IRLANDA DEL NORD: pace a rischio? – I gruppi paramilitari unionisti, contrari alla BREXIT più favorevole all’unione con la Repubblica d’Irlanda (e la UE), abbandonano l’ “accordo del Venerdì Santo” del 1998 della fine del conflitto tra protestanti filo-britannici e cattolici filo-Irlanda – Torna lo spettro dei TROUBLES (disordini)?

(SCRITTE sui muri di Belfast contro il confine doganale marino con l’Inghilterra – da https://www.theguardian.com/) – MINACCIE DEGLI UNIONISTI PROTESTANTI NELL’IRLANDA DEL NORD: UNA BOUTADE, UN AVVERTIMENTO, O POSSIBILE REALTA’? – Con la BREXIT, e la separazione della Gran Bretagna dall’Unione Europea (venuta a realizzarsi dal 1° gennaio 2021), separazione pertanto in primis dalla Repubblica d’Irlanda (che è saldamente nella Ue, ma che ha un confine aperto con l’Irlanda del nord che invece “appartiene” al Regno Unito), questa situazione pacificata di fatto nel 1998, con l’accordo di pace tra le parti (l’ “ACCORDO DEL VENERDÌ SANTO” del 10 aprile 1998 tra Regno Unito e Repubblica d’Irlanda, con il riconoscimento di pluralità democratica nell’Irlanda del nord) rischia di saltare. GLI UNIONISTI CONSIDERANO L’ACCORDO TROPPO DISCRIMINANTE NEI RAPPORTI CON LA MADREPATRIA E SOLO FAVOREVOLE ALLA UE. E il segnale è dato dal fatto che milizie paramilitari unioniste hanno dichiarato di non riconoscere più gli accordi di pace del ‘98 (anche se per ora promettono di restare pacifici). Pertanto UNA PACE DIFFICILE, QUELLA IN IRLANDA DEL NORD, SEMPRE FRAGILE, delicata, in un non lontano passato costata la vita di migliaia di persone.

   Per decenni l’Irlanda del nord è stata attraversata da una sanguinosa guerra civile tra gruppi cattolici che volevano l’unione con la Repubblica d’Irlanda, e gruppi protestanti favorevoli a restare nel Regno Unito. Una delle decisioni degli accordi di pace, che negli anni novanta misero fine al conflitto, fu la creazione di un confine aperto fra le due Irlande, facile da attraversare.

Le 6 CONTEE dell’Irlanda del nord
(mappa da http://www.regnounito.net/)

Con la Brexit, e la separazione della Gran Bretagna dall’Unione Europea (venuta a realizzarsi dal 1° gennaio 2021), separazione pertanto in primis dalla Repubblica d’Irlanda (che è saldamente nella Ue, ma che ha un confine aperto con l’Irlanda del nord che invece “appartiene” al Regno Unito), questa situazione pacificata di fatto nel 1998, con l’accordo di pace tra le parti (l’ “accordo del Venerdì Santo” del 10 aprile 1998 tra Regno Unito e Repubblica d’Irlanda, con il riconoscimento di pluralità democratica nell’Irlanda del nord) rischia di saltare.

   E il segnale è dato dal fatto che milizie paramilitari unioniste hanno dichiarato di non riconoscere più gli accordi di pace del ‘98 (anche se per ora promettono di restare pacifici). Pertanto una pace difficile, quella in Irlanda del nord, sempre fragile, delicata, in un non lontano passato costata la vita di migliaia di persone.

In Irlanda del Nord scarseggiano i prodotti alimentari. Brexit prevede molti controlli e scartoffie per le merci che arrivano dalla Gran Bretagna (foto da http://www.ilpost.it/)

   Considerando la situazione delle “due Irlande” nella realizzazione della Brexit, il compromesso trovato da Boris Johnson che ha risolto lo stallo nei negoziati, è stata l’accettazione che l’Irlanda del Nord rimanesse nel mercato comune europeo. Cioè si è evitato di creare una barriera tra le due Irlande (di passaggio delle persone, ma in particolare delle merci, doganale). Facendo sì che dopo l’uscita definitiva del Regno Unito dalla Ue il primo gennaio scorso, l’Irlanda del Nord è rimasta parte del mercato unico e dell’unione doganale e quindi nell’orbita Ue. Paradossalmente l’Irlanda del nord ha libero commercio con la Repubblica d’Irlanda e tutta la Ue; e invece il mar d’Irlanda segna un confine doganale con la madrepatria Gran Bretagna.

In verde le Contee dell’Ulster nella Repubblica d’Irlanda; in rosa le Contee dell’Ulster nell’Irlanda del Nord (da https://it.wikipedia.org/)

   Pertanto è stata evitata la costruzione di una barriera fisica fra l’Irlanda e l’Irlanda del Nord – un obiettivo condiviso sia dai negoziatori europei che da quelli britannici – ma il legame fra Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito si è indebolito. Anche e specialmente nelle cose pratiche, nei commerci in particolare: le aziende nordirlandesi trovano più facile commerciare con le aziende della Repubblica di Irlanda e di tutta la Ue. Un cosa che non può andar bene in primis alla maggioranza unionista che c’è nell’Irlanda del nord. Ma, quel che conta, nella pratica, è che specie a gennaio, a inizio della Brexit, i supermercati si sono trovati con scaffali vuoti per le difficoltà doganali dalla Gran Bretagna, visto che i supermercati nordirlandesi si rifornivano prevalentemente dall’Inghilterra (in realtà contemporaneamente, a gennaio 2021, è andata anche peggio nel Regno Unito, con difficoltà burocratiche iniziate nell’approvvigionamento con l’Unione europea…).

(Un murale unionista a Shankill Road a Belfast – foto da http://www.avvenire.it/) – Il premier britannico BORIS JOHNSON ha cercato di risolvere le DIFFICOLTÀ DI COMMERCIO TRA INGHILTERRA E IRLANDA DEL NORD provvedendo in modo unilaterale a prolungare il cosiddetto “PERIODO DI GRAZIA” (nessun controllo dalla Gran Bretagna verso l’Irlanda del Nord) di sei mesi, fino ad ottobre 2021, NON RISPETTANDO QUINDI LA DATA DEL PRIMO APRILE STABILITA CON LA UE

   Il premier britannico Boris Johnson ha cercato di risolvere le difficoltà di commercio tra Inghilterra e Irlanda del nord provvedendo in modo unilaterale a prolungare il cosiddetto “periodo di grazia” (nessun controllo dalla Gran Bretagna verso l’Irlanda del Nord) di sei mesi, fino ad ottobre 2021, non rispettando quindi la data del primo aprile stabilita con la Ue. La scelta unilaterale di Londra ha irritato Bruxelles per il non rispetto degli accordi su Brexit. L’Unione Europea ha dichiarato che la decisione unilaterale britannica di prolungare il periodo di sospensione dei controlli sulle merci da marzo a ottobre rappresenta una violazione della legge internazionale, andando allo scontro aperto con il Governo britannico.

MAPPA IRLANDA DEL NORD (da https://www.europarl.europa.eu/)

   Insomma c’è molta confusione sul cielo del Regno Unito causa la Brexit. Perché, nei rapporti con l’Irlanda del nord, il problema non è dato solo dai commerci interni, resi ben difficili. Ci sono altre questioni. Come il fatto che chi nasce nel nord Irlanda ha diritto tanto alla cittadinanza irlandese quanto a quella britannica, a differenza di chi vive nelle altre nazioni che compongono il Regno Unito (Scozia, Galles, Inghilterra).

