SICCITA’: la causa principale è il Cambiamento Climatico, ma ci si accorge dello Spreco individuale di acqua; della sua scarsa Conservazione; di Agricoltura e Industria con eccessivo utilizzo di questo bene prezioso; nonché di governi che allargano i laghi artificiali (per l’energia, il turismo…) (necessita un Ministero dell’Acqua?)

(Emergenza siccità: il Garda è ai minimi storici, scorte idriche a rischio: L’ISOLA DEI CONIGLI è diventata una PENISOLA, raggiungibile a piedi – foto da https://www.bresciatoday.it/) – CHE COSA STA SUCCEDENDO IN ITALIA? – Le Alpi con poca nevela pianura Padana a secco, i fiumi e i laghi del centro Italia anche loro in difficoltà. E poi, di contro, un sud Italia che di acqua ne ha in abbondanza. Gli eventi meteorologici di questo inverno hanno creato una situazione particolare per l’Italia, quasi spaccata in due: siccità nelle regioni settentrionali, con previsioni che sfiorano il drammatico per l’agricoltura, e un Mezzogiorno che invece dovrebbe arrivare all’estate senza soffrire particolarmente il problema. (…)” (Simone Santi, da https://www.lifegate.it/, 28/2/2023)

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(MAPPA SICCITA DEL CNR: in rosso le zone più colpite, al 6 marzo 2023 – immagine da https://www.ilmeteo.it/) –
FINE MARZO 2023: METEO: GRANDI PIOGGE E STOP SICCITÀ??
6/03/2023, di MATTIA GUSSONI (Meteorologo), da https://www.ilmeteo.it/
Il problema della siccità è sempre più preoccupante in Italia. Solo il ritorno delle grandi piogge (tipiche della Primavera, quanto meno un tempo) potrebbe salvarci, cambiando una situazione che rischia di degenerare. Tuttavia, gli ultimi aggiornamenti meteo non sono affatto benevoli da questo punto di vista, almeno non nell’immediato.  L’estrema stabilità e l’aumento delle temperature stanno acuendo un grave pericolo per l’Italia: il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) ha confermato infatti il rischio siccità su molte regioni. Il 2023 si è aperto sulla scia di oltre un anno di siccità e temperature record non solo in Italia, ma su diversi Paesi europei. A livello italiano è ancora il Nord ad essere sotto la morsa di una siccità che risale al 2021 e che le precipitazioni dell’ultimo periodo non sono ancora riuscite a colmare in quanto concentrate principalmente al Centro-Sud.   Come possiamo vedere dalla cartina qui sopra quasi metà del territorio del Piemonte risulta ancora affetto da deficit di pioggia severo-estremo di lunghissimo periodo, ma anche le atre regioni settentrionali si attestano intorno al 30% (quasi al 45% la Valle d’Aosta e al 20% il Triveneto). Non se la passano meglio in Sicilia e sui settori ionici della Calabria dove la mancanza di piogge inizia a farsi sentire.  Purtroppo, nelle prossime settimane non sono previste perturbazioni in grado di apportare precipitazioni di rilievo e continuative a scala nazionale, almeno per tutta la prossima settimana. Ci saranno solo alcuni brevi passaggi perturbati su alcune regioni il cui effetto sarà piuttosto blando sul fronte siccità.
Uno sblocco a livello meteo potrebbe avvenire solo verso la fine di Marzo quando la ripresa del flusso instabile in discesa dal Nord Europa potrebbe innescare fasi di maltempo. Vedremo se questa tendenza verrà confermata: il rischio è che possa all’improvviso cadere tutta la pioggia che non è scesa negli ultimi mesi, magari nel giro di poche ore/giorni, innescando pericolose alluvioni lampo, come la storia recente ci insegna (Marche 2022).
(6/03/2023, di MATTIA GUSSONI, Meteorologo, da https://www.ilmeteo.it/)
SICCITÀ, L’ALLARME DELL’ANBI (Associazione Nazionale Bonifiche Irrigazione: l’associazione dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio e acque irrigui): “NON DIAMO PER SCONTATA L’ACQUA DAI RUBINETTI” – Cambiamento climatico: lo studio di Faranda, Bulut e Pascale, edito nel febbraio 2023 – “(…) Per accertare eventuali rapporti di causa ed effetto servono studi appositi. Nel caso della siccità che da più di un anno sta colpendo il Nord Italia oltre che la Francia, la Svizzera e altre regioni europee, causando molti problemi sia al settore agricolo che a quello della produzione di energia, ne è stato pubblicato uno da poco: dice che il cambiamento climatico l’ha aggravata.   Semplificando i risultati dello studio, è emerso che siccità analoghe a quella di questi mesi erano meno estese geograficamente e meno lunghe: il riscaldamento globale sembra aver ampliato le zone di alta pressione e causato una maggiore evaporazione dell’acqua dal suolo e dalle piante.   Lo studio è stato pubblicato il 28 febbraio dalla rivista Environmental Research Letters ed è stato realizzato da due ricercatori del Centre national de la recherche scientifique (CNRS), l’analogo francese del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) italiano, Davide Faranda e Burak Bulut, e uno dell’Università di Bologna, Salvatore Pascale. (…)” (Ludovica Lugli, da IL POST.IT del 4/3/2023 https://www.ilpost.it/)

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LA SICCITÀ NEL NORD ITALIA SEMBRA LEGATA AL CAMBIAMENTO CLIMATICO

di Ludovica Lugli, da IL POST.IT del 4/3/2023 https://www.ilpost.it/

– Non è banale accertare un rapporto di causa ed effetto tra il riscaldamento globale e un fenomeno del genere, ma uno studio l’ha trovato –

   È ormai risaputo che il cambiamento climatico causa un aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi meteorologici estremi, come alluvioni e siccità, ma per la comunità scientifica non è immediato ricondurre un singolo fenomeno di questo tipo all’aumento della concentrazione atmosferica di gas serra.  Per accertare eventuali rapporti di causa ed effetto servono studi appositi. Nel caso della siccità che da più di un anno sta colpendo il Nord Italia oltre che la Francia, la Svizzera e altre regioni europee, causando molti problemi sia al settore agricolo che a quello della produzione di energia, ne è stato pubblicato uno da poco: dice che il cambiamento climatico l’ha aggravata.

   Semplificando i risultati dello studio, è emerso che siccità analoghe a quella di questi mesi erano meno estese geograficamente e meno lunghe: il riscaldamento globale sembra aver ampliato le zone di alta pressione e causato una maggiore evaporazione dell’acqua dal suolo e dalle piante.

