“GRANDI DISUGUAGLIANZE CRESCONO”- il RAPPORTO di OXFAM al meeting di DAVOS 2015: alla fine del 2016 l’1% della popolazione mondiale sarà più ricca del rimanente 99% – Proposte concrete per ridurre la POVERTA’ – e il CAPITALE cresce più di ogni ECONOMIA REALE: i ricchi sempre più ricchi – L’Italia (e l’Europa) con la necessità di politiche di prevenzione e sollievo dalla crescente povertà

Allarmante RAPPORTO della organizzazione non governativa (ong) britannica OXFAM: DAL 2016, L'1 PER CENTO DELLA POPOLAZIONE MONDIALE SARÀ PIÙ RICCO DEL RESTANTE 99 PER CENTO
Allarmante RAPPORTO della organizzazione non governativa (ong) britannica OXFAM: DAL 2016, L’1 PER CENTO DELLA POPOLAZIONE MONDIALE SARÀ PIÙ RICCO DEL RESTANTE 99 PER CENTO

   Uno dei temi che sono stati messi in risalto nel World economic forum di Davos, in Svizzera, dal 21 al 25 gennaio 2015, è stato il tema della diseguaglianza sociale nel mondo. L’annuale appuntamento nella cittadina svizzera che riunisce i leader della politica e dell’economia per discutere dei problemi globali è stato anticipato da un allarmante rapporto della organizzazione non governativa (ong) britannica Oxfam: dal 2016, l’1 per cento della popolazione mondiale sarà più ricco del restante 99 per cento.

   Interessante è che questa voce (cioè di Oxfam) non sia stata isolata, che non sia stata messa a tacere nel forum, che non si sia data ad essa poca rilevanza da parte dei “potenti” della Terra (in politica, ma anche in economia, finanza…); ma che addirittura la direttrice di questa organizzazione non governativa (Winnie Byanima) sia stata invitata ad accettare la co-presidenza del meeting.

paesaggio di Davos (da lastampa.it). DAVOS, Il comune svizzero, situato nel Cantone dei  Grigioni, gode di fama internazionale grazie all’evento che ospita annualmente: il Forum Economico Mondiale, un incontro fra i principali esponenti politici ed economici del mondo intero
paesaggio di Davos (da lastampa.it). DAVOS, Il comune svizzero, situato nel Cantone dei Grigioni, gode di fama internazionale grazie all’evento che ospita annualmente: il Forum Economico Mondiale, un incontro fra i principali esponenti politici ed economici del mondo intero

   Forse perché la gestione e il controllo del mondo da parte di molti dei leader ed esperti economici che si incontrano nella cittadina svizzera, percepiscono che effettivamente si è fatto difficile: il tema della povertà sta diventando molto più serio, tragico, nell’andamento di una crisi economica mondiale che dal 2008 sembra non cessare (nella maggior parte dei paesi) i suoi effetti disastrosi.

   Pertanto, tornando al dossier di Oxfam, vi è e vi sarà ancor di più, un’ “esplosione della disuguaglianza”, con il divario tra i più ricchi e il resto delle persone che si sta allargando rapidamente: ENTRO IL 2016 L’1% DELLA POPOLAZIONE MONDIALE SARÀ PIÙ RICCO DEL RIMANENTE 99% DEGLI ABITANTI DEL PIANETA. Oxfam dice che metà della popolazione più povera si concentra nei Paesi G20, cioè non è solo un fenomeno dei paesi poveri africani o di altri disastrati stati nei vari continenti: anche chi “sta meglio”, come i cosiddetti paesi emergenti vede un allargamento della povertà. Dal dicembre 2013 la ricchezza complessiva dei Paesi del G20 è aumentata di 17.000 miliardi di dollari, ma è all’1% dei più ricchi che è andata la fetta più grande, vale a dire 6.200 miliardi di dollari, il 36% della crescita complessiva.

Il FORUM ECONOMICO MONDIALE (WORLD ECONOMIC FORUM, spesso abbreviato in WEF) è una fondazione senza fini di lucro con sede a GINEVRA, in SVIZZERA, nata nel 1971 per iniziativa dell'economista ed accademico KLAUS SCHWAB.  La fondazione organizza ogni inverno, presso la STAZIONE SCIISTICA DI DAVOS, un incontro tra esponenti di primo piano della politica e dell'economia internazionale con intellettuali e giornalisti selezionati, per discutere delle questioni più urgenti che il mondo si trova ad affrontare, anche in materia di salute e di ambiente. Oltre al più celebre MEETING DI DAVOS, il Forum economico mondiale organizza ogni anno un MEETING IN CINA e negli EMIRATI ARABI UNITI e diversi incontri a livello regionale. La Fondazione produce anche una serie di rapporti di ricerca e impegna i suoi membri in specifiche iniziative settoriali. (da Wikipedia, l'enciclopedia libera)
Il FORUM ECONOMICO MONDIALE (WORLD ECONOMIC FORUM, spesso abbreviato in WEF) è una fondazione senza fini di lucro con sede a GINEVRA, in SVIZZERA, nata nel 1971 per iniziativa dell’economista ed accademico KLAUS SCHWAB. La fondazione organizza ogni inverno, presso la STAZIONE SCIISTICA DI DAVOS, un incontro tra esponenti di primo piano della politica e dell’economia internazionale con intellettuali e giornalisti selezionati, per discutere delle questioni più urgenti che il mondo si trova ad affrontare, anche in materia di salute e di ambiente. Oltre al più celebre MEETING DI DAVOS, il Forum economico mondiale organizza ogni anno un MEETING IN CINA e negli EMIRATI ARABI UNITI e diversi incontri a livello regionale. La Fondazione produce anche una serie di rapporti di ricerca e impegna i suoi membri in specifiche iniziative settoriali. (da Wikipedia, l’enciclopedia libera)

   E su tutto chiaramente persistono i disastri delle popolazioni dimenticate, o che vivono in perenne guerra: 805 milioni di abitanti della Terra ancora soffrono la fame. I dati che Oxfam ha messo nel suo dossier dimostrano la sofferenza del nostro pianeta, per grande parte della sua popolazione. Unicef condivide questo contesto così duro, e fa un aproposta di partire dai giovani, dai bambini, e per questo ha proposto una serie di “regole planetarie”(contenuto nel suo Obiettivo di Sviluppo del Millennio 2000-2015).

   E’ in questo contesto che anche Stati importanti che sembra possano uscire dalla crisi economica, si accorgono che questo non cambia il contesto di allargamento della povertà. E il tema della diseguaglianza è anche nell’agenda di Barack Obama, che nel discorso sullo stato dell’Unione ha sposato la cosiddetta “linea Piketty”, che è quell’economista francese che propone di tassare i super ricchi per redistribuire le risorse in maniera più equa.

WINNIE BYANIMA, direttore generale di OXFAM INTERNAZIONALE - Oxfam chiede ai governi di adottare un piano di sette punti per affrontare la disuguaglianza: 1- CONTRASTO ALL'ELUSIONE FISCALE di multinazionali e individui miliardari; 2- INVESTIMENTO IN SERVIZI PUBBLICI GRATUITI, COME SALUTE E ISTRUZIONE; 3- DISTRIBUZIONE EQUA DEL PESO FISCALE, spostando la tassazione da lavoro e consumi verso capitali e ricchezza; 4- INTRODUZIONE DI SALARI MINIMI e graduale adozione di salari dignitosi per tutti i lavoratori. E ancora, 5- INTRODUZIONE DI UNA LEGISLAZIONE ISPIRATA ALLA PARITÀ DI RETRIBUZIONE, e politiche economiche che prevedano una GIUSTA QUOTA PER LE DONNE; 6- RETI DI PROTEZIONE SOCIALE PER I PIÙ POVERI, incluso un reddito minimo garantito; 7- un obiettivo globale di LOTTA ALLA DISUGUAGLIANZA
WINNIE BYANIMA, direttore generale di OXFAM INTERNAZIONALE – Oxfam chiede ai governi di adottare un piano di sette punti per affrontare la disuguaglianza: 1- CONTRASTO ALL’ELUSIONE FISCALE di multinazionali e individui miliardari; 2- INVESTIMENTO IN SERVIZI PUBBLICI GRATUITI, COME SALUTE E ISTRUZIONE; 3- DISTRIBUZIONE EQUA DEL PESO FISCALE, spostando la tassazione da lavoro e consumi verso capitali e ricchezza; 4- INTRODUZIONE DI SALARI MINIMI e graduale adozione di salari dignitosi per tutti i lavoratori. E ancora, 5- INTRODUZIONE DI UNA LEGISLAZIONE ISPIRATA ALLA PARITÀ DI RETRIBUZIONE, e politiche economiche che prevedano una GIUSTA QUOTA PER LE DONNE; 6- RETI DI PROTEZIONE SOCIALE PER I PIÙ POVERI, incluso un reddito minimo garantito; 7- un obiettivo globale di LOTTA ALLA DISUGUAGLIANZA

   Secondo Piketty, nelle tesi sostenute nel suo best seller del 2013 ora pubblicato anche in Italia da Bompiani (“Il capitale del XXI secolo”) la diseguaglianza si estende sempre più perché il capitale cresce più rapidamente dell’economia reale, quindi i ricchi lo diventeranno sempre più. E Obama in questi giorni ha annunciato tasse più alte per i ricchi per assicurare 320 miliardi da redistribuire alle famiglie povere.