   E poi gli abitanti dell’Irlanda del nord potranno scegliere se mantenere il passaporto comunitario e continueranno a godere della libertà di movimento all’interno nell’eurozona. Un londinese avrà bisogno di un visto temporaneo per lavorare e studiare in Europa, un suo coetaneo di Belfast no. Grazie alla Repubblica d’Irlanda, che sosterrà i finanziamenti, gli atenei nordirlandesi non perderanno l’Erasmus, negato ora ai giovani inglesi.

Cartina fisica dell’Irlanda del Nord (mappa da http://chiviaggiaimpara.blogspot.com/)

   Dall’altra come si diceva, se Belfast non ha ostacoli burocratici verso Dublino, li ha verso la madrepatria (controlli doganali, moduli da compilare, tasse….), proprio perché l’Irlanda del Nord è rimasta di fatto dentro al mercato unico.

UNA GUERRA DI RELIGIONE NELL’EUROPA DEL XX°-SECOLO (foto da https://www.frammentirivista.it/) – “(…) Sin dalla divisione seguita alla guerra anglo-irlandese (1921-1923) che aveva lasciato le SEI CONTEE NORDORIENTALI SOTTO IL DOMINIO BRITANNICO, i cittadini cattolici venivano discriminati dalla maggioranza protestante al governo. In questa situazione, nel 1966 venne fondata la Northern Ireland Civil Rights Association (NICRA), organizzazione che si proponeva di CHIEDERE RIFORME IN FAVORE DELLA MINORANZA CATTOLICA. Negli anni a seguire la NICRA si fece fautrice di molte manifestazioni, che sempre più spesso si trasformavano in VERI E PROPRI SCONTRI CON I PROTESTANTI e la Royal Ulster Constabulary (RUC), la polizia della provincia. L’AGOSTO 1969 fu un anno molto caldo da questo punto di vista, con SCONTRI DALLA CADENZA GIORNALIERA TRA I DUE GRUPPI. Il 14 agosto, a BELFAST, gruppi di estremisti protestanti arrivarono a mettere a ferro e fuoco le vie in cui abitavano i cattolici. Era l’INIZIO del PERIODO noto come “THE TROUBLES”.(…)” (Marco Bertuccio, da https://sites.google.com/)

   E tutto questo non va bene agli unionisti (protestanti), fedeli al Regno Unito. E dall’altro fomenta le speranze dei filo Ue, cattolici, che vorrebbero una sola Irlanda. E’ in questo contesto di insoddisfazione in particolare della maggioranza della popolazione che è unionista, cioè si riconosce nel Regno Unito, che le milizie paramilitari unioniste dell’Irlanda del Nord dichiarano di non riconoscersi più negli accordi del Venerdì Santo del ’98, aspettando minacciosamente gli eventi, per decidere se riprendere la lotta armata. Forse è solo una minaccia declamata ma irrealizzabile, i tempi sono cambiati; però è vero che la situazione è caotica, di insoddisfazione, pericolosa.

(foto: British soldiers charging Catholic youths in Londonderry, Northern Ireland in 1971, foto da http://www.nytimes.com/) — BLOODY SUNDAY – DERRY, 1972 – La città dai due nomi, LONDONDERRY per gli Unionisti, è stata la prima in cui vennero erette barricate a protezione dei quartieri cattolici agli albori del Sessantotto, LA PRIMA A RESPINGERE L’ASSALTO DI ESERCITO, polizia e milizie protestanti. Meno di quattro anni dopo (1972), IN MOLTE CITTADINE DELL’ULSTER – Six Counties per i nazionalisti – LE LEGHE PER I DIRITTI CIVILI ORGANIZZARONO DELLE MARCE PACIFICHE PER PROTESTARE contro l’informale sospensione delle garanzie procedurali e gli arresti illegali.(…) A presidiare la città, ufficialmente come contingente cuscinetto tra i due attori belligeranti e a protezione di entrambe le confessioni dei suoi sudditi, le giovanissime reclute del I° Battaglione paracadutisti del Royal Army. Tutt’oggi RIMANGONO IGNOTE LE REALI DINAMICHE DELL’INIZIO DELL’ECCIDIO, ma è indubbio il suo epilogo. Quando i FAL dei parà cominciarono a sparare, TREDICI MANIFESTANTI RIMASERO A TERRA, UN ALTRO PERÌ QUALCHE MESE DOPO A SEGUITO DELLE FERITE RIPORTATE, e altrettanti rimasero feriti. (…) (Giacomo Cavaliere, 10/2/2021,da https://www.frammentirivista.it/)

   E sui muri di Belfast tornano ad esprimersi minaccie con scritte simili a quelle di trent’anni fa. Con la paura del ritorno dello scontro, del conflitto, del terrorismo, che parte da chi ora si sente tradito (gli unionisti); e chi invece propende per quel progetto mai sopito di far rientrare le sei contee dell’Irlanda del nord in un’unica Irlanda unita.

(BELFAST, un MURO,
ancora oggi esistente, per separare il quartiere cattolico da quello protestante – foto dal sito https://www.emanuelacrosetti.it/) – “(…) L’aumentata ferocia e capacità operativa dei paramilitari protestanti e l’uso sempre maggiore da parte dell’esercito britannico delle forze speciali (SAS e 14th Intelligence) RESERO GLI ANNI TRA IL 1988 E IL 1993 TRA I PIÙ VIOLENTI DELL’INTERO CONFLITTO. Soltanto nel 1998, durante dei colloqui presenziati dal presidente inglese BLAIR e il premier irlandese BERTIE AHERN, si arrivò alla firma di un accordo (“ACCORDO DEL VENERDÌ SANTO”) che pose FINE A 30 ANNI DI CONFLITTO.(…)” (Marco Bertuccio, da https://sites.google.com/)

   E’ uno dei molti casi in cui, muovendo da sotto la cenere un fuoco sopito da più di vent’anni, risorgono i vecchi conflitti irrisolti (…e la situazione pericolosa che si sta vivendo in Gran Bretagna con l’attuazione della Brexit nel rapporto con l’Irlanda del nord, ma anche nel pur diverso rapporto con la Scozia, fa pensare in terra europea ai contrasti nei Balcani, e a tutti quei contesti autonomisti e di convivenza difficile, pronti per qualche causa ad esplodere…. e che invece andrebbero superati in un nuovo mondo di pace e di sviluppo condiviso. (s.m.)

Carta geografica delle due Irlande (da web.tiscali.it/)

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LA QUESTIONE IRLANDESE: CRONOLOGIA ESSENZIALE

da https://www.treccani.it/

1801: Il Parlamento di Londra vota l’Atto di Unione, che sopprime il Parlamento di Dublino e fissa le quote di rappresentanza irlandese a Westminster. È la nascita del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda.

1920: Con il Government of Ireland Act, i britannici istituiscono due parlamenti separati in Irlanda: quello di Belfast – per sei delle nove contee dell’Ulster – e quello di Dublino, per il resto del territorio irlandese. Viene così di fatto sancita la partizione dell’Irlanda e la separazione delle sei contee nordorientali, a maggioranza protestante e unionista, dal resto dell’isola.

1921: Dopo due anni di scontri tra il governo britannico in Irlanda e l’Irish Republican Army (Ira) guidato politicamente dal Sinn Féin, il principale partito repubblicano-nazionalista irlandese, si conclude la guerra d’indipendenza irlandese, con una tregua suggellata dalla firma del Trattato di pace anglo-irlandese. Con questo la Gran Bretagna concede all’Irlanda lo status di ‘dominion’, equivalente a una larga autonomia nell’autogoverno e alla formazione dello Stato Libero d’Irlanda entro il Commonwealth britannico. L’Irlanda del Nord resta invece parte del Regno Unito.

1922-23: Guerra civile nelle 26 contee irlandesi tra sostenitori e oppositori del Trattato di pace anglo-irlandese, conclusasi con la vittoria dei primi.

