ALLUVIONI e CORSI D’ACQUA: va sempre bene rinforzare gli ARGINI? – La necessità di “LIBERARE I FIUMI” nei loro deflussi straordinari in aree golenali libere da presenze antropiche – Iniziamo a praticare una CURA ORDINARIA del “territorio”, dei corsi d’acqua e dei luoghi che fanno parte del loro ambiente

ALBINIA. frazione di Orbetello, in Maremma, colpita duramente dall’alluvione dell’11 novembre scorso

   Le immagini diffuse dai vigili del fuoco in volo con l’elicottero sopra Albinia, in provincia di Grosseto, parlano da sole non necessitano di ulteriori commenti (vedi link qui sotto). Albinia, il centro più colpito dall’alluvione in Maremma, è un paese fantasma. Vaste zone completamente sommerse da acqua e fango ed abitazioni rimaste prive di elettricità e acqua. Qui la popolazione ha perso tutto, in tanti sono rimasti prigionieri per molte ore di acqua e fango e son riusciti a salvarsi grazie ai soccorsi. Ora l’acqua lentamente defluisce, ma quel che resta è un paesaggio stravolto e deturpato.

http://www.meteogiornale.it/notizia/25288-1-riprese-aeree-danni-alluvione

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   Una provocazione. Ma mica tanto: ma siamo sicuri che il rinforzare gli argini, come spesso si fa dopo episodi di piene e di alluvioni, sia una cosa giusta?

   Nella recente alluvione in Maremma, che in certe zone agricole ha portato a dei danni ingentissimi (come nel grossettano, tra Albinia e Capalbio), oltre che a vittime, si è potuto notare che la funzione degli argini dei corsi d’acqua (l’Albegna, il Fiora…), non ha fatto altro che rinforzare la gran massa d’acqua, fino a che l’argine ha tenuto, per poi, rotto ogni impedimento, far defluire la piena in modo violento verso i campi, le colture, le aziende agricole, le case, le zone abitate… Se il deflusso fosse avvenuto con argini “più deboli”, incredibilmente i danni sarebbero stati minori…

L’alluvione in Maremma dell’11-12 novembre scorso

   Per dire (lapalissiano?) che i fiumi, i corsi d’acqua, hanno bisogno di aree dopo poter defluire in momenti di portata elevata. Zone espansive, naturali e naturalistiche, di golena, lasciate libere da ogni artificio della presenza umana (case, capannoni, dighe, cemento…) dove poter rallentare la corsa dell’acqua, trovare uno sfogo necessario.

   Invece spesso la politica di rafforzamento degli argini tende a creare corridoi stretti per i corsi d’acqua, “canne di fucile” che accelerano la corsa, fino a trovare i punti deboli, esondare e fare danni tragici…

GOLENA SUL FIUME PIAVE – VALENZA NATURALISTICA DELLE AREE GOLENALI che rendono “libero” un fiume – L’OASI DEL CODIBUGNOLO è un’area golenale di 24 ettari situata lungo il corso del FIUME PIAVE nel tratto centrale dell’asta fluviale tra i comuni di Spesiano e Ponte di Piave. L’oasi, per la sua particolare conformazione geomorfologica e per le varietà biologiche presenti offre un’ideale serbatoio didattico, motivo per il quale è nato il ‘Percorso naturalistico Piavenire’ concepito proprio per dimostrare con la massima evidenza la ricchezza naturale che trova ancora rifugio nei residui di bosco ripario (citazione da wwf-veneto orientale)

   Danni che oramai si ripetono quasi ogni novembre… e allora l’evento “eccezionale” non lo è più, diventa un’incapacità di “aver cura” dei propri territori. E che non si dica che “quel giorno cadeva tanta di quella pioggia che mai a memoria d’uomo se ne ricorda una così”… “è caduta così tanta pioggia che ordinariamente cade in sei mesi….”. Questa scusa non funziona più.

   Forse l’uscire da una crisi di civiltà, di “decadenza” che pare ci veniamo a trovare, richiede anche in questo campo (la prevenzione idraulica fatta in modo diverso, più “naturale, liberando i fiumi dagli impedimenti, la cura e il rispetto del territorio…) sicuramente anche in questa cosa ci giochiamo la possibilità di un futuro accettabile, “sostenibile” come si usa dire. (sm)

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PULIRE CANALI, RIPARARE CREPE: QUEI PICCOLI GESTI QUOTIDIANI CHE EVITEREBBERO LE TRAGEDIE

di Antonio Pascale, da “il Corriere della Sera” del 13/11/2012

   L’Italia è un Paese a rischio crollo. Lo si dice da anni e a ogni pioggia la tensione aumenta. Ma c’è una particolarità, attratti come siamo dalla patologia preferiamo commentare il danno già fatto: strilliamo, titoliamo in corsivo, ci lagniamo, oppure, accusiamo qualcosa di grande e imponderabile, come il cambiamento climatico.

   Eppure, se guardassimo la questione da un punto di vista fisiologico ? e con uno sguardo umile, oserei dire banale ? la prospettiva cambierebbe. Per esempio, un (fisiologico) caso specifico: la legge che regola il settore calamità in agricoltura è davvero ben fatta. I funzionari ministeriali come me sono orgogliosi di applicarla. La legge stabilisce che, per esempio, una strada danneggiata può essere riparata con soldi pubblici se e solo se, prima dell’evento avverso, la strada era in buone condizioni. Cioè, usando un gergo tecnico: fosse ben manutenuta.

   Giusto: se la strada è ben costruita, se ci sono canalette per lo scolo delle acque, e se queste sono pulite, se, insomma, queste condizioni sono soddisfatte, allora, una pioggia di modesta o forte intensità, non può danneggiare la strada. Solo se la pioggia è stata davvero eccezionale, fuori norma, solo allora, davanti alla sfortuna climatica, possiamo distribuire contributi. Ora, purtroppo, la storia è sempre la stessa, in Italia nessuno pratica una normale manutenzione.

   Perché basterebbero gesti quotidiani comuni e medi, poco creativi, riparare una canaletta o assestare una crepa. E poi tecnici che operano sul nostro territorio sono bravi, attenti, conoscono i problemi e sanno dirti con molto anticipo se una frana verrà giù, o se l’acqua di un fiume romperà gli argini. E allora? E allora la verità è che soldi per praticare la normale manutenzione non ce ne sono. I tecnici lo ripetono spesso. Certo, dovevamo pulire queste canalette, certo dovevamo fermare queste crepe, ma a noi i soldi chi ce li dà? Ci dobbiamo arrangiare.

   E dunque? Continua a leggere