AFRICA: continente dimenticato e con molte sofferenze (ma che vive la sua modernità con alcune speranze)

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La visita del papa in Africa ha prodotto un momentaneo interesse per un continente sostanzialmente dimenticato in questi anni, fuori dai processi di sviluppo (economico, sociale, politico) del pianeta. Se ne parla per i massacri nel Darfur (dentro il Sudan), per le masse di profughi-migranti che tentano-sperano la fortuna verso l’Europa, per un inizio di presenza cinese diffusa in vari stati africani (che potrebbe essere elemento di sviluppo dello spirito economico imprenditivo). La crisi economica internazionale poi non è che aiuti di certo i paesi poveri: quasi sempre essi vengono ancor di più dimenticati. Alcuni elementi positivi però ci sono: nell’espansione anche nel mondo ricco di forme della cultura africana; oppure del fatto, assai rilevante che il presidente dello Stato più potente e ricco del pianeta ha le sue origini in quel continente.     Qui di seguito Vi proponiamo un piccolo “dossier” Africa con tre interventi di persone che conoscono bene la geopolitica e i meccanismi sociali del continente africano. Tre articoli ripresi da “La Repubblica” del 10 marzo scorso. Il primo di Bernardo Valli (“L’Africa, dalla tirannia al Darfur: le piaghe di un continente”), anziano e prestigioso giornalista che ha vissuto tutta l’epoca (degli ultimi cinquant’anni) di completa decolonizzazione dell’Africa, e le delusioni di vedere che si sono creati Stati (dagli anni sessanta del novecento) con dittatori e dinastie politiche locali molto peggio dei colonizzatori precedenti. E che si sia creata in questi decenni una sovrapposizione tra etnie, stati e nazioni, dove alla fine le etnie scompariranno del tutto, e (secondo il giornalista) tra meno di una generazione la gente si sentirà senegalese, keniota, ivoriana, gabonese, camerunese, e non più serere, ulof, kikuyu, beté, fang o bamileké (“nel bene” o “nel male” forse sarà determinato dalla “qualità civile” che i vari Stati -in cui si riconosceranno gli africani- riusciranno ad esprimere). E L’excursus storico di Bernardi Valli mostra dubbi sulla possibilità che l’Africa, con la sua gente, “ce la possa fare” (ma il suo giudizio non è definitivo). Più possibilista e propositore di speranza è invece il secondo articolo di Abdourahman Waberi, scrittore del Gibuti che scrive di Africa e geopolitica per varie riviste specializzate internazionali. Nel suo articolo (“Ma sperare è possibile”) lui critica gli “afro-pessimisti”, mostrando come alcuni paesi stiano andando verso uno sviluppo positivo (il Botswana, il Mali…ma anche il Ruanda, dopo la tragedia mostra segni di grande ripresa). Infine Lucio Caracciolo (direttore di Limes, rivista di geopolitica) lancia un appello all’Europa perché si interessi molto di più all’Africa, anche per ragioni di “sano egoismo”: l’implosione e l’esplosione del continente africano porta ripercussioni forti e negative anche in Europa; e un processo di sviluppo civile e di eliminazione delle sofferenze e povertà delle popolazioni africane è un valore da crederci. Insomma vi invitiamo a leggere queste analisi-rappresentazioni dell’Africa perché riteniamo necessario, da adesso, che si possa riuscire a guardare il mondo in tutte le sue parti, visto che, nell’era della comunicazione globale, come si usa dire “lo sbatter d’ali di una farfalla in un luogo provoca un tornado a mille e passa chilometri lontano”.