1949: Il lunedì di Pasqua, l’Irlanda abbandona lo status di dominion e diviene una repubblica del tutto indipendente da Londra. Le sei contee dell’Ulster rimangono invece parte del Regno Unito.

1921-69: In Irlanda del Nord continua a valere il Government of Ireland Act, secondo cui le questioni interne sono gestite dal Parlamento di Belfast, dove prevalgono sempre maggioranze protestanti, mentre da Westminster continua il controllo della politica estera e della gestione dei tributi. La popolazione cattolica è di fatto discriminata nella rappresentanza politica e nell’accesso ai servizi sociali e all’impiego pubblico. I distretti elettorali erano modellati in modo tale (secondo il cosiddetto metodo ‘gerrymandering’) che il controllo dei consigli cittadini fosse assicurato ai protestanti.

1969: Fervono movimenti per i diritti civili in Irlanda del Nord (come il Nicra, Norther Ireland Civil Right Association, o il People’s Democracy), che denunciano le disparità tra le due comunità nordirlandesi. La tensione sale alle stelle in corrispondenza della rivolta cattolica a Derry, scoppiata in opposizione a una marcia unionista che aveva attraversato il Bogside, storico quartiere cattolico della città. I disordini e le violenze tra le due comunità si estendono anche a Belfast, dove i britannici decidono di costruire un MURO – ancora oggi esistente – per separare il quartiere cattolico da quello protestante, nell’ovest della città. È l’inizio dei cosiddetti ‘TROUBLES’ (letteralmente: disordini), che vedranno da questo momento in avanti il sistematico scoppio di violenze tra le due fazioni.

1972-1974: Al termine di una manifestazione per i diritti civili a Derry, i reparti paracadutisti dell’esercito britannico sparano sulla folla e uccidono 13 dimostranti disarmati: la domenica passerà alla storia come ‘BLOODY SUNDAY’ (30 gennaio 1972). Il governo britannico, visto l’inasprirsi del conflitto, decide di sospendere il governo e il Parlamento dell’Irlanda del Nord e di riprendere direttamente il controllo sulla regione. Intanto sempre più truppe britanniche sono dispiegate stabilmente nelle sei contee per ristabilire l’ordine e combattere il terrorismo, secondo quanto istituito dalla missione ‘Operation Banner’. Il governo inglese promulga leggi speciali che limitano le libertà politiche e individuali in Irlanda del Nord, come l’Emergency Provisions Act o il Prevention of Terrorism Act, entrambi ripetutamente sospesi e reintrodotti negli anni.

1974/1993: Prosegue la guerra a fasi alterne: l’Ira organizza una resistenza molto dura, condotta tanto militarmente, con attentati dinamitardi in tutto il Regno Unito, quanto con azioni politiche e simboliche dal forte impatto, come nel caso delle lotte dei prigionieri politici irlandesi, che culmineranno con lo sciopero della fame a oltranza; nel 1981, lo sciopero porterà alla morte di BOBBY SANDS e di altri 9 prigionieri.

1998: Il 10 aprile, dopo una lunga serie di traversie e sotto forte impulso statunitense (con l’attività diplomatica svolta in primis dal senatore George Mitchell), viene firmato, e ratificato tramite referendum il 22 maggio successivo, il BELFAST AGREEMENT, più noto come ACCORDO DEL VENERDÌ SANTO. Tale accordo ha reintrodotto il Parlamento nordirlandese e ha stabilito che il governo locale avrebbe rispettato nella sua composizione la rappresentatività di tutti i maggiori partiti e di tutte le comunità. Da un lato la Repubblica d’Irlanda ha rinunciato ufficialmente a ogni rivendicazione sulle sei contee dell’Ulster, dall’altro il Regno Unito si è impegnato a emanare la legislazione necessaria per creare un’Irlanda unita, qualora ciò sia espressione della maggioranza della popolazione dell’Irlanda del Nord.

(da https://www.treccani.it/)

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BREXIT, CRESCE LA TENSIONE IN IRLANDA DEL NORD. PACE A RISCHIO?

di Tiziana Prezzo, 4/3/2021, da https://tg24.sky.it/mondo/

– E’ in quella parte di Uk più lontana da Londra, a BELFAST, che si stanno facendo sentire gli effetti più pericolosi dell’uscita del Regno Unito dalla Ue. Milizie paramilitari unioniste hanno dichiarato di non riconoscere più, per quanto “temporaneamente”, gli accordi di pace del ‘98.  Ed è crisi diplomatica con Bruxelles, dopo la decisione presa dal governo di Boris Johnson di estendere il “periodo di grazia” fino ad ottobre. –

   “Si vis pacem para bellum”, dicevano i latini. Se vuoi la pace, preparati alla guerra. Sarà. Ma la lettera inviata dalle milizie paramilitari unioniste dell’Irlanda del Nord al premier britannico Boris Johnson –  nella quale affermano di non riconoscersi più negli accordi del Venerdì Santo del ’98 – la pace sembra allontanarla, eccome. Una pace, in Irlanda, sempre fragile, delicata, da maneggiare con attenzione e cura, costata la vita di migliaia di persone e un dolore che è ancora misto a rabbia che cova sotto la cenere.

Il premier Johnson: “situazione risolvibile col buon senso”

Johnson semplifica, minimizza – come spesso gli è capitato di fare in passato, anche con la pandemia – e dice che gli attuali disagi provocati dalla Brexit e da un confine che si andrà a creare di fatto all’interno dello stesso Regno Unito sono “risolvibili con la buona volontà e il buon senso”. Per ora, però non è riuscito a fare niente di meglio che eludere il problema.  Fallita l’operazione del Market Bill lo scorso autunno (che avrebbe rinnegato l’accordo con la Ue di mantenere l’Irlanda del Nord per almeno altri quattro anni all’interno del mercato unico e di creare un confine marittimo nel tratto di mare che divide le due isole) ora temporeggia. Downing Street ha infatti deciso in maniera unilaterale di prolungare il cosiddetto “periodo di grazia” (nessun controllo dalla Gran Bretagna verso l’Irlanda del Nord) di sei mesi, fino ad ottobre, non rispettando quindi la data del primo aprile.

La scelta unilaterale di Londra che irrita Bruxelles

Tutto questo dopo aver sostituito il falco della Brexit, Michael Gove, con uno ancora più radicale come lord David Frost (l’ex negoziatore, il “controcanto britannico” di Michel Barnier, per intenderci) in qualità di ministro per le relazioni con l’Europa. Nella giornata di mercoledì 3 marzo Maros Sefcovic, vicepresidente della commissione europea incaricato delle relazioni con il Regno Unito, ha espresso “forte preoccupazione” per le misure adottate. Ancora più pesante ci è andato il ministro degli Esteri irlandese che ha osservato come “di certe persone l’Ue non si può fidare”. Per ovvie ragioni l’Eire ha sempre cercato di fare da mediatore tra Londra e Bruxelles, durante gli estenuanti anni delle trattative per la Brexit. Ora però la pazienza sembra essersi esaurita anche a Dublino.

