I ghiacciai alpini che stanno sparendo: un altro paesaggio che se ne va (ma qualcosa possiamo fare)

Marmolada, in poco più di un secolo l’area "bianca" si è dimezzata. Per dare un’idea di cosa significhi la regressione di un ghiacciaio, le misurazioni effettuate dal 1888 a oggi dicono che quello principale della Marmolada si è più che dimezzato. La prima misurazione è molto approssimativa visto che è datata 1774: si basa su una carta topografica e gli esperti hanno calcolato un’estensione di circa 600 ettari (cioè 6 chilometri quadrati). Ma le verifiche posteriori, dalla fine dell’Ottocento a oggi, ovviamente sono più esatte. E dimostrano anche come attorno agli anni ’70, ricchi di precipitazioni (il decennio 1970-1980 è forse il più nevoso del secolo scorso), la regressione del ghiacciaio abbia registrato una momentanea inversione di tendenza. Negli anni successivi, il ritiro è ripreso inesorabile.      Ecco gli anni delle misurazioni e la relativa estensione (come riporta il volume di Andrea De Bernardin sul ritiro del ghiacciaio): 1888, 495 ettari; 1902, 421; 1910, 392; 1951, 343 ettari; 1959, 306; 1966, 289; 1982, 298; 1990, 260; 1999, 217; 2004, 208 ettari.      La foto qui sopra è stata elaborata dal centro Arpav di Arabba. Gli esperti hanno ricostruito le fronti del ghiacciaio nel 1885 e nel 1999. La linea più alta indica il livello registrato nel 2008. (da “Il Gazzettino” del 26 luglio 2009)
Marmolada, in poco più di un secolo l’area "bianca" si è dimezzata. Per dare un’idea di cosa significhi la regressione di un ghiacciaio, le misurazioni effettuate dal 1888 a oggi dicono che quello principale della Marmolada si è più che dimezzato. La prima misurazione è molto approssimativa visto che è datata 1774: si basa su una carta topografica e gli esperti hanno calcolato un’estensione di circa 600 ettari (cioè 6 chilometri quadrati). Ma le verifiche posteriori, dalla fine dell’Ottocento a oggi, ovviamente sono più esatte. E dimostrano anche come attorno agli anni ’70, ricchi di precipitazioni (il decennio 1970-1980 è forse il più nevoso del secolo scorso), la regressione del ghiacciaio abbia registrato una momentanea inversione di tendenza. Negli anni successivi, il ritiro è ripreso inesorabile. Ecco gli anni delle misurazioni e la relativa estensione (come riporta il volume di Andrea De Bernardin sul ritiro del ghiacciaio): 1888, 495 ettari; 1902, 421; 1910, 392; 1951, 343 ettari; 1959, 306; 1966, 289; 1982, 298; 1990, 260; 1999, 217; 2004, 208 ettari. La foto qui sopra è stata elaborata dal centro Arpav di Arabba. Gli esperti hanno ricostruito le fronti del ghiacciaio nel 1885 e nel 1999. La linea più alta indica il livello registrato nel 2008. (da “Il Gazzettino” del 26 luglio 2009)

Una tra le attività più meritorie del Dipartimento di Geografia dell’Università di Padova è la periodica annuale misurazione del ghiacciaio della Marmolada a fine stagione estiva; cioè quando la “linea delle nevi” (cioè il limite tra la parte bassa del ghiacciaio che si scioglie con il caldo estivo e la parte alta che “resiste”) non cambia più (questo accade di solito a fine settembre). E’ in quel momento che si possono vedere le vere condizioni di salute del ghiacciaio, quella linea di equilibrio tra permanenza del ghiaccio e scioglimento.

Perché uno dei fenomeni che più preoccupano nell’area dolomitica, negli ultimi decenni, è la progressiva riduzione dell’area dei ghiacciai: in altre zone alpine il fenomeno di “perdita” del ghiacciaio è molto minore (come nella Alpi Giulie, orientali, dove le molte precipitazioni di neve fanno esistere, permanere, i ghiacciai).