AFRICA: dalla tirannia al Darfur, le piaghe di un continente

Repubblica — 10 marzo 2009  (di Bernardo Valli) L’ Africa indipendente sta per compiere mezzo secolo:è infatti nel 1960 che molti paesi conquistarono la sovranità nazionale. È in quell’anno che il processo di decolonizzazione, già cominciato nel decennio precedente, e annunciato ancor prima, subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, accelera i ritmi nel continente. Il processo si prolungherà fino agli anni Settanta per le colonie portoghesi, Angola e Mozambico, costrette ad aspettare la “decolonizzazione interna” del Portogallo, vale a dire la fine della dittatura di Salazar. Fu esaltante, per un giovane cronista quale ero all’epoca, assistere alla nascita di tante nazioni. Era uno dei grandi avvenimenti del ‘ 900: gli africani diventavano protagonisti sulla loro terra, la quale si colorava di tante bandiere nazionali, dopo essere stata una larga macchia («senza storia e senza individui») su cui sventolavano le bandiere delle potenze coloniali. Senza l’ emancipazione dell’Africa oggi non ci sarebbe, probabilmente, alla testa degli Stati Uniti d’ America un presidente con una precisa ascendenza africana. La delusione interviene spesso quando le importanti svolte della Storia, che hanno segnato un progresso e hanno acceso le fantasie, si scontrano con la realtà. Non pochi leader dei movimenti indipendentisti una volta arrivati al potere si sono trasformati in veri e propri despoti. Non avrebbero gli stessi toni (un po’ risorgimentali) i ritratti che scrissi dei leader dopo averli incontrati: di Nkrumah, presidente del Ghana, o di Seku Turé, presidente della Guinea, per non parlare di Mobutu, presidente del Congo (forse non del tutto estraneo all’eliminazione di Lumumba, che conobbi rappresentante della birra Primus, a Stanleyville).

Le spiegazioni sono tante. Una democrazia non nasce spontaneamente. Noi europei lo sappiamo bene. Per l’Africa va ricordato che nel tracciare i confini dei loro possedimenti, alla fine dell’Ottocento, le potenze coloniali non badarono all’omogeneità culturale dei gruppi umani. Gli stessi confini diventarono negli anni Sessanta quelli degli Stati-nazione indipendenti. Cosi, per fare un esempio, i popoli di lingua kongo furono dispersi in tre Stati, il Congo ex francese, il Congo ex belga e l’ Angola ex portoghese. Nessuno tenne in considerazione il fatto che quei popoli avessero costituito nel passato un potente regno, durato assai più a lungo dell’epoca coloniale. La grande Nigeria, come altri paesi più piccoli, raccoglie un mosaico di gruppi eterogenei (etnici, tribali) sui quali si è sovrapposta una struttura statale. Sono nati dunque spesso degli Stati e non delle vere nazioni.

Il nazionalismo dopo l’ indipendenza è diventato un’ ideologia di Stato che ha legittimato il potere di un gruppo, di un’élite. Quasi tutte le crisi, spesso sanguinose, degli ultimi decenni sono dovute a scontri tra gruppi etnici che si contendevano il potere. E i partiti politici sono per lo più ritagliati sulle tribù.

<La presa di coscienza della nazionalità è tuttavia molto rapida, in particolare negli agglomerati urbani dove l’ incrocio etnico è inevitabile e dove risiede il potere.

Tra meno di una generazione metà della popolazione africana sarà cittadina e la gente si sentirà sempre più senegalese, keniota, ivoriana, gabonese, camerunese e non più serere, ulof, kikuyu, beté, fang o bamileké.

Le crisi ricorrenti nel continente non sono una fatalità. Vent’anni fa l’ intera Africa australe era in guerra. C’ era la guerra civile in Mozambico e in Angola. Una guerra di liberazione nello Zimbabwe. L’ apartheid nell’Africa del Sud e in Namibia. Oggi l’ Africa australe è uscita dalla guerra. Resta detestabile la situazione nello Zimbabwe. Dall’indipendenza l’Africa dei Grandi Laghi ha conosciuto i massacri nel Congo ex belga e l’ annessa guerra del Katanga; una feroce guerriglia nel Congo ex francese; il genocidio del 1994 nel Rwanda; la guerra civile nel nord dell’Uganda. E la guerra quasi mondiale nel Congo ex belga, diventato Zaire e poi Repubblica Democratica, con l’ intervento militare di nove paesi e la partecipazione di un imprecisato numero di gruppi armati. Sarebbe azzardato dire che tutto va adesso bene nella Rdc. Va comunque segnalato che ci sono state varie elezioni: da quelle legislative a quelle presidenziali. Seguite, è vero, da un’ altra crisi nella regione dei Grandi Laghi.

