Pianificazione e partecipazione

Eccomi qui, fresco fresco di riunione tra geografi…

sottopongo alla vostra attenzione un argomento di cui ultimamente ho avuto modo di sentir parlare molto: il rapporto tra la pianificazione e la partecipazione, a mio modo di vedere le due cose dovrebbero essere per definizione legate l’una all’altra, d’altra parte è pur vero che si rischia il nulla di fatto se si esagera, per eccesso, nell’accostarle. Cosa ne pensate? riporto qui sotto due articoli apparsi sul Corriere della Sera il 5 marzo, mi sembrano interessanti perchè sono centrati (il secondo in particolare) proprio su questo argomento.

Il progetto Celerina, vicino a Sankt Moritz, farà una consultazione popolare sull’ hotel a 4 torri alto 77 metri in centro. Lettera di un gruppo di cittadini contrari: «Deturpa l’ ambiente». L’ architetto: non è invasivo, sembra un cristallo

Il grattacielo di Botta che divide le Alpi

Il sindaco: favorevoli, ma attendiamo il referendum. Gli ambientalisti: serve una legge per limitare l’ altezza dei palazzi

MILANO – L’ architetto ticinese Mario Botta giura: «Non costruirò nulla se gli abitanti di Celerina non mi daranno il loro consenso». Il Comune nicchia: «Non vogliamo dire niente» spiega il sindaco Räto Camenisch, che alla fine però ammette: «L’ orientamento dell’ amministrazione è positivo, ma ora ci aspetta il referendum». La fondazione svizzera per la tutela del paesaggio ha inviato una lettera di protesta al sindaco e non usa mezzi termini: «Siamo contrari. E’ un progetto che va bene a Milano, in montagna è un pugno in un occhio». A far discutere è l’ idea di affidare all’ architetto Botta la costruzione di un hotel-grattacielo alto 77 metri. Diciassette piani con 300 posti letto e accanto altri quattro piani di case vacanze. Area wellness e shopping-center aperti anche al pubblico. L’ area destinata è quella dove ora si trova il parcheggio degli impianti di risalita. A volere il mastodontico hotel dalle forme futuristiche è la Bergbahnen Engandin St. Moritz SA, la società proprietaria dei 56 impianti di risalita dell’ Engadina, che sborserà 124 milioni di euro per realizzare la torre bianca a Celerina, perla dello sci in Svizzera. «Negli ultimi anni si è registrato un calo di presenze – spiega il direttore marketing degli impianti, Michael Kirchner – e volevamo fare qualcosa per migliorare la situazione. Con la torre calcoliamo di raggiungere 45.000 pernottamenti in più all’ anno, mentre oggi sono 225.000. L’ hotel garantirà 100 nuovi posti di lavoro e una riduzione del traffico in paese perché i 740 posti auto saranno sotterranei». Mario Botta, che non è nuovo all’ uso di uno spazio architettonico forte e geometrico, chiarisce: «Si tratta per ora di uno studio di fattibilità, il progetto arriverà più avanti. L’ albergo l’ ho immaginato come un cristallo traslucido, che cambia colore a seconda della luce, e non sarà invasivo perché verrà costruito a monte del paese e contro la montagna, a cui fa da fondale. Si distingue dal paesaggio, che resta sotto». E a chi dice che è un orrore? «Io capisco che può sembrare un intervento forte, ma io dico anche che è molto snello. Con quattro torri abbiamo evitato un volume largo. Ho seguito la tradizione dei grandi alberghi dell’ Ottocento, che non si mimetizzano, ma in chiave moderna». Ora la parola passa ai 1332 abitanti che popolano Celerina. Dopo la presentazione pubblica del progetto a fine febbraio, per il 31 marzo è convocata un’ assemblea comunale e i cittadini potranno dire la loro: favorevoli o contrari al cristallo di Mario Botta e alla trasformazione di quello che oggi è solo un parcheggio in un terreno edificabile. Il progetto sarà comunque votato dall’ amministrazione il prossimo inverno e i lavori, salvo intoppi, dovrebbero partire nel 2011. C’ è anche chi storce il naso e non manda giù l’ idea di avere un grattacielo alto 77 metri nel mezzo dell’ Engadina. Raimund Rodewald, direttore della fondazione svizzera per la tutela del paesaggio, ha già in mente la prossima mossa: «Con una raccolta firme abbiamo intenzione di promuovere una legge che limiti l’ altezza dei palazzi in Engadina. Altre istituzioni si stanno muovendo come noi. Non credo davvero che questa costruzione piacerà agli italiani che qui hanno la casa. Un grattacielo così grande è troppo in contrasto con un paesaggio montano. E poi quella torre fa concorrenza al campanile: 34 metri contro 77. No, davvero non va bene». (ha collaborato Vittore De Carli)