Semplificando ma dando pure un’immagine affascinante della bellezza dei ghiacciai, potremmo dire che il ghiacciaio è “un paesaggio in movimento”. Nei ghiacciai più grandi (che assumono, dall’alto in basso, caratteristiche a forma di lingua, scendendo nella valle…) la parte più alta è quella dove prevale nel corso dell’anno “l’alimentazione” rispetto allo scioglimento (i tecnici infatti lo chiamano “bacino di alimentazione” o circo glaciale), mentre la parte più bassa è quella nella quale prevale lo “scioglimento” rispetto all’alimentazione (viene chiamata “bacino di ablazione”, cioè dove il ghiaccio si scioglie). Tra i due bacini sta, appunto, il “limite delle nevi”, la linea di equilibrio (dove la somma algebrica, per capirci, tra alimentazione e scioglimento è zero, si equivale).

Ma i ghiacciai alpini, e in particolare quelli dolomitici, molto spesso non sono a “forma di lingua” e non sono di grandi dimensioni; sono più compatti, senza “lingua” di discesa nella valle, e vengono chiamati “ghiacciai di circo” (e la Marmolada è un “ghiacciaio di circo”). A tutta questa sommaria esposizione delle parti del ghiacciaio non bisogno dimenticare la parte finale, più bassa, dell’apparato glaciale, chiamata “fronte” (è dalla fronte che esce il “torrente glaciale”, la concretizzazione del passaggio dallo stato solido allo stato liquido).

Pertanto “bacino di alimentazione, linea delle nevi o di equilibrio, bacino di ablazione o scioglimento, fronte del ghiacciaio”. Tutto questo in un perenne movimento: un oggetto lasciato sulla parte alta, dopo pochi anni lo ritroveremo nella parte bassa in scioglimento.

Perché questa breve descrizione? Per inquadrare questo nostro “paesaggio che scompare”. Perché i ghiacciai alpini, ma in particolare quelli dell’area dolomitica sono in grande crisi, alcuni, i più piccoli, sono in fase di sparizione totale.

Il ghiacciaio misura la sua possibilità di “benessere” e sopravvivenza su due elementi: le precipitazioni e la temperatura. Entrambi questi fenomeni ora sono negativi per i ghiacciai: diminuiscono le precipitazioni nevose invernali e la temperatura media si sta alzando. E anche se ci siamo lasciati alle spalle un inverno tra i più nevosi da molto tempo a queste parti (anche adesso in piena estate la neve persiste in certe zone di montagna, specie a nord), per “ricostruire” la tendenza a un recupero e alla “fine della perdita” per i ghiacciai dolomitici, ci vorrebbero forse almeno trenta inverni come quello appena passato.

Che fare? Noi non pensiamo che nella condizione “micro”, regionale, territoriale, si possa fare molto (diverso invece è il discorso nel “macro”, iniziative globali mondiali per ridurre l’inquinamento e riportare il clima a condizioni di qualche decennio fa; ne parleremo tra breve in questo blog…). Però, premesso che ci auguriamo che mai accada (come qualcuno forse sta prospettando) di “mantenere o costruire artificialmente il ghiacciaio” (magari “sparando acqua-neve” d’inverno, come si fa nelle piste da sci, per “incentivare le precipitazioni”), ebbene se è augurabile che questo non accada, è però anche vero che nell’ambito “micro”, regionale, territoriale, alcune cose non possono che danneggiare alcuni ghiacciai, come nel caso di quello della Marmolada: come l’utilizzo di esso a pista da sci, fenomeno di sfruttamento di un ecosistema che, come stiamo qui cercando di dimostrare, è già di per sè in forte disequilibrio. Una valutazione dell’impatto ambientale dell’utilizzo della Marmolada a pista da sci, a prescindere dai benefici economici che il turismo invernale può portare in quell’area (ma quando non ci sarà più, cosa si farà?!), potrebbe far prendere decisioni coraggiose su un utilizzo meno impattante della montagna e di questi piccoli e preziosi siti naturali che sono i ghiacciai.

Ma riportiamo qui un articolo ripreso da “Il Gazzettino” del 26 luglio scorso che (meritoriamente) lancia l’allarme per la sparizione dei ghiacciai dolomitici.