   Lo studio è stato pubblicato il 28 febbraio (2023) dalla rivista Environmental Research Letters ed è stato realizzato da due ricercatori del Centre national de la recherche scientifique (CNRS), l’analogo francese del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) italiano, Davide Faranda e Burak Bulut, e uno dell’Università di Bologna, Salvatore Pascale, che fa parte del gruppo di ricerca di fisica atmosferica del dipartimento di fisica e astronomia “Augusto Righi”. Lo studio rientra nella cosiddetta attribution science, letteralmente “scienza dell’attribuzione”: è la branca della climatologia sviluppatasi a partire dal 2004 che indaga i rapporti tra il cambiamento climatico ed eventi meteorologici specifici, sviluppando metodi per trovare eventuali collegamenti.

   «Abbiamo deciso di analizzare questa siccità per due ragioni», spiega Faranda: «Prima di tutto per la sua grande estensione geografica, dato che in passato eravamo abituati a siccità che interessavano solo l’Italia, o parte d’Italia, oppure la Francia e l’Inghilterra, oppure la penisola iberica. Poi perché per l’IPCC [il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’ONU] c’è una mancanza di studi sulle cause delle siccità nell’Europa occidentale». (Ludovica Lugli, da IL POST.IT del 4/3/2023 https://www.ilpost.it/)

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(la situazione dell’ACQUA nel pianeta, mappa ripresa da https://wenfo.org/globalwater/) – “(…) Oltre ad essere disastri naturali a sé stanti, le ondate di caldo e le temperature insolitamente elevate influenzano anche il ciclo dell’acqua. Nel 2022, intense ondate di caldo in Europa e in Cina hanno portato alle cosiddette “siccità improvvise”. Queste si verificano quando l’aria calda e secca provoca la rapida evaporazione dell’acqua dal suolo e dai sistemi idrici interni.   Nella scorsa estate molti fiumi in Europa si sono prosciugati, esponendo manufatti nascosti per secoli.   L’aria non solo sta diventando più calda, ma anche più secca, quasi ovunque. Ciò significa che le persone, le colture e gli ecosistemi hanno bisogno di più acqua per rimanere in salute, aumentando ulteriormente la pressione sulle risorse idriche. L’aria secca significa anche che le foreste si seccano più velocemente, aumentando la gravità degli incendi boschivi. Nel 2022, gli Stati Uniti occidentali hanno subito gravi incendi a gennaio, nel mezzo dell’inverno dell’emisfero settentrionale. (…)” (Renato Sansone, da https://www.geomagazine.it/, 16/1/2023)

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Ludovica Lugli, da IL POST.IT del 4/3/2023 https://www.ilpost.it/

   La siccità in corso è una siccità idrologica, a cui cioè è associata una riduzione delle acque presenti nei corsi d’acqua, nei laghi e nelle falde sotterranee, e al tempo stesso una siccità agricola, che ha cioè ripercussioni sulle coltivazioni. Non è dovuta solo a una carenza di precipitazioni molto estesa nel tempo, ma anche a temperature più alte della norma che, in associazione al prolungato bel tempo, hanno portato a un aumento della quantità d’acqua che evapora dal terreno e traspira dalle piante (evapotraspirazione). Dunque per analizzarla non basta tener conto unicamente di un’analisi delle precipitazioni, ma anche della temperatura e della risposta del suolo alla mancanza di pioggia.

   «Ci sono eventi meteorologici che sono più facilmente attribuibili al cambiamento climatico», dice Pascale: «Ad esempio le ondate di calore: a causa del riscaldamento globale, è intuitivo e logico aspettarsi che aumentino le probabilità che si verifichino questi fenomeni. La componente delle precipitazioni è più complessa da studiare e nelle siccità, che dipendono da diverse variabili, il nesso non è diretto, bisogna dipanare la matassa con attenzione».

   Faranda, Pascale e Bulut hanno tenuto conto dei tre fattori coinvolti usando un indice che li contempla tutti e diventa negativo in condizioni di siccità. Poi hanno studiato la circolazione atmosferica, cioè l’alternarsi delle condizioni di alta pressione (associata al bel tempo) e bassa pressione (brutto tempo), dal dicembre del 2021 all’agosto del 2022 nelle aree in cui l’indice della siccità era negativo, e hanno trovato un’associazione tra le zone di alta pressione e le zone più colpite dalla siccità.

   Successivamente hanno utilizzato una serie di dati meteorologici che partono dal 1836 per cercare distribuzioni di alta pressione analoghe a quelle del periodo 2021-2022 preso in considerazione. Nel farlo hanno distinto i casi precedenti al 1915, cioè relativi a un periodo storico in cui non si vedevano ancora effetti sul clima dell’aumento della concentrazione di gas serra nell’atmosfera, e quelli successivi al 1942.  «Abbiamo visto che le siccità simili c’erano anche prima, ma interessavano solo parte della Francia e dell’Inghilterra ed erano meno intense, sia in termini di carenza di precipitazioni che di evapotraspirazione», racconta Faranda. (Ludovica Lugli, da IL POST.IT del 4/3/2023 https://www.ilpost.it/)

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(La Nina altera il clima terrestre e determina eccessi meteo, immagine da https://www.meteo2.it/) – (La NIÑA è una esaltazione delle normali condizioni del Pacifico. Laddove le acque sono più calde diventano ancora più calde, mentre dove sono più fredde, nel Pacifico centrale e orientale, si raffreddano ulteriormente. Immagine da Wikipedia) – Il 2022 è stato caratterizzato dal terzo anno di “La Niña”, l’evento che consente il raffreddamento delle acque nel Pacifico tropicale centrale e orientale e il riscaldamento nel Pacifico occidentale. Un evento insolito, ma non senza precedenti. Un fenomeno che rafforza gli alisei orientali, portando la pioggia nel sud-est asiatico e in Australia. (…) Le inondazioni più devastanti si sono verificate in Pakistan, dove circa 8 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case a causa di massicce inondazioni lungo il fiume Indo.   L’Australia ha anche subito gravi eventi alluvionali (…).   Com’è tipico per La Niña, la pioggia è stata molto meno abbondante dall’altra parte dell’Oceano Pacifico. Una siccità pluriennale negli Stati Uniti occidentali e nel centro del Sud America ha visto i laghi scendere ai minimi storici. Un altro anno di siccità ha inoltre decimato i raccolti e portato a un rapido peggioramento della situazione umanitaria nel Corno d’Africa. (Renato Sansone, da https://www.geomagazine.it/, 16/1/2023)

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Ludovica Lugli, da IL POST.IT del 4/3/2023 https://www.ilpost.it/

   Tuttavia non basta verificare che un fenomeno sia stato diverso rispetto ad altri analoghi passati per dire che sia legato al cambiamento climatico.