Nell’Africa occidentale c’è stata la guerra del Biafra, la guerra civile in Liberia e nella Sierra Leone. I conflitti in Nigeria si sono assopiti. La Costa d’ Avorio ha infranto la sua immagine di paese ordinato e benestante.

E poi c’è il Corno d’ Africa, dove le ex colonie italiane sono stata lungo cuore di conflitti: quello per l’ indipendenza dell’Eritrea; la rivoluzione etiopica che ha spazzato via la monarchia; e soprattutto il dramma della Somalia. Paese che nel ’60, quando dichiarò l’indipendenza, fu indicato come un esempio di democrazia.

Questa lunga, spossante ma incompleta lista serve a sottolineare che oggi di crisi ne restano tante allo stato latente, ma che una sola merita di essere definita una crisi aperta e sanguinante: quella del Darfur, una sporca guerra che può traboccare nei paesi vicini. Molte dittature si sono trasformate in democrazie, sia pure precarie.

La grande diffusione di telefoni cellulari, spesso anche in villaggi isolati, favorisce le comunicazioni, quindi uno scambio di informazioni e di idee, un tempo impensabile.

Le piaghe dell’Africa sono tante: vanno dalla mortalità infantile, al paludismo, alla tubercolosi, all’Aids.

In The Bottom Billion, Paul Collier, studioso dell’economia di sviluppo, cerca di spiegare la povertà dei dannati della Terra: il miliardo di donne e uomini che vivono in circa 58 Paesi, il 70 per cento nell’Africa subsahariana. I principali motivi sarebbero quattro. 1) I conflitti armati che si ripetono senza sosta, più o meno intensamente, in maniera cronica, e comunque sempre latenti, che generano l’ instabilità, un basso tasso di scolarità e un’ intensa criminalità. 2) La maledizione delle risorse naturali, che rappresentando una manna creano un disastroso clientelismo nei sistemi democratici, e un’ arma pericolosa in quelli autoritari. 3) L’ interclusione, vale a dire la situazione dei paesi senza sbocchi sul mare e dipendenti da quelli che li circondano e abusano della loro posizione privilegiata imponendo tasse e dazi. 4) Il cattivo governo. Il futuro non è rosa, dice Collier: il paesaggio mondiale si incupisce sui paesi poveri, che subiranno più degli altri il peso della crisi.

Scheda:

I PEGGIORI DITTATORI DELLA RECENTE STORIA DELL’AFRICA INDIPENDENTE:

· BOKASSA Dittatore in Congo dal 1966 al 1979 è ricordato per le stragi e gli eccessi come l’ incoronazione da 20 milioni di dollari

· IDI AMIN DADA Il suo dominio dell’ Uganda dal 1971 al 1979 fu caratterizzato da stragi, persecuzioni e fama di cannibalismo

· MOBUTU Dittatore dello Zaire dal 1965 al 1997 arrivò al potere con un golpe, instaurando un regime violento e corrotto

· MUGABE Al potere in Zimbabwe dal 1980, è accusato dalle organizzazioni per i diritti civili di torture violenze e corruzione

· BASHIR Il ditttatore del Sudan è stato condannato dal Tribunale internazionale dell’ Aja per le stragi in Darfur

MA SPERARE E’ POSSIBILE

La Repubblica (ABDOURAHMAN A. WABERI) 10 marzo 2009

Quando penso all’Africa, pur senza negarne le molte difficoltà, cerco di essere ottimista.