   In Italia la situazione di diffusione della povertà si fa sentire in modo forte: dal 2008, inizio della crisi, a oggi, gli italiani che versano in povertà assoluta sono quasi raddoppiati fino ad arrivare a oltre 6 milioni, rappresentando quasi il 10% dell’intera popolazione. Un studio del quotidiano Repubblica (che riportiamo nel seguito di questo post), nel 2013 le dieci famiglie con i maggiori patrimoni ora sono diventate più ricche di quanto lo sia nel complesso il 30% degli italiani (e residenti stranieri) più poveri. Quelle grandi famiglie a questo punto detengono nel complesso 98 miliardi di euro. Per loro un balzo in avanti patrimoniale di quasi il 70% (dal 2008 al 2013), compiuto mentre l’economia italiana balzava all’indietro di circa il 12%).

THOMAS PIKETTY, 43enne ECONOMISTA FRANCESE, diventato una star internazionale nel corso del 2014 grazie al suo ponderoso bestseller (950 pagine) «IL CAPITALE DEL XXI SECOLO» (pubblicato da Bompiani in Italia, 22 euro): in esso rivela i segreti della disuguaglianza. Il capitale cresce più rapidamente dell'economia reale, quindi i ricchi lo diventeranno sempre più
THOMAS PIKETTY, 43enne ECONOMISTA FRANCESE, diventato una star internazionale nel corso del 2014 grazie al suo ponderoso bestseller (950 pagine) «IL CAPITALE DEL XXI SECOLO» (pubblicato da Bompiani in Italia, 22 euro): in esso rivela i segreti della disuguaglianza. Il capitale cresce più rapidamente dell’economia reale, quindi i ricchi lo diventeranno sempre più

   E L’Italia è uno dei pochissimi Paesi europei (assieme a Grecia e Ungheria) a non garantire un sussidio universale ai più poveri: forse perché ciò avvenga occorrerà aggiornare la macchina amministrativa pubblica che dovrà occuparsi dell’erogazione del denaro; rodare in fretta il nuovo Isee (l’indice che misura la condizione economico-patrimoniale di una famiglia) intensificando i controlli per limitare i troppi furbi e abolire o almeno riformare sussidi storici a cominciare dal variegato sistema pensionistico di cui si è dotato il nostro Paese: cioè la mancanza di una politica generale di aiuto ai poveri è pure rallentata da furbizie, rendite di posizione, elusioni ed evasioni fiscali (sul reddito minimo a famiglie povere dedichiamo sempre qui un articolo).

   Pertanto il mondo in “macro” (tutto il pianeta partendo dai paesi poverissimi) e in “micro” (le nostre realtà locali) devono fare i conti con la crescita dei poveri, di chi non ce la fa a vivere in modo dignitoso, di chi li manca tutto (fino a soffrire la fame). Nel prendere coscienza del problema, solidarietà, politica, economia, cultura, tutti, si devono incontrare. Sensibilità personali e pubbliche non possono ignorare il contesto. E trovare soluzioni immediate al disagio sociale che l’allargamento della disuguaglianza, della povertà, sta provocando. (s.m.)

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LA GRANDE DISUGUAGLIANZA

da OXFAM ITALIA (www.oxfamitalia.org/), 18/1/2015

   Le élite economiche mondiali agiscono sulle classi dirigenti politiche per truccare le regole del gioco economico, erodendo il funzionamento delle istituzioni democratiche e generando un mondo in cui 85 super ricchi possiedono l’equivalente di quanto detenuto da metà della popolazione mondiale. Con il World Economic Forum di Davos, il rapporto di ricerca Working for The Few, diffuso da Oxfam, evidenzia come l’estrema disuguaglianza tra ricchi e poveri implichi un progressivo indebolimento dei processi democratici a opera dei ceti più abbienti, che piegano la politica ai loro interessi a spese della stragrande maggioranza.

il logo di OXFAM
il logo di OXFAM

Una situazione che riguarda i paesi sviluppati, oltre quelli in via di sviluppo, dove l’opinione pubblica ha sempre più consapevolezza della concentrazione di potere e privilegi nelle mani di pochissimi. Dai sondaggi che Oxfam ha condotto in India, Sud Africa, Spagna, Gran Bretagna e Stati Uniti, la maggior parte degli intervistati è convinta che le leggi siano scritte e concepite per favorire i più ricchi.

In Africa le grandi multinazionali – in particolare quelle dell’industria mineraria/estrattiva – sfruttano la propria influenza per evitare l’imposizione fiscale e le royalties, riducendo in tal modo la disponibilità di risorse che i governi potrebbero utilizzare per combattere la povertà; in India il numero di miliardari è aumentato di dieci volte negli ultimi dieci anni a seguito di politiche fiscali altamente regressive, mentre il paese è tra gli ultimi del mondo se si analizza l’accesso globale a un’alimentazione sana e nutriente. Negli Stati Uniti, il reddito dell’1% della popolazione è aumentato ed è ai livelli più alti dalla vigilia della Grande Depressione. Recenti studi statistici hanno dimostrato che, proprio negli USA, gli interessi della classe benestante sono eccessivamente rappresentati dal governo rispetto a quelli della classe media: in altre parole, le esigenze dei più poveri non hanno impatto sui voti degli eletti.

“Il rapporto dimostra, con esempi e dati provenienti da molti paesi, che viviamo in un mondo nel quale le élite che detengono il potere economico hanno ampie opportunità di influenzare i processi politici, rinforzando così un sistema nel quale la ricchezza e il potere sono sempre più concentrati nelle mani di pochi, mentre il resto dei cittadini del mondo si spartisce le briciole”, afferma Winnie Byanyima, direttrice di Oxfam International. “Un sistema che si perpetua, perché gli individui più ricchi hanno accesso a migliori opportunità educative, sanitarie e lavorative, regole fiscali più vantaggiose, e possono influenzare le decisioni politiche in modo che questi vantaggi siano trasmessi ai loro figli”.

Circa metà della ricchezza è detenuta dall’1% della popolazione mondiale
Circa metà della ricchezza è detenuta dall’1% della popolazione mondiale

Il rapporto di Oxfam evidenzia, ad esempio, come sin dalla fine del 1970 la tassazione per i più ricchi sia diminuita in 29 paesi sui 30 per i quali erano disponibili dati. Ovvero: in molti paesi, i ricchi non solo guadagnano di più, ma pagano anche meno tasse.

Questa conquista di opportunità dei ricchi a spese delle classi povere e medie ha contribuito a creare una situazione in cui, nel mondo, 7 persone su 10 vivono in paesi dove la disuguaglianza è aumentata negli ultimi trent’anni, e dove l’1% delle famiglie del mondo possiede il 46% della ricchezza globale (110.000 miliardi dollari)

“Se non combattiamo la disuguaglianza, non solo non potremo sperare di vincere la lotta contro la povertà estrema, ma neanche di costruire società basate sul concetto di pari opportunità, in favore di un mondo dove vige la regola dell’ ‘asso pigliatutto’, conclude Winnie Byanima.

Negli ultimi anni il tema della disuguaglianza è entrato con forza nell’agenda globale: Obama lo ha identificato come una priorità del 2014, e proprio il World Economic Forum ha posto le disparità di reddito diffuse come il secondo maggiore pericolo nei prossimi 12-18 mesi, mettendo in guardia su come stia minando la stabilità sociale e “minacciando la sicurezza su scala globale”. Anche per questo Oxfam chiede ai partecipanti del World Economic Forum – decision maker politici e istituzionali – di assumere un “impegno solenne” volto a:

– sostenere una tassazione progressiva e contrastare l’evasione fiscale;

– astenersi dall’utilizzare la propria ricchezza per ottenere favori politici che minano la volontà democratica dei propri concittadini;

– rendere pubblici tutti gli investimenti nelle aziende e nei fondi di cui sono effettivi beneficiari;

– esigere che i governi utilizzino le entrate fiscali per fornire assistenza sanitaria, istruzione e previdenza sociale per i cittadini;

– adottare dei minimi salariali dignitosi in tutte le società che posseggono o che controllano;

– esortare gli altri membri delle élite economiche a unirsi a questa causa.

Oxfam chiede inoltre ai governi di affrontare la diseguaglianza reprimendo più severamente la segretezza finanziaria e l’evasione fiscale, anche attraverso il G20; investendo nell’istruzione universale e nell’assistenza sanitaria; e concordando un obiettivo globale che inquadri la disuguaglianza estrema in ogni paese all’interno dei negoziati per gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile post 2015.

Oxfam Italia – Ufficio stampa mariateresa.alvino@oxfam.it +39.348.9803541

Note

Link a report integrale in inglese

I numeri della disuguaglianza

  • Circa metà della ricchezza è detenuta dall’1% della popolazione mondiale.
  • Il reddito dell’1% dei più ricchi del mondo ammonta a 110.000 miliardi di dollari, 65 volte il totale della ricchezza della metà della popolazione più povera del mondo.
  • Il reddito di 85 super ricchi equivale a quello di metà della popolazione mondiale.
  • 7 persone su 10 vivono in paesi dove la disuguaglianza economica è aumentata negli ultimi 30 anni.
  • L’1% dei più ricchi ha aumentato la propria quota di reddito in 24 su 26 dei paesi con dati analizzabili tra il 1980 e il 2012.
  • Negli USA, l’1% dei più ricchi ha intercettato il 95% delle risorse a disposizione dopo la crisi finanziaria del 2009, mentre il 90% della popolazione si è impoverito.