   «Ciò che serve per poter attribuire la causa al cambiamento climatico è un meccanismo fisico che leghi i due fenomeni», continua Faranda: «In questo caso è quello che per semplificare abbiamo chiamato “effetto mongolfiera”: con le emissioni di gas serra facciamo aumentare la temperatura dell’atmosfera e, dato che nei gas la temperatura è legata alla pressione in maniera proporzionale, se aumentiamo la temperatura aumentiamo anche la pressione, proprio come succede nel pallone di una mongolfiera».

   In questa similitudine alla mongolfiera corrisponde la zona di alta pressione nell’atmosfera, l’anticiclone: «Arriva nella tropopausa [lo strato di atmosfera che separa la troposfera, in cui avvengono i fenomeni meteorologici, dalla stratosfera, più in alto], e si espande. Per questo questa siccità ha inglobato più aree geografiche e in particolare l’Italia del nord rispetto al passato».

   Pascale precisa che queste considerazioni non valgono per tutti gli episodi di siccità che ci sono stati in Italia in anni recenti, come quello del 2017, ma solo per le caratteristiche di questa specifica siccità: per le altre bisognerebbe fare studi appositi. In quella che stiamo attraversando in particolare «è molto forte l’evapotraspirazione, cioè il grado con cui il terreno si secca: avviene molto più in fretta rispetto all’Ottocento per l’aumento delle temperature».

   Secondo il climatologo Maurizio Maugeri, professore dell’Università Statale di Milano e presidente del corso di laurea magistrale in “Environmental Change and Global Sustainability”, che non ha partecipato allo studio, è una ricerca «originale, sicuramente solida» che è stata pubblicata peraltro su «un’ottima rivista» per il settore: «I risultati più importanti di questo lavoro mettono in evidenza non tanto che queste condizioni si presentano in modo più frequente negli anni più recenti rispetto all’andamento storico ma che, quando si presentano, sanno essere “più estreme”, “più cattive”».

   Maugeri sottolinea l’importanza del dato sull’evapotraspirazione: «Anche qualora le precipitazioni non fossero cambiate in nessun modo da 200 anni fa a oggi, il fatto che faccia più caldo causa una maggiore evaporazione, quindi l’acqua che abbiamo a disposizione nelle nostre riserve è minore». L’aumento dell’evapotraspirazione è stato oggetto anche di altri studi, tra cui uno a cui ha lavorato lo stesso Maugeri e dedicato al bacino del fiume Adda, che scorre in Lombardia, dalle Alpi Retiche al Po: «Per i 170 anni di cui abbiamo dati, le piogge si sono ridotte grosso modo del 5 per cento, quindi pochissimo, mentre le portate dell’Adda si sono ridotte del 20 per cento». (Ludovica Lugli, da IL POST.IT del 4/3/2023 https://www.ilpost.it/)

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(Siccità anomala invernale in Europa, mappa al 16/2/2023 tratta da https://meteobook.it/) – “(…) Il cambiamento climatico non è l’unico responsabile del grave squilibrio del ciclo dell’acqua. C’è stato un COSTANTE AUMENTO DEL VOLUME DEI LAGHI IN TUTTO IL MONDO. Ciò è dovuto principalmente alla costruzione e all’ampliamento di dighe da parte dei governi, al fine di garantire l’accesso all’acqua, modificando i flussi dei fiumi a valle. (…)” (Renato Sansone, da https://www.geomagazine.it/, 16/1/2023)

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Ludovica Lugli, da IL POST.IT del 4/3/2023 https://www.ilpost.it/

   Anche per Federico Grazzini, meteorologo dell’Agenzia regionale per la prevenzione, l’ambiente e l’energia dell’Emilia-Romagna (Arpae) e ricercatore all’Università di Monaco di Baviera, lo studio di Faranda, Pascale e Bulut «è importante» e l’approccio su cui è basato è «promettente, può essere usato anche per altri eventi»: «L’Italia è sul fronte del cambiamento climatico più di altri paesi e quindi dovrebbe essere “in prima linea” nel produrre questo tipo di elaborazioni. Però non siamo produttivi come altri paesi».

   Ramona Magno, ricercatrice dell’Istituto per la BioEconomia del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) e coordinatrice scientifica dell’Osservatorio Siccità, ricorda che in generale, da varie ricerche, sappiamo che nella zona del Mediterraneo il cambiamento climatico sta esacerbando gli eventi estremi: è già stato osservato un aumento sia nella frequenza che nell’intensità delle ondate di calore e delle siccità, e secondo le proiezioni aumenteranno ancora. Le cose sono meno chiare invece per quanto riguarda l’influenza del riscaldamento globale sulle circolazioni atmosferiche che riguardano l’Europa, ma come mostra anche lo studio sulla siccità del 2022 si vede che ci sono dei cambiamenti in atto.

   Per quanto riguarda la situazione attuale e quella dei prossimi mesi, «le recenti perturbazioni e i recenti abbassamenti di temperatura sono importanti perché “fanno tirare il fiato”, limitano un po’ le condizioni di deficit di precipitazione», spiega Magno, soprattutto nel Piemonte occidentale, la zona che più ha sofferto finora per la siccità. Tuttavia «le precipitazioni hanno interessato soprattutto il centro Italia» e «se non saranno continue e distribuite anche su periodi successivi, non saranno sicuramente sufficienti a colmare del tutto il deficit che si è formato al nord Italia, soprattutto nel nord-ovest».

   Le previsioni stagionali fatte da vari centri meteorologici europei dicono che nei prossimi tre mesi «con buona probabilità, tra il 40 e il 60 per cento, le temperature medie saranno superiori a quelle del periodo 1991-2020», mentre i modelli sono discordanti per quanto riguarda le precipitazioni: «Nel complesso le precipitazioni potrebbero essere in media, quindi potrebbe piovere come al solito in questo periodo, però siccome il deficit accumulato in alcune zone d’Italia è notevole, potrebbero non essere sufficienti».

   Insomma la siccità potrebbe proseguire. E un’estate di siccità che segue un’estate di siccità è più grave, soprattutto per le colture che richiedono molta acqua, come il riso e il mais.

