L’Europa (unita) che parla con una lingua comune (l’inglese) ma che non dimentica e valorizza le lingue regionali (impropriamente chiamate dialetti)

lingue parlate in Italia, e luoghi di espressione (e poi ci sono quelle "diffuse" recenti degli immigrati
Lingue parlate in Italia, e luoghi di espressione (e poi ci sono quelle “diffuse” recenti degli immigrati)

Riportiamo qui un articolo del sociologo Sabino Acquaviva (ripreso da “il Gazzettino”) in difesa dell’insegnamento delle “lingue regionali” (spesso ingiustamente considerate dialetti) rispetto alle cosiddette “lingue nazionali”, degli “Stati”; che sono invece, seppur con un’analisi complessa, auspicate da Luciano Canfora (insigne storico e filologo) in un articolo nel Corriere della Sera (che anch’esso di seguito riportiamo). Noi crediamo nella valorizzazione delle minoranze linguistiche, e pertanto anche di tutte le lingue regionali. E’ possibile per una persona identificarsi nel suo luogo di origine (e pertanto conoscere la propria lingua regionale) e sentirsi in un contesto di cittadino europeo (e, in forma estesa, “del mondo”)? Noi auspichiamo che sia possibile. E per questo non può mancare lo sforzo e comunicazione con un’unica lingua, che di fatto non può che essere l’inglese. Ma, allo stesso tempo, avere viva la conoscenza della propria lingua locale, regionale (pur nelle differenziazioni territoriali che indubbiamente esistono nella lingua regionale parlata). Spesso la lingua “locale” contiene suoni, accezioni, parole che esprimono un concetto in modo così “materiale” e forte che nessuna lingua nazionale riesce ad avere. Pertanto la sincera apertura all’Europa, a un contesto più vasto e pieno di stimoli culturali, intellettuali, per l’individuo presuppone anche la capacità di un radicamento territoriale da non trascurare. Insomma è bene conoscere e saper parlare una lingua globale (l’inglese, ma anche altre lingue…) non trascurando la lingua regionale che pur essa contiene elementi vivi (la tesi di Acquaviva, qui di seguito riportata, diventa pertanto interessante).

DIALETTI E LINGUE REGIONALI. NON SI FACCIA CONFUSIONE

Di Sabino Acquaviva (da il Gazzettino del 31/5/2009)

Ho letto con sostanziale disappunto l’articolo di Luciano Canfora sul Corriere della sera del 24 maggio dal titolo “Più dei dialetti a scuola insegniamo le lingue nazionali”, in cui si sostengono le vecchie tesi che hanno distrutto le culture regionali scatenando guerre e massacri di cui paghiamo ancora il prezzo di sofferenze e di sangue.
Gli stati nazionali, riconosciamolo, sono stati una sventura plurisecolare per il nostro continente. In una parola Canfora illustra, nel suo articolo, una tesi che a mio parere fa a pugni con la storia.
Come è noto, fin verso il Cinquecento in Europa dominava il latino (come oggi, giustamente, tende a prevalere l’inglese) accanto ad un consistente numero di lingue regionali. In seguito, in ogni area geografica singole lingue regionali hanno prevalso sulle altre, dichiarandosi lingue nazionali e scatenando le lotte e le guerre che sappiamo.
Tutto questo è dimostrato dal cimitero linguistico in cui siamo immersi. Ad esempio il francese del nord ha schiacciato il provenzale, il castigliano ha tentato di annientare il catalano, il toscano (diventato italiano) ha fatto strage di lingue con una tradizione secolare, come il veneto. Eccetera. Ma oggi finalmente tentiamo di costruire gli Stati Uniti d’Europa e la loro nascita è resa più facile dall’indebolirsi degli stati nazionali (e della loro identità, anche linguistica).
In conclusione, l’idea di difendere le lingue regionali (che Canfora confonde con i dialetti), non è né fondamentalista né demagogica come sembra sostenere. Anzi, guarda al futuro di un continente che soltanto unito potrà difendersi da paesi in rapida crescita economica, e con più di un miliardo di abitanti ciascuno, come l’India e la Cina.
Due altre considerazioni critiche di Canfora e di molti altri studiosi vanno prese in considerazione e confutate. La prima: i dialetti (cioè le lingue regionali) cambiano anche all’interno di singole regioni, e quindi sono troppe le varianti linguistiche e la confusione. E allora? Il greco antico non è forse il risultato di tre dialetti? L’evoluzione della società greca, le guerre, lo sviluppo culturale, non hanno dato forse vita alla famosa koinè, cioè a un greco unificato? Perché questo processo non deve essere facilitato e favorito per almeno alcune delle lingue regionali della nuova Europa come il catalano, il basco, il veneto?
La seconda: “Avrebbe semmai più senso far meglio conoscere, in una regione, i dialetti di altre regioni”. Mi sembra poco logico. Anzitutto, non capisco perché dovremmo trasformare i nostri concittadini europei in poliglotti. Inoltre, cosa scegliere? Lingue come il veneto, il siciliano, il napoletano, tutte con una antica tradizione culturale? In specie il veneto, lingua internazionale nel Mediterraneo per secoli, che ha le sue radici in figure come quelle di Ruzante e Goldoni? Oppure il molisano, vero e proprio dialetto?
In conclusione vorrei invitare Canfora, sempre un acuto osservatore, a distinguere fra dialetti e lingue regionali, fra l’Europa del futuro e la baraccopoli, spero in liquidazione, degli stati nazionali.