Il rapporto di Oxfam Working for the Few in pillole:

– ovunque, gli individui più ricchi e le aziende nascondono migliaia di miliardi di dollari al fisco in una rete di paradisi fiscali in tutto il mondo. Si stima che 21.000 miliardi di dollari  non siano registrati e siano offshore;

negli Stati Uniti, anni e anni di deregolamentazione finanziaria sono strettamente correlati all’aumento del reddito dell’1% della popolazione più ricca del mondo che ora è ai livelli più alti dalla vigilia della Grande Depressione;

– in India, il numero di miliardari è aumentato di dieci volte negli ultimi dieci anni a seguito di un sistema fiscale altamente regressivo, di una totale assenza di mobilità sociale e politiche sociali;

in Europa, la politica di austerity è stata imposta alle classi povere e alle classi medie a causa dell’enorme pressione dei mercati finanziari, dove i ricchi investitori hanno invece beneficiato del salvataggio statale delle istituzioni finanziarie;

– in Africa, le grandi multinazionali – in particolare quelle dell’industria mineraria/estrattiva – sfruttano la propria influenza per evitare l’imposizione fiscale e le royalties, riducendo in tal modo la disponibilità di risorse che i governi potrebbero utilizzare per combattere la povertà.

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OXFAM: NEL 2016 L’1% DELLA POPOLAZIONE MONDIALE SARÀ PIÙ RICCA DEL RIMANENTE 99%

– Analisi-denuncia dell’Ong alla vigilia del Forum di Davos: dal 2009 al 2014 il patrimonio dei nababbi è passato dal 44% al 48% della ricchezza globale –

da “la Repubblica” 19/1/2015

DAVOS – Entro l’anno prossimo l’1% della popolazione mondiale sarà più ricco del rimanente 99% degli abitanti del pianeta. Questo se sarà confermata la tendenza attuale che ha visto – nonostante la crisi – quell’1% di nababbi aumentare il totale dei propri patrimoni dal 44% di tutta la ricchezza mondiale nel 2009 al 48% nel 2014. I dati sono contenuti nell’analisi-denuncia presentata da OXFAM (confederazione di 17 Ong che combattono la povertà in più di 100 Paesi) a Davos, in Svizzera, dove da domani il gotha dell’economia e della politica mondiali si riunirà nel World Economic Forum.

   Dal documento emergono altre cifre impressionanti. Del 52% che resta della ricchezza globale non in mano all’1% dei ricconi, il 46% è comunque detenuto dal 20% della popolazione un po’ meno ricca. Il rimanente 79% della popolazione mondiale si spartisce le briciole: il 5,5% della ricchezza, con un reddito medio di 3.851 dollari l’anno (3.331 euro). Un’inezia rispetto al “reddito medio” dell’1% dei Paperoni che è di 2,7 milioni di dollari (2,33 milioni di euro).

   Tra il 2009 e il 2014 il patrimonio finanziario degli 80 più ricchi è raddoppiata. Vi è stata una crescente tendenza a ereditare la ricchezza e a usarla come strumento lobbystico per i propri interessi. Più di un terzo dei 1.645 miliardari elencati da Forbes ha ereditato parte o tutta la propria ricchezza, mentre il 20% ha interessi nei settori finanziari e assicurativi, gruppi che hanno visto incrementare il loro denaro dell’11% in 12 mesi. Nel solo 2013 finanzieri e assicuratori hanno speso 550 milioni di dollari per interventi lobbystici tra Washington e Bruxelles. Durante la campagna elettorale americana del 2012, il contributo della finanza è stato di 571 milioni di dollari.

   Un’autentica “esplosione della disuguaglianza” che sembra confermare le teorie del fortunato libro dell’economista francese Thomas Piketty, Il capitale nel XXI secolo, e giustificare il programma di aumento delle tasse per i ricchi che Barack Obama ha presentato martedì 20 gennaio nel discorso sullo stato dell’Unione.

   Winnie Byanima, direttore generale di Oxfam Internazionale si è chiesta se davvero la gente vuole vivere in un mondo dove l’1% possiede da solo più di tutti gli altri abitanti del pianeta. “La scala dell’ineguaglianza globale – ha detto – è semplicemente sconcertante e malgrado il tema sia balzato in primo piano sull’agenda globale, il divario tra i più ricchi e il resto si sta allargando rapidamente”.

   “Vogliamo portare il messaggio dai popoli dei Paesi più poveri al mondo al Forum dei leader economici e politici più potenti. Il messaggio è che far crescere le disuguaglianze è pericoloso. E’ una cosa pessima per la crescita e pessima per la governance. Constatiamo una concentrazione della ricchezza che cattura il potere, e lascia la gente comune senza voce e priva di qualsiasi cura”, ha affermato Byanima in un’intervista al Guardian.

   E ancora: “Sono rimasta sorpresa quando mi hanno invitata alla copresidenza a Davos, perché noi siamo una voce eminentemente critica. Ci andiamo per sfidare queste potenti elite. E’ un atto di coraggio avermi invitata. La diseguaglianza estrema non è un incidente o una regola naturale dell’economia. E’ il risultato di politiche, e solo con politiche diverse può essere ridotta. Sono ottimista, un cambiamento ci sarà. Pochi anni fa, l’idea che la povertà estrema fosse dannosa era nella consapevolezza di una manciata di esperti nel dibattito politico ed economico. Ma ora, dopo aver sollevato il caso, vediamo che il consenso cresce tra i leader economici, i leader politici e perfino tra i leader religiosi”. Oxfam promette una lotta senza quartiere alla “marea montante della disuguaglianza” e chiederà iniziative urgenti per fermare l’evasione fiscale da parte delle aziende.

   Lo studio, peraltro, conferma un rapporto diffuso dalla banca svizzera Credit Suisse lo scorso ottobre, secondo il quale l’1% possedeva già quasi la metà della ricchezza mondiale.

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da www.villaggiomondiale.it
da http://www.villaggiomondiale.it

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DAVOS, PROPOSTA UNICEF: UN PIANO DI AZIONE PER L’INFANZIA DI QUI AL 2030

da http://www.unicef.it/, 20/1/2015

   Al World Economic Forum che si è tenuto dal 21 al 24 gennaio a Davos (Svizzera) l’UNICEF ha proposto la sua “Agenda for Every Child” quale  guida per i nuovi obiettivi per uno sviluppo sostenibile post-2015, che verranno definiti a settembre in sede ONU per proseguire il cammino intrapreso con gli Obiettivo di Sviluppo del Millennio (2000-2015).

   La sfida che l’UNICEF lancia alla comunità internazionale è di PORRE L’INFANZIA AL CENTRO DEL PIANO D’AZIONE PER IL PROGRESSO DELL’UMANITÀ CHE GUIDERÀ GLI INVESTIMENTI E LE AZIONI DI QUI AL 2030.

   La “Agenda for Every Child” dell’UNICEF delinea 7 priorità:

– Porre fine alla violenza sui bambini. Quasi 1 miliardo di bambini sotto i 15 anni subisce regolarmente punizioni fisiche e un quarto di tutte le ragazze tra i 15 e i 19 anni ha subito violenza fisica. Mentre la violenza sui bambini è spesso invisibile, l’impatto su di loro e sulle società è profondo e di vasta portata. La violenza sui bambini è un problema universale: investire nella protezione dei bambini da violenza, abusi, abbandono e sfruttamento deve essere una priorità globale.

– La fine della povertà infantile deve essere centrale per eliminare la povertà globale. Metà delle persone che nel mondo vivono in condizioni di povertà estrema sono bambini: circa 570 milioni di persone con meno di 18 anni vivono al di sotto della soglia di povertà (fissata come standard internazionale a 1,25 dollari al giorno). La povertà infantile è spesso la causa principale della povertà in età adulta. Senza accesso a servizi sanitari, nutrizionali, acqua e servizi igienico sanitari, alloggi e istruzione il circolo della povertà continuerà.

– Porre fine alla mortalità materno-infantile per cause prevenibili. I bambini che appartengono al 20% delle famiglie più povere hanno il doppio delle probabilità di morire prima del loro quinto compleanno, rispetto ai coetanei che fanno parte del 20% più ricco, e hanno circa il triplo delle probabilità di essere sottopeso o ammalarsi. Migliori sistemi sanitari e migliori modi per individuare le risorse per raggiungere i bambini più vulnerabili e le madri salveranno vite, rafforzeranno le famiglie e contribuiranno ad una crescita sostenibile.

– Prestare maggiore attenzione agli adolescenti. I progressi compiuti nella prima infanzia possono essere consolidati oppure vanificati durante l’adolescenza, ma gli adolescenti sono troppo spesso esclusi dai piani di intervento e dai servizi. Investire nel loro apprendimento e nella promozione di stili di vita sani, fra gli altri impegni, aiuterà a proteggere gli adolescenti da malattie e violenze, e li preparerà meglio alla vita adulta.