   «Magari arriva una perturbazione, ma se è un momento passeggero il suolo non riesce a rimettersi in sesto», riassume Faranda: «È come quando una persona è depressa: ogni tanto vive un momento di felicità, però rimane sostanzialmente nello stesso stato e nel tempo si aggrava. La vegetazione è un po’ come un essere umano: non vive i nostri stessi tipi di stress, vive lo stress idrologico, ma c’è una similitudine. Alla lunga, dopo anni di siccità, la vegetazione non riesce più ad adattarsi e muore. E bisogna pensare di cambiare le colture». (Ludovica Lugli, da IL POST.IT del 4/3/2023 https://www.ilpost.it/)

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RAPPORTO SULL’ACQUA NEL MONDO NEL 2022: vedi su https://wenfo.org/globalwater/2022report/)

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(foto del fiume PO, da “la provincia di Cremona”, https://www.laprovinciacr.it/) – SICCITÀ, VIA LIBERA AL COMMISSARIO STRAORDINARIO E ALLA CABINA DI REGIA -Palazzo Chigi sdogana un pacchetto di misure per fronteggiare l’emergenza acqua – Via libera da Palazzo Chigi alle misure straordinarie per la crisi idrica. Lo annuncia il governo in un comunicato annunciando l’imminente nomina di COMMISSARIO STRAORDINARIO con poteri esecutivi rispetto a quanto programmato dalla Cabina di regia istituita con tutti i ministeri interessati per definire un PIANO IDRICO STRAORDINARIO nazionale d’intesa con le Regioni e gli Enti territoriali per individuare le priorità di intervento e la loro adeguata programmazione, anche utilizzando nuove tecnologie. (…) Ha annunciato anche un provvedimento normativo urgente che contenga semplificazioni e deroghe e che acceleri sui lavori essenziali per fronteggiare la siccità. Infine sarà lanciata una campagna di sensibilizzazione sull’USO RESPONSABILE DELLA RISORSA IDRICA. (…) (da “il Sole 24ore del 1/3/2023)

PERCHÉ NON PIOVE PIÙ, O PIOVE TROPPO: LA CRISI CLIMATICA E I SUOI EFFETTI

di Giacomo Talignani 20/2/2023 da https://www.repubblica.it/green-and-blue/

– Il paradosso meteorologico che vede Brasile e Nuova Zelanda sott’acqua; Italia, Argentina e Kenya in sofferenza per l’assenza di risorse idriche. Ecco come il riscaldamento globale e La Niña stanno cambiando gli equilibri –

   Troppa acqua o troppo poca. La fotografia attuale del pianeta Terra, osservabile anche dai satelliti, a inizio anno mostra un mondo diviso in due tra eventi di siccità estrema – come in Argentina, Italia, centro Europa o Corno d’Africa – e alluvioni devastanti che dalla Nuova Zelanda sino al Brasile stanno sconvolgendo la vita di milioni di persone.
   Perché in alcune aree non nevica? O perché piove troppo? Quanto incide la crisi climatica? Nel tentativo di rispondere a queste domande va detto che nelle condizioni estreme che stiamo vivendo anche nel 2023 appena iniziato c’è quasi sempre di mezzo lo zampino del riscaldamento globale innescato dall’uomo che sta amplificando l’intensità dei fenomeni meteo, anche se in alcuni casi a incidere maggiormente possono essere i fenomeni oscillatori come La Niña o El Niño.

Alluvioni in Brasile e Nuova Zelanda

In Brasile per esempio nelle ultime ore le piogge sempre più intense nelle zone costiere del sud est stanno causando inondazioni e frane, con quasi quaranta vittime già accertate, l’evacuazione di centinaia di persone in corso nello stato di San Paolo e diversi eventi del famoso Carnevale annullati in varie città dove erano attesti migliaia di turisti. In un solo giorno sono caduti oltre 600 mm di pioggia, fra le quantità più alte per il Brasile in questa stagione e registrate in così poche ore: il 50% dei disastri naturali nel Paese sudamericano è solitamente legato alle alluvioni e in questo caso è ancora presto per comprendere quanto la crisi del clima abbia inciso. Diversi studi però hanno trovato in passato una forte correlazione tra precipitazioni estreme e cambiamento climatico: per esempio le inondazioni letali del 2020 nella regione del Minas Gerais sono state rese più probabili del 70% dal riscaldamento indotto dall’uomo.

   Anche la Nuova Zelanda sta vivendo giorni drammatici tra massicce inondazioni e il ciclone Gabrielle.  Dodici le vittime, migliaia di persone senza elettricità e numerosi danni a case e infrastrutture: in questo caso il ministro del Cambiamento climatico, James Shaw, si è sbilanciato indicando la crisi del clima come principale causa della potenza delle alluvioni. Per gli scienziati neozelandesi parte degli impatti più potenti dei fenomeni meteo, compresi i cicloni, potrebbe essere legato ad acque oceaniche sempre più calde e un rilascio di energia maggiore e più duraturo rispetto al passato.

Siccità intensa in Argentina e in Italia

L’Argentina, così come il vicino Cile toccato da incendi devastanti, sta invece sperimentando un livello di siccità tra i peggiori degli ultimi 60 anni. Il fiume Paranà è a livelli bassissimi, con giganteschi impatti ad esempio sulla produzione di energia idroelettrica, ma è soprattutto l’agricoltura ad essere in ginocchio: crollano i raccolti di soia, mais e grano e il mercato degli allevamenti. I produttori potrebbero subire un danno economico stimato in oltre 10 miliardi di dollari con gravissime ripercussioni su una economia nazionale che si basa sul reddito delle zone rurali.

   Studi che hanno analizzato i dettagli degli ultimi dodici mesi di siccità in Argentina sostengono però che la crisi del clima non è la causa principale della carenza d’acqua. Certo, amplifica i fenomeni meteo, ma ad incidere sarebbe stata soprattutto La Niña, evento climatologico che aumenta la probabilità di temperature elevate e precipitazioni inferiori nella regione e che si è verificato per il terzo anno consecutivo. Le intense ondate di caldo aumentano i livelli di evapotraspirazione, riducendo la quantità di umidità disponibile nei suoli e peggiorando gli impatti sulle colture.

   La combinazione degli effetti de La Niña e della crisi climatica è anche quella che sta stravolgendo la vita di milioni di persone nel Corno D’Africa dove dal Kenya alla Somalia si sta sperimentando la siccità più estrema degli ultimi 40 anni e che non accenna a finire, portando morte e fame. Nel frattempo, poco più a sud, in questi giorni è allarme anche per il ciclone Freddy, di categoria 4, che potrebbe portare morte e devastazione in Madagascar.

L’Italia a secco

Anche l’Italia sta sperimentando in questo inizio anno una siccità preoccupante, soprattutto per risorse idriche e raccolti, tale da far pensare che se non arriveranno piogge a primavera potremmo toccare livelli peggiori del 2022, quando la siccità estiva fece 6 miliardi di danni per l’agricoltura (stime Coldiretti).

   Il Po in alcune zone è in secca (-3,3 metri rispetto allo zero idrometrico nel piacentino), il Lago di Garda a livelli quasi mai visti durante l’inverno e a metà febbraio nello Stivale si registra quasi la metà della neve media attesa in meno, raccontano i dati della Fondazione Cima. Al Nord, sul bacino del Grande Fiume, i deficit in termini di neve sono ormai del 61% e in Piemonte, come mostrano le mappe del servizio Hydrology IRPI-CNR, l’assenza di precipitazioni è davvero drammatica: non piove in maniera insistente e duratura da oltre 400 giorni.

