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In base agli accordi di DAYTON del 1995 (che posero fine al massacro della ex Iugoslavia, pur congelando situazioni precarie e negative di separazione etnica), lo Stato bosniaco ha conservato il territorio già appartenente (nel periodo della Iugoslavia di Tito) alla “Repubblica federativa iugoslava di Bosnia ed Erzegovina”, ma è stato suddiviso in due entità distinte: la Repubblica Serba (Republika Srpska) e la Federazione croato-musulmana (Federacija Bosne i Hercegovine), rispettivamente con il 49% e il 51% del territorio. Si dichiarò una larga autonomia delle due parti della Bosnia, e si diede un’unità federativa allo Stato Bosniaco retto da una presidenza collegiale, costituita dai tre membri delle maggiori etnie (uno musulmano, uno serbo e uno croato), che a rotazione (ogni 8 mesi ciascuno) ne sono a capo.
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Ecco, semplificando molto il contesto, questa è la base degli Accordi di Dayton: quanto deciso e sottoscritto da tutte le parti in causa (serbi, croati, musulmani), nel 1995, con l’avallo degli Usa (invece assente politicamente e militarmente l’Unione Europea) per fermare la guerra civile, dando operatività, pacificazione, superando la guerra e la violenza nei Balcani occidentali facenti prima parte della ex Iugoslavia
Ora la Bosnia, pur divisa etnicamente in due entità, bene o male esprime un connotato di unità nazionale: della Bosnia va detto che si tratta di un’entità geografico-territoriale assai riconoscible nella storia, un’unità esistente da più di un millennio (vedi: “Storia della Bosnia ed Erzegovina – Wikipedia”); con una pluralità di etnie al suo interno che adesso, anziché costituire una ricchezza sociale e culturale, viene ad essere il problema e il motivo di scontro attraverso il progetto secessionista dei serbi bosniaci.
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Lo Stato bosniaco, come dicevamo con tutti i limiti rinato proprio dagli accordi di Dayton del 1995, e che ora ha pure ufficialmente chiesto di entrare nell’Unione Europea, tutta questa costruzione statuale bosniaca sembra precipitare completamente con la paventata secessione serba, e con il rischio di una nuova guerra civile interna: e la forte nazionalistica parte che si riconosce nella Repubblica bosniaca Serba (Republika Srpska), dichiara di voler unirsi alla Serbia, diventarne una provincia, rinunciando all’unità dello Stato Bosniaco.
Situazione complicata e assai pericolosa; in un momento in cui il mondo è preso dal problema del Covid e dalle tante crisi geopolitiche con conseguenze globali (come lo scontro Usa – Russia sul contesto dell’Ucraina, o quello sempre più latente e pericoloso tra Cina e Usa e Occidente) (poi è da non trascurare le crisi africane e del Medio Oriente…), di Bosnia si parla poco.
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Non scordando che la Bosnia nella prima metà degli anni ’90 del secolo scorso (trent’anni fa) è stata forse il punto centrale del massacro della guerra civile balcanica della ex Iugoslavia: pensiamo tra tutti al massacro di Srebrenica, cioè il genocidio di oltre 8mila musulmani bosniaci, per la maggioranza ragazzi e uomini, avvenuto nel luglio 1995 appunto nella città di Srebrenica (che si trova nell’estrema parte centro-orientale del Paese). E nella guerra civile bosniaca (solo bosniaca) in tre anni ci fu un bilancio di 100 mila morti e 2 milioni di profughi.
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Ora, cosa è accaduto il 9 gennaio scorso, che ha dato una accelerazione a un possibile ritorno di guerra civile in Bosnia? Nel «Giorno della Republika Srpska», appunto il 9/1/2022, è stato celebrato il trentennale dell’atto di secessione con il quale, il 9 gennaio 1992, venne proclamata la nascita di una Repubblica serba di Bosnia, uno dei passaggi-chiave che allora portarono alla guerra civile bosniaca. Questa “festa”, celebrazione di ricorrenza (non riconosciuta, considerata incostituzionale dallo stato unitario bosniaco), è stata pure supportata dalle dichiarate intenzioni del leader serbo MILORAD DODIK (controverso uomo forte dell’entità serba di Bosnia) di portare avanti il progetto di unire la parte serba della Bosnia allo Stato della Serbia.