Chi riduce il continente africano solo alla crisi e alla violenza – come fanno molti “afro-pessimisti” – è in fondo prigioniero di una visione tipica del Nord del mondo, che guarda all’Africa solo in termini di redenzione o di sconfitta.

È una logica binaria e manichea che non posso condividere. Occorre invece cercare di analizzare la realtà africana nella sua complessità, tenendo conto delle sue dinamiche storiche. La crisi del Darfur ad esempio nasce da un complesso di cause passate e presenti, alcune delle quali dipendono dal contesto internazionale.

Tenendone conto, si capisce meglio perché l’opinione pubblica arabo-africana sostenga Omar al Bashir, domandandosi come mai la giustizia internazionale si faccia avanti solo adesso, mentre in altre occasioni sia stata del tutto silenziosa e assente. Bashir non è certo un democratico e la sua politica disprezza i diritti dell’uomo, ma non è certo il solo dittatore al mondo. E chi lo sostiene o lo condanna lo fa spesso per calcolo. In ogni caso, aldilà della condanna attuale, sarebbe stato forse più utile difendere e aiutare i democratici sudanesi che da molti anni si battono contro di lui. Il vero problema è che alla base delle crisi che hanno sconvolto l’ Africa negli ultimi anni – dal Ruanda alla Somalia, dal Congo al Darfur – c’ è sempre un groviglio di problemi economici che nascono dalla scarsità delle risorse.

Solo in seguito, la competizione economica assume caratteristiche politiche, sfruttando identità religiose o tribali.

È innegabile, infatti, che il grande squilibrio tra l’ Africa e l’ Occidente sia il frutto del colonialismo e prima ancora della tratta degli schiavi. Due fenomeni che hanno impoverito un continente che fino ad allora aveva conosciuto un suo sviluppo.

Va sottolineato però che, se gli africani dopo il colonialismo non sono riusciti ad emanciparsi da tale squilibrio, è perché, dopo un primo decennio di euforia democratica, le élite al potere non sono state all’altezza della situazione, dilapidando e predando le ricchezze degli stati africani. Non bisogna però generalizzare, dato che vi sono anche esempi positivi.

Si pensi al Botswana, al Mali o alle isole Mauritius, dove, pur tra mille problemi, l’ evoluzione è stata positiva. Anche il Ruanda, dopo gli anni della tragedia, mostra oggi segni incoraggianti di ripresa, con alcuni elementi di originalità. Ad esempio, un parlamento dominato dalle donne – conseguenza indiretta del genocidio che ha colpito innanzitutto gli uomini – che influisce positivamente sullo sviluppo di una società in precedenza molto tradizionalista.

Un altro elemento incoraggiante è la crescente diffusione della cultura africana nel mondo occidentale. La vitalità culturale del continente, oltre ad avere importanti ricadute economiche (in Mali, l’ economia legata alla musica pesa ormai quanto l’ economia del cotone), dimostra che, quando le condizioni di partenza sono le stesse che altrove (per la cultura infatti non c’ è bisogno di grandi infrastrutture), gli africani competono senza difficoltà con il resto del mondo.

Purtroppo l’ Occidente si accorge dell’Africa solo nei momenti di crisi. Se se ne occupasse più spesso, seguendone l’ evoluzione nella durata, sarebbe meno sorpreso dagli avvenimenti più tragici. E soprattutto si renderebbe conto che l’Africa non è più solo un altrove, ma una realtà presente al suo interno, una realtà ineludibile con cui gli occidentali devono imparare a fare i conti.

L’ Africa oggi è già qui, come l’altro è già in me. (Testo raccolto da Fabio Gambaro) – ABDOURAHMAN A. WABERI


IL RISCHIO PER L’EUROPA

(di Lucio Caracciolo)

Non sappiamo quale mondo uscirà dall’attuale devastante crisi economica. Sappiamo però che in tempi di penuria e paura i forti si rivalgono sui deboli, i ricchi sui poveri. E questi ultimi non hanno margini di difesa.