Slitta il voto del Parlamento europeo su Brexit

Al di là dei battibecchi e delle frizioni diplomatiche, quello che però si fa fatica a capire è che la vera Brexit inizia ora. Ora che gli scaffali dei supermercati di Belfast rischiano di rimanere vuoti perché il cibo rimane ingolfato ai controlli, ora che il personale dei porti di Belfast e Larne viene minacciato di morte, e scritte inquietanti, fresche di vernice, tornano a comparire sui muri. Esattamente come trent’anni fa. (Tiziana Prezzo)

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COME STA CAMBIANDO L’IRLANDA DEL NORD DOPO LA BREXIT

di Matteo Castellucci, 25/1/2021, da LINKIESTA, https://www.linkiesta.it/

– Evaporata la propaganda, si sgretolano le promesse del sovranismo euroscettico. Le falle nella catena di approvvigionamento hanno svuotato i supermercati. E ammonta già a 330 mila sterline il piano per sostenere i costi burocratici degli scambi di generi alimentari tra le sei contee e la Gran Bretagna –

   La fretta di una tregua lascia spesso scontento qualcuno. Nella storia, alcuni trattati di pace hanno posto le basi per guerre future. Contesa durante gli anni (incruenti) di trattative, l’Irlanda del Nord è una terra di mezzo tra l’Unione europea abbandonata, ma così vicina, e la «Global Britain» ancora in fieri. Le sei contee si sentono dimenticate da Londra perché, più che altrove, si sono sentite più forte le scosse di assestamento dopo l’uscita definitiva dall’Ue.

   Cosa è cambiato nell’immediato? Chi nasce qui ha diritto tanto alla cittadinanza irlandese quanto a quella britannica, a differenza di chi vive nelle altre nazioni che compongono il Regno Unito (Scozia, Galles, Inghilterra). Gli abitanti dell’Ulster potranno scegliere se mantenere il passaporto rosso comunitario (quello della Gran Bretagna post-Brexit è blu ma fabbricato in Francia) e continueranno a godere della libertà di movimento all’interno nell’eurozona. Imboccheranno corridoi preferenziali agli aeroporti, certo, ma perché questo «lasciapassare» incida in modo decisivo non serve lasciare l’isola, basta raggiungere il confine con la Repubblica d’Irlanda.

   Un londinese avrà bisogno di un visto temporaneo per lavorare e studiare in Europa, una sua coetanea di Belfast no. Grazie a Dublino, che sosterrà i finanziamenti, gli atenei nordirlandesi non perderanno l’Erasmus, negato ai giovani inglesi finché non sarà operativo il nuovo programma internazionale intitolato ad Alan Touring. Almeno nel breve periodo, l’istruzione superiore (tre università e otto college) sarà più attraente e amplierà il respiro accademico e probabilmente le immatricolazioni.

   Gli scambi di merci sono stati messi al sicuro dall’accordo dell’ultimo minuto con Bruxelles. Non ci saranno dazi, ma la Brexit causerà comunque frizioni al commercio per i suoi effetti collaterali: controlli doganali, moduli da compilare (ognuno costa 23 sterline) con 29 campi per l’export e 41 per l’import. Belfast non avrà questi ostacoli burocratici verso Dublino, ma verso la madrepatria, perché l’Irlanda del Nord è rimasta di fatto dentro al mercato unico. Un tir può partire da lì e imbarcarsi su un traghetto a Rosslare, nell’Éire, per scaricare un carico di carne in un porto del continente, per esempio francese o spagnolo. Tutto ciò senza problemi, come prima.

   Ma se la stessa spedizione è destinata alla Scozia o al Galles, occorrono prima certificazioni sanitarie e vanno avvisate le autorità locali, che potrebbero decidere di ispezionarla all’arrivo. Specularmente, le «esportazioni» britanniche nell’Ulster sono sottoposte allo stesso regime di quelle verso l’eurozona in termini burocratici. Il compromesso di Boris Johnson ha scongiurato risorgesse la frontiera su 499 chilometri di terraferma, ma ne ha disegnata una mercantile sul mare d’Irlanda.

   Sul lungo periodo, LO STALLO STACCHERÀ LE SEI CONTEE DAL REGNO UNITO?

   Ne è convinto George Osborne, cancelliere dello scacchiere dal 2010 al 2016 nel governo di David Cameron, che sostiene che la regione sia sulla «porta di uscita» e «per ragioni economiche diventerà lentamente parte di un’Irlanda unita». Secondo Osborne il backstop fallito dell’ex premier Theresa May (ndr: il “backstop” proposto dalla May e bocciato dal parlamento britannico nel gennaio 2020 era un meccanismo di emergenza in caso di fallimento di ogni trattativa tra UE e Regno Unito in grado di garantire un confine non rigido tra Irlanda e Irlanda del Nord, NDR), il backstop avrebbe tenuto il resto della Gran Bretagna parzialmente allineata agli standard europei; il protocollo di Johnson ha invece sottratto la Gran Bretagna al controllo di Bruxelles, al prezzo però di allontanare l’Ulster.

   Non a caso, il 23 gennaio 2021 una delegazione politica dei lealisti (il movimento che avversa quello separatista, per definizione) ha ottenuto un incontro di un’ora e mezza con i vertici del Northern Ireland Office (NIO), il dipartimento britannico cui fa capo la sicurezza civile della provincia. Hanno riferito la rabbia della base per la situazione, minacciando cause legali. «C’è molta paura che la nostra identità venga diluita – ha dichiarato al Belfast Telegraph uno degli esponenti –. Siamo preoccupati si possano svuotare i supermercati e i camion restino bloccati in coda ai porti». Il NIO ha declinato commenti sulla vicenda.

   Mentre la politica locale litiga, non è chiaro se Downing Street si sia ricordata di includere l’Irlanda del Nord nelle quote di produzione protette dal trattato con l’Ue per la produzione dell’acciaio. Significherebbe una sovrattassa del 25% che però non colpirebbe il materiale raffinato nel resto del Regno Unito. Timori analoghi riguardano il pescato. È del 20%, invece, l’imposta che si è appena abbattuta sulle automobili importate dalla madrepatria.

   Un atto d’accusa duro arriva dal Dup (Democratic Unionist Party), il partito unionista che tenne in piedi con i suoi pochi voti il governo May dopo le disastrose elezioni del 2017. «Il governo era stato avvisato, ma non si è cautelato a sufficienza – ha contestato il capogruppo sir Jeffrey Donaldson –. Scopriamo ora che le imprese nordirlandesi hanno fatto il lavoro preparatorio, ma non le loro controparti britanniche».

   Il Dup è la principale forza politica nordirlandese e la quinta del Regno. È primo per numero di seggi nell’assemblea regionale, alle elezioni del 2019 ha ricevuto il 30% dei voti, che valgono otto deputati a Westminster (nel 2017 furono dieci). Con le dovute distinzioni, somiglia allo Scottish National Party (Snp), ma a sua differenza è da sempre fedele alla Corona. Per questo è un alleato prezioso dell’esecutivo conservatore che però se ne sta alienando la fiducia. A proposito, la leader dello Snp Nicola Sturgeon ha annunciato di voler chiedere un secondo referendum per l’indipendenza – dopo quello del 2014, una Brexit fa – qualora il partito vincesse alle urne in primavera.

   Alle prese con la pandemia, Johnson ha sacrificato il dossier Belfast. A inizio gennaio, gli scaffali dei negozi hanno accusato il colpo. Di fronte ai vuoti nelle catene di approvvigionamento, i dirigenti delle catene di supermercati, compresi i colossi Tesco e Sainsbury’s, hanno scritto ai ministri invocando soluzioni urgenti.   Nel frattempo, ammonta già a 330 mila sterline il piano per sostenere i costi burocratici degli scambi di generi alimentari tra le sei contee e la Gran Bretagna. In venti giorni. Sarà più alta la spesa mensile e sarà fissa.

   Finora, la maggior parte dei beni – per esempio i pacchi degli acquisti online – sono coperti da esenzioni che vanno da tre a sei mesi: a questo intervallo di tempo è appesa una spada di Damocle. Scaduto il regime transitorio, sarà un altro contraccolpo sull’economia. Gli inglesi lo hanno già subìto: hanno iniziato a dover pagare anche 100 sterline di dazi d’importazione per l’e-commerce su siti europei. È il teorema del panino al prosciutto. Nella tragicommedia, sono quasi un’epifania alla Dubliners le parole del doganiere olandese che sequestra un sandwich a un camionista britannico: «Welcome to Brexit».