– Sfruttare la “rivoluzione dei dati” a beneficio dei diritti dell’infanzia. Dati tempestivi e credibili sono fondamentali per identificare i bambini che hanno più bisogno di sostegno e per sviluppare politiche mirate a migliorare le loro vite. I dati devono essere disaggregati, per aiutarci a guardare oltre le medie globali e nazionali e a prendere in considerazione i bambini che sono stati lasciati indietro.

– Migliorare gli investimenti per tutti i bambini, soprattutto per i più vulnerabili e emarginati: Occorre investire risorse finanziarie adeguate nei settori cruciali (ISTRUZIONE, ACQUA e IGIENE, SANITÀ e PROTEZIONE SOCIALE) per ottenere risultati sostenibili, ma occorre anche focalizzare tali spese sui bambini e sulle famiglie che ne hanno maggiore bisogno.

– Rompere il ciclo delle crisi croniche che colpiscono l’infanzia. Nel 2014, sono stati 230 milioni i bambini che hanno vissuto in paesi e zone in guerra, e molti di più sono stati quelli colpiti da disastri naturali o causati dall’uomo. La risposta globale alle crisi umanitarie deve concentrarsi non solo sui bisogni nel breve periodo, ma anche sulla costruzione della resilienza nel lungo termine, aiutando i bambini e le loro famiglie a sopportare shock futuri, e sul porre fine al ciclo delle crisi che li colpiscono.

   «Il mondo ha fatto significativi passi in avanti negli ultimi 15 anni, ma ancora milioni di bambini sono emarginati» sottolinea Yoka Brandt Vicedirettore generale dell’UNICEF. «Questa è una grande opportunità per raggiungere i bambini che sono stati lasciati indietro. Le decisioni e gli investimenti che facciamo oggi determineranno il futuro di questa generazione e di quelle a venire. Tutti noi abbiamo un ruolo da giocare – leader politici, imprese e organizzazioni, individui e bambini stessi – per guidare il cambiamento e costruire un mondo migliore per tutti.»

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LA CRISI RADDOPPIA IL PATRIMONIO ALLE DIECI FAMIGLIE PIÙ RICCHE DI 20 MILIONI DI ITALIANI

di FEDERICO FUBINI, da “la Repubblica” del 19/1/2015

– A partire dal 2008 drastico allargamento delle distanze sociali. Tra gli abbienti sale il ceto produttivo, giù quello delle rendite –

   Mentre crollava Lehman Brothers, falliva la Grecia, l’America eleggeva il primo presidente nero, l’ultimo governo di Silvio Berlusconi scivolava via, mentre la Cina cresceva del 60% e Apple diventava la società di maggior valore al mondo, in Italia si consumava un evento storico. In sordina, però. Magari tutti erano troppo presi a seguire gli altri eventi, quelli che hanno segnato le prime pagine dal 2008 in poi, per accorgersene. Eppure non era invisibile, perché è stato uno spettacolare doppiaggio a grande velocità.

   E’ andata così. Nel 2008 la ricchezza netta accumulata del 30% più povero degli italiani, poco più di 18 milioni di persone, era pari al doppio del patrimonio complessivo delle dieci famiglie più ricche del Paese. I 18,1 milioni di italiani più poveri in termini patrimoniali avevano, messi insieme, 114 miliardi di euro fra immobili, denaro liquido e risparmi investiti.

   Le dieci famiglie più ricche invece arrivavano a un totale di 58 miliardi di euro. In altri termini persone come Leonardo Del Vecchio, i Ferrero, i Berlusconi, Giorgio Armani o Francesco Gaetano Caltagirone, anche coalizzandosi, arrivavano a valere più o meno la metà di un gruppo di 18 milioni di persone che, in media, potevano contare su un patrimonio di 6.300 euro ciascuno.

Un'anziana rovista tra cassette vuote in un mercato
Un’anziana rovista tra cassette vuote in un mercato

   Cinque anni dopo, e siamo nel 2013, sorpasso e doppiaggio sono già consumati: le dieci famiglie con i maggiori patrimoni ora sono diventate più ricche di quanto lo sia nel complesso il 30% degli italiani (e residenti stranieri) più poveri. Quelle grandi famiglie a questo punto detengono nel complesso 98 miliardi di euro. Per loro un balzo in avanti patrimoniale di quasi il 70%, compiuto mentre l’economia italiana balzava all’indietro di circa il 12%.

   I 18 milioni di italiani al fondo delle classifiche della ricchezza sono scesi invece a 96 miliardi: una scivolata in termini reali (cioè tenuto conto dell’erosione del potere d’acquisto dovuta all’inflazione) di poco superiore al 20%. Quanto poi a quelli che in base ai patrimoni sono gli ultimi dodici milioni di abitanti, il 20% più povero della popolazione del Paese, lo squilibrio è ancora più marcato: nel 2013 le 10 famiglie più ricche d’Italia hanno risorse patrimoniali sei volte superiori alle loro.

   Sono questi i risultati più sorprendenti di un approfondimento che Repubblica ha svolto sui patrimoni degli italiani durante gli anni della crisi. L’analisi si basa sui dati pubblicati dalla Banca d’Italia relativi alla ricchezza netta nel Paese e la sua suddivisione fra strati sociali. Per le famiglie con i dieci maggiori patrimoni, una lista che negli anni è cambiata, le informazioni sono tratte dalla classifica annuale dei più ricchi stilata dalla rivista Forbes. Inevitabilmente né l’una né l’altra serie di dati è perfetta, molte informazioni sui patrimoni non sono pubbliche e restano soggette a stime più o meno accurate.

   Ma le tendenze emergono con prepotenza e raccontano due storie di segno diverso. La prima non è a lieto fine: dal 2008 l’Italia ha subito un colossale abbattimento di ricchezza che si è scaricato con forza verso la parte bassa della scala sociale, mentre al vertice tutto si svolgeva in modo opposto. Lassù il ritmo dell’accumulazione di patrimoni personali accelerava come forse mai negli ultimi decenni. La seconda storia invece fa intravedere un po’ di luce in fondo al tunnel, perché la lista dei super-ricchi è cambiata in modo tale da alimentare qualche speranza sulle capacità del Paese di produrre in futuro più innovazione, lavoro e reddito e meno rendite più o meno parassitarie.

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   Sicuramente il punto di partenza di questi anni non è incoraggiante. Calcolata in euro del 2013, la ricchezza netta totale degli italiani crolla di 814 miliardi negli ultimi cinque anni (quelli per i quali sono disponibili i dati, fino appunto al 2013). Sparisce nella voragine della recessione quasi un decimo di patrimonio netto delle persone che vivono in questo Paese.

   Circa due terzi di questa erosione si spiega con il calo del valore delle case, mentre il resto è dovuto a perdite finanziarie o al ricorso di certe famiglie ai risparmi per sostenere le spese quotidiane. Per la parte della ricchezza in mano ai ceti meno ricchi, Repubblica assume che la loro quota nel 2013 sul totale del patrimonio degli italiani sia rimasta invariata rispetto al 2010: è ad allora che risalgono gli ultimi dati disponibili.

In realtà questa è una stima ottimistica, perché la tendenza alla diminuzione della quota di patrimonio dei più poveri è evidente dagli anni precedenti. Nel 2000 per esempio il 40% più povero della popolazione residente in Italia, 24 milioni di persone, aveva patrimoni pari al 4,8% della ricchezza netta totale del Paese. Dieci anni dopo quella quota era già scesa al 4,2%.

   Anche così, il calo dei patrimoni della “seconda” metà d’Italia, l’Italia meno ricca, è superiore alla media del Paese. Chi è già povero si impoverisce più in fretta. Nel 2013 quei 30 milioni di italiani avevano nel complesso 829 miliardi (mentre gli altri 30 controllavano gli altri 8500). Nel 2008 però quegli stessi 30 milioni di persone avevano (in euro 2013) per l’esattezza 935 miliardi. Dunque la “seconda” metà del Paese durante la Grande Recessione è andata giù dell’11,3% in termini patrimoniali.

   La prima metà invece, i 30 milioni di italiani più ricchi, è scesa dell’8,2%. Gli uni non solo erano molto più poveri degli altri prima della crisi: si sono impoveriti di più durante. Tutt’altro Paese invece per le prime dieci famiglie. La loro ricchezza netta sale di oltre il 60% in termini reali fra il 2008 e il 2013 e la loro quota sul patrimonio totale degli italiani aumenta.

   Cambia però anche un altro dettaglio: la loro composizione. I più ricchi del 2013 non sono gli stessi del 2008 o del 2004 e per certi aspetti formano una lista più interessante. Ora nel gruppo si trovano famiglie meno dedite alle rendite di posizione, alla speculazione pura o al rapporto con la politica per fare affari. Adesso dominano i primi posti imprenditori più impegnati nella creazione di valore, lavoro e manufatti innovativi che interessano al resto del mondo.

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   Negli anni, escono dalla graduatoria di Forbes o scivolano in basso i capitalisti italiani che basano i loro affari su concessioni pubbliche o investimenti immobiliari e finanziari. Emblematica – non isolata – la vicenda dei Berlusconi, che negli ultimi cinque anni perdono 3,2 miliardi di patrimonio e scivolano dal primo posto del 2004, al terzo del 2008, al sesto del 2013. Sale in fretta invece il patrimonio di produttori industriali dediti all’export.

