Una nuova economia sostenibile compatibile con l’ambiente (esempi di teoria e pratica del cambiamento)

Amartya Sen, premio Nobel per l'Economia 1998
Amartya Sen, premio Nobel per l'Economia 1998

Inizia con il mese di aprile un’importante azione politica e diplomatica internazionale per dare risposte concrete ai cambiamenti, sconvolgimenti climatici:  dall’odierno vertice dei “Venti Grandi” che si tiene a Londra, con lo scopo di indirizzare l’economia globale (ora in grave crisi) verso una ripresa che sia basata sulla crescita sostenibile; fino al Summit mondiale Onu di Copenaghen del prossimo dicembre, dove i 191 Paesi che saranno lì presenti dovranno essere già arrivati a un accordo da sottoscrivere per misure di riduzione delle emissioni di gas-serra, provvedimenti che rimpiazzeranno dal 2013 le misure fin qui previste (e troppo modeste) di Kyoto.    Ma, posto che nei prossimi giorni torneremo sul vertice di Londra e sul tema dei cambiamenti climatici, ci interessa qui approfondire la questione dell’ ECONOMIA SOSTENIBILE sia da un punto di vista teorico che da quello pratico sui grandi temi del consumo, dei trasporti, del risparmio energetico; cioè di un modo di vita confacente alla tutela ambientale e a un’economia globale equa e solidale verso tutte le parti del mondo.   Lo facciamo riprendendo una bella e molto interessante rubrica de “Il Sole 24ore.com” curata da Giuseppe Caravita e Luca Salvioli, dove attraverso vari interventi, coordinati o scritti dai due autori, si parla di economia sostenibile sia da un punto di vista teorico (apriamo qui con un importante scritto di Amartya Sen, premio Nobel per l’ Economia nel 1998) quanto anche da un punto di vista dei singoli cambiamenti su certi temi (come quello energetico in particolare) che si possono (si debbono) mettere in atto.    Ecco, è tutto. Buona lettura, buon approfondimento.

RIPENSARE L’ECONOMIA GLOBALE

ALL’INSEGNA DELLA COOPERAZIONE

di Amartya Sen (Premio Nobel per l’Economia 1998)

Il futuro dello sviluppo sostenibile dipende dalla cooperazione. La crisi del 2008 ha mostrato i limiti del capitalismo odierno e il 2009 si prospetta come un anno ancor peggiore.
Molti economisti hanno sottolineato l’esigenza di passare a un “nuovo capitalismo” per fronteggiare lo scenario attuale.
Ma cos’è esattamente il capitalismo? E perché la transizione verso un nuovo sistema deve necessariamente portare a una versione rinnovata della vecchia struttura istituzionale e non a qualcosa di completamente diverso? Adam Smith è considerato come uno dei “teorici del capitalismo”. In realtà, non ha mai usato il termine capitalismo, ma ha parlato spesso di un sistema basato sul l’economia di mercato, sui diritti di proprietà e sul principio della competizione. Gli stessi teorici del capitalismo, Smith incluso, hanno riconosciuto molto chiaramente i limiti di un sistema di mercato basato esclusivamente sulla proprietà privata. Il successo dell’economia, osserva Smith, dipende da determinate condizioni politiche e sociali e i mercati non possono funzionare in maniera efficiente senza un sistema integrato di istituzioni esterne e valori estesi, in cui gli operatori possano avere fiducia gli uni negli altri. Non possono esserci transazioni senza la fiducia; non può esserci un sistema imprenditoriale in costante evoluzione senza istituti di credito, di sostegno sociale e di formazione.
Per determinare la strada da intraprendere in futuro, occorre anzitutto riconoscere che la cooperazione ha avuto un ruolo fondamentale nei passati successi delle economie di mercato. La competizione pura non può generare fiducia e gli eccessi del “guadagno a tutti i costi” sono controproducenti. Lo stesso Smith mette in guardia contro i “prodigals” e i “projectors” che rovinano la stabilità dell’economia nella loro ricerca spasmodica di rapidi profitti. Negli ultimi anni, proprio quando c’era un maggiore bisogno di regolamentazione (soprattutto per via dello sviluppo di mercati secondari come quello dei derivati in un periodo di facile accesso credito), lo Stato ha allentato il proprio ruolo di supervisione dei mercati. È successo negli Usa e ciò ha contribuito in larga parte alla crisi.
Lo scenario attuale può tuttavia rappresentare una grande opportunità per ripensare l’economia globale, non già all’insegna di un “new capitalism” puro, ma di un sistema che lasci spazio alla cooperazione basata sulla fiducia senza compromettere l’efficienza dei mercati. È importante compiere dei passi avanti verso uno sviluppo economico che sia realmente sostenibile, tanto a livello sociale che ambientale. Bisognerà valutare accuratamente il nuovo modello economico, senza dipendere da vecchi preconcetti che vedono la competizione come unica forza motrice delle attività umane.
Ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare lo sviluppo sostenibile è una democrazia globale, intesa non come un unico Stato mondiale – prospettiva impensabile nell’immediato futuro – ma come un sistema che consenta il dialogo e la partecipazione tra i popoli di tutto il mondo. Esistono già alcuni elementi di democrazia globale, come le Nazioni Unite e le NGOs. Il funzionamento di questi organismi è limitato da alcuni elementi disfunzionali, che potranno essere corretti nell’ottica del principio di cooperazione. Anche il movimento per i diritti umani e le azioni di alcuni attivisti vanno in questa direzione. Ma un singolo organismo o un gruppo di istituzioni non possono operare il cambiamento di cui abbiamo bisogno.
Bisogna rafforzare i principi della cooperazione, secondo i modelli democratici già prospettati da John Stuart Mill e altri. Dobbiamo far sì che tutti possano partecipare a questo dialogo internazionale e che chi ne ha più bisogno e coloro che si sentono abbandonati e umiliati possano far sentire la propria voce. Così facendo andremo anche verso un mondo più sicuro, perché sono proprio le ingiustizie e le ineguaglianze nel mondo a costituire terreno fertile per il reclutamento di seguaci a opera delle organizzazioni terroristiche. Questa sarebbe una ragione sufficiente, ma possiamo aspettarci dei benefici ulteriori dalla cooperazione in termini di agevolazione dei processi di pace e di collaborazione produttiva nel mondo. La cooperazione è sia una grande visione sia un solido sistema per portare avanti questa visione.