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Più dei Dialetti, a Scuola Insegniamo le Lingue Nazionali

(di Luciano Canfora, da “il Corriere della Sera” del 24-5-09)

Che i dialetti siano in realtà delle lingue (dialektos vuol dire lingua), dotate anche di una vasta produzione letteraria, è una di quelle ovvietà che possono serenamente reggere al succedersi dei secoli.

Non meno documentato è il fenomeno della costante mescolanza linguistica, dovuta al procedere della storia. E lo stesso può dirsi della mescolanza dei costumi. Contro tali mescolanze si ergono i fondamentalismi. La demagogica richiesta di introdurre come disciplina scolastica lo studio dei dialetti parlati in ciascuna area del nostro Paese è, per l’ appunto, un aspetto non nuovissimo di tale fondamentalismo. Istanza demagogica che sarebbe invero di non semplice applicazione: a Grosseto rispetto a Siena, così come a Potenza rispetto a Matera, a Cairo Montenotte rispetto a Ivrea, per non dire di Lecce rispetto a Foggia, il dialetto cambia, e in modo rilevante, all’ interno della stessa regione. Il che rischierebbe di moltiplicare il problema ad infinitum.

Esistono, come è noto, fiorenti insegnamenti dialettologici nelle nostre università. Per converso, l’inserzione di una monocultura dialettale strettamente epicorica in ciascun borgo del nostro linguisticamente ricchissimo Paese sarebbe la maniera in assoluto più antiscientifica di avvicinarsi ad un problema serio. Avrebbe semmai più senso – se il tempo disponibile a scuola lo consentisse – far meglio conoscere, in una regione, i dialetti di altre regioni: onde evitare l’ autocontemplazione tautologica e per avvicinarsi con mente storica alla comprensione della diversità.

Consigliamo perciò a Riccardo Illy (fautore dell’ insegnamento del friulano nelle scuole) il vivace volume di Franz Falanga, dotto architetto pugliese dimorante da decenni a Cavaso, ai piedi del Grappa, intitolato O dadò o dadà, lessico raccontato e quasi ragionato dei termini dialettali baresi, Adda Editore. Così potrà meglio avvicinarsi alla poesia del canonico e patriota Francesco Saverio Abbrescia (Modugno 13 luglio 1813 – Bari 5 novembre 1852) ed interpretare versi ardui come ad esempio uèlde n’ écchie de piatà.

Ma come non capire che i dialetti del tempo nostro, cioè di un tempo unificato e interdipendente, sono semmai le lingue nazionali?    (Luciano Canfora)

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L’Unione europea ha 27 Stati membri e 23 lingue ufficiali. Ciascuno Stato membro, al momento di entrare nell’UE, determina quale o quali lingue desidera siano dichiarate lingue ufficiali dell’Unione.

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Italiani che parlano lingue diverse

da: http://www.eurac.edu/Focus/

Chi intraprendesse il lungo viaggio attraverso la penisola italiana, dal nord dell’arco alpino, proseguendo giù giù fino alla punta estrema della Sicilia, sarà travolto da una miriade di tradizioni e usi popolari più o meno antichi, di tradizioni culturali e gastronomiche molto diverse tra loro, passando dai canederli al caciucco fino alla cassata e sarà colpito da una miriade di suoni e parole più o meno distanti dalla parlata italiana ufficiale che compongono la costellazione delle minoranze linguistiche italiane.