   Succede nell’alimentare (i Ferrero o i Perfetti), nella moda e lusso (Del Vecchio di Luxottica, Giorgio Armani, Miuccia Prada e Patrizio Bertelli, Renzo Rosso), nella farmaceutica e nell’industria ad alto contenuto tecnologico (Stefano Pessina o i Rocca di Techint). Escono dalla top ten invece investitori finanziari-immobiliari come Caltagirone o chi in passato ha puntato troppo sulle banche. Questa diversa qualità del capitale vincente è un passo avanti di un’Italia sempre più piena di squilibri.

   È un Paese che forse però si sta liberando, nel dolore, di alcuni dei peggiori vizi del suo capitalismo. Meglio, quanto a questo, della Gran Bretagna, dove Oxfam ha condotto un’inchiesta di cui questa di Repubblica è la replica per l’Italia. Lì i più ricchi, sempre più ricchi, restano gli eredi della vecchia nobiltà proprietaria di decine di ettari di palazzi a Londra come il duca di Westminster o i Cardogan, o imprenditori indiani come gli Hinduja o i Reuben. Se risolverà il problema della povertà, e uscirà dalla crisi, forse è l’Italia fra le due a potersi ritrovare con una marcia in più. (Federico Fubini)

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REDDITO MINIMO: QUI NO, LÀ SÌ, LÌ NI

di Roberta Lunghini – 15.12.2014, da www.west-info.eu/it/

    Italia e Grecia sono gli unici due Stati UE a non aver il reddito minimo. E nei restanti 26 che ce l’hanno gli aventi diritto che se ne avvalgono sono assai meno di quello che si pensa. Con tassi del cosiddetto “non-take-up” che variano dal 20-30% in Portogallo fino addirittura al 75% in Belgio.

   Ma a quanto ammonta il sussidio mensile paese per paese? Per i single si va da €22 in Bulgaria fino a €1.433 in Danimarca. Mentre per le coppie con due figli si passa dai €100 in Polonia a €3.808 sempre a Copenaghen.

   Il paese scandinavo svetta anche per quanto riguarda il rapporto tra reddito minimo e quello medio, pari a oltre il 50%. Mentre ci sono nazioni (quelle dell’Est più la Svezia) dove questa percentuale scende al di sotto del 30%. Numeri e percentuali raccolti e appena pubblicati dallo European Minimum Income Network (EMIN) di Bruxelles.

REDDITO MINIMO DI CITTADINANZA, SI RIPARTE DAL SENATO. COSÌ IN EUROPA

– La Commissione Lavoro è chiamata a incardinare le due proposte di legge già depositate in Parlamento –

di QuiFinanza, 7/1/2015

   Reddito minimo, reddito di cittadinanza, sostegno al reddito: modi diversi per intendere la stessa cosa, un reddito minimo garantito che consenta a tutti, lavoratori o meno, di non vivere al di sotto di una definita soglia di povertà. In tanti Paesi funziona ed ha ricadute positive anche a livello sociale.

   E in Italia? In Parlamento giacciono da tempo due progetti di legge targati rispettivamente M5S e Sel, che individuano in 600 euro netti per una persona (1.000 euro per una famiglia di due persone, 1.300 per tre persone e così via). Le coperture, secondo la proposta M5S, verrebbero dai tagli alle pensioni d’oro, tagli alla Difesa, tagli al finanziamento ai partiti, tassazione del gioco d’azzardo e dall’8 per mille di chi non decide a chi destinarlo. Ora la Commissione Lavoro del Senato è chiamata ad incardinare le due proposte. Vediamo nel dettaglio come funziona (e con quali importi) il reddito di cittadinanza nel resto d’Europa.

BENEFICI

I benefit sono ovvi: l’applicazione di una tale politica eliminerebbe la povertà e, sostituendo i programmi governativi attuali, ridurrebbe anche la burocrazia. La forza lavoro meno qualificata avrebbe un maggior potere contrattuale con i datori di lavoro, e non ci sarebbe più bisogno del salario minimo. Peraltro a metà degli anni ’70 un esperimento di questo tipo vide protagonista la città canadese di Dauphin, che per un breve periodo di tempo aiutò 1.000 famiglie in difficoltà, attraverso l’assegnazione di un reddito garantito. L’esito fu molto positivo: la manovra pose fine alla povertà, e ci furono anche meno pazienti ricoverati in ospedale e maggiori casi di studenti che completarono gli studi.

FRIEDMAN E LA “NEGATIVE INCOME TAX”

Piani simili sono già stati discussi in passato. Nel 1968, l’economista americano Milton Friedman, discusse l’idea di una imposta negativa sul reddito, in base a cui i redditi al di sotto di una predeterminata soglia avrebbero ricevuto un reddito supplementare invece di essere sottoposti al pagamento delle tasse.

I DUBBI

Ma non tutti approvano l’idea, più che altro per gli effetti che una tale misura avrebbe sulla produttività potenziale. La gente continuerà a lavorare se non ce ne sarà bisogno? E chi può avere la certezza che i cittadini spenderanno gli assegni statali sull’istruzione e sui beni alimentari e non su su droghe o articoli non necessari? In ogni caso in molti Paesi d’Europa esiste: vediamo nelle successive slides dove e in che misura.

BELGIO

In Belgio è previsto un reddito di cittadinanza così distribuito: – 613 euro per persone sole – 817 euro per coppie con o senza figli – 957 euro per coppie con 1 figlio di 10 anni – 1.161 per coppie con 2 figli sopra gli 8 e i 12 anni

FRANCIA

In Francia è previsto un reddito di cittadinanza così distribuito: – 425 euro per le persone sole – 638 euro per famiglie monoparentali con 1 figlio – 765 euro per coppie con 1 figlio – 893 euro per coppie con 2 figli

DANIMARCA

In Danimarca è previsto un reddito di cittadinanza così distribuito: – 1.532 euro per le persone sole – 1.912 euro per monogenitori con 1 figlio – 3.172 per le coppie con 1 figlio – 3.280 euro per le coppie con 2 figli

IRLANDA

In Irlanda è previsto un reddito di cittadinanza così distribuito: – 645 euro per le persone sole – 1.073 euro per le coppie senza figli – 1.146 euro per le coppie con 1 figlio 1.219 euro per le coppie con 2 figli

GERMANIA

In Germania è previsto un reddito di cittadinanza così distribuito: – 345 euro per le persone sole – 621 euro per le coppie senza figli – 828 euro per le coppie con 1 figlio (10 anni) – 1.035 euro per le coppie con 2 figli (8 e 12 anni)

GRAN BRETAGNA

In Gran Bretagna è previsto un reddito di cittadinanza così distribuito: – 669 euro per gli individui dell’età minima di 25 anni – 881 euro per le coppie senza figli – 1.265 euro per le coppie con 1 figlio (10 anni) – 1.572 euro per le coppie con 2 figli (8 e 12 anni)

OLANDA

Nei Paesi Bassi esistono due tipi di sussidi. Il primo è il Bijstand, un diritto individuale e si accompagna al sostegno all’affitto, ai trasporti per gli studenti, all’accesso alla cultura. Il secondo è il Wik, un reddito destinato agli artisti per “permettere loro di avere tempo di fare arte”. Entrambi si aggirano sui 500 euro.

NORVEGIA

Stønad til livsopphold, letteralmente “reddito di esistenza”, erogato a titolo individuale a chiunque senza condizione di età. Ammonta a circa 500 euro.

NIENTE SUSSIDIO

In Italia, Grecia, Ungheria non vi è alcuna legge che regoli il reddito minimo garantito. In Spagna e Portogallo è stato avviato un dibattito nazionale che sta portando all’istituzione di una forma di reddito sociale. In Italia il costo di un reddito minimo di cittadinanza è stato quantificato in 15-17 miliardi, cifra alta ma non impossibile se si considera che per lo sgravio Irpef da 80 euro sono serviti circa 10 miliardi. E c’è chi lo considera una soluzione positiva per l’economia in generale.

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THOMAS PIKETTY RISCRIVE L’ECONOMIA: I RICCHI VINCERANNO SEMPRE

di STEFANO FELTRI, 11/5/2014 da “il Fatto Quotidiano”

– Con il suo libro sul “Capitale nel XXI secolo”, l’economista francese è diventato un fenomeno planetario perché rivela i segreti della disuguaglianza. Il capitale cresce più rapidamente dell’economia reale, quindi i ricchi lo diventeranno sempre più –

   Nel 2012, il premio Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz ha pubblicato il voluminoso saggio Il prezzo della disuguaglianza – Come la società divisa di oggi minaccia il nostro futuro (Einaudi). Non se n’è accorto nessuno.

   Due anni dopo, un libro sullo stesso tema firmato da un economista praticamente sconosciuto, con il difetto di essere francese (tutta la ricerca di frontiera è anglosassone), è stato accolto come il contributo più importante degli ultimi decenni: Il capitale nel Ventunesimo secolo di Thomas Piketty continua a essere il primo nelle classifiche di Amazon, da quando è uscita la traduzione inglese (l’originale francese era passato quasi inosservato) non si parla d’altro, il Financial Times ne discute quasi tutti i giorni, nell’ultimo numero l’Economist gli dedica un articolo dal titolo solo in parte ironico Bigger than Marx, più grande di Marx.