I precedenti Ponti e palazzi contestati Mostri o capolavori bocciati?. Palazzo delle Nazioni Il Palazzo della Società delle Nazioni è un’ idea del 1927 di Le Corbusier. Fu messo in concorso (337 partecipanti) ma il progetto, oggi considerato rispondente alle necessità, venne bocciato dalla giuria . Porta della città Nel 2000 Frank O. Gehry rinuncia a costruire la sua Porta della città di Modena in piazza Sant’ Agostino, ampio spazio settecentesco, per i contrasti insorti con la critica cittadina. Ponte sull’ Arno Nel 1945 l’ architetto Frank Lloyd Wright progettò un geniale ponte sull’ Arno, a Firenze, che venne però bocciato perché giudicato in contrasto con lo stile del Ponte Vecchio.

Marrone Cristina

In questo secondo articolo viene riportata un’intervista al prof. Cervellati dello IUAV:

“Firme illustri usate come paravento”

MILANO – La torre di Botta a Celerina. La tramvia di Firenze. Il filobus di Bologna. I cittadini chiedono di poter far sentire la loro voce con un referendum. Spiega l’ urbanista Pier Luigi Cervellati: «Vogliono partecipare alle scelte che riguardano il loro territorio. Primo: perché le loro città sono brutte. Secondo: perché dietro molti progetti si celano ragioni oscure». Partiamo dalla torre di Botta? «Non conosco il progetto. Ma che bisogno c’ è di costruire grattacieli in Engadina? Nulla hanno a che vedere con l’ assetto del territorio. È la crisi della fantasia». Botta forse non sarebbe d’ accordo. «Purtroppo firme illustri, e non mi riferisco al caso specifico, sono il paravento per operazioni di grande speculazione. Oggi ci sono più architetti che nel Rinascimento. Tutte le loro opere, tra 50 anni, saranno considerate arte?». Un esempio? «Il ponte di Calatrava: costosissimo, tutto tranne che un’ opera d’ arte. Ben venga dunque se la gente, sulle grandi opere così come su queste operazioni griffate, vuole dire la sua». A Firenze è stato indetto un referendum sulla tramvia. Costo: 1 milione e 200 mila euro. Ma poi il quorum non è stato raggiunto. «Quello di Firenze è stato un referendum positivo. Non c’ è stato un trionfo di no, ma nemmeno un’ ovazione per il progetto. A Firenze come a Bologna questi progetti vengono portati avanti senza conoscerne i benefici, senza pianificazione. E poi…». E poi cosa? «La pianificazione deve essere democratica e partecipata. Un sindaco non può dire non mi fermo. È una prepotenza. Si accentra per velocizzare tutto e invece così si fanno lievitare tempi e costi». Lei ha firmato progetti ovunque. Non pensa che se fossero stati messi sempre ai voti, molti sarebbero ancora bloccati? «In fatto di urbanistica io sono contrario alla ricetta referendaria. È l’ amministrazione che deve decidere, ascoltando cittadini e tecnici. Al referendum si deve ricorrere solo quando un’ amministrazione si accanisce nel voler andare avanti a tutti i costi. Come accade in Svizzera, se non si arriva a una soluzione condivisa, bisogna avere il coraggio di dire: “bene, contiamoci”». Lo spartiacque? «Il referendum va usato con molta cautela, ma tutte le volte in cui l’ operazione è irreversibile. Se fossi un sindaco, sarei io il primo a chiamare i cittadini al voto in questi casi. Perché il referendum può essere un’ arma di difesa per l’ amministrazione: le dà sostegno nelle scelte e l’ aiuta a smascherare le proteste strumentali». Ma dove sta allora l’ anello debole che porta all’ utilizzo sempre più frequente di referendum? «Nell’ assenza di pianificazione, nel silenzio delle sovrintendenze, nella mancanza di trasparenza amministrativa. Ma anche in sistemi di finanziamento delle opere come il project financing: le amministrazioni diventano ostaggio dei privati. Alla fine sono loro, o chi sta ancora dietro, a fare la pianificazione. E poi c’ è la questione estetica». Lei più volte ha usato questa citazione: il bello in senso astratto è il preludio alla felicità. «Appunto. Noi avevamo città straordinariamente belle e vivevamo in case povere. Ora abbiamo case belle e città brutte. Il preludio dell’ infelicità alla quale la gente inizia a ribellarsi».

Mangiarotti Alessandra

ciao a tutti!

Una risposta a "Pianificazione e partecipazione"

  1. albertograva mercoledì 12 marzo 2008 / 14:30

    anche sul Corriere di oggi per chi volesse seguire la vicenda si può trovare un articolo su questo caso specifico.
    ciao a tutti

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