L’ACCIAIO in crisi: IL DESTINO DELLE CITTA’ DELLA RUGGINE – Terni, Taranto, Piombino…: POLI INDUSTRIALI dove la fabbrica di produzione dell’acciaio è storia e vita delle persone e di tutta l’economia del luogo – CHE FARE? (come riconvertire il lavoro, come rilanciare in altro modo il ciclo produttivo)

“… l’acciaieria prima era stata come una piccola città, ma l’avevano chiusa nel 1987, e parzialmente smantellata dieci anni dopo; ora sorgeva come un antico rudere, con gli edifici coperti di dulcamara, persicaria e ailanto. Le impronte dei cervi e dei coyote formavano una trama fitta sul terreno… (…)… quando le acciaierie avevano chiuso, era andata in crisi tutta la valle. L’acciaio era il cuore. Chissà fra quanto la ruggine avrebbe divorato tutto e la valle sarebbe tornata allo stato primitivo. Solo la pietra sarebbe durata.” (RUGGINE AMERICANA, di by Philipp Meyer, ediz. Einaudi, euro 13.50)
“… l’acciaieria prima era stata come una piccola città, ma l’avevano chiusa nel 1987, e parzialmente smantellata dieci anni dopo; ora sorgeva come un antico rudere, con gli edifici coperti di dulcamara, persicaria e ailanto. Le impronte dei cervi e dei coyote formavano una trama fitta sul terreno… (…)… quando le acciaierie avevano chiuso, era andata in crisi tutta la valle. L’acciaio era il cuore. Chissà fra quanto la ruggine avrebbe divorato tutto e la valle sarebbe tornata allo stato primitivo. Solo la pietra sarebbe durata.” (RUGGINE AMERICANA, di by Philipp Meyer, ediz. Einaudi, euro 13.50)

   Terni, Taranto, Piombino, Napoli (Bagnoli), Genova, Trieste…. e molte altre città, paesi, luoghi dove le acciaierie sono diventate elementi storici di sviluppo, dell’industria che cresceva; connaturate alla storia della comunità dove sono sorte e vissute queste fabbriche, che ora o sono in crisi, o in declino, o a volte non ci sono più, diventate ruderi, ruggine….

   Come la chimica, come molte altre industrie manifatturiere. E i queste settimane siamo interessati dalla crisi del lavoro, degli esuberi possibili (cioè licenziamenti) a TERNI, nella storica acciaieria (sorta appunto a Terni 130 anni fa, nel 1884), di proprietà del gruppo multinazionale tedesco ThissenKrupp.

A TERNI ci sono in tutto 2.600 persone che lavorano nell'acciaieria, quasi altrettanto sono i lavoratori dell'indotto, dai fornitori ai manutentori (e questi lavoratori dell’indotto quasi sempre rischiano di “sparire” senza che nessuno se ne accorga, dica niente): l'azienda ha deciso che per ora sono 291 gli esuberi (di fatto licenziamenti attraverso la mobilità). Ma il settore è in caduta libera.
A TERNI ci sono in tutto 2.600 persone che lavorano nell’acciaieria, quasi altrettanto sono i lavoratori dell’indotto, dai fornitori ai manutentori (e questi lavoratori dell’indotto quasi sempre rischiano di “sparire” senza che nessuno se ne accorga, dica niente): l’azienda ha deciso che per ora sono 291 gli esuberi (di fatto licenziamenti attraverso la mobilità). Ma il settore è in caduta libera.

   Il protagonista negativo di questa fase di declino della grande industria italiana, dopo la chimica, dopo l’automobile, dopo le varie manifatture (abbigliamento, arredo, elettrodomestici…), è L’ACCIAIO, o meglio la siderurgia di Stato che ha tenuto in piedi per lustri il Pil di intere regioni.

   Su Taranto, Trieste, Piombino, Terni, Genova… si sono scaricate non solo le ragioni di una crisi di mercato e dell’avvento di nuovi produttori asiatici ma SI È RIPROPOSTO LO STESSO TEMA DELLA MANCATA SALVAGUARDIA DELL’AMBIENTE, DELLA SALUTE DELLE PERSONE, che pure aveva caratterizzato il finale della grande chimica (polveri e metalli pesanti, nichel in particolare nelle acciaierie, Taranto è l’emblema di malattie e tumori…).