Amartya Sen
(Testo raccolto da Andrea Curiat in occasione delle Giornate dell’economia cooperativa 2009 promosse da Legacoop, svoltesi a Milano, nella sede del Sole 24 Ore)

CHI È AMARTYA SEN

Premio Nobel nel ’98, Amartya Sen, il teorico della uguaglianza, è nato in India nel 1933, nel Patha Bhavana di Santiniketan, il campus-college fondato dal Nobel per la letteratura Rabindranath Tagore. Figlio di un professore di chimica, con una nonna insegnante di sanscrito e cultura medioevale indiana, ha trascorso la vita tra un ateneo e l’altro, come studente prima e come docente poi, da Calcutta a Cambridge, da Dehli a Oxford e Harvard, passando per la London school of economics. Testimone della settarizzazione della società indiana nella metà degli anni 40 tra comunità sikh, hindu e musulmane, Sen ha dedicato le ricerche allo studio del rapporto tra disuguaglianze, libertà e diritti umani. Ha elaborato metodologie di prevenzione delle carestie, sviluppato un indice di povertà e proposto una visione economica che supera i presupposti di Keynes e Pareto; successi che gli sono valsi il Nobel per l’economia nel ’98. (An. Cu.)

Martedí 31 Marzo 2009 (Il Sole 24ore.com)

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LA PROPOSTA: Il gioco a punti verdi e rossi

(da “Il Sole 24ore del 31/3/2009)

In Gran Bretagna ci sta lavorando da più di un anno l’Environmental Audit Committee: una “personal carbon card”, una sorta di tessera di razionamento di emissioni imposta a tutti i cittadini inglesi. Però, in caso di comportamenti virtuosi (e quindi punti carbonio non usati) liberamente vendibili ad altri più spendaccioni. La proposta non sta riscuotendo enorme gradimento, per ora. Ma forse una versione un po’ meno “tassativa” potrebbe funzionare. Supponiamo un sistema generalizzato di punti verdi e rossi. Una sorta di carta fedeltà aperta a più soggetti (pubblici e anche privati). Si prende un mezzo pubblico e si ricevono (sul biglietto del tram o direttamente sul telefonino) alcuni punti verdi. E così via per acquisti sostenibili al supermarket, uso di bici pubbliche… Di converso una parte della tassazione sui carburanti potrebbe essere destinata a punti rossi. Alla fine dell’anno un giovane virtuoso esibisce il suo saldo positivo in banca, viene tramutato in certificato verde, la banca lo vende e lo mette su un piccolo conto pensionistico nato dal sistema aperto di incentivi bidirezionali.