   Evaporata la propaganda, si sgretolano le promesse del sovranismo euroscettico. «Take back control» è uno slogan tradito se i consulenti del Department for International Trade governativo, di fronte alle doglianze degli imprenditori, non possono far altro che consigliare alle aziende di aprire filiali in Europa per riattraccare nel mercato unico e pagare meno tasse. (Matteo Castellucci, 25/1/2021, da LINKIESTA)

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BREXIT

LA MOSSA DI LONDRA SUI CONTROLLI AI CONFINI IRLANDESI ACCENDE TENSIONI INTERNE E CON LA UE

di Nicol Degli Innocenti, 4/3/2021, da “il Sole 24ore”, www.ilsole24ore.com/

– Londra ha deciso di estendere il cosiddetto “periodo di grazia”, rinviando la piena implementazione di tutti i controlli e le procedure al primo ottobre –

LONDRA – Il confine irlandese torna a creare tensioni tra Londra e Bruxelles e a minare i fragili equilibri politici in Irlanda del Nord.
L’Unione Europea ha dichiarato che la decisione unilaterale britannica di prolungare il periodo di sospensione dei controlli sulle merci da marzo a ottobre rappresenta una violazione della legge internazionale, andando allo scontro aperto con il Governo britannico.

I lealisti escono dagli accordi del Venerdì Santo

In Irlanda del Nord, intanto, il gruppo lealista che comprende i paramilitari favorevoli a restare parte del Regno Unito, ha fatto sapere che non sostiene più gli accordi di pace del Venerdì Santo che da oltre vent’anni mantengono la pace nella zona. Dietro entrambi gli annunci c’è il controverso Protocollo irlandese, concordato da Gran Bretagna e Ue come allegato all’accordo di recesso per risolvere la questione del confine interno sull’isola. Dopo l’uscita definitiva del Regno Unito dalla Ue il primo gennaio scorso, l’Irlanda del Nord è rimasta parte del mercato unico e dell’unione doganale e quindi nell’orbita Ue.

I controlli doganali

L’inevitabile conseguenza pratica è che per evitare controlli al confine interno tra le due Irlande è stato necessario introdurre controlli doganali sulle merci in arrivo dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord. Questo ha creato tensioni sia politiche, con gli unionisti che si sono sentiti traditi da Londra, che pratiche, con ritardi ai confini, burocrazia e controlli doganali, problemi logistici e scaffali vuoti nei supermercati nord irlandesi.

La Ue ricorrerà alle vie legali

Per attutire il problema quindi il Governo britannico ha deciso di estendere il cosiddetto “periodo di grazia”, rinviando la piena implementazione di tutti i controlli e le procedure previste dal primo aprile al primo ottobre. Questa decisione unilaterale non è stata gradita da Bruxelles. Il vicepresidente della Ue Maros Sefcovic ha detto che la mossa rappresenta “una violazione sostanziale” del Protocollo e che la Ue risponderà per vie legali. Anche secondo il ministro degli Esteri irlandese Simon Coveney è evidente che il Governo britannico non intende rispettare le regole stabilite dal Protocollo.

Londra difende la decisione

Londra ha difeso la decisione. Lord Frost, l’ex negoziatore capo britannico da poco nominato responsabile dei rapporti con la Ue, ha detto che l’estensione del periodo di grazia è necessaria per “motivi operativi” e che non viola i principi del Protocollo. Frost l’ha definita non un’estensione formale ma piuttosto una «facilitazione operativa». Le tensioni tra Londra e Bruxelles hanno avuto un contraccolpo immediato sulla fragile coalizione di Governo in Irlanda del Nord. (Nicol Degli Innocenti)

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BREXIT, I GRUPPI PARAMILITARI UNIONISTI NORD IRLANDESI ABBANDONANO L’ACCORDO DI PACE

di Alfonso Bianchi, 5/3/2021, da https://europa.today.it/

– La decisione in protesta contro i controlli doganali sulle coste dell’isola che per loro rappresentano una divisione del Regno Unito: “Onorate i patti o sarete responsabili della loro distruzione”. Ma per ora promettono di restare pacifici –

   I gruppi paramilitari unionisti hanno deciso di ritirarsi dall’accordo di pace del Venerdì Santo in protesta contro lo spostamento del confine commerciale con il resto del Regno Unito sulla costa dell’Irlanda del Nord, come stabilito dagli accordi della Brexit. In una lettera inviata al premier britannico Boris Johnson, il Loyalist Communities Council, un ente ombrello che rappresenta i paramilitari, sostiene che la loro opposizione continuerà fino a quando il protocollo in materia non sarà stato modificato per garantire “l’accesso illimitato a beni, servizi e cittadini in tutto il Regno Unito”, minacciando: “Se lei o l’Ue non siete pronti a onorare la totalità dell’accordo” di pace raggiunto nel 1998, conosciuto anche come Accordo di Belfast, “allora sarete responsabili della sua distruzione permanente”.

Opposizione per ora pacifica

Il gruppo, che ha anche scritto al premier irlandese Micheal Martin, ha però precisato che per ora la sua opposizione rimarrà “pacifica e democratica”. Come spiega il Guardian i gruppi paramilitari lealisti hanno approvato l’accordo del Venerdì Santo e non hanno alcun desiderio di riaccendere i Troubles. Ma elementi di Uvf, Uda e Red Hand Commando, le organizzazioni più radicali, continuano ad essere una presenza minacciosa in Irlanda del Nord e alcuni sono legati alla criminalità. John Kyle, un consigliere comunale di Belfast del partito Progressive Unionist, che ha legami storici con l’Uvf, ha detto che nella lettera c’era un “impegno assoluto per la non violenza”, ma che le implicazioni della missiva non erano chiare. “È troppo presto per sapere come interpretarlo. È prematuro presumere che significhi abbandonare la non violenza “.

Le tensioni tra Londra e Bruxelles

La decisione del Loyalist Communities Council è arrivata mentre sale di nuovo la tensione fra Londra e Bruxelles sull’attuazione degli accordi del dopo Brexit su uno dei fronti più spinosi: quello dei controlli al confine interno fra Irlanda del Nord e la Gran Bretagna, pretesi dall’Ue nell’ambito di un protocollo ad hoc per assicurare il mantenimento della frontiera aperta fra Ulster e Repubblica d’Irlanda, prevista appunto dagli storici accordi di pace del Venerdì Santo 1999, senza compromettere allo stesso tempo l’integrità del mercato unico europeo.

   A far salire la tensione è stata la decisione del ministro per gli Affari Nordirlandesi, Brandon Lewis, di estendere fino a ottobre il cosiddetto “periodo di grazia” sul passaggio dei prodotti agroalimentare fra Irlanda del Nord e Gran Bretagna senza controlli di sorta. Decisione rivendicata da Londra come un’interpretazione ragionevole delle intese in chiave “temporanea” ma che la Commissione europea non ha gradito affatto. Il vicepresidente Maros Sefcovic, ha affermato che l’iniziativa di Londra “costituisce una violazione del diritto internazionale e anche un chiaro allontanamento dall’approccio costruttivo che ha prevalso fino ad ora”, avvertendo che l’Ue è pronta “a rispondere a questi sviluppi con i mezzi legali stabiliti dall’accordo di recesso e dall’intesa sulla cooperazione” e il libero scambio delle merci sottoscritti col Regno, e che “l’azione partirà molto presto” (Alfonso Bianchi)

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AGLI UNIONISTI NORDIRLANDESI NON VA PIÙ BENE UN PEZZO DELL’ACCORDO SU BREXIT

22/2/2021 da https://www.ilpost.it/

– Dopo avere sostenuto Brexit e i loro governi, ora criticano gli accordi sullo status dell’Irlanda del Nord, che la hanno di fatto allontanata dalla Gran Bretagna –

   Il principale partito degli unionisti nordirlandesi, il DUP (Democratic Unionist Party), inizierà una campagna politica e giudiziaria per convincere il governo britannico guidato dai Conservatori di Boris Johnson a modificare alcune parti essenziali dell’accordo su Brexit, che hanno di fatto allontanato l’Irlanda del Nord dagli altri territori del Regno Unito.