   Già, ma quali sono i motivi per cui non piove  o nevica in Italia e quanto incide la crisi del clima?
In questi giorni a portare temperature più elevate e tempo stabile è stato l’anticiclone che in diverse zone di Europa ha fatto registrare anche in quota temperature intorno ai 20 gradi.
   Antonello Pasini, fisico del clima del Cnr, spiega a Green&Blue che “l’aumento del riscaldamento globale di origine antropica fa in qualche modo cambiare non solo le temperature medie ma anche la circolazione.  Nel Mediterraneo è successo proprio questo: la circolazione che prima era da ovest a est quasi sempre – o con gli anticicloni delle Azzorre o con le perturbazioni di origine atlantica – ora si è portata sempre di più sulla direttrice sud-nord e viceversa.

   Come impatta tutto ciò? Per esempio sulle Alpi nevica se arriva aria da sud, ma adesso l’aria che giunge dalla circolazione sud-nord è più calda di prima e questo fa sì che nevichi solo a quote più elevate o che cambino le perturbazioni. Di conseguenza perdiamo 300-400 metri di neve, ovvero diciamo addio alle risorse idriche per esempio fondamentali per il Po e la Pianura Padana, che ricordiamo dipendono più dalla neve che dalla pioggia. Quando invece arrivano le circolazioni da nord queste finiscono per impattare sulle Alpi e la conseguenza è che non nevica da noi ma sul versante est europeo. A mio avviso dunque la siccità che si sta configurando in Italia è legata a questi cambi di circolazione, fenomeni collegati al riscaldamento globale”.

   La conferma è anche in uno studio portato avanti dai ricercatori dell’Università di Bologna e del CNRS francese e pubblicato su Environmental Research Letters, che ha analizzato la siccità italiana del 2022 con conclusioni simili: “Persistenti condizioni anticicloniche e il riscaldamento globale antropico hanno avuto un ruolo importante nell’esacerbare l’eccezionale siccità che ha colpito l’Europa occidentale e l’Italia nel 2022″.

   Come spiega Salvatore Pascale del Centro per la Sostenibilità e i Cambiamenti Climatici della Bologna Business School l’anomalia anticiclonica persistente sull’Europa occidentale è stata “esacerbata dal cambiamento climatico causato dall’uomo, con anomalie di pressione atmosferica più grandi e più estese e temperature più elevate alla superficie. Questo ha portato ad un aumento della zona colpita dalla siccità e ad un’intensificazione dell’aridificazione del suolo attraverso l’evapotraspirazione“.

   Un mix di fattori, legati al cambio di circolazione e l’impatto della crisi climatica, che secondo il gruppo leader mondiale nell’analisi dei rischi fisici in relazione al clima XDI (The Cross Dependency Initiative), sta colpendo soprattutto il Nord e il Nord-ovest italiano. In un report appena pubblicato viene infatti indicato come VenetoLombardia Emilia-Romagna siano oggi al quarto, quinto e ottavo posto della classifica delle regioni europee in assoluto più esposte agli eventi meteorologici estremi e al cambiamento climatico. (Giacomo Talignani 20/2/2023 da https://www.repubblica.it/green-and-blue/)

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(nell’immagine: IL CICLO DELL’ACQUA, da https://www.geomagazine.it/) – “(…) Non è la pioggia a far crescere gli alberi, ma sono gli alberi a creare la pioggia, come ci ricordano queste parole di Fukuoka: “È stato in un deserto americano che improvvisamente mi sono accorto che la pioggia non cade dal cielo, ma viene dalla terra. La formazione dei deserti non è dovuta alla mancanza di pioggia, ma la pioggia smette di cadere perché la vegetazione è scomparsa”. Masanobu Fukuoka (da “SICCITÀ, COSA FARE. 10 STRATEGIE DA APPLICARE SUBITO, di Francesca Della Giovampaola, da https://www.boscodiogigia.it/)

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LE OTTO PROPOSTE DI LEGAMBIENTE PER UNA STRATEGIA NAZIONALE CONTRO LA SICCITÀ

da https://www.repubblica.it/green-and-blue/, 20/2/2023

– Non si può più parlare di emergenza” sottolinea l’associazione, quindi va attuato un piano per prevenire danni ulteriori. Zampetti: “Serve un approccio circolare” –

   Di fronte al perdurare della siccità, che definisce “un’emergenza mai finita”, Legambiente lancia un appello al Governo Meloni, perché non siano più rimandate misure per “prevenire ‘l’emergenza idrica’ che caratterizzerà sempre di più il nostro territorio e smettere di pensarci solo quando il danno è già stato fatto”.

   L’associazione ambientalista indica le priorità da mettere in campo, a partire dalla definizione di una strategia nazionale idrica, strutturata in otto punti, che abbia un approccio circolare con interventi di breve, medio e lungo periodo per favorire da una parte l’adattamento ai cambiamenti climatici, e dall’altro permettere di ridurre da subito i prelievi di acqua evitandone anche gli sprechi. “A partire dai prossimi mesi la domanda di acqua per uso agricolo si aggiungerà agli attuali usi civili e industriali che sono già in sofferenza – sottolinea Legambiente – e il fabbisogno idrico nazionale sarà insostenibile rispetto alla reale disponibilità“.

I punti fondamentali indicati dall’associazione per una strategia idrica nazionale sono otto:

1- favorire la ricarica controllata della falda, facendo in modo che le sempre minori e più concentrate precipitazioni permangano più a lungo sul territorio invece di scorrere velocemente a valle fino al mare;

2- prevedere l’obbligo di recupero delle acque piovane con l’installazione di sistemi di risparmio idrico e il recupero della permeabilità e attraverso misure di de-sealing in ambiente urbano; in agricoltura prevedendo laghetti e piccoli bacini;

3- attuare interventi strutturali per rendere efficiente il funzionamento del ciclo idrico integrato e permettere le riduzioni delle perdite di rete e completare gli interventi sulla depurazione;

4- implementare il riuso delle acque reflue depurate in agricoltura attraverso le modifiche normative necessarie;

5- riconvertire il comparto agricolo verso colture meno idroesigenti e metodi irrigui più efficienti;

6- utilizzare i Criteri Minimi Ambientali nel campo dell’edilizia per ridurre gli sprechi;

7- favorire il riutilizzo dell’acqua nei cicli industriali anche per ridurre gli scarichi inquinanti;

8- introdurre misure di incentivazione e defiscalizzazione in tema idrico, come avviene per gli interventi di efficientamento energetico, per tutti gli usi e per tutti i settori coinvolti.

   “Il 2023 è appena iniziato, ma sta mostrando segnali preoccupanti in termini di eventi climatici estremi e livelli di siccità. Bisogna da subito ridurre i prelievi nei diversi settori e per i diversi usi prima di raggiungere il punto di non ritorno. Serve poi adottare una strategia idrica nazionale che abbia un approccio circolare – spiega Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – e che permetterebbe di rendere più competitiva e meno impattante l’intera filiera. Non dimentichiamo che la transizione ecologica deve passare anche per il comparto idrico, oggi in forte sofferenza a causa soprattutto della crisi climatica“.