"IL CAPITALE NEL XXI SECOLO" DI THOMAS PIKETTY, ED. "SAGGI BOMPIANI", EURO 22,00, 950 PAGINE
“IL CAPITALE NEL XXI SECOLO” DI THOMAS PIKETTY, ED. “SAGGI BOMPIANI”, EURO 22,00, 950 PAGINE

   Il barbuto studioso di Treviri, di sicuro, non si è arricchito con il suo Capitale, Piketty che si presenta come un erede più abile a maneggiare i dati e dalle convinzioni più solide, invece, è ormai una superstar del dibattito economico. È quasi con pudore che qualche giornale ha osato ricordare che di lui in passato si era parlato più per i maltrattamenti inflitti alla ex compagna, l’attuale ministro della Cultura francese Aurelie Filippetti, che per i risultati accademici.

   Piketty è interessante per due ragioni: le sue idee e la sua improvvisa popolarità che rivela come la sua analisi abbia risposto a una domanda di senso inespressa, ma percepibile in un momento in cui non ci sono più ideologie e neppure molte idee.

   Nel suo libro Piketty parte da Karl Marx e dalla sua tesi che il capitale si accumula all’infinito, ma con rendimenti decrescenti, cosa che porta a conflitti tra capitalisti sempre in cerca di nuove opportunità. Se i rendimenti del capitale però sono comunque maggiori della crescita dell’economia reale, i ricchi diventeranno sempre più ricchi e la disuguaglianza aumenterà: il rapporto tra capitale e redditi crescerà da meno di 4,5 del 2010 a 6,5 nel 2100. Il Nobel Robert Solow, su New Republic, sintetizza così il ragionamento: “Piketty suggerisce che la crescita globale dell’output rallenterà nel prossimo secolo dal 3 all’1,5 per anno. Fissa il tasso di risparmi/investimenti al 10 per cento. Quindi si aspetta che il rapporto tra capitale e reddito crescerà fin quasi a 7”.

   Per tradurre i numeri: le nostre economie occidentali non si stanno evolvendo in direzione di una maggiore uguaglianza, le spinte verso la socialdemocrazia e la redistribuzione del Novecento sono state un’eccezione e un’illusione, quello che ci aspetta è il ritorno a un capitalismo ottocentesco come quello dei romanzi di Jane Austen e Balzac in cui non importa quanto lavori, qualunque carriera non potrà mai eguagliare un buon matrimonio.

   Perché la ricchezza non si accumula, si eredita. E questo non succede (soltanto) perché l’economia occidentale è trainata da tanti avidi Gordon Gekko che, come nel film di Oliver Stone, accumulano profitti a spese della classe media. No, è la dinamica interna dell’economia: se il capitale (Piketty usa capital come sinonimo di wealth, cioè patrimonio, ricchezza) cresce sempre più in fretta dell’economia reale, visto che i ricchi hanno molta più ricchezza della classe media le cui sorti dipendono dai redditi, i ricchi diventeranno sempre più ricchi.

   Gli attuali superstipendi dei top manager americani sono l’equivalente dei latifondi ricevuti in dono dai sovrani nelle economie fondali, cioè la premessa per una futura e crescente disuguaglianza tra chi ha e chi non ha (e non potrà mai avere).

   Simon Kuznets ci aveva convinto che la disuguaglianza tende a ridursi nelle fasi di sviluppo, a prescindere dalla politica economica: è la marea che spinge in alto tutte le navi, gli yacht come le scialuppe. Al 10 per cento più ricco degli Stati Uniti nel 1913 faceva capo il 40-45 per cento del reddito prodotto in un anno, nel 1948 la quota era scesa al 30-35 per cento e da qui è nata la “curva di Kuznets”.

   Ma Piketty sostiene, forte di analisi quantitative e storiche, che non è stato il progresso a ridurre la disuguaglianza, ma la Seconda guerra mondiale. Soltanto eventi traumatici come una guerra possono bilanciare l’effetto di una tensione profonda dell’economia. Tutto il resto sono palliativi, inclusa la proposta contenuta nel libro di una patrimoniale globale sulle grandi ricchezze: 1 per cento sui patrimoni tra uno e cinque milioni di euro, 2 per cento sopra i cinque milioni.

   Ogni anno e con un coordinamento tra tutti i Paesi del mondo per evitare che i ricchi si rifugino nei paradisi fiscali. Nessuno ha preso sul serio questa ricetta di Piketty: non realizzabile e soprattutto inutile, servirebbe soltanto a rallentare la concentrazione delle grandi ricchezze, ma il meccanismo descritto dall’economista francese sembra invincibile.

   Tanto che i critici più liberisti, come Carlo Stagnaro sul Foglio, hanno concluso che nel mondo di Piketty i capitalisti non devono poi sentirsi troppo in colpa. Non dipende da loro se diventano sempre più ricchi, it’s the economy, stupid.

   Piketty è un economista atipico, che attinge a letteratura, filosofia e storia del pensiero economico, ma non dimentica equazioni e serie storiche che sono la premessa (necessaria ma non sufficiente) per sostenere una tesi e non limitarsi a esprimere un’opinione. Risale molto indietro nel tempo, usando i dati sull’imposizione fiscale invece che soltanto quelli sui redditi, così da riuscire, con qualche semplificazione, a confrontare la ricchezza in epoche molto distanti tra loro.

   Paul Krugman, premio Nobel e coscienza collettiva dei liberal del mondo e soprattutto di quelli che leggono il New York Times, si è entusiasmato: ecco una valida spiegazione teorica del perché negli ultimi decenni la disuguaglianza è aumentata tanto. Finito l’effetto livellatore della guerra, il capitale ha corso più dell’economia.

   Sul Financial Tuimes Martin Wolf ha notato che Piketty ci ha spiegato tutto tranne perché la disuguaglianza è così disdicevole. Il filosofo John Rawls sosteneva che un certo tasso di disuguaglianza fosse accettabile se ne traevano beneficio anche gli ultimi della scala sociale. C’è una consistente letteratura sul perché società troppo polarizzate funzionano male: due epidemiologi, Richarld Wilkinson e Kate Pinkett, qualche anno fa hanno dimostrato il legame tra disuguaglianza e varie cose sgradevoli (aborti, obesità, droghe, hanno escluso i suicidi perché la depressione nelle egualitarie società scandinave avrebbe indebolito le conclusioni).

   Piketty ha cambiato la scienza economica, sostiene Krugman. Di sicuro è arrivato al momento giusto: dopo sette anni di crisi, in tutto il mondo gli economisti tirano un sospiro di sollievo. Finalmente c’è una nuova narrazione che spiega cosa sta succedendo. E assolve tutti. I ricchi che si arricchiscono, i politici che non fanno abbastanza politiche re-distributive , gli imprenditori che non investono nell’economia reale, le banche che non prestano. Piketty ha aperto un dibattito. Adesso ci vuole qualcuno (di sinistra) che scopra come distruggere la Pikettynomics e il suo cuore che Robert Solow identifica nel “meccanismo del ricco che diventa più ricco”. (Stefano Feltri)

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TASSE PIÙ ALTE PER I RICCHI: IL PROGRAMMA DI OBAMA

19 gen. 2015 – (AdnKronos) – Tasse più alte per i ricchi per assicurare 320 miliardi da redistribuire alle famiglie a basso e medio reddito in difficoltà per finanziare programmi di aiuto. E’ il nuovo piano di Barack Obama che dichiara guerra alla disuguaglianza, principale freno alla risoluzione della povertà e alla crescita economica anche per Fmi, Banca Mondiale e Osce.

   E Oxfam pubblica il nuovo rapporto “Grandi disuguaglianze crescono” con un dato che desta preoccupazione: nel 2016, l’1% della popolazione mondiale possiederà più del restante 99%.

E tutto questo in un mondo dove oltre un miliardo di persone vive con meno di 1,25 dollari al giorno, e 1 su 9 non ha nemmeno abbastanza da mangiare.

   Dal rapporto emerge che l’1% della popolazione ha visto la propria quota di ricchezza mondiale crescere dal 44% del 2009 al 48% del 2014 e che a questo ritmo si supererà il 50% nel 2016. Gli esponenti di questa élite avevano una media di 2,7 milioni di dollari pro capite nel 2014.

   Del rimanente 52% della ricchezza globale, quasi tutto era posseduto da un altro quinto della popolazione mondiale più agiata, mentre il residuale 5,5% rimaneva disponibile per l’80% del resto del mondo: vale a dire 3,851 dollari a testa, 700 volte meno della media detenuta dal ricchissimo 1%.

   Oxfam aveva già affrontato il tema nel rapporto “Turn the Tide: Why the G20 must act on rising inequality”, secondo il quale metà della popolazione più povera si concentrerebbe nei Paesi G20. Eppure, rilevava il rapporto, dal dicembre 2013 la ricchezza complessiva dei Paesi del G20 è aumentata di 17.000 miliardi di dollari, ma è all’1% dei più ricchi che è andata la fetta più grande, vale a dire 6.200 miliardi di dollari, il 36% della crescita complessiva.

   Ricchi sempre più ricchi, quindi, mentre la fetta di popolazione povera si allarga: una tendenza già denunciata dall’OCSE secondo la quale, dall’inizio della crisi finanziaria, il mondo si trova a fare i conti con super-ricchi più che raddoppiati e 805 milioni che ancora soffrono la fame, con la prosperità non più appannaggio delle persone normali, ma solo di una ristretta cerchia di eletti che vede crescere sempre più rapidamente il proprio patrimonio.