Ecco perché fra qualche anno – speriamo non troppi – quando il peggio sarà passato e potremo trarre un bilancio del mondo dopo il crollo del “Muro” di Wall Street (settembre 2008), c’ è il rischio che sulle nostre mappe il continente africano sia di nuovo contrassegnato dalla classica simbologia: “hic sunt leones” o “terra incognita”.

Alcuni lo sperano perfino, quasi avessimo qualcosa da guadagnarne. E’ di pochi anni fa un analitico rapporto dei nostri servizi segreti, trapelato alla pubblica opinione, in cui si sosteneva fosse interesse italiano che il Quarto Mondo africano non evolvesse in Terzo. Ossia che la parte talmente povera dell’Africa da essere totalmente abbandonata a se stessa e sconnessa dal resto del mondo restasse tale. Perché dal Quarto Mondo non si emigra verso di noi, dal Terzo sì.

Quel documento distillava un’ antica ma sempre cogente immagine dell’Africa che noi europei coltiviamo pervicacemente da secoli. Un immane buco nero, afflitto da mali incurabili, fonte di pericoli – dalle pandemie all’immigrazione clandestina, più recentemente al terrorismo – o al massimo serbatoio di ricchezze naturali da contendersi a man salva. Certo, 30 dei 32 Stati più arretrati, secondo l’Onu, sono africani.

Quasi la metà degli abitanti dell’Africa subsahariana vivono con meno di un dollaro al giorno. E l’Aids continua a mietervi milioni di morti ogni anno. Soprattutto, gli Stati africani emersi dall’era coloniale restano in buona parte affidati a dittatori e/o clan più o meno criminali.

Eppure negli anni recenti non sono mancati i segnali di risveglio. Per la prima volta dalla fine del colonialismo un paese africano è diventato un attore globale: il Sudafrica del dopo-Mandela è una grande potenza regionale, con un suo “impero” informale esteso a buona parte dell’Africa subsahariana, che con Brasile e India ha attrezzato un “asse” di intese e collaborazioni Sud-Sud capace di pesare su scala intercontinentale.

Altri paesi hanno coltivato una più matura coscienza di sé, esibendo inediti patriottismi, impensabili per chi li considerava solo monconi tracciati a fil di spada dalle potenze coloniali d’ origine. Certo la crisi li espone tutti al pericolo di tornare indietro di qualche decennio, anche in termini di indipendenza nazionale. Perché essa si innesta sul nuovo scramble for Africa basato sulla caccia alle risorse minerarie, soprattutto energetiche, da parte delle potenze che ne sono più assetate: Cina e Stati Uniti in testa.

La competizione è scatenata. Con nessuna considerazione per le necessità delle popolazioni locali, salvo che per dirigenti o capiclan da corrompere.

In questa congiuntura drammatica noi italiani ed europei abbiamo la responsabilità di non dimenticare l’Africa. Non solo per ragioni umanitarie – cui di questi tempi le nostre opinioni pubbliche stentano ad aderire – ma per coltivare il nostro interesse a che una vasta porzione di mondo non precipiti nel baratro delle guerre permanenti, del desviluppo.

Un vulcano che erutti minacce più o meno effettive, moltiplicate dall’enfasi dei media, nei cui confronti tenteremmo quindi di erigere una barriera difensiva, un cordone sanitario non metaforico. Offuscando l’attualissima lezione del “padre della patria” senegalese, Léopold Sedar Sénghor, compressa nella formula di “Eurafrica”.