ENERGIA: come l’Italia può diventare più ricca e sostenibile

(da Il Sole24ore del 31-3-2009, Giuseppe Carovita)

Se anche il riscaldamento globale causato dall’uomo fosse un grande abbaglio, se anche i ghiacci polari non si sciogliessero e il sole ci regalasse una lunga stagione fredda, resterebbe un piccolo problema. Al 2050 passeremo dagli attuali 6,8 a 9 miliardi di abitanti sul pianeta. E in questi 15mila giorni, solo per mantenere gli attuali livelli di consumi energetici, dovremmo costruire l’equivalente di una centrale nucleare al giorno.
Al 2050, poi, numerosi studi, come “Plan B 3.0” di Lester Brown e i rapporti annuali sullo stato di salute del pianeta sviluppati dal Worldwarch institute, ci dicono che a quella data, stante l’attuale consumo di risorse, avremo bisogno di un secondo pianeta, avendo praticamente esaurito il primo.
Dal 1987, con il rapporto Bruntland, si è fatta strada un’idea-forza: «lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni». Da allora il mondo che verrà (in pratica obbligatoriamente) sta cominciando a muoversi. La sostenibilità, sia essa energetica, climatica, ambientale, alimentare, abitativa, industriale, nei trasporti, persino nel turismo e nell’abbigliamento comincia a muovere milioni di iniziative, dal basso e dall’alto. Un piccolo esempio recente italiano. Lo scorso 15 marzo si è tenuta la quarta edizione milanese di «Fà la cosa giusta!», l’esibizione del consumo critico e sostenibile. Da piccolo punto di ritrovo alternativo, solo quattro anni fa, questa volta ha raccolto 500 espositori su due piani della FieraMilanoCity, con 50mila visitatori, cresciuti del 20% sulla passata edizione.
La sostenibilità, quindi, cresce anche in periodo di crisi. E probabilmente sarà un pezzo importante proprio per uscire dalla crisi. Come? La sostenibilità, dicono praticamente tutti gli studi e scenari, sarà (e in gran parte già è) un movimento altamente distribuito, ma anche guidato da precise politiche nazionali (e persino sovranazionali) costruite su obiettivi, investimenti, incentivi (tipica la direttiva 20-20-20 dell’Unione Europea).
È già in atto, e comincia ad accelerare, il cambiamento degli stili di vita e le iniziative spontanee di cittadini attivi (si pensi alla crescita dei gruppi di acquisto solidali, che oggi approdano anche all’investimento in pannelli fotovoltaici), alla condivisione dei trasporti, alla ristrutturazione a risparmio energetico delle singole abitazioni (2,8 miliardi di euro previsti quest’anno dall’Assistal, a seguito della detrazione fiscale del 55%).
Poi il livello delle imprese. Dall’espansione dell’agricoltura biologica e biodinamica, alle nuove filiere industriali-innovative delle rinnovabili (come quella fotovoltaica, solare termica, mini-eolica, mini-idro). E lo spazio, oggi in movimento, per lo sviluppo di prodotti a minor consumo energetico e di risorse (dalle lampade a led alle caldaiette a gas a condensazione, dai rubinetti e sanitari a minor dispendio d’acqua, fino ai motori elettrici industriali a più elevata efficienza).
L’intero sistema, industriale e produttivo, dei trasporti. Veicoli ibridi e poi elettrici, ricerca di punta sulle batterie, ringiovanimento del ferroviario, fino alla condivisione di bicilette pubbliche nei centri urbani. E biofuels di seconda generazione, alcool ricavato per via enzimatica dalla cellulosa e olio da vaste colture marine (o persino di acque reflue) di micro-alghe.
Quindi il livello infrastrutturale. Al centro le reti elettriche di nuova generazione, smart e super-grid, in grado di gestire con intelligenza (e minori costi) fonti rinnovabili intermittenti, di potenziare sistemi di storage (sia gli idroelettrici classici che a sistemi di batterie avanzate e forse persino il riuso di vecchi pozzi e giacimenti per immettervi aria compressa). E connessioni elettriche internazionali ad alto voltaggio in corrente continua per approvvigionarsi, via specchi solari termodinamici, dell’enorme potenziale energetico sahariano (collegamento Sicilia-Tunisia pianificato da Terna) oppure il potenziale da biomasse di Paesi balcanici come il Montenegro (anche qui un progetto di interconnessione). E poi eolico (probabilmente sempre più offshore in Italia) e persino l’avvio dello sfruttamento di quell’enorme potenziale di calore geotermico che giace sotto il Tirreno e il canale di Sicilia. Insieme, forse, a una ripresa anche del nucleare di terza ma poi (soprattutto) di quarta generazione (più sostenibile, a combustibile praticamente illimitato ma molto di là da venire).
Ce n’è per tutti. Cittadini, imprese, governi. Dal web a larga banda capace di dematerializzare, alla finanza orientata agli investimenti sostenibili (oltre 350 prodotti già esistenti), a quella etica e al microcredito. In un gioco complessivo in cui ci dovranno guadagnare tutti, umanità e pianeta assieme.


LA 10 STRADE PER LA SOSTENIBILITA’ (clicca qui sotto):

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Economia%20e%20Lavoro/risparmio-energetico/frontiere/dieci-strade-sostenibilita.shtml?uuid=f257f058-1dec-11de-b649-e38bead96d2b&DocRulesView=Libero

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