneramente lirici, ora stemperati in una intelligente moderna ironia.

   Una  vicenda realmente accaduta è raccontata su piani diversi,  con diversi approcci: ad una narrazione letteraria quasi trasognata fa seguito un collage di voci e di documenti, per dare solida consistenza ai fatti e infine una puntuale cronologia dello svolgersi anche politico degli avvenimenti. Risultato compiuto di una ricerca sul campo, retrospettiva e obbligatoria, singolare per le circostanze e la condizione in cui essa è avvenuta: l’autrice è vissuta da sempre nello stesso luogo che rievoca. Reportage di una grande battaglia ambientalista, combattuta e documentata nel corso di oltre vent’anni, contro la realizzazione di una breve autostrada, colossale nella sua retorica progettuale.

   Una lenta e meditata rielaborazione interiore ha fortunosamente consentito che si producesse questo notevole esito letterario, in nome dell’amore per la Terra e per tutti gli esseri timidi, come le acque e come il vecchio Bibo, emblema mitico e personaggio storico di questo libro.  Roberto Masiero  (vedi sito del CISU )

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GIANNI BELLONI, da

 http://www.estnord.it/content/view/1169/ , 10/11/2010

   Che succede agli uomini e alle donne quando sui loro luoghi di vita viene costruita un’autostrada? Ce lo racconta Nadia Breda, nata e cresciuta nella pedemontana trevigiana attraversata ora dalla A28, Pordenone – Conegliano. Il racconto s’intesse della capacità di Nadia, antropologa, di leggere la storia sconosciuta e minore della cultura contadina così intrecciata quelle terre di confine, i palù, gonfi d’acqua e di leggende che i progettisti dell’autostrada non vogliono riconoscere nel loro valore e nella loro unicità. Si intrecciano nel racconto le memorie della famiglia – il vecchio Bibo, ultimo testimone delle leggende della famiglia contadina, il cui corpo viene esumato, e la tomba distrutta proprio quando i lavori dell’autostrada stanno per prendere il via – con la lotta, di Nadia, dei contadini rassegnati, e di un manipolo di giovani contro l’autostrada. «Gli uomini antichi avevano timore e meraviglia dei palù» mentre «il progetto non genera incidenze significative» secondo i progettisti, i «caniba», i cannibali, come li definisce Nadia. Due visioni inconciliabili si scontrano: «I caniba rendono un mondo indistinto, tutto uguale. Non riconoscono perchè non conoscono più. E anche quando potrebbero non vogliono conoscere […] Tutto è uguale immerso nello stesso grigio». L’altra visione riempie il mondo fantastico dei sogni e delle memorie di un luogo denso in cui anche i sassi del greto del Piave hanno una storia, caratteristiche, suoni diversi che solo la cultura liminare e misteriosa, ora tramontata, del Veneto delle acqua sapeva dargli parola. «Certo che si tratta di zona di risorgive, ma non di quella sorta di eden descritto dai funzionari della Sovritendenza del Veneto. E’ una zona caratterizzata da un fortissimo frazionamento fondiario, con diversi edifici rurali, attraversata da strade e linee elettriche. E il tipo di coltivazioni, mais e vite, sono compatibili con il ristagno d’acqua». Si esprimeva così Luca Zaia, grande sponsor dell’autostrada ed autore qualche anno dopo, in piena campagna elettorale, del libro «Adottare la terra».  (Gianni Belloni)

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ETNOGRAFIA E POESIA

Linguaggi per le acque e per un nuovo ambientalismo di ascolto nel nordest (da http://www.nadiabreda.it/ ) 

(….) LUNGO IL PIAVE, I PALU’ – I palù del triveneto sono sotterraneamente uniti dall’acqua e dalla presenza del Piave, con il suo letto attuale ma anche con i suoi paleoalvei, ampiamente divaganti nella pianura circostante . Più a nord del paese dei cariòti, all’altezza del suo medio corso, il Piave trasbordava dal suo letto, defluiva e si impaludava: formava un lago. Un grande lago, un lago reale e mitico al tempo stesso, che ricopriva la vallata del Quartier del Piave (TV). Questo lago primordiale, nei racconti mitici raccolti in questa vallata, impediva l’abitazione nella pianura, impediva la fondazione di paesi e comunità, causava morte e devastazione. I dieci racconti che ho raccolto narrano di come gli uomini si liberarono dal lago primordiale: scavando le montagne vicine, aprendo un varco all’acqua, nel Montello, per far defluire il Piave, perché riprendesse la sua corsa verso il mare. Prendevano la terra da giù e la portavano su, dice il racconto, costruivano colline scavando montagne; preparavano la fondazione dei paesi nella vallata liberata dalle acque del Piave…. Il racconto che è di seguito riportato mostra una delle rare immagini positive attribuite al lago primordiale, mitico: un lago familiare, domestico, un’acqua quotidiana, casalinga, nella quale lavarsi i piedi…. Una immagine degli uomini quasi come di giganti che si siedono sull’altura del Montello e si lavano i piedi nel lago! (….) (Nadia Breda)

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LA FINE DELLA BIODIVERSITA’

di Paolo Favaro (dal blog http://www.nadiabreda.it/ ) (2/2/2010) 

   Vi scrivo per rendervi noto, a circa mesi dal mio primo allarme, che martedi scorso ho avuto conferma dei miei timori. Ho partecipato al CEA di Fontigo (gestito da Legambiente di Sernaglia) alla presentazione di un’interessante tesi di laurea dal titolo: Ipotesi di gestione sostenibile dei Palù del Quartier del Piave (dott.ssa Margherita Dalle Ceste) e, nel corso della presentazione e della successiva discussione, un naturalista presente, Luca Berdusco, ha confermato non solo la continua erosione del paesaggio a campi chiusi ma, soprattutto, il dato che la biodiversità e cioè le specie endemiche e/o di particolare valenza naturalistica (quelle insomma che giustificano la definizione di area SIC) sono ormai relegate a non più di 2 ha sui 692 ha complessivi dell’area “tutelata”.   

   La possibilità quindi di salvare questo residuo scrigno di biodiversità è affidato ad un urgentissimo intervento che lo stesso Luca Berdusco, coi volontari di Legambiente, cercherà di operare convincendo i proprietari delle aree interessate a mantenere la pratico dello sfalcio ed evitare al contempo quella della concimazione del terreno.   

   Legambiente locale sta lavorando nei confronti delle diverse amministrazioni comunali per rendere possibile all’interno del piano d’area esistente una serie di indicazioni e di vincoli che (unitamente ad un sostegno economico ancora da definire e capire se sia di provenienza europea piuttosto che locale o regionale ma che dovrebbe convincere i proprietari a desistere dalle cattive pratiche) garantiscano la sopravvivenza delle specie  censite  ancora solo negli anni ’90. A titolo di esempio: della decina di specie di orchidee censite agli inizi degli anni ’90 ora ne sarebbero presenti non più della metà. Cordiali saluti. Paolo Favaro

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