Secondo il linguista Tullio de Mauro, la diversità delle lingue parlate in Italia è la più elevata nel mondo occidentale: sono ben 21 i gruppi linguistici minoritari che da secoli popolano il territorio italiano. Sono quasi 2 milioni di persone e hanno origini e tradizioni molto antiche che ancora conservano nei loro usi, nella loro vita quotidiana, nella loro espressione religiosa, nei loro vestiti tipici, ma soprattutto nella loro lingua.
Molte e diversificate le misure e le iniziative intraprese a livello nazionale, ma ancor più locale, per cercare di tutelare e valorizzare questa diversità culturale e linguistica che è il cuore della nostra comune identità italiana e europea. La legge 482 del 1999 “Norme in materia di tutela delle minoranze storiche in Italia” prevede all’Art. 1 che “La lingua ufficiale della Repubblica é l’italiano. La Repubblica, che valorizza il patrimonio linguistico e culturale della lingua italiana, promuove altresí la valorizzazione delle lingue e delle culture tutelate dalla presente legge.”

Abbiamo tracciato un breve percorso attraverso alcune di queste comunità alla scoperta dei loro usi, delle loro tradizioni e delle loro parlate:

Arbëreshë
Catalani
Croati
Greci (Griko)
Franco-Provenzali (Patois)
Occitani
Cimbri
Mòcheni

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Da  http://www.savoldelli.net/sapere.html :

Lingue parlate in Italia

Oltre all’italiano, nel nostro paese sono parlate molte altre lingue. Alcune sono originarie della nostra penisola, e derivano direttamente da quelle italiche, altre sono la conseguenza di migrazioni od invasioni da parte di altre popolazioni in periodi più o meno recenti.

Lingue e dialetti

Qui di seguito sono riportate tutte le lingue parlate nel nostro paese di cui si sia a conoscenza. Sono escluse ovviamente quelle che fanno parte del patrimonio culturale di singoli individui che, per interesse o diletto, conoscono una o più lingue straniere, come ad esempio il giapponese od il russo.

Viene definito dialetto una variante di una lingua. Quindi, tanto per fare un esempio, il piemontese od il siciliano non sono dialetti dell’italiano, in quanto la loro origine è indipendente dallo sviluppo della lingua italiana. Viceversa il laziale ed il pugliese sono varianti dell’italiano e di conseguenza dialetti. L’essere dialetto o lingua non è quindi un giudizio di minore o maggiore importanza, ma semplicemente una classificazione linguistica basata su criteri di parentela.

La classificazione qui utilizzata è quella dell’ Istituto Summer di Linguistica. Per ogni lingua è riportato il codice identificativo della stessa come riportato nel volume Ethnologue, 13a edizione, edito da Barbaa F. Grimes, i vari nomi con cui la lingua è conosciuta, la famiglia linguistica, il territorio dove è parlata, il numero di persone che la parlano con la data che indica quando è stata fatta la stima, ed i dialetti conosciuti in Italia. Le lingue sono ordinate per numero di persone che la parlano.