   (…) Il partito dovrebbe presentare una serie di ricorsi nelle corti inglesi, nordirlandesi e delle istituzioni europee per dichiarare l’illegittimità di alcuni punti del trattato. «Le tenteremo tutte per provare a ottenere giustizia per il popolo dell’Unione», ha detto una fonte del partito al Guardian.

   Gli unionisti ce l’hanno soprattutto col compromesso trovato da Boris Johnson nell’ottobre del 2019 che risolse lo stallo nei negoziati accettando che l’Irlanda del Nord rimanesse sia nel mercato comune europeo sia nell’unione doganale. In questo modo è stata evitata la costruzione di una barriera fisica fra l’Irlanda e l’Irlanda del Nord – un obiettivo condiviso sia dai negoziatori europei sia da quelli britannici – ma il legame fra Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito si è indebolito: già dalle prime settimane di entrata in vigore dell’accordo è diventato chiaro che le aziende nordirlandesi saranno costrette invece a rafforzare i propri legami commerciali con quelle irlandesi ed europee.

   In molti stanno osservando che il DUP da alcuni anni ha scommesso molto sulla sua alleanza col partito Conservatore, tradizionalmente più legato all’integrità territoriale del Regno Unito rispetto ai Laburisti. Dopo le elezioni britanniche del 2017 sostennero esplicitamente il governo Conservatore di Theresa May, che senza di loro non avrebbe avuto una maggioranza parlamentare (e che fino all’ultimo si oppose a lasciare l’Irlanda del Nord così legata all’Unione Europea). Poi sostennero con riluttanza il compromesso di Johnson, convinti che sarebbe stata trovata una soluzione per conservare il legame privilegiato con gli altri territori britannici.

   Da quando l’uscita del Regno Unito si è completata, il primo gennaio del 2021, gli ostacoli burocratici fra l’Irlanda del Nord e gli altri territori britannici si sono moltiplicati, provocando una iniziale penuria di prodotti alimentari – dato che i supermercati nordirlandesi si rifornivano prevalentemente dall’Inghilterra – e un progressivo ripensamento delle tratte commerciali, che rafforzerà quelle che passano dall’Unione Europea e dall’Irlanda.

   Nei primi giorni la leader del DUP Arlene Foster aveva difeso il compromesso, ma a fine gennaio era uscito un sondaggio secondo cui il partito aveva perso 4 punti rispetto ad ottobre, e quasi dimezzato i propri consensi rispetto al 2018. Oggi i toni di Foster sono molto cambiati: «è stato il primo ministro britannico a metterci in questa situazione e causare queste difficoltà interne al mercato britannico», ha detto qualche giorno fa: «quindi spetta a lui risolverle».

   Non tutti sono convinti che le critiche di Foster siano credibili, dato che le potenziali conseguenze dell’accordo su Brexit sono note da un anno e mezzo. «Montare un’opposizione ai diversi regimi commerciali [fra Irlanda del Nord e Gran Bretagna] potrebbe fare parte di un cinico tentativo di galvanizzare la propria base elettorale», ha commentato il giornalista Conor Murray sul sito della tv pubblica irlandese, RTÉ.

   Fra le conseguenze più contestate dell’accordo, oltre ai problemi di rifornimento dei supermercati, ci sono anche un nuovo passaporto per gli animali domestici per chi viaggia fra Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito, l’impossibilità di acquistare online alcuni prodotti provenienti dalla Gran Bretagna, e la prospettiva che nei prossimi mesi entrino progressivamente in vigore nuove procedure burocratiche, oggi sospese per facilitare la transizione: una delle nuove misure prevederà per esempio un iter burocratico più lungo per esportare le salsicce di maiale che nel Regno Unito si mangiano a colazione, cosa che potrebbe renderle assai più costose per i nordirlandesi.

   Non è chiarissimo in che modo il DUP potrebbe contestare l’accordo su Brexit, e più precisamente il Protocollo che regola lo status dell’Irlanda del Nord. In passato il DUP e i suoi governi regionali avevano impedito che nell’Irlanda del Nord venissero applicate alcune leggi decise dal governo centrale usando un oscuro meccanismo previsto dagli accordi del Good Friday sulla pace fra le due Irlande, il cosiddetto petition of concern, secondo cui le decisioni più importanti del governo britannico dovrebbero essere prese col consenso della comunità nordirlandese.

   Al momento, comunque, né il governo britannico né le istituzioni europee sembrano intenzionate a modificare radicalmente l’accordo su Brexit, e non è chiaro quanto possa incidere la campagna di pressione avviata dal DUP. (https://www.ilpost.it/)

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LA BREXIT RIACCENDE I FUOCHI DEI TROUBLES IN IRLANDA DEL NORD

di Giacomo Cavaliere, 10/2/2021,da https://www.frammentirivista.it/

   L’uscita dall’UE della Gran Bretagna, formalizzata il 31 gennaio 2020, ha riacceso le speranze indipendentiste dei repubblicani cattolici dell’Ulster, le sei contee dell’isola d’Irlanda militarizzate rimaste in seno alla corona e tutt’oggi si considerano ingiustamente occupate. L’epopea dei nazionalisti nord-irlandesi è un’antica storia di sofferenze e soprusi, una guerra di religione tra cattolici nazionalisti e protestanti lealisti, asserragliati nei rispettivi quartieri tra checkpoint militari e ronde armate. In Irlanda del Nord la Brexit si è subito manifestata con tutte le sue inevitabili conseguenze economiche, prime fra tutte le recenti razzie dei generi alimentari, i rallentamenti della burocrazia e dei commerci doganali hanno portato a un progressivo svuotamento dei supermercati. È la fame o quantomeno la paura di una fame già conosciuta, a riaccendere i mai sopiti fuochi dei Troubles.

   A settembre 2020, a meno di nove mesi dal ritiro dei trattati comunitari da parte del governo di Londra, una maxiretata della Police Service of Northen Ireland, erede della temuta e disciolta Royal Ulster Constabulary, corpo di polizia a reclutamento quasi esclusivamente protestante, ha condotto all’arresto dei leader del Saoradh. Si tratta di una costola marxista-repubblicana fuoriuscita dal Sinn Féin, a seguito degli Accordi del Venerdì Santo del 1998 che sancirono la smobilitazione di gran parte delle organizzazioni paramilitari, pur senza l’effettiva consegna degli armamenti, applicando una virtuale conclusione ai Troubles, la più lunga guerra civile d’Europa, il più violento conflitto mai scoppiato nel Vecchio Continente dalla fine della seconda guerra mondiale.

   Nell’aprile del 2019, nella stessa Derry che il 30 gennaio 1972 raccolse i corpi di quattordici manifestanti disarmati, colpiti dalle raffiche del iI Reggimento paracadutisti del Royal Army, la giornalista Lyra McKee è stata colpita alla testa da una pallottola della New IRA, ultima incarnazione della Continuity IRA, la prima organizzazione repubblicana a non riconoscere il Belfast Agreement del Venerdì Santo. La giornalista, impegnata nel raccontare la rigenerazione del conflitto, sembrerebbe essere stata colpita da una pallottola vagante sparata da un uomo con passamontagna durante un assalto a un veicolo blindato. Un furgone è stato incendiato sulla linea ferroviaria, numerose macchine ed edifici colpiti da bombe carta. Nonostante le scuse dell’organizzazione, la Nuova IRA rinnova la sua determinazione nel colpire gli occupanti, dal loro punto di vista non meno stranieri di una qualunque nazione occupante.