“MALEDETTA SARAJEVO” di Francesco BATTISTINI e Marzio G. MIAN – pagg. 400 euro 19,00 – Una fatica preziosa, capace di spiegare in termini semplici e chiari l’orrore che molti di noi ricordano come un fenomeno inspiegabile, feroce, lontano dalla nostra storia del dopoguerra eppure vicinissimo, appena al di là dell’Adriatico. Perché nulla del genere era successo in Europa dal 1945. Perché mai prima la Nato aveva svolto una campagna di attacchi. Perché non si capiva, nel grande pubblico, chi stesse massacrando chi, quali maschere nascondessero i responsabili, quali parti in causa praticassero con sistematica ferocia la pulizia etnica, che aveva nelle donne le prime vittime designate. Cinque guerre, duecentocinquantamila morti, due milioni e mezzo di profughi, tutto questo per far nascere la SLOVENIA e la CROAZIA (oggi membri dell’Unione Europea), la nuova e ridimensionata SERBIA, la MACEDONIA, la BOSNIA ERZEGOVINA, il KOSOVO
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Il voler qui mettere in guardia sul pericoloso contesto di questo momento in Bosnia di pericolo di secessione (con altre sofferenze, violenze…), vuole essere una pur minima condivisione con tutti quelli che in questo momento denunciano questa situazione pericolosa. Facendo presente che fatti che spesso portano alla guerra (con tutte, ripetiamo, le tragedie che accadono) possono spesso essere evitate con la diplomazia, con una politica saggia, attenta a quel che accade e con una strategia (nonviolenta) capace di spegnere ogni focolaio di tensione che si verifica.
Il libro: Cathie Carmichael – CAPIRE LA BOSNIA ED ERZEGOVINA – Alba e tramonto del secolo breve – Ed. BEE le metamorfosi, euro 17,00 – Una ricerca storica che parte dal Medio evo e arriva ai giorni nostri e che ha come cuore il “secolo breve”, dal 1914 al 1995, dall’uccisione dell’arciduca Francesco Ferdinando agli accordi di Dayton. Un periodo che ha trasformato la Bosnia ed Erzegovina in un crocevia fondamentale dell’Europa, un ponte fra oriente e occidente, attraverso tre guerre in pochi decenni. Una storia complessa, che ha origini ben più remote, e che la storica inglese CATHIE CARMICHAEL riesce a rendere chiara e affascinante. Luoghi come MEĐUGORJE, SREBRENICA, SARAJEVO, MOSTAR, il PONTE SULLA DRINA o personaggi come TITO, PAVELIĆ, FREUD, ANDRIĆ fanno da sfondo a questo affresco che per la prima volta entra nelle dinamiche storiche, sociali, politiche di un paese fondamentale per un intero continente
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Quello che è mancato trent’anni fa per evitare la guerra civile balcanica con la dissoluzione della ex Iugoslavia, è stata proprio un’azione attenta e saggia dell’Europa; che invece si è allora dimostrata o assente (pensiamo all’assedio ai civili di Sarajevo durato 4 anni senza che nessuno intervenisse…), o spesso fomentatrice di tensioni che hanno incentivato lo scontro (come nell’immediato poco opportuno riconoscimento dello Stato di Croazia che ha acceso la miccia dello scontro con la Serbia…).
Speriamo che in questo frangente la politica europea sia impegnata a fare azioni e pressioni efficaci per evitare la secessione nazionalista serba in Bosnia: regione geopolitica con la sua storia, cultura…dove da secoli convivono cittadini di diverse origini etniche e tradizioni religiose. E speriamo che tutti si possa fare qualcosa di utile per un presente e un futuro di pacificazione: che non ci si dimentichi della Bosnia, Terra a noi così vicina. (s.m.)
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L’ESCALATION. LA BOSNIA È SULL’ORLO DEL PRECIPIZIO
di Riccardo Michelucci, 12 gennaio 2022, da AVVENIRE.IT https://www.avvenire.it/
– Ancora provocazioni dei secessionisti serbi del leader DODIK. Spari su una moschea al confine con la Serbia. L’Ue contro la «retorica incendiaria» –
Nel cosiddetto «GIORNO DELLA REPUBLIKA SRPSKA», il 9/1/2022, è stato celebrato il trentennale dell’atto di secessione con il quale, il 9 gennaio 1992, venne proclamata la nascita di una Repubblica serba in Bosnia, uno dei passaggi-chiave che portarono alla guerra. Una ricorrenza che la Corte costituzionale di Sarajevo ha da tempo dichiarato incostituzionale e discriminatoria verso i cittadini non serbi.