A ricordarci quanto forti siano i vincoli che legano il futuro, non solo il passato, dei due continenti. (Lucio Caracciolo)

PER SAPERNE DI PIU’:


GEOLIBRI SULL’AFRICA


  • DIEGO MARANI (a cura di) Darfur, geografia di una crisi TERRE DI MEZZO 2008
  • RYSZARD KAPUSCINSKI Ancora un giorno FELTRINELLI 2008
  • JOHN ILIFFE Popoli dell’ Africa. Storia di un continente BRUNO MONDADORI 2007
  • GIOVANNI CARBONE L’ Africa. Gli stati, la politica, i conflitti IL MULINO 2007
  • GIAMPAOLO CALCHI NOVATI PIERLUIGI VALSECCHI Africa: la storia ritrovata CAROCCI 2005
  • ANGELO DEL BOCA Gli italiani in Africa orientale MONDADORI 1992
  • JOSEPH KI-ZERBO Storia dell’ Africa nera EINAUDI 1977

GEOFILM SULL’AFRICA CHE DESCRIVONO LA SITUZIONE SOCIALE E POLITICA:


  • L’ ULTIMO RE DI SCOZIA Un giovane dottore scozzese, in Uganda per motivi umanitari resta affascinato dal dittatore Idi Amin Dada prima di scoprirne la ferocia. Con Forest Whitaker, regia di Kevin Macdonald (2006)
  • GRIDO DI LIBERTÀ La storia dell’ amicizi a tra il leader del movimento di liberazione sudafricano Steve Biko e un giornalista britannico. Con Kevin Kline e Denzel Washington Regia di Richard Attenborou gh (1987)
  • LA MIA AFRICA Basato sul libro di Karen Blixen, la storia autobiografica di una piantagione in Kenya, amori sfortunati e il fascino del “continente nero” Di Sidney Pollack, con Meryl Streep e Robert Redford (1985)

GRANDI SCRITTRICI EUROPEE VISSUTE IN AFRICA, e il loro pensiero sull’Africa:

· Doris Lessing: “In Africa c’ è una scorta illimitata di grandi leader, criminali e teppisti e ladri” (da “Il sogno più dolce” – 2002)

· Karen Blixen: “Il rapporto tra bianchi e neri in Africa somiglia alla relazione fra i due sessi” (da “La mia Africa” – 1937)

· Nadine Gordimer: “La mia patria è in Africa. Non mi sento né inglese, né continentale, né anglosassone” (da un’intervista a “La Repubblica”)

3 risposte a "AFRICA: continente dimenticato e con molte sofferenze (ma che vive la sua modernità con alcune speranze)"

  1. albertograva domenica 22 marzo 2009 / 10:16

    Come dice Kapuscinski chiamare Africa questo continente è solo per convenzione, per semplificare, per comodità. A parte la sua denominazione geografica l’Africa non esiste. Mi sembrano parole forti piene di significato dette da un giornalista che ha trascorso anni e anni vagando per l’Africa cercando di conoscerne i lati meno evidenti, più nascoste, nel tentativo di evitare di raccontare il continente in modo diverso, dall’interno e non dall’esterno come spesso, ancor oggi accade, accade.

    Mi permetto di aggiungere un libro:
    EBANO di Kapuscinski (del quale trovate la recensione qui sul blog)
    e anche un film:
    BLOOD DIAMOND di Edward Zwick e con Leonardo di Caprio, che racconta la realtà dello sfruttamento dell’Africa da parte degli stranieri.

  2. DIANORA GRASSI martedì 25 agosto 2009 / 14:05

    ARTICOLI BELLISSIMI ED INTERESSANTISSIMI. STO COSTRUENDO UNA BELLISSIMA MANIFESTAZIONE “CASTELLI IN AFRICA” DOVE SENZA VOLEVO SEMPLICEMENTE APRIAMO UNA FINESTRA SULLA CULTURA AFRICANA. BRAVI PARLARNE SEMPRE MA NN SOLO DI MALE. LA CULTURA APRE FRONTIERE INFINITE

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