ITL Italiano Indo-europea/Italica
Italia 55.000.000
(1998)
Toscano, Abruzzese, Pugliese, Umbro, Laziale, Marchigiano centrale, Cicolano-Reatino-Acquitano, Molisano
LMO Lombardo, Lombard Indo-europea/Italica
Milano, Lombardia, Sicilia 8.671.210
(1976)
Milanese, Lombardo orientale, Lombardo occidentale, Lombardo alpino, Novarese, Trentino occidentale, Fiamazzo latino, Latino anaunico, Bergamasco, Ticinese
[Vedi anche Il Lombardo]
NPL Napoletano-Calabrese Indo-europea/Italica
Campania, Calabria, Italia meridionale 7.047.399
(1976)
Napoletano, Calabrese meridionale, Calabrese settentrionale-Lucano
EML Emiliano-Romagnolo, Emiliano, Sanmarinese Indo-europea/Italica
Emilia-Romagna, Marche 3.531.780
(1987)
Emiliano occidentale, Emiliano centrale, Emiliano orientale, Romagnolo settentrionale, Romagnolo meridionale, Mantovano, Vogherese-Pavese, Lunigiano
SCN Siciliano, Calabro-Siciliano Indo-europea/Italica
Sicilia 4.680.715
(1976)
Siciliano occidentale, Metafonetico centrale, Metafonetico sud-orientale, Non-metafonetico orientale, Messinese, Eolico, Pantesco, Calabro meridionale
PMS Piemontese, Piemontèis, Piedmontese Indo-europea/Italica
Italia nord-occidentale, Piemonte 3.000.000
(1976)
Alto piemontese, Basso piemontese
VEC Veneto, Veneziano Indo-europea/Italica
Veneto, Venezia 2.109.502
(1976)
Istriano, Triestino, Veneziano, Bisiacco
LIJ Ligure, Líguru Indo-europea/Italica
Ligure, Isole di San Pietro e San Antioco (Sardegna), Carloforte e Calasetta (Sardegna) 1.853.578
(1976)
Genovese
SRD Sardo logudorese, Sard, Sardarese, Logudorese, Sardo centrale Indo-europea/Italica
Sardegna centrale 1.500.000
(1977)
Nuorese, Logudorese settentrionale, Barbaricino, Logudorese sud-occidentale
FRL Friulano, Furlan, Frioulan, Frioulian, Priulian Indo-europea/Italica
Italia nord-orientale, Friuli 600.000
(1976)
Friulano centro-orientale, Friulano occidentale, Carnico
GER Tedesco Indo-europea/Germanica
Nord Italia, Trentino-Alto Adige, Sud Tirolo, Provincia di Bolzano 225.000
(1987)
FRN Francese, Français Indo-europea/Italica
Val D’Aosta 100.000
(1987)
SLV Sloveno, Slovene Indo-europea/Slava
Province di Trieste e Gorizia 100.000
(1987)
Primorski, Cividale, Resia
PRV Provenzale, Provençal, Occitano provenzale Indo-europea/Italica
Val Maira, Valle Varaita, Valle Stura di Demonte, Entracque, Vinadio, Limone Piemonte, Pinerolo, Sestriere (Piemonte), Guardia Piemontese (Calabria) 100.000
(1990)
Transalpino
AAE Albanese-Arbëreshë Indo-europea/Albanese
Calabria, Puglia, Basilicata, Molise, Sicilia 100.000
(1987)
Albanese siciliano, Albanese calabro, Albanese centro-montano, Albanese di Campo Marino
FRA Franco-Provenzale, Franco-Provençal Indo-europea/Italica
Italia nord-occidentale, Val D’Aosta, Faeto e Celle S. Vito (Foggia) 70.000
(1971)
Valdostano, Faeto, Celle San Vito
LLD Ladino, Dolomite Indo-europea/Italica
Sud Tirolo, Dolomiti, Val Badia, Province di Bolzano, Trento e Belluno, Val Moena, Cortina D’Ampezzo, Pieve di Livinnalongo, Colle Santa Lucia, Cles, Val di Non 35.000
(1976)
Atesino, Cadorino, Nonese, Gardenese, Fassano, Badiotto, Marebbano, Livinallese, Ampezzano
CLN Catalano-Valenziano-Balearese Indo-europea/Italica
Alghero 21.629
(1987)
Algherese
GRK Greco Indo-europea/Greca
Italia meridionale, Reggio Calabria, Salento, Aspromonte 20.000
(1987)
Salentino, Aspromontino
RMO Romani-Sinte Indo-europea/Indo-iraniana
Popolazioni nomadi 14.000
(1980)
Sintí piemontese, Sloveno-croato, Manouche
RMN Romani-Balkan Indo-europea/Indo-iraniana
Arlija (Erli), Popolazioni nomadi 5.000
(1990)
Arlija
RMY Romani-Vlax Indo-europea/Indo-iraniana
Popolazioni nomadi 4.000
(1986)
Kalderash, Lovari
SRC Serbo-croato Indo-europea/Slava
Molise, Montemitro, San Felice del Molise, Acquaviva-Collecroce 3.500
(1987)
Croato
WAE Walser, Walscher Indo-europea/Germanica
Val Lesa, Valsesia, Valle Anzacxa 3.400
(1978)
CIM Cimbro, Tzimbro, Zimbrisch Indo-europea/Germanica
Trentino Alto Adige, Veneto, Giazza, Roana 2.230
(1992)
Cimbro lusernese, Cimbro dei Tredici Comuni, Cimbro dei Sette Comuni
QMO Mócheno Indo-europea/Germanica
Fierozzo, Palú, Valle del Fersina (Trentino) 1.900
(1992)
Fierozzo, Palú, Frassilongo
COI Corso, Corsu, Corse, Corsi Indo-europea/Italica
Isola della Maddalena 1.000
(1990)
Corso meridionale
SRO Sardo campidanese, Sardu, Campidanese, Campidese, Sardo meridionale Indo-europea/Italica
Sardegna meridionale Non
disponibile
Cagliaritano, Arborense, Sub-Barbaricino, Campidanese occidentale, Campidanese centrale, Ogliastrino, Sulcitano, Sardo meridionale, Sarrabense
SDN Sardo gallurese, Sardo nord-orientale, Gallurese Indo-europea/Italica
Sardegna nord-orientale Non
disponibile
SDC Sardo sassarese, Sardo nord-occidentale, Sassarese Indo-europea/Italica
Sardegna nord-occidentale Non
disponibile
BAR Bavarese, Bayrisch, Bavarese austriaco Indo-europea/Germanica
Italia nord-orientale Non
disponibile
Bavarese centrale, Bavarese settentrionale, Bavarese meridionale
ITK Italiano ebraico, Italkian Indo-europea/Italica
Italia Quasi
estinta