   Un trend in costante incremento: tra il 2013 e il 2014, le 85 persone più ricche al mondo hanno collettivamente aumentato la loro ricchezza di 668 milioni di dollari al giorno. Ovvero, quasi mezzo milione di dollari ogni minuto. Nella sola Italia, secondo l’Ocse, da metà degli anni ‘80 fino al 2008, la disuguaglianza economica è cresciuta del 33% (dato più alto fra i Paesi Ocse, la cui media è del 12%).

   E’ di nuovo l’Oxfam, nel rapporto “Partire a pari merito: eliminare la disuguaglianza estrema per eliminare la povertà estrema”, a denunciare un fenomeno talmente esteso che si può riscontrare perfino in Africa, dove nella regione sub-sahariana al fianco di 358 milioni di persone in povertà estrema, prosperano ben 16 miliardari.

   Al punto che oggi l’1% delle persone più ricche detiene più di quanto posseduto dal 60% della popolazione (36,6 milioni di persone); mentre dal 2008 a oggi, gli italiani che versano in povertà assoluta sono quasi raddoppiati fino ad arrivare a oltre 6 milioni, rappresentando quasi il 10% dell’intera popolazione.

   Sette persone su 10 vivono in Paesi in cui il divario tra ricchi e poveri è maggiore di quanto non fosse 30 anni fa. In Kenya, nei prossimi cinque anni altri 3 milioni di persone potrebbero essere spinti al di sotto della soglia di povertà se il governo non prenderà misure volte a diminuire, anche leggermente, la disuguaglianza di reddito.

   In India, Paese che ha ridotto i propri livelli di povertà assoluti negli ultimi 20 anni, l’analisi di Oxfam evidenzia che se il governo indiano riuscisse ad arrestare il recente aumento della disuguaglianza nei prossimi cinque anni, salverebbe dalla povertà altri 90 milioni di persone.

   Oxfam chiede ai governi di adottare un piano di sette punti per affrontare la disuguaglianza: 1- contrasto all’elusione fiscale di multinazionali e individui miliardari; 2- investimento in servizi pubblici gratuiti, come salute e istruzione; 3- distribuzione equa del peso fiscale, spostando la tassazione da lavoro e consumi verso capitali e ricchezza; 4- introduzione di salari minimi e graduale adozione di salari dignitosi per tutti i lavoratori.

   E ancora, 5- introduzione di una legislazione ispirata alla parità di retribuzione, e politiche economiche che prevedano una giusta quota per le donne; 6- reti di protezione sociale per i più poveri, incluso un reddito minimo garantito; 7- un obiettivo globale di lotta alla disuguaglianza.

   Secondo il rapporto Oxfam le grandi ricchezze sono passate alle generazioni successive: più di un terzo dei 1.645 miliardari della classifica Forbes ha ereditato parte o tutta la ricchezza che detiene.

Il 20% dei miliardari ha interessi nei settori finanziario e assicurativo, un gruppo che ha visto la propria liquidità crescere dell’11% nei 12 mesi precedenti a marzo 2014.

   Questi settori hanno speso 550 milioni di dollari per fare lobby sui decisori politici a Washington e Bruxelles nel 2013. Nel 2012 negli Stati Uniti solo durante il ciclo elettorale, il settore finanziario ha speso 571 milioni di dollari in contributi per le campagne.

   I miliardari che hanno interessi nei settori farmaceutico e sanitario hanno visto il loro patrimonio netto collettivo crescere del 47% in un solo anno. Questi settori, durante il 2013, hanno speso oltre 500 milioni di dollari in lobby a Washington e Bruxelles. La preoccupazione di Oxfam è che il potere di lobby di questi settori possa essere un ostacolo alla riforma del sistema fiscale globale e all’adozione di regole sulla proprietà intellettuale che non precludano l’accesso dei più poveri a medicine salva-vita.

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SE L’1 PER CENTO È PIÙ RICCO DEL RESTO DEL MONDO

di Maurizio Ferrera, da “il Corriere della Sera” del 20/1/2015

– I leader di Davos accorcino il grande divario –

Negli anni Settanta, la «linea della diseguaglianza» si situava intorno al 60%. I due quinti più ricchi detenevano una quota di ricchezze superiore, appunto, al 40%. Ai restanti tre quinti andava invece proporzionalmente di meno. Si trattava, come si diceva allora, dei «meno favoriti».

Nei decenni successivi il divario fra ricchi e poveri è costantemente cresciuto. Nel 2009, il movimento Occupy Wall Street coniò un nuovo slogan: «noi siamo il 99%», ossia la stragrande maggioranza di cittadini americani costretti a pagare i costi della crisi finanziaria, distanti anni luce dall’1% di super ricchi. Il recente rapporto di Oxfam allarga il quadro a livello globale e formula una stima ancora più fosca. Nel 2016, l’1% più abbiente della popolazione controllerà più del 50% delle ricchezze planetarie. La diseguaglianza non è un male in sé, ma quando raggiunge le attuali vette stratosferiche diventa un problema. Come correttamente osserva Oxfam, il sistema economico non può funzionare in modo efficiente in condizioni di così marcata disparità fra individui e fra Paesi. Le società si disgregano, la politica prima o poi si infiamma.

La ragione di base per cui non possiamo accettare simili livelli di diseguaglianza è però di natura etica. Di fronte alla strage quotidiana di bambini che muoiono di fame solo perché sono nati nella parte sbagliata del mondo non possono esserci né giustificazioni né alibi. Siamo tutti responsabili. E poi: chi ci assicura che l’enorme quantità di ricchezze possedute da quell’1% siano tutte «meritate»? In molti Paesi in via di sviluppo la politica è una macchina al servizio dei potenti e continua ad alimentare ristrette élite plutocratiche. Spesso anche nei regimi democratici la distribuzione di redditi e ricchezze rispecchia privilegi di casta, regole non meritocratiche, manipolazioni partigiane. Viola cioè i principi basilari di qualsiasi teoria della giustizia, anche la più libertaria.

Che cosa si può fare? In teoria molto, in pratica poco. Le istituzioni globali, le uniche che avrebbero la capacità di intervenire sul campo, restano deboli e frammentate. Vi sono tuttavia margini di manovra non sufficientemente sfruttati. Oxfam propone ad esempio di affrontare nel 2015 il tema dell’armonizzazione fiscale a livello internazionale, in modo da contrastare quelle pratiche semi legali che consentono ai super ricchi di «non fare la propria parte» e addirittura di evadere le imposte dovute. Ma forse si può essere più ambiziosi e prendere impegni concreti per sostenere la campagna «fame zero» delle Nazioni Unite, volta ad eliminare la piaga della denutrizione dei bambini e di moltissime madri, soprattutto nei tanti focolai dell’Africa sub-sahariana.

Commentando le proteste di Occupy Wall Street, l’economista Joseph Stiglitz disse nel 2009 che la democrazia non può rassegnarsi ad essere «il governo dell’1%, da parte dell’1%, a favore dell’1%». L’affermazione era forse un po’ esagerata, ma il rischio è oggi reale.    Le diseguaglianze e la povertà estreme dipendono anche dal fatto che non esiste un governo mondiale e dunque è difficilissimo adottare misure minime di redistribuzione delle risorse. Laddove i governi democratici esistono, dobbiamo però contrastare in ogni modo lo spettro di una «politica dell’1%».

Dovrebbero ricordarsene i leader mondiali riuniti sotto i cieli di Davos, località di villeggiatura situata in uno dei forzieri del mondo, la Svizzera. Pare che dal Summit possano emergere impegni innovativi e ambiziosi proprio in tema di povertà e diseguaglianza.    Speriamo che siano seri, concreti e verificabili, anno dopo anno. (Maurizio Ferrera)

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LA DISEGUAGLIANZA SPOPOLA A DAVOS. MA ECCO ALTRI ERRORI DI PIKETTY E OXFAM

di Luciano Capone, da IL FOGLIO del 22/1/2015

– La diseguaglianza spopola a Davos. Ma ecco altri errori di Piketty e Oxfam –

   Il tema della diseguaglianza è al centro del dibattito globale, se ne discute anche al World economic forum di Davos. L’annuale appuntamento nella cittadina svizzera che riunisce i leader della politica e dell’economia per discutere dei problemi globali è stato anticipato da un allarmante rapporto della organizzazione non governativa (ong) britannica Oxfam: dal 2016, l’1 per cento della popolazione mondiale sarà più ricco del restante 99 per cento.

   E il tema della diseguaglianza è anche nell’agenda di Barack Obama, che nel discorso sullo stato dell’Unione ha sposato la linea Piketty, quella dell’economista francese di tassare i super ricchi per redistribuire le risorse in maniera più equa.

   Non c’è alcun dubbio che il libro dell’anno, almeno per lo scaffale di economia, sia stato proprio il “Capitale nel Ventunesimo secolo” di Thomas Piketty che affronta il tema della diseguaglianza. Il successo lo ha fatto diventare una “rock star”, come l’ha definito il Financial Times. Due Nobel di sinistra come Joseph Stiglitz e Paul Krugman hanno definito l’opera di Piketty “il più importante libro di economia del decennio”, ma anche economisti che contestano le tesi di Piketty come Greg Mankiw hanno apprezzato il libro per la mole di dati analizzati.