IN LODE DELL’ACCIAIO, ORA IN DIFFICOLTA’ – “…L’acciaio, non una merce qualunque, ma la merce specialissima che permette di costruire grattacieli e ferrovie, di conservare in scatola gli alimenti, di muoversi e di scambiare conoscenze e pensieri, presente nelle abitazioni, nei ponti e nelle strade, in tutte i macchinari, perfino nelle merci più ‘verdi’ ed ‘ecologiche’. Una merce che, nel bene e nel male, ha accompagnato il ‘progresso’ non solo merceologico, ma anche scientifico, sociale, economico ed umano…” (Giorgio Nebbia, ambientalista, merceologo)
IN LODE DELL’ACCIAIO, ORA IN DIFFICOLTA’ – “…L’acciaio, non una merce qualunque, ma la merce specialissima che permette di costruire grattacieli e ferrovie, di conservare in scatola gli alimenti, di muoversi e di scambiare conoscenze e pensieri, presente nelle abitazioni, nei ponti e nelle strade, in tutte i macchinari, perfino nelle merci più ‘verdi’ ed ‘ecologiche’. Una merce che, nel bene e nel male, ha accompagnato il ‘progresso’ non solo merceologico, ma anche scientifico, sociale, economico ed umano…” (Giorgio Nebbia, ambientalista, merceologo)

   Pertanto la crisi delle acciaierie italiane (ora è la volta di Terni, dopo Taranto, Piombino…) è data un po’ da tante cose assieme: nel mondo c’è una SOVRACAPACITÀ PRODUTTIVA dell’acciaio; poi la logica delle MULTINAZIONALI e dello spostamento del baricentro produttivo dell’acciaio dall’Europa all’oriente cinese e all’India; delle pur giuste regole europee che ad esempio hanno impedito a un gruppo finlandese di rilanciare Terni per ragioni di antitrust; del contesto italiano, fatto di alcune debolezze come il COSTO eccessivo DELL’ENERGIA; dei livelli di INQUINAMENTO, come prima detto, sempre più intollerabili.

   A Terni ci sono in tutto 2.600 persone che lavorano nell’acciaieria, quasi altrettanto sono i lavoratori dell’indotto, dai fornitori ai manutentori (e questi lavoratori dell’indotto quasi sempre rischiano di “sparire” senza che nessuno se ne accorga, dica niente): l’azienda ha deciso che per ora sono 291 gli esuberi (di fatto licenziamenti attraverso la mobilità). Ma il settore è in caduta libera; e questo sta provocando un clima assai teso, dimostrato ad esempio dai lavoratori della TKAST (ThissenKrupp Acciai Speciali Terni) che, esasperati dopo tre settimane di sciopero, al termine di una assemblea davanti alla fabbrica, il 12 novembre scorso hanno bloccato per 4 ore l’autostrada A1 a Orte, causando 9 chilometri di coda.

AST, Acciai Speciali Terni, la fabbrica sorta nel 1884
AST, Acciai Speciali Terni, la fabbrica sorta nel 1884

   La storia degli Acciai Speciali Terni comincia 130 anni fa, nel 1884, quando nasce la “Società degli Alti Forni, Fonderie e Acciaierie” (SAFFAT). Perché a Terni? Perché la cittadina umbra era geograficamente “adatta” a iniziare un progetto concreto di industria siderurgica nazionale: in posizione strategica in quanto difficilmente attaccabile dal mare o per via aerea… e sono arrivati tanti aiuti di Stato, finanziari diretti e di banche pubbliche: e la gestione privata ha visto la partecipazione al capitale sociale di banchieri veneti, della Società Veneta e della Breda: due grandi società costruttrici di ferrovie, porti e altre strutture pubbliche e private nei decenni a cavallo tra l’800 e il 900 (vedi http://it.wikipedia.org/wiki/Acciaierie_di_Terni ).