ALTRE COMUNITA’ (con conseguenti lingue parlate)

(dal Dossier Immigrazione della Caritas per il 2008):    Comunità romena la più numerosa. La comunità romena, raddoppiata nel giro di soli due anni, conta 625 mila residenti e, secondo le stime del dossier quasi un milione di presenze regolari. Al secondo posto gli albanesi con 402 mila presenze e subito dopo i marocchini a quota 366 mila. Mentre intorno alle 150 mila unità si collocano le collettività cinese e ucraina. In termini percentuali gli europei rappresentano il 52% del totale degli stranieri residenti in Italia, gli africani il 23,2%, gli asiatici il 16,1% e gli americani l’8,6%. Secondo le stime del dossier la regione con il maggior numero di stranieri regolari è la Lombardia (953.600 presenze pari al 23.9% del totale), seguita dal Lazio (480.700 pari al 12,1% del totale) e dal Veneto (473.800 pari all’11,9% del totale).

4 risposte a "L’Europa (unita) che parla con una lingua comune (l’inglese) ma che non dimentica e valorizza le lingue regionali (impropriamente chiamate dialetti)"

  1. paolomonegato giovedì 4 giugno 2009 / 12:37

    Leggendo la tua introduzione a questi articoli mi viene in mente Libera Nos a Malo di Meneghello…. Il discorso non fa una piega ma perché l’Europa dovrebbe parlare Inglese (lingua di uno degli stati più euroscettici)?

    Ho dato un’occhiata alla “tabella linguistica”…. Ci son delle cose che non quadrano…
    Perché hai usato la classificazione di Ethnologue e non quella dell’UNESCO (Red Book of Endargered Languages)? Contesto anche lo specchietto sulle altre comunità… è molto utile ma ha una pecca: anche gli immigrati andrebbero divisi per lingue regionali mica tutti i cinesi parlano il mandarino.

    Veniamo ora al succo dell’articolo….
    L’idea di insegnare le lingue locali nelle scuole non mi convince. La difesa della cultura locale parte dalle famiglie: la lingua rimane viva se viene usata, non è certo la scuola che può incentivarne l’uso. Non serve a niente insegnarle se poi fuori dalle scuole non vengono usate. E poi standardizzando le lingue regionali si perderebbero le sfumature, le differenze (ovvero ciò che le rende interessanti, e più belle).
    Serve il bilinguismo nelle istituzioni (ovvero la possibilità di parlare la propria lingua negli uffici pubblici, nei tribunali etc) e incentivare la produzione culturale in lingua locale. Ci vorrebbero anche dei programmi TV in lingua locale, è assurdo che in Francia (paese noto per il suo centralismo e per il mancato rispetto delle lingue regionali) ci siano, sul canale pubblico France 3, dei TG in lingua regionale (bretone, corso, occitano, alsaziano, catalano) e qui no…