ALLARME DOLOMITI, COSI’ IL CALDO FA SPARIRE I GHIACCIAI

da “Il Gazzettino” del 26/7/2009 – Franco Soave

Alcuni non esistono più, tutti gli altri sono in costante regressione. E secondo gli esperti nell’arco di pochi anni una ventina potrebbe venire cancellata  – L’Arpav: uno degli inverni più ricchi di precipitazioni degli ultimi 80 anni non basta a salvare la neve perenne sui Monti Pallidi

Ci siamo lasciati alle spalle uno degli inverni più nevosi a memoria d’uomo. In montagna giorni e giorni di bianco, metri su metri di neve tanto che ancora oggi, a estate inoltrata, in quota e soprattutto sui versanti a settentrione, la neve resiste. Eppure non basta: la scienza conferma che il clima continua a riscaldarsi e i ghiacciai delle Dolomiti sono in regressione. Da molti anni ormai si stanno asciugando e non basta un solo inverno, anche se abbondantissimo di precipitazioni, a invertire la tendenza.
E la tendenza è così consolidata che molti ghiacciai – o glacionevati (cioè più piccoli e “fermi”) – dei Monti Pallidi hanno gli anni contati. Dati dell’Arpav alla mano, possiamo affermare che sono una ventina quelli più a rischio, quelli cioè che in pochi anni – due decenni, forse meno – sono condannati a sparire. Alcuni non ci sono già più, come il ghiacciaio meridionale del Pelmo, altri viaggiano sicuri sulla strada dell’estinzione, come la Vedretta del Vernale (gruppo della Marmolada), il ghiacciaio del Cadin di San Lucano (Cadini di Misurina), quello della Fradusta (Pale di San Martino), il Meduce di Dentro (Marmarole), tanto per fare qualche nome.
Ed è diventato perfino “normale” il deposito di sabbia – ormai succede più volte all’anno – proveniente dal Sahara sul ghiacciaio della Marmolada, che rimane il più esteso delle Dolomiti (circa 200 ettari per uno spessore che nei punti più profondi supera i 40 metri) ma che in pochi anni si è ritirato in maniera impressionante. E la sabbia africana riscalda molto di più il ghiaccio.
Anselmo Cagnati dirige l’unità operativa Neve-valanghe del centro Arpav di Arabba, una delle strutture più preparate ed esperte dell’intero arco alpino.
Dottor Cagnati, stanno proprio così male i ghiacciai delle Dolomiti?
«Veniamo da una stagione invernale tra le due-tre più nevose degli ultimi 80 anni. L’inverno è stato quasi un toccasana, ma ho qualche dubbio che questo abbia determinato un’inversione della tendenza in atto dal 1850, cioè dalla fine della piccola era glaciale».
Come dire che ci vorrebbero trenta inverni di fila così per salvare i ghiacciai.
«Sì, uno solo non basta, è una cosa che riguarda la percezione, l’occhio. Oggi andiamo in montagna, vediamo la neve e pensiamo che i problemi dei ghiacciai siano risolti, in realtà non è così. La tendenza al regresso dura ormai da 150 anni e non è sufficiente un inverno per invertire il trend».
Non c’è mai stata un’inversione?
«Più che di inversione possiamo parlare di rallentamento della fase di regresso tra il 1970 e il 1980, perchè sono stati gli anni più nevosi del secolo scorso».
Quindi i ghiacciai dei Monti Pallidi sono destinati a sparire.
«Sì, la natura sta cercando una nuova forma di stabilità in cui la cosiddetta linea di equilibrio dei ghiacciai è posta al di sopra della quota più alta. Ormai è inevitabile».
Cos’è la linea di equilibrio?
«È una linea immaginaria in cui gli apporti nevosi e la fusione (tecnicamente ablazione) si equivalgono, dove il bilancio è zero. In un ghiacciaio che sta bene questa linea è posta all’incirca a metà ma con il clima di oggi si è spostata molto più in alto. Con la conseguenza che ora è più in alto della quota massima dei ghiacciai. Quindi non c’è più alimentazione, non c’è più neve che si trasforma in ghiaccio».
Se il clima non cambierà quanto vivranno i ghiacciai delle Dolomiti?