   Insomma a Terni 130 anni fa è iniziato lo sviluppo industriale nazionale dell’ACCIAIO. Ora, dicevamo, la fabbrica è in mano a un gruppo tedesco. Vicenda in questi ultimi anni tormentata (ne parliamo dettagliatamente negli articoli di questo post): venduta dai tedeschi a un gruppo finlandese (Outokumpu), che aveva intenzione di rilanciare e sviluppare la fabbrica di Terni, la Commissione Europea ha stoppato la presenza finlandese (per problemi monopolistici, di antitrust) e l’industria è così tornata alla ThyssenKrupp, cosa che ne ha segnato il declino, avendo questo gruppo industriale nessuna ambizione a rinforzare il polo dell’acciaio in Umbria (tant’è che aveva venduto ai finlandesi), e interessato a portare le produzioni in Germania.

   Ora la speranza, per Terni, è che l’acciaieria sia comprata o da un gruppo industriale algerino o indiano. Sono gli indiani ad avere in mano la soluzione in vari poli industriali dell’acciaio italiano in crisi: a Terni, a Piombino, a Taranto. Per ora questi. Spinti dall’impetuosa crescita della loro economia nell’ultimo decennio gli indiani sono diventati, con i cinesi, i principali produttori mondiali di acciaio. E ora investono le plusvalenze accumulate comprando in Europa impianti tecnologicamente avanzati.

   Pertanto evitare i tanti licenziamenti, la fine del lavoro, a Terni (per ora poco meno di 300 esuberi, ma il futuro non è per niente roseo…), i 600 posti a rischio all’Ilva di Genova, i quasi 2.000 che a Piombino resterebbero senza lavoro se non arriva l’industriale magnate indiano Jindal… e ancor di più la difficile crisi e perdita di lavoro a Taranto…. Evitare questo non è possibile se non ci saranno piani industriali in grado di mettere assieme efficienza, innovazione, costi minori, qualità del prodotto, zero inquinamento…

PIOMBINO E L’ACCIAIERIA - “Fu l’Ilva al tempo dei nonni. Poi diventò «la Lucchini». O, più semplicemente, «la Fabbrica». Una lei, una madre nel bene e nel male, che raccoglie tra le sue braccia imponenti cielo, terra, mare, 2.500 persone più l’indotto, e tutti i figli e le mogli che aspettano che papà torni a casa. Era, e forse non sarà più. (SILVIA AVALLONE dall’articolo del Corriere della Sera del 25/4/2014 “IL MONDO D’ACCIAIO CHE NON VEDRÒ PIÙ”. Silvia Avallone è scrittrice, autrice del libro “ACCIAIO”, Rizzoli, euro 9,00, Premio Campiello Opera Prima 2010, euro 9,00) – Nell’IMMAGINE, la locandina del FILM di STEFANO MORDINI “ACCIAIO”, del 2012, che si rifà al libro di Silvia Avallone
PIOMBINO E L’ACCIAIERIA – “Fu l’Ilva al tempo dei nonni. Poi diventò «la Lucchini». O, più semplicemente, «la Fabbrica». Una lei, una madre nel bene e nel male, che raccoglie tra le sue braccia imponenti cielo, terra, mare, 2.500 persone più l’indotto, e tutti i figli e le mogli che aspettano che papà torni a casa. Era, e forse non sarà più. (SILVIA AVALLONE dall’articolo del Corriere della Sera del 25/4/2014 “IL MONDO D’ACCIAIO CHE NON VEDRÒ PIÙ”. Silvia Avallone è scrittrice, autrice del libro “ACCIAIO”, Rizzoli, euro 9,00, Premio Campiello Opera Prima 2010, euro 9,00) – Nell’IMMAGINE, la locandina del FILM di STEFANO MORDINI “ACCIAIO”, del 2012, che si rifà al libro di Silvia Avallone

   Un tema nuovo che sicuramente si è concretizzato è dato dal dover abituarsi, per il nostro sistema industriale (in questo caso le acciaierie) all’arrivo di padroni stranieri, in particolare da quei paesi che hanno economie emergenti (come la Cina o l’India). Abituarsi ai gruppi stranieri, fare i conti con essi (non solo indiani, cinesi, ma anche russi, algerini, finlandesi…).