Ma per MILORAD DODIK, controverso uomo forte dell’entità serba di Bosnia, è stata l’ennesima occasione per alimentare le proprie rivendicazioni secessioniste. Migliaia di persone hanno assistito alla sfilata delle forze di polizia e delle organizzazioni della società civile che si è svolta a BANJA LUKA, durante la quale sono state intonate canzoni nazionaliste serbe e slogan a favore dell’ex generale RATKO MLADIC, già condannato all’Aja per crimini di guerra. Forte anche della presenza dei rappresentanti di RUSSIA, CINA e SERBIA alle celebrazioni, Dodik è tornato ad attaccare gli Usa – che nei giorni scorsi hanno imposto nuove sanzioni alla Republika Srpska – ribadendo che l’entità serba sarà in futuro uno Stato indipendente, con uno status federale o confederale con Belgrado.
«Tale assetto contribuirebbe alla stabilizzazione e alla pace nella regione», ha spiegato al quotidiano di Belgrado Vecernje Novosti. Nel frattempo però si sono verificati numerosi incidenti in località che evocano memorie terribili risalenti al conflitto degli anni ’90. A JANJA, al confine con la Serbia, sono stati esplosi colpi d’arma da fuoco per intimidire i fedeli che uscivano dalla moschea dopo la preghiera del mattino. A BRCKO sono stati deturpati i graffiti che commemorano le vittime del GENOCIDIO DI SREBRENICA. Tensioni e incidenti sono stati registrati a PRIJEDOR, FOCA, GACKO, PRIBOJ e NOVI PAZAR, località tristemente famose per la pulizia etnica della popolazione non serba durante la guerra di trent’anni fa.
Nelle settimane scorse Dodik ha fatto approvare dal parlamento di Banja Luka una risoluzione per il ritiro delle competenze in materia di difesa, giustizia e fisco: secondo molti sarebbe il primo passo formale verso la secessione. L’Alto rappresentante della comunità internazionale per la Bosnia Christian Schmidt ha ribadito che non permetterà ulteriori minacce all’integrità del Paese, mentre per la Ue è «retorica incendiaria».
Intanto in molte città europee e Usa – tra cui Roma, New York, Bruxelles, Oslo, Ginevra, Vienna – si sono svolte manifestazioni per sensibilizzare i governi sulla gravità della situazione bosniaca. Prima che sia troppo tardi. (Riccardo Michelucci, 12 gennaio 2022, da AVVENIRE.IT)
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BALCANI IN PERICOLO: SEPARATISMI SERBO-BOSNIACI, VECCHI NAZIONALISMI E FUGA GIOVANILE
da https://www.remocontro.it/, 14/1/2022
– Celebrazioni per il 30/mo anniversario della REPUBLIKA SRPSKA di BOSNIA nel pieno della bufera che investe il leader serbo-bosniaco MILORAD DODIK, accusato di mire secessioniste, e colpito da sanzioni americane. – Tensioni che montano e fuga delle popolazioni in tutti i Paesi dell’area, fuori o dentro l’Ue, per il doppio colpo della denatalità e dell’emigrazione. –
SRPSKA REPUBLIKA DI BOSNIA – Nel pieno della bufera che investe il leader serbo-bosniaco Milorad Dodik, accusato di crescenti mire secessioniste, e bersaglio di sanzioni americane –segnala l’ANSA da Belgrado-, nella Republika Srpska, l’entità a maggioranza serba della Bosnia-Erzegovina, tre giorni di festeggiamenti per celebrare il 30/mo anniversario della sua fondazione. Rinnovata retorica nazionalista con importanti arrivi da Belgrado. Serbo Bosnia figlia della secessione da Sarajevo dopo quella dalla ex Jugoslavia, gennaio 1992, con tre anni di massacri e un bilancio di 100 mila morti e 2 milioni di profughi.