  2. racheleamerini domenica 7 giugno 2009 / 17:40

    In parte concordo con quanto scritto da Paolo. Colgo l’occasione anche per portare la mia piccola esperienza in merito. Come alcuni di voi sanno ho fatto elementari, medie e superiori in Spagna, a Valencia. Il valenciano (inteso come grammatica, ma anche come letteratura) è materia obbligatoria (almeno fino alla terza superiore) tranne che per quegli studenti non originari. In teoria io avrei potuto non studiare affatto il valenciano per via delle mie origini italiane, ma non l’ho fatto. Bisogna tenere conto che l’insegnamento di una lingua o dialetto che sia nella scuola permette di “disciplinare” la materia. Un esempio: quanti veneti parlano veneto e quanti invece parlano una miscela di veneto-italiano? Quanta letteratura in veneto viene prodotta ogni anno? Non si diffonderebbe meglio se la conoscenza della grammatica fosse estesa a più persone? D’altro canto, Paolo ha ragione a sottolineare la necessità comunque di praticarlo negli ambiti più svariati. A Valencia, ad esempio, per lavorare nel pubblico o in banca bisogna dimostrare di conoscere il valenciano. Inoltre non mancano canali tv interamente dedicati. Stesso discorso vale per il catalano, ed è proprio in Catalunya che si parlava che la metà dei film proiettati dovranno essere doppiati in lingua catalana (sul dibattito valenciano-catalano sono aperte da anni controversie molto delicate che non intendo in questo luogo toccare). Certo, il rischio è quello di standardizzare la lingua locale, ma è proprio su questo aspetto che bisognerebbe lavorare con più forza e aprirsi al confronto, senza imporre la cosa da un giorno all’altro, calandola dall’alto, ma effettuando degli studi approfonditi. Nel caso si arrivasse a questo si potrebbero sempre indicare le varianti locali ai vari vocaboli.
    Mettiamo caso che si volessero fare dei programmi tv in lingua: il conduttore dovrebbe parlare perfettamente il veneto (senza le stramberie che si sentono delle volte altrimenti si diffonde un qualcosa di diverso dal veneto)… allora questo ipotetico conduttore dovrebbe avere una certa formazione… che può passare attraverso l’introduzione della lingua locale nelle scuole prima e in un corso di laurea poi (esistono ad esempio corsi di laurea in Lingua e Letteratura valenciana per formare i futuri maestri, scrittori,…).

    • paolomonegato martedì 9 giugno 2009 / 19:55

      So che in Catalogna e nei Paesi Baschi è servito per dar nuovo vigore alle lingue dopo anni di franchismo però l’insegnamento delle lingue regionali nelle scuole continua a non convincermi.
      Imbrigliare una lingua, standardizzarla, creare una grammatica sono, a mio modo di vedere, tutti passaggi che la conducono alla morte, alla perdita del suo fascino originario, del suo ancestrale legame con il territorio.

      Il problema è nella mentalità delle persone che considerano incolto / provinciale chi parla in un certo modo e quindi non tramandano la lingua ai propri figli / nipoti. Altro esempio è il boom dei corsi di dizione per perdere l’accento…

  3. Raniero Gadoni lunedì 8 novembre 2010 / 9:17

    Vorrei mettere i puntini sulle i riguardo le varianti linguistiche sarde, credo che questo tabulato da voi proposto sia in riferimento alla sardegna ricolmo di inesatezze dovuto alla scarsa conoscenza della storia sarda.
    Intanto in sardegna vi e’ la piu’ completa ed arcaica presenza in una terra che parte da quelle lande dette Marmilla sino alla piu’ profonde e selvagge barbagie di Belvi’ e seulodi vocaboli di lingua Akadika arcaica tutt’ ora in uso.Quindi lingua di origine asianica , il fatto che non venga menzionata e’ testimonianza di scarsa conoscenza di storia e cultura di un popolo che puo’ vantare oltre 100 secoli di cultura, insomma una tra le civilta’ gia antiche per gli antichi.
    Chi conosce e frequenta l isola puo’ testimoniare il fatto che in Sardegna vi e’ una variante linguistica che pare sia la radice per i contemporanei “logudorese” e “campidanese”, detta Limba de mesanìa .

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