«Possiamo fare ipotesi che si basano sui modelli climatici, e i modelli dicono che la temperatura continuerà ad aumentare. Quindi dobbiamo aspettarci un’ulteriore accelerazione dello scioglimento. Alcuni ghiacciai sono in via di estinzione, altri avranno pochi decenni di vita. Nelle Dolomiti alcuni sono già spariti, come il ghiacciaio meridionale del Pelmo, altri sono sulla strada».
Azzardiamo qualche numero: dieci anni, venti?
«Noi abbiamo censito 75 tra ghiacciai e glacionevati: 4-5 sono ghiacciai “veri” come quello della Marmolada, quello superiore dell’Antelao o del Cristallo. Gli altri sono più piccoli: a questi possiamo dare da qualche anno a qualche decennio di vita, a seconda della posizione. Quello della Fradusta, sulle Pale di San Martino, uno dei più esposti, è destinato a scomparire in qualche anno».
Dunque i più piccoli, tra vent’anni non ci saranno più.
«È l’ipotesi che possiamo fare con i dati climatici forniti oggi dalla comunità scientifica internazionale».
Sabbia rosa sul ghiacciaio della Marmolada, succede ancora?
«È un evento meteorologico quasi normale che si verifica anche quattro volte all’anno, quando un flusso di aria tropicale sub-sahariana trasporta in quota particelle di sabbia che si depositano assieme alle precipitazioni».
E queste particelle cosa combinano?
«Assorbono calore che facilita lo scioglimento, perchè la neve sporca con la sabbia del Sahara si riscalda molto più facilmente, assorbe il 30-40 per cento delle radiazioni invece del dieci per cento».
Neve e impianti: con i ghiacciai rischia la vita anche lo sci?
«Dato che in Veneto stiamo risentendo in maniera maggiore del riscaldamento, il limite della neve si innalza. E indipendentemente dalla quantità di precipitazione nevosa, le zone a bassa quota – secondo gli svizzeri quelle sotto i 1800 metri – sono a rischio neve».
Quella quota può essere il limite anche per le Dolomiti?
«Gli impianti di fondovalle possono essere a rischio. Vuole un esempio? Negli anni ’70 sono stati costruiti degli impianti a 600 metri di quota: mi ricordo di uno skilift a Agordo. Quello ha funzionato qualche anno, ipotizzare che sia ancora possibile far funzionare un impianto a Agordo non ha senso».
Il cambio di clima è solo dannoso o può diventare una risorsa?
«Certo, in certi casi può diventare un’opportunità: alle popolazioni del Centro-Nord Europa l’aumento di temperatura permetterebbe di introdurre nuove coltivazioni, come la vite in Gran Bretagna per esempio. Poi ci sono strategie di mitigazione che tendono a eliminare gli effetti del caldo».
Cosa vuol dire?
«C’è chi copre i ghiacciai con i teloni per ridurre l’effetto scioglimento, ma secondo me sono solo esperimenti. Pensare di coprire il ghiacciaio della Marmolada per farlo vivere qualche anno in più mi sembra veramente un’idea fuori dal mondo».
(Franco Soave)

ghiacciaio "Fradusta" (Pale di San Martino) com'era nel 1945
ghiacciaio "Fradusta" (Pale di San Martino) com'era nel 1945
lo stesso "Fradusta", com'era nel 2008 (quasi del tutto sparito)
lo stesso "Fradusta", com'era nel 2008 (quasi del tutto sparito)
il ghiacciaio della conca del Vernale, gruppo della Marmolada, nel 1935
il ghiacciaio della conca del Vernale, gruppo della Marmolada, nel 1935
la conca del vernale com'è adesso
la conca del vernale com'è adesso
(tutte le foto sono tratte da “Il Gazzettino” del 26 luglio 2009)
per saperne di più vedi anche il sito del “Comitato glaciologico italiano”:  http://www.disat.unimib.it/comiglacio/comitatoglaciologico.htm

Una risposta a "I ghiacciai alpini che stanno sparendo: un altro paesaggio che se ne va (ma qualcosa possiamo fare)"

  1. graziano mercoledì 12 settembre 2012 / 22:04

    che tristezza

Lascia un commento