Anniversario sfida
L’anniversario della fondazione della Republika Srpska, viene regolarmente ignorato nella Federazione croato-musulmana, l’altra entità di cui si compone (o meglio, si divide) il Paese balcanico, festeggiamenti considerati una provocazione e dichiarati illegittimi dalla Corte costituzionale bosniaca.
Banja Luka ‘capitale’
A Banja Luka, il capoluogo della Republika Srpska, cerimonie ufficiali con corone di fiori sui monumenti in memoria dei caduti serbo-bosniaci della guerra di 30 anni fa. Celebranti, il leader serbo-bosniaco Milorad Dodik, che è anche membro serbo della ‘presidenza tripartita bosniaca’, e da Belgrado il presidente del parlamento serbo Ivica Dacic. Poi la sfilata di reparti delle forze di polizia serbo-bosniache, più vera e propria forza armata che semplice polizia.
Difesa, giustizia e fisco separati
Dodik è tornato a rivendicare la legittimità della decisione del parlamento locale, che ha stabilito di restituire alla Republika Srpska competenze e prerogative in materia di difesa, giustizia e fisco, competenze a suo dire previste dall’accordo di pace di Dayton e dalla stessa costituzione bosniaca, ma che col tempo sarebbero state ‘assorbite’ dallo stato centrale bosniaco. Una decisione questa che ha suscitato grande allarme nella comunità internazionale, che teme lo spettro di una reale secessione dei serbo-bosniaci e il possibile scoppio di un nuovo conflitto armato.
Intanto i Balcani si ‘svuotano’
Nuovi censimenti e studi confermano la costante riduzione delle popolazioni un po’ in tutta l’area balcanica, segnale sempre sull’Ansa Stefano Giantin. «Rischiano di diventare un “deserto”, i vicini Balcani, affossati dal doppio colpo della denatalità e soprattutto dell’emigrazione, in particolare dei più giovani». Varie tessere di un complicato puzzle. Il censimento in Bulgaria, ha certificato un crollo dell’11% della popolazione negli ultimi dieci anni. Altro censimento, nella Macedonia del Nord, oggi con circa 1,8 milioni di abitanti, il 10% in meno rispetto a vent’anni fa, e 600mila macedoni che vivono oggi all’estero.
Catastrofe demografica
Una vera e propria catastrofe demografica, perché a partire sarebbero soprattutto giovani, mentre in patria le culle rimangono vuote e cresce il numero degli anziani. Anche nella vicina Romania, l’emigrazione verso Paesi più ricchi appare incontrollabile. Stime Onu disegnano una Romania con poco meno di dodici milioni di abitanti nel 2100, sette in meno rispetto a oggi. Stime speculari a quelle della vicina Bulgaria, che nel 2100 potrebbe contare solo 3,5 milioni di abitanti, un vero e proprio collasso della popolazione.
Balcani extra Ue
L’Albania, terra d’emigrazione per eccellenza, fra ottant’anni potrebbe ritrovarsi con solo 1,1 milioni di abitanti. Sono 50mila gli albanesi che hanno ottenuto un permesso di soggiorno in Germania a partire dal 2018, con Berlino che sta ora per sorpassare Roma e Atene come meta d’emigrazione. E dal 2008 sono 800mila gli albanesi emigrati verso Paesi Ue. Peggio la Bosnia-Erzegovina (torniamo alla prima parte della notizia), dove sarebbero addirittura 500mila le persone emigrate negli ultimi dieci anni, senza una politica per arrestare l’esodo, con sempre più giovani che partono e sempre più vecchi e pensionati che rimangono da soli a casa.
Serbia, Montenegro, Kosovo e Croazia incluse.
E per tutti i Balcani, causa spopolamento, si contrarrà lo sviluppo economico a medio-lungo termine minando alle basi l’assetto sociale. Ma anche la Ue non può sorridere. Dato che nei decenni a venire dovrà fare i conti con una regione svuotata, impoverita e instabile, nel cortile di casa.
(da https://www.remocontro.it/, 14/1/2022)
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IL FUTURO DELLA BOSNIA ERZEGOVINA E’ SEMPRE PIU’ INCERTO
di JORIE HORSTHUIS, giornalista, 17 gennaio 2022, da INTERNAZIONALE, https://www.internazionale.it/
Per Marko Djogo è sempre un momento doloroso quando un suo studente si laurea e gli dice che sta per partire. Continua a leggere