I prodromi del conflitto

1921, Londra – Il 6 dicembre, a Londra, venne firmato il trattato che sancì l’abbandono britannico di ventisei delle trentadue contee irlandese, escluse quelle dell’Ulster, propaggine nord-orientale affacciata alla costa scozzese di Glasgow. L’amministrazione e le forze di polizia protestanti e lealisti ghettizzarono i cattolici nei loro quartieri, appena due anni dopo la fine della Grande Guerra, l’Inghilterra s’apprestò a trasformare una sterile zolla di terra nel territorio più militarizzato del mondo occidentale.

   Il primo massiccio invio di truppe avvenne nell’estate del Sessantanove, i militari inglesi occuparono le strade ufficialmente per interporsi tra la rabbia cattolica e quella protestante. Con l’assalto dei militanti lealisti alla chiesa cattolica di St. Matthews nell’enclave di East Belfast, l’IRA – in seguito indicata come Official IRA, per distinguerla dalle frange secessioniste e maggiormente intransigenti – iniziò a svolgere funzione di protezione delle aree cattoliche.

   Fu presto chiaro agli abitanti dell’Ulster che la presenza britannica, più che da cuscinetto, forniva un servizio d’appoggio logistico e morale alla violenza di religione. Meno di un anno dopo, nella roccaforte di Lower Falls, l’esercito impose un coprifuoco che incancrenì ancor di più la resistenza nord-irlandese. Se è vero che il Sessantotto accese la miccia a Belfast, è altrettanto vero che in nessun altro luogo del mondo l’annus mirabilis della rivoluzione giovanile ebbe ripercussioni tanto violente. La guerriglia urbana, il cecchinaggio, i blocchi militari tratteggiarono il nuovo profilo della quotidianità per quasi trent’anni.  Segni ancora oggi ben visibili in quella che è giudicata la capitale europea con più muri e barriere, molte delle quali rimaste conservate a scopo cautelativo.

Sunday Bloody Sunday

Derry, 1972 – La città dai due nomi, Londonderry per gli Unionisti, è stata la prima in cui vennero erette barricate a protezione dei quartieri cattolici agli albori del Sessantotto, la prima a respingere l’assalto di esercito, polizia e milizie protestanti.

   Meno di quattro anni dopo, in molte cittadine dell’Ulster – Six Counties per i nazionalisti – le leghe per i diritti civili organizzarono delle marce pacifiche per protestare contro l’informale sospensione delle garanzie procedurali e gli arresti illegali. Contro la sospensione informale del diritto di habeas corpus. (NDR: lhabeas corpus è il diritto di richiedere a un giudice l’emissione di un ordinewrit-, diretto a un’autorità pubblica che ha eseguito un arresto, per rendere ragione della detenzione di quella persona, ed è considerato uno dei più efficienti sistemi di salvaguardia della libertà individuale contro detenzioni arbitrarie ed extragiudiziali).

   A presidiare la città, ufficialmente come contingente cuscinetto tra i due attori belligeranti e a protezione di entrambe le confessioni dei suoi sudditi, le giovanissime reclute del I° Battaglione paracadutisti del Royal Army. Tutt’oggi rimangono ignote le reali dinamiche dell’inizio dell’eccidio, ma è indubbio il suo epilogo. Quando i FAL dei parà cominciarono a sparare, tredici manifestanti rimasero a terra, un altro perì qualche mese dopo a seguito delle ferite riportate, e altrettanti rimasero feriti. Solo nel 2003 una recluta rimasta anonima raccontò di aver sparato in testa a una ragazza che agitava un fazzoletto bianco. Le molte ricostruzioni elaborate negli anni successivi rivelarono che almeno cinque vittime erano state colpite da raffiche alla schiena. La domenica di sangue del 1972 (30 gennaio 1972 non giunse alla reale attenzione del mondo prima che l’apertura di War degli U2 l’immortalasse in Sunday Bloody Sunday.

   La scia di sangue dei Troubles attraversa almeno quattro secoli di storia, in un quasi costante incremento d’intensità e capacità offensiva per tutte le parti in causa, come gli attentati di Dublino e Monaghan del Settantaquattro che causarono trentatré morti, vendetta contro l’attendismo e il mancato appoggio dell’EIRE, o l’ordigno che uccise Lord Mountbatten, ultimo viceré d’India e cugino della regina, durante una battuta di pesca, esploso in perfetta concomitanza con un altro, collocato a Warrenpoint, che portò alla morte di diciotto soldati britannici: davanti alla loro caserma, il giorno successivo comparve una scritta in ricordo dei tredici caduti del Bloody Sunday: «13 gone and not forgotten, we got 18 and Lord Mountbatten».

   Oppure ancora, tra gli episodi più sanguinosi della storia dei Troubles possiamo annoverare la bomba che nel ’97 distrusse il centro di Omagh, uccidendo ventisei civili impegnati negli acquisti, sulla quale pendono da sempre le ombre dell’MI5, che fu il più alto tributo di civili in un singolo attentato nella storia del conflitto; l’ingiusta carcerazione dei giovanissimi Birmingham Six e dei Belfast Four, accusati di terrorismo, detenuti per anni e in seguito liberati con una marginale, se non del tutto assente, ammissione di colpa da parte del governo britannico; la morte d’inedia di Bobby Sands e di altri nove detenuti al termine di sette mesi di sciopero della fame, durante la detenzione illegale nel carcere di Long Kesh in regime di totale sospensione della Convenzione di Ginevra, in totale nudità, senza coperte, ore d’aria, assistenza sanitaria o legale.

   Pagine e pagine sono state scritte e si potrebbero scrivere sui Troubles, una guerra ad intensità tutt’altro che bassa, costata quattromila morti confermati e almeno altrettanti direttamente o indirettamente collegati, nelle carceri britanniche così come tra le gente comune, capitata nel fuoco incrociato e semplicemente portatrice dell’una o dell’altra confessione.

   Tra la seconda metà degli anni Ottanta e il Belfast Agreement, sottoscritto il Venerdì Santo del 1998, la capacità militare di organizzazioni come la PIRA – Provisional Irish Republican Army –, grazie ai finanziamenti di Muhammar Geddafi e della criminalità irlandese degli Stati Uniti, crebbe esponenzialmente.  Celebre è il caso del peschereccio Eksund, sequestrato a largo delle coste bretoni con a bordo Gabriel Cleary, direttore del Genio dell’IRA, svariati chili di Semtex, mitragliatrici pesanti e aeronautiche, missili spalleggiabili STRELA e aria-aria SAM-7, oltre a varie tonnellate di munizioni.

   La prima prova di tale aumento di tenore nella storia dei Troubles fu l’attentato al Grand Hotel di Brighton del 12 ottobre 1984, che ospitava il congresso del Partito Conservatore. La bomba provocò il parziale cedimento dei piani superiori, dove era collocata la suite assegnata a Margaret Tatcher. L’ordigno, collocato un mese prima nella camera immediatamente sottostante la camera del primo ministrò, fece collassare l’ultimo piano sventrando un’intera porzione dell’edificio. Nonostante la caduta del pavimento, il primo ministro ne uscì indenne.