   Parti di storia industriale italiana che passano di mano ed entrano nel villaggio globale, diventano di proprietà “straniera”, non italiana: peraltro, per le acciaierie questo fatto si spera che accada, sennò è la fine di migliaia di posti di lavoro. E’ da capire quale sarà l’atteggiamento di questi stranieri una volta in possesso di questi sistemi industriali. In un articolo de La Voce.Info che in questo post vi proponiamo, si analizza che finora l’atteggiamento è stato ambivalente: alcune multinazionali emergenti assumono un comportamento di tipo predatorio, pur tuttavia si osservano anche investimenti che generano benefici sia per gli investitori sia per le economie che li ricevono.

   Sul tema “acciaio e inquinamento” vi proponiamo poi un importante articolo di Giorgio Nebbia (docente di merceologia e tra i più rappresentativi esponenti del mondo ecologista di questi decenni), dove si tracciano delle ipotesi interessanti per dimostrare che IL CICLO DELL’ACCIAIO può essere fatto senza inquinare. In particolare attraverso il miglioramento del processo produttivo usando il METANO al posto del CARBONE: la trasformazione delle attuali acciaierie con appunto l’introduzione del ciclo basato sul metano. Detta in modo profano, usando IL METANO come agente riducente del minerale, nel depurarlo fino a divenire acciaio di massima qualità (leggete qui di seguito il dettagliato e più scientifico articolo di Giorgio Nebbia sul processo produttivo).

   Qualcuno ha prospettato, per risolvere questa grave crisi industriale (che pare irreversibile) dell’acciaio italiano, di ritornare a una siderurgia pubblica, cioè con un impegno permanente dello Stato (il “pubblico” che compra e gestisce le fabbriche, come è accaduto negli anni ‘60 del secolo scorso con le “partecipazioni statali”). Ipotesi assai ardua e temeraria: quelle scelte di 50 anni fa di “partecipazione statale” sono una delle cause principali del fantasmagorico debito pubblico italiano. E’ pur vero che allora permisero la ricostruzione del Paese e in parte anche il boom economico; ma lasciando alle future generazioni oltre al debito di quelle scelte, anche colossali ruderi industriali, veri rottami, un sistema non competitivo che non si è adeguato ai tempi. Fabbriche spesso rimaste RUGGINE INDUSTRIALE, capannoni abbandonati; ed ora anche masse di disoccupazione giustamente da salvare con un necessario welfare (cassa integrazione, mobilità…), con ulteriori costi pubblici.

   Questo non vuol dire che lo Stato non debba intervenire, anzi: promuovendo condizioni più favorevoli a un intervento privato serio e motivato (non di rapina); se serve anche con un temporaneo impegno diretto pubblico; orientando scelte verso produzioni industriali virtuose, adatte ai tempi e competitive. Pertanto a Terni, come a Taranto, Piombino e altrove il sistema dell’acciaio pensiamo possa rinnovarsi e dare ancora lavoro, ma con risposte qualificate, nuove, con cicli produttivi finalmente puliti (non inquinanti) e prodotti di qualità che la tecnologia e il sapere umano italico è sicuramente in grado di dare (negli articoli che vi proponiamo potrete trovare spunti interessanti in questo senso). (s.m.)

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ACCIAIO: GENOVA, PIOMBINO, NAPOLI, TERNI, TARANTO: IL DESTINO DELLE CITTÀ DELLA RUGGINE; LA SPERANZA È ALGERINA O INDIANA

di Dario di Vico, da “il Corriere della Sera” del 11/11/2014

   “Ruggine americana” è un grande romanzo dello scrittore Philippe Meyer ed è soprattutto una grande metafora della SECONDA MODERNITÀ. E’ un’immagine che descrive insieme UN PROCESSO DI DEINDUSTRIALIZZAZIONE e le ricadute (di DEGRADO) che genera sul territorio circostante. Continua a leggere