   E’ sulla base dei freddi numeri che l’economista francese ha scoperto una “ferrea legge del capitalismo” che porta inevitabilmente all’aumento della diseguaglianza: il capitale cresce più dell’economia e di questo passo il mondo si troverà nelle stesse condizioni di diseguaglianza dei 1800, quando per avere successo contavano solo i patrimoni e i matrimoni. Per risolvere questo problema per Piketty c’è solo una via: tartassare i ricchi e redistribuire.

   Ma c’è chi si è armato di santa pazienza e ha trovato nel libro dell’anno tanti errori fattuali, storici, metodologie opache, scelte arbitrarie nella compilazione dei grafici e dati manipolati. Lo studio è di due economisti americani, Phillip Magness della George Mason University e Robert Murphy dell’Institute for Energy Research, ed è stato pubblicato sul Journal of Private Enterprise.

   Tutti gli errori di Piketty hanno una sola cosa in comune, vanno sempre a supporto della propria tesi: depurati da queste inesattezze, i dati non mostrano le evidenze e le tendenze che per l’economista francese sono legge. Per far capire quanto il lavoro di Piketty sia tarato ideologicamente Magness e Murphy partono da alcune bugie.

   Per dimostrare che la destra repubblicana e pro mercato crei diseguaglianze, Piketty scrive che gli Stati Uniti uscirono dalla Grande depressione solo grazie al democratico Franklin Delano Roosevelt che alzò le tasse sui ricchi, “che erano state abbassate al 25 per cento sotto la disastrosa presidenza di Hoover”. Il fatto non è vero, perché fu Hoover ad alzare l’aliquota dal 25 al 63 per cento nel 1932.

   Stesso errore per quanto riguarda il salario minimo: Piketty scrive che i repubblicani Bush padre e figlio hanno bloccato il salario minimo federale impoverendo le classi lavoratrici, mentre i democratici Clinton e Obama lo hanno alzato riducendo le diseguaglianze. In realtà è facilmente verificabile che i due Bush hanno alzato il salario minimo più di Clinton e Obama.

   Queste inesattezze mostrano secondo Magness e Murphy l’intenzione di Piketty di piegare i fatti alla propria visione del mondo. Ma le accuse più gravi non sono queste, bensì alcune operazioni “strane” nell’uso dei dati. I due economisti notano che in alcune celle Excel vengono aggiunti e sottratti numeri a caso e che viene usata una “bizzarra tecnica creativa per calcolare la media”.

   La manipolazione più clamorosa riguarda un grafico sulla diseguaglianza della ricchezza negli Stati Uniti dal 1910 al 2010. Secondo la spiegazione di Piketty questa curva a “U” dimostra che la diseguaglianza, calata con le due guerre mondiali e il forte intervento dello stato, è poi esplosa di nuovo a partire dagli anni 80, quelli del neoliberismo di Ronald Reagan. Magness e Murphy sono andati a spulciare i dati e hanno notato che l’economista francese mette sullo stesso grafico fonti molto diverse: dal 1910 al 1950 usa i dati di uno studio, per i decenni successivi quelli di un altro, poi di nuovo quello di prima, poi un altro e un altro ancora. Il risultato è un “grafico Frankenstein assemblato con pezzi di letteratura secondaria che sembrano aggiunti o rimossi in base alla tendenza che desidera mostrare”.

   In pratica Piketty fa cherry-picking, si sceglie i dati che gli fanno comodo. Per far capire quanto questa tecnica possa essere distorsiva, Magness ha pubblicato un grafico Piketty-style utilizzando le stesse fonti ma scegliendo i pezzi di dati che dimostrano la tesi opposta: il risultato è un altro “grafico Frankenstein” in cui la diseguaglianza cala dagli anni di Reagan in poi.

   La demolizione dello studio riguarda anche un altro importante grafico, quello del rapporto del capitale sul reddito, in cui Piketty inserisce dati del tutto arbitrari che hanno sempre lo scopo di segnalare l’aumento della diseguaglianza. E a ben guardare è ciò che fa da anni Oxfam (in maniera più rozza di Piketty) con il suo inquietante rapporto sulla diseguaglianza presentato per il forum di Davos e che è sui giornali di tutto il mondo.

   Come ha spiegato Felix Salmon di Reuters, Oxfam non fa altro che riutilizzare i dati di Credit Suisse che però riguardano la ricchezza netta, ovvero gli attivi meno i debiti. Ciò vuol dire che tra i più poveri del mondo ci sono tutti quelli che hanno fatto debiti per investimenti. E infatti secondo i dati della ong non c’è nessun cinese nell’ultimo 10 per cento della distribuzione della ricchezza globale, perché centinaia di milioni di cinesi pur essendo poveri non hanno debiti.

   Mentre quello stesso decile che raccoglie i pitt poveri tra i poveri è composto per oltre il 20 per cento da europei e statunitensi (gli africani sono il 30 per cento). Tanto per capirci, secondo lo studio Oxfam-style i più poveri del mondo non sarebbero bambini che muoiono di fame in Africa o che cuciono palloni in Pakistan, ma squali della finanza come Bernie Madoff o Jérôme Kerviel che hanno fatto miliardi di debiti. Quest’anno la direttrice esecutiva di Oxfam, Winnie Byanyima, è co-chair del World economic forum e con la forza di questi numeri da Davos farà la sua lezione sulla lotta alla diseguaglianza e all’1 per cento dei ricchi. (Luciano Capone)

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DAVOS, PER IL VERTICE IL LATO “GLAM” DEL POTERE ECONOMICO

– In Svizzera fino a domenica si ritrova il gotha della finanza. Charlize Theron madrina della prima serata –

di Tonia Mastrobuoni, inviata a Davos da La Stampa, 22/1/2015

   Dev’essere l’austerità: il treno che porta a Davos, ridente cittadina cullata dalle Alpi svizzere e da anni fulcro delle più sfrenate fantasie complottarde, è senza elettricità. Ogni tunnel fa piombare lo scompartimento al buio.

   Per il resto, spettacoli mozzafiato. La corona delle Alpi che scorre dietro al finestrino fa sentire nulli e microscopici, già caldi per il ritrovo dei Grandi della Terra. Quest’anno, come tutti gli anni, il World economic forum che si apre oggi a Davos regalerà a numerosi giornalisti venuti da tutto il mondo per strappare una frase alla Merkel, un sospiro a Bill Gates o un sorriso a Medvedev, la solita angoscia del “dove vado” e “con chi parlo”. Innumerevoli appuntamenti sovrapposti, dai titoli altisonanti e, come ha scritto Emmanuel Carrère in uno strepitoso reportage, “che sono l’equivalente dei film in concorso a Cannes, di cui apprezziamo il valore artistico anche senza averli visti”. Ma intanto, per predisporre al meglio il pubblico, l’inaugurazione di ieri sera ha previsto la presenza di Charlize Theron, messaggera della pace dell’Onu, promotrice di iniziative umanitarie in Africa, nota altresì come attrice hollwoodiana di successo.

   Soprattutto, molte riunioni del Wef, che durerà fino a domenica, sono a porte chiuse e precluse ai comuni mortali – il famigerato badge bianco, l’accredito “buono” costa 75mila euro. Per il 99% dell’umanità che resta fuori e può assistere a pochi, selezionati eventi, l’ennesima dimostrazione della crudeltà dell’1 per cento. Una dinamica che negli anni ha ovviamente alimentato le teorie sul dominio mondiale di una cricca di plutocrati, massoni bilderberghiani, nelle versioni più estremiste di extraterrestri rettiliani venuti a distruggere l’umanità. Ma in attesa del botto finale, i vari amministratori delegati, primi ministri, principi, banchieri si ritrovano qui parlottare dei grandi temi del momento, presidiati dai ragazzi “Occupy Davos” che a queste altitudini, l’anno scorso, si erano arrangiati con gli igloo. Per gli altri, i partecipanti, i prezzi degli appartamenti io degli alberghi hanno raggiunto quest’anno vette inarrivabili, da Park Avenue.

   Intanto, per chi ha un badge e riesce a intrufolarsi tra i big, la Bbc ha scritto un utile vademecum. A 1500 metri di altezza e con temperature che di sera possono sprofondare a meno venti, non è necessario fare come le signore berlinesi che si tolgono gli stivali nel foyer dell’opera e sfoderano le scarpe col tacco per la soirée. Vada per i moon boots, anche se stiamo per fare un disinvolto ciaociao a Mario Draghi o se vogliamo scambiare due parole al volo con la Lagarde. La Bbc consiglia anche di venire con tonnellate di biglietti da visita e di distribuirli a caso a sorridenti sconosciuti. Tanto, “a chiunque lo diate, sarà qualcuno di importante”. E pazienza se finirà nel primo cestino dei rifiuti: il sorriso era gratis, no? (Tonia Mastrobuoni)

Una risposta a "“GRANDI DISUGUAGLIANZE CRESCONO”- il RAPPORTO di OXFAM al meeting di DAVOS 2015: alla fine del 2016 l’1% della popolazione mondiale sarà più ricca del rimanente 99% – Proposte concrete per ridurre la POVERTA’ – e il CAPITALE cresce più di ogni ECONOMIA REALE: i ricchi sempre più ricchi – L’Italia (e l’Europa) con la necessità di politiche di prevenzione e sollievo dalla crescente povertà"

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