   Legambiente ricorda che l’Italia – con oltre 33 miliardi di metri cubi di acqua prelevata per tutti gli usi ogni anno – è nel complesso un Paese a stress idrico medio-alto secondo l’OMS, poiché utilizza il 30-35% delle sue risorse idriche rinnovabili, con un incremento del 6% ogni 10 anni. Una tendenza che, unita a urbanizzazione, inquinamento ed effetti dei cambiamenti climatici, come le sempre più frequenti e persistenti siccità, mette a dura prova l’approvvigionamento idrico della Penisola. Secondo i dati diffusi dallo GIEC (Gruppo Intergovernativo degli Esperti sul Cambiamento Climatico), all’aumento di un grado della temperatura terrestre corrisponde una riduzione del 20% della disponibilità delle risorse idriche. (da https://www.repubblica.it/green-and-blue/, 20/2/2023)

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IL PIANO “LAGHETTI” PER CONTRASTARE LA SICCITÀ, TRA PRO E CONTRO

di Marco Boscolo, da https://ilbolive.unipd.it/ 26/7/2022

– Il principale effetto negativo sull’ambiente è che i bacini ostruiscono il flusso naturale, per esempio per la migrazione dei pesci –

(….)

   L’adagio che rimbalza dai media alla siccità è quello della necessità di intervento. A rischio sono non solo l’irrigazione per la produzione agricola, ma anche la possibilità di mettere in funzione le centrali idroelettriche e quelle termoelettriche lungo i principali corsi d’acqua. Proprio ANBI (l’Associazione Nazionale Bonifiche Irrigazioni Miglioramenti Fondiari), assieme a Coldiretti, ha presentato fin dal 2017 un progetto generale di costruzione di nuovi invasi, che sulla carta dovrebbero aiutare a creare delle riserve idriche da utilizzare nei momenti di maggiore necessità. Un progetto che oggi, con la disponibilità dei fondi del PNRR, secondo i promotori potrebbe contribuire a risolvere il problema.

Che cos’è il “Piano Laghetti”

Secondo Coldiretti, l’Italia rimane un paese piovoso, con 300 miliardi di metri cubi d’acqua che cadono annualmente. Ma negli ultimi decenni è cambiata la distribuzione delle precipitazioni, proprio a causa della crisi climatica. Inoltre, di tutta quest’acqua, solamente l’11% viene trattenuto in bacini e invasi. “Per mitigare gli effetti del cambiamento climatico l’unica strategia possibile consiste nel rimuovere le cause che l’hanno determinato”, sottolinea Vincenzi, “e nell’adattare il territorio a sopportare meglio lo stress idrico indotto”. Ma se questi sono obiettivi di lungo termine, nel frattempo secondo ANBI e Coldiretti bisogna aggiornare le infrastrutture idrologiche nazionali che sono rimaste ferme a mezzo secolo fa, quando tutto era diverso.

   “Il piano laghetti punta a realizzare 10 mila invasi medio-piccoli entro il 2030, in zone collinari e di pianura”, spiega Vincenzi. Secondo i calcoli dei promotori, i nuovi bacini dovrebbero aumentare di più del 60% la capacità complessiva dei già esistenti 114 serbatoi sul territorio nazionale. Sono “223 i progetti già cantierabili”, continua Vincenzi, di cui 40 in Emilia-Romagna, 34 in Toscana e 32 in Veneto. Si tratta di invasi di piccole dimensioni, che possono essere realizzati anche “a scala aziendale, singole o in forma associata (consorzi di scopo), e alimentati dal ruscellamento di acque superficiali, da sorgenti, da acque prelevate da corsi d’acqua vicini all’invaso o pompate da pozzi”. Sono strutture a basso impatto, non paragonabili alle grandi dighe per l’idroelettrico, e Vincenzi porta a sostegno del progetto le esperienze di questo tipo già realizzati nella Romagna occidentale, territori che oggi “sono in grado di sopportare meglio la gravissima siccità in corso”.

QUALCHE DUBBIO

In seguito alla discussione pubblica di questi mesi sulla necessità di stoccare l’acqua per fronteggiare la siccità, il Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale (CIRF), un’associazione fondata da un gruppo di tecnici e professionisti interessati ad alimentare il dibattito sulla gestione sostenibile dei corsi d’acqua, ha espresso alcune perplessità. In un comunicato del 5 luglio scorso, esprimono una serie di perplessità sul progetto di costruzione di nuovi serbatoi artificiali. Si legge esplicitamente che “siamo fortemente contrari alle attuali sistematiche deroghe al deflusso ecologico e riteniamo fallimentare e dannosa ogni strategia incardinata sulla costruzione di nuovi invasi lungo i corsi d’acqua”. 

   Il punto fondamentale della critica è che la costruzione di nuovi invasi compromette gli habitat naturali dei territori interessati, con effetti negativi sulla biodiversità. E una minor biodiversità è un fattore di rischio anche per la sopravvivenza della nostra specie sulla Terra.

   La preoccupazione per l’impatto sull’ambiente naturale è condivisa anche da Niko Wanders, esperto di idrologia e docente all’Università di Utrecht, nei Paesi Bassi. “Il principale effetto negativo sull’ambiente è che i bacini ostruiscono il flusso naturale, per esempio per la migrazione dei pesci”. Ma hanno anche effetti complessivi sul ciclo dell’acqua: “i bacini artificiali riducono anche il flusso d’acqua complessivo, dal momento che l’acqua che si trova in un serbatoio ha più tempo per evaporare poiché i tempi di viaggio verso il mare sono più lunghi”. Ogni invaso, secondo Wanders, va quindi analizzato come caso a sé, valutando se e come gli effetti negativi “superino o meno gli aspetti positivi”.

Diverse visioni di futuro e società

Proprio citando i dati ANBI, CIRF sottolinea come il 54% dei consumi annuali di acqua sia imputabile all’agricoltura, settore fondamentale perché produce il cibo che mangiamo. Ma CIRF si domanda se un consumo così alto di acqua non sia dovuto anche al fatto che le attuali colture scelte per i terreni agricoli italiani non siano sostenibili nello scenario della crisi climatica. O per lo meno non lo siano più come in passato: “è prioritario ripensare a quali siano le produzioni agricole meritevoli di essere incentivate e quali invece da disincentivare, in un’ottica di sicurezza alimentare, privilegiando ad esempio le colture meno idroesigenti”.