Troubles e Anni Duemila: una storia mai conclusa

2009 – Anche in anni più recenti la pagina dei Troubles, tutt’altro che chiusa, ha trovato un nuovo pretesto per spalancarsi al presente. Il 7 marzo del 2009 la Real IRA abbandona per la prima volta la strategia dell’attrito pacifico promulgata nel 2005, uccidendo due militari nei pressi della base di Massereene. Due giorni dopo, la Continuity IRA assassina un poliziotto cattolico accusato di tradimento a Craigavon. Il 23 febbraio dell’anno successivo, a Newry, esplode la prima autobomba del nuovo millennio. Infine, nel gennaio del 2019, un’altra autobomba salta davanti al tribunale di Derry, causando notevoli danni e nessuna vittima, grazie alla pronta evacuazione degli isolati circostanti.

   Naturale conseguenza – o fattore scatenante – sono le azioni dei lealisti, che, nonostante lo scioglimento ufficiale della Red Hand Defans e dell’Ulster Volunteers Force, si rendono protagonisti di continui attacchi alla comunità cattolica, organizzando spedizioni punitive anche con armi da fuoco nei centri sportivi gaelici, ritenuti nuovo bacino di reclutamento dei giovanissimi membri della New IRA. Caratteristica della nuova generazione, come fu per la Continuity, unica organizzazione ufficiale a non aver dichiarato alcun cessate il fuoco, è il rifiuto e la diffidenza verso la concertazione politica di Gerry Adams e del Sinn Féin. Il motto adottato dai membri più giovani e intransigenti della nuova leva, Unfinished Revolution, risuona oggi come un nuovo atto di una storia infinita. (GIACOMO CAVALIERE, 10/2/2021, da https://www.frammentirivista.it/)

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“THE TROUBLES” E IL RISVEGLIO DELL’IRISH REPUBLICAN ARMY (IRA)

di Marco Bertuccio, da https://sites.google.com/

   La domenica del 30 gennaio 1972 a Derry, in Irlanda del Nord, è in corso una marcia per i diritti civili dei cittadini irlandesi cattolici e nazionalisti. Per disperdere la manifestazione, non autorizzata, i paracadutisti dell’esercito britannico aprono il fuoco sulla folla, uccidendo 14 manifestanti e ferendone molti altri. Quel giorno passerà alla storia come BLOODY SUNDAY, e segnerà l’inizio di un periodo storico che insanguinerà l’Irlanda del Nord per più di 30 anni. Per l’IRA, quella stessa domenica, rappresentò soprattutto il giorno del suo definitivo risveglio.

   Dopo la fine della guerra civile irlandese del 1921-23, le frange più violente dell’IRA si ritirarono nella parte settentrionale dell’isola, in difesa della popolazione cattolica. Nonostante l’obiettivo dichiarato di combattere per l’unione dell’intera isola in unico Stato libero ed indipendente dal Regno Unito, le attività del gruppo armato si affievolirono sempre più, fino quasi a scomparire. L’IRA passò anni di grande analisi introspettiva, che finì con lo spostare gli obiettivi dell’organizzazione verso la lotta di classe e l’ideologia marxista. In pochi compresero che l’Irlanda del Nord fosse una polveriera destinata ad esplodere, fino a quando, dopo il secondo conflitto mondiale, essa effettivamente esplose.

   Sin dalla divisione seguita alla guerra anglo-irlandese che aveva lasciato le sei contee nordorientali sotto il dominio britannico, i cittadini cattolici venivano discriminati dalla maggioranza protestante al governo. In questa situazione, nel 1966 venne fondata la Northern Ireland Civil Rights Association (NICRA), organizzazione che si proponeva di chiedere riforme in favore della minoranza cattolica. Negli anni a seguire la NICRA si fece fautrice di molte manifestazioni, che sempre più spesso si trasformavano in veri e propri scontri con i protestanti e la Royal Ulster Constabulary (RUC), la polizia della provincia. L’agosto 1969 fu un anno molto caldo da questo punto di vista, con scontri dalla cadenza giornaliera tra i due gruppi. Il 14 agosto, a Belfast, gruppi di estremisti protestanti arrivarono a mettere a ferro e fuoco le vie in cui abitavano i cattolici. Era l’inizio del periodo noto come “The Troubles”.

   L’IRA, fiaccata da lunghi anni di inattività, non riuscì a riprendere il suo tradizionale ruolo di difesa della popolazione cattolica. Scontenti di come l’IRA non avesse reagito ai disordini d’agosto, un gruppo di giovani militanti cresciuti politicamente nel movimento per i diritti civili decise di scindersi dall’organizzazione, fondandone una nuova, la “Provisional IRA”. Questa nuova organizzazione si dimostrò subito molto più attiva di quella che ora si faceva chiamare come “Official IRA”, diventando la protagonista indiscussa dei “Troubles”. Alle due formazioni cattoliche se ne contrapponevano altrettante protestanti: l’UVF (Ulster Volunteer Force) e l’UDA (Ulster Defence Association), nota dal 1973 come UFF (Ulster Freedom Fighters).

   Il 9 agosto 1971 il governo nordirlandese introdusse l’internamento senza processo, cosa che, invece di creare problemi all’IRA, aumentò il numero delle reclute e il sostegno dei cittadini cattolici all’organizzazione.   Il Bloody Sunday è solo l’evento più noto di un anno, il 1972, tra i più sanguinosi del periodo (circa 472 vittime), durante il quale l’IRA, l’esercito britannico, e le formazioni protestanti, ingaggiavano quasi tuti i giorni scontri a fuoco per le vie di Belfast e Derry, diventate delle vere città fantasma.

   La situazione sembrava ormai fuori controllo e nel marzo di quell’anno il governo britannico decise di sospendere il parlamento nordirlandese assumendo il controllo diretto dell’Irlanda del Nord. I soldati e la polizia venivano attaccati costantemente, sia nelle zone urbane che in quelle rurali. Gli attentati colpivano caserme, presidi e convogli militari, ma anche i cosiddetti “obiettivi economici” come pub, ristoranti e fabbriche.

   Di fatto l’IRA tenne in scacco uno degli eserciti più forti al mondo, impossibilitato a ritirarsi per evitare un altro colpo al già vacillante mito dell’unità del Regno Unito. Nel mentre, l’UVF (Ulster Volunteer Force) e l’UFF (Ulster Freedom Fighters) colpivano i cattolici con violenza inaudita, allo scopo di terrorizzare la comunità. Particolarmente agghiacciante è la vicenda degli Shankill Butchers (i macellai di Shankill), un’unità dell’UVF che, sotto la guida del famigerato Lenny Murphy, rapiva e uccideva cittadini cattolici tagliando loro la gola dopo averli orribilmente torturati e mutilati.

   L’aumentata ferocia e capacità operativa dei paramilitari protestanti e l’uso sempre maggiore da parte dell’esercito britannico delle forze speciali (SAS e 14th Intelligence) resero gli anni tra il 1988 e il 1993 tra i più violenti dell’intero conflitto. Soltanto nel 1998, durante dei colloqui presenziati dal presidente inglese Blair e il premier irlandese Bertie Ahern, si arrivò alla firma di un accordo (“Accordo del Venerdì Santo”) che pose fine a 30 anni di conflitto.

   L’IRA non si è mai sciolta ufficialmente, ma di fatto la sua storia si conclude il 28 luglio 2005, quando l’esercito repubblicano irlandese ha annunciato l’addio definitivo alla lotta armata e l’inizio dello smantellamento del suo arsenale. Tra il 1969 e il 2001 le vittime dell’IRA sono state circa 1.800 (il 49% del totale di tutto il conflitto). (Marco Bertuccio)

(Bobby Sands in un murale della zona cattolica di Belfast – foto da Wikipedia) – BOBBY SANDS, leader cattolico repubblicano nordirlandese, volontario della Provisional Irish Republican Army (IRA), prigioniero politico nel carcere di Maze a Long Kesh, morì in carcere il 5 maggio 1981 a seguito di uno sciopero della fame condotto a oltranza come forma di protesta contro il regime carcerario cui erano sottoposti i detenuti repubblicani.

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