   I soci di CIRF non condannano in assoluto la costruzione di nuovi invasi, che reputano soluzioni di corto-medio termine. Sottolineano però come “il luogo migliore dove stoccare l’acqua è la falda, ogni qual volta ce n’è una”. Decenni di interventi sui corsi dei fiumi, con prelievi eccessivi di acqua per le più svariate esigenze, avrebbero però compromesso la naturale vita di molti corsi d’acqua italiani. La proposta, quindi, è di lavorare a più lungo termine salvaguardando habitat, biodiversità e salute dei fiumi.

   Anche per Wanders, un aspetto importante sul medio-lungo termine è cercare di ridurre la domanda di acqua. “Per esempio, la gestione sostenibile delle falde acquifere sotterranee, non estraendo eccessivamente e utilizzando l’irrigazione a goccia anziché l’irrigazione a pioggia, potrebbe già fare molto. Chiaramente questo comporta costi elevati, ma a lungo termine ci sarà un ritorno dell’investimento visti i cambiamenti significativi nella siccità che ci si aspetta a causa del cambiamento climatico”.

   Le due visioni non sono necessariamente in contrasto: sembrano piuttosto guardare a due orizzonti temporali diversi. Al centro, però, emerge chiaramente come anche nel caso della gestione dell’emergenza idrica sia necessario guardare oltre il problema specifico e interrogarci ancora una volta sul modello di sviluppo che è alla base della nostra società. ( Marco Boscolo, da https://ilbolive.unipd.it/ 26/7/2022)

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IL CICLO DELL’ACQUA STA CAMBIANDO: IL NUOVO RAPPORTO DEL GLOBAL WATER MONITOR

di Renato Sansone, da https://www.geomagazine.it/, 16/1/2023

   L’atmosfera e la superficie della Terra sono monitorate costantemente da decine di satelliti, a cui si aggiunge una grossa mole di dati provenienti dalle stazioni meteorologiche e idriche mondiali. Ciò consente di osservare il ciclo globale dell’acqua, ossia uno dei cicli vitali del sistema terra e i suoi cambiamenti.
   Un team di ricercatori del Global Water Monitor, dopo aver analizzato terabyte di dati, ha concluso che il ciclo dell’acqua sta cambiando. A livello globale l’aria sta diventando più calda e secca, il che significa che siccità e condizioni idonee agli incendi si stanno sviluppando più velocemente e più frequentemente.

   Il 2022 è stato caratterizzato dal terzo anno di “La Niña”, l’evento che consente il raffreddamento delle acque nel Pacifico tropicale centrale e orientale e il riscaldamento nel Pacifico occidentale. Un evento insolito, ma non senza precedenti. Un fenomeno che rafforza gli alisei orientali, portando la pioggia nel sud-est asiatico e in Australia. La Niña si è combinata con le acque calde nell’Oceano Indiano settentrionale per portare inondazioni diffuse in una fascia che si estende dall’Iran alla Nuova Zelanda, e quasi ovunque tra queste aree. Le inondazioni più devastanti si sono verificate in Pakistan, dove circa 8 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case a causa di massicce inondazioni lungo il fiume Indo.   L’Australia ha anche subito gravi eventi alluvionali durante tutto l’anno, principalmente nella parte orientale, ma anche nella regione del Kimberly alla fine dell’anno e nel 2023.

   Com’è tipico per La Niña, la pioggia è stata molto meno abbondante dall’altra parte dell’Oceano Pacifico. Una siccità pluriennale negli Stati Uniti occidentali e nel centro del Sud America ha visto i laghi scendere ai minimi storici. Un altro anno di siccità ha inoltre decimato i raccolti e portato a un rapido peggioramento della situazione umanitaria nel Corno d’Africa.

TENDENZE PREOCCUPANTI IN DIVERSE REGIONI

Nonostante i dati non dimostrino un cambiamento nella piovosità globale media, la tendenza non è delle migliori. Le regioni monsoniche dall’India all’Australia settentrionale stanno diventando più umide. Parti delle Americhe e dell’Africa stanno invece diventando più secche, compresi gli Stati Uniti occidentali, che hanno vissuto il loro 23° anno di siccità nel 2022.
   Le registrazioni totali mensili delle precipitazioni appaiono intatte, ma quelle su periodi più brevi stanno diventando sempre più intense in molte regioni.

   Come evidenzia il rapporto, nel 2022 gli eventi di precipitazioni intense hanno colpito le comunità di tutto il mondo, dal Brasile alla Nigeria e dal Sudafrica all’Afghanistan, India e Pakistan. Gli acquazzoni hanno causato inondazioni improvvise e smottamenti, uccidendo migliaia di persone e lasciando molte altre migliaia senza una casa. La crescente pressione demografica sta spingendo un numero sempre maggiore di persone nelle pianure alluvionali e su pendii instabili, rendendo le forti piogge e gli eventi alluvionali ancora più dannosi che in passato.

UN MONDO PIU’ CALDO E PIU’ SECCO

Il mondo si sta surriscaldando, e lo fa anche in presenza di La Niña. Le ondate di caldo stanno aumentando in gravità e durata e questo è stato evidente nel 2022.
   Oltre ad essere disastri naturali a sé stanti, le ondate di caldo e le temperature insolitamente elevate influenzano anche il ciclo dell’acqua. Nel 2022, intense ondate di caldo in Europa e in Cina hanno portato alle cosiddette “siccità improvvise”. Queste si verificano quando l’aria calda e secca provoca la rapida evaporazione dell’acqua dal suolo e dai sistemi idrici interni.
   Nella scorsa estate molti fiumi in Europa si sono prosciugati, esponendo manufatti nascosti per secoli.

   L’aria non solo sta diventando più calda, ma anche più secca, quasi ovunque. Ciò significa che le persone, le colture e gli ecosistemi hanno bisogno di più acqua per rimanere in salute, aumentando ulteriormente la pressione sulle risorse idriche. L’aria secca significa anche che le foreste si seccano più velocemente, aumentando la gravità degli incendi boschivi. Nel 2022, gli Stati Uniti occidentali hanno subito gravi incendi a gennaio, nel mezzo dell’inverno dell’emisfero settentrionale.

   Le temperature più calde sciolgono anche la neve e il ghiaccio più velocemente. Le inondazioni in Pakistan sono state aggravate da una precedente ondata di caldo intenso che ha aumentato lo scioglimento dei ghiacciai nell’Himalaya. Non sono esenti le Alpi, sulle quali alcuni ghiacciai hanno perso metri di ghiaccio.

   Il cambiamento climatico non è l’unico responsabile che sta cambiando il ciclo dell’acqua. C’è stato un costante aumento del volume dei laghi in tutto il mondo. Ciò è dovuto principalmente alla costruzione e all’ampliamento di dighe da parte dei governi, al fine di garantire l’accesso all’acqua, modificando i flussi dei fiumi a valle.

IL FUTURO

Ora, l’influenza di La Niña sembra essere in declino ed è possibile che si passi a El Niño a metà di quest’anno. La speranza è che ciò significhi meno inondazioni in Asia e Oceania e più pioggia per le regioni colpite dalla siccità nelle Americhe e nell’Africa orientale.
   L’Australia, tuttavia, potrebbe vedere un ritorno alle ondate di caldo e agli incendi boschivi. A lungo termine, il 2023 potrebbe segnare l’inizio di un’altra siccità pluriennale.

   L’altalena tra El Niño e La Niña è un fenomeno naturale. Ma resta da vedere se i tre anni di La Niña siano stati una casualità o un segnale dovuto al cambiamento climatico.
   Se La Niña o El Niño rimarranno più a lungo in futuro, è probabile che sperimenteremo siccità più profonde e inondazioni peggiori di quelle viste finora.

   Il successo dell’umanità nella riduzione delle emissioni di gas serra determinerà il futuro del pianeta tra diversi decenni. Fino ad allora, le temperature globali continueranno ad aumentare. Continueranno a essere battuti nuovi record: per ondate di caldo, nubifragi, siccità improvvise, incendi boschivi e scioglimento dei ghiacci.
   Non c’è modo di evitarlo. Quello che possiamo fare è prestare attenzione ai segnali di pericolo e prepararci per un futuro impegnativo. (Renato Sansone, da https://www.geomagazine.it/, 16/1/2023)

Il rapporto e i dati completi sono disponibili al pubblico su www.globalwater.online   

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TRA SICCITÀ E SPRECO DI ACQUA: A CHE PUNTO È L’ADATTAMENTO?

di Simone Santi, da https://www.lifegate.it/, 28/2/2023

– Mentre il nordovest italiano soffre la siccità, sprechiamo tanta acqua raccolta nei bacini. Ora il governo annuncia nuove azioni, ma i piani c’erano già e sono rimasti lettera morta –  Mentre la Pianura padana soffre la sete, al sud si sversa in mare l’acqua dei bacini. – Oggi recuperiamo tramite invasi solo l’11 per cento dell’acqua piovana – Tre milioni e mezzo di italiani senza acqua nel rubinetto, ora il governo si muove –

   Per almeno 3,5 milioni di italiani, l’acqua dal rubinetto non può più essere data per scontata. È la stima contenuta nell’ultimo bollettino dell’Osservatorio sulle risorse idriche dell’Anbi, l’associazione dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio e acque irrigue, nell’ultimo bollettino del 23 febbraio. “È la dimostrazione del clamoroso errore, che fa chi ritiene la siccità un problema prettamente agricolo, pur essendo il settore primario e la sovranità alimentare, i primi ad esserne minacciati” ha commentato il presidente dell’Anbi, Francesco Vincenzi.

   Nella stessa giornata, il governo ha risposto annunciando il primo incontro interministeriale per l’emergenza siccità, con il quale l’esecutivo “intende affrontare quella che potrebbe rivelarsi un’emergenza, tenendo conto della scarsa percentuale di impegno delle risorse idriche effettivamente disponibili e della necessità di abbattere i tempi per opere che riducano la dispersione idrica e permettano la pulizia dei bacini”.  Il tavolo valuterà le iniziative per varare un piano di interventi a breve scadenza e una programmazione a medio-lungo termine.

   Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, nel giro di poche ore ha rincarato l’allarme: “Può anche darsi che su alcuni territori sia fondamentale arrivare a una razionamento dell’acqua“. Aggiungendo poi: “Serve un ragionamento integrato, che significa avere acqua da bere, acqua per irrigare e per produrre energia. Questo governo ha intenzione di presentare un piano idrico nazionale”. Che preveda anche “un commissario super partes, che abbia pieni poteri e dica a regioni ed enti: ‘Serve acqua, aprite le dighe’”.

CHE COSA STA SUCCEDENDO IN ITALIA?

Le Alpi con poca nevela pianura Padana a secco, i fiumi e i laghi del centro Italia anche loro in difficoltà. E poi, di contro, un sud Italia che di acqua ne ha in abbondanza. Gli eventi meteorologici di questo inverno hanno creato una situazione particolare per l’Italia, quasi spaccata in due: siccità nelle regioni settentrionali, con previsioni che sfiorano il drammatico per l’agricoltura, e un Mezzogiorno che invece dovrebbe arrivare all’estate senza soffrire particolarmente il problema.

   Secondo l’Osservatorio sulle risorse idriche dell’Anbi, in Puglia lo scorso 16 febbraio si registrava un ulteriore incremento dei volumi trattenuti negli invasi, il cui surplus sul 2022 era salito a 82,49 milioni di metri cubi. Resta saldamente in attivo anche il bilancio idrico nei bacini della Basilicata, dove è già iniziata la stagione irrigua come confermato da un calo settimanale di oltre 4 milioni di metri cubi.

LA SICILIA, A MACCHIA DI LEOPARDO 

Mentre la Sicilia, caratterizzata negli ultimi mesi da una situazione pluviometrica “a macchia di leopardo” e penalizzata da una deficitaria condizione infrastrutturale, la situazione è molto variegata: a inizio febbraio, i bacini dell’isola contenevano complessivamente il 38 per cento dell’acqua immagazzinabile negli invasi, circa 200 milioni di metri cubi rispetto al 2022, nonostante settimane percepite come piovose.

   In realtà, sottolinea l’Osservatorio, le piogge non sono state omogenee: sulle province di Enna e Palermo ha piovuto poco, mentre i nubifragi che hanno interessato principalmente la zona sudorientale dell’isola hanno allagato le province di Siracusa, Catania e Ragusa, facendo tracimare fiumi (Anapo e Dirillo), causando frane e provocando danni a strutture produttive, fabbricati, infrastrutture, monumenti. Eventi che richiederebbero interventi seri di mitigazione.

QUELL’ALTA PRESSIONE CHE NON VA VIA

Il nord a secco, il sud che non soffre, dunque. Tutta colpa della crisi climatica? No, naturalmente i dati ci inchiodano al fatto che le temperature medie siano in aumento non solo in tutta Italia ma in tutta Europa, e mostrano anche il gennaio 2023 ha confermato la situazione registrata durante tutto l’anno 2022, evidenziando scostamenti rispetto alla media storica delle precipitazioni del mese con valori superiori al 75esimo percentile.

   Però il fatto che nel Norditalia ci sia siccità e al Sud no è più che altro una congiuntura, spiega Luca Brocca, direttore del gruppo di idrologia del Cnr: “La circolazione atmosferica che porta le precipitazioni sono registrate su una piccola scala, che può essere nazionale, ma per le analisi a livello climatico si usano scale più larghe: possiamo fare analisi tra nord e sud Europa, non Nord e Suditalia. La configurazione attuale è legata al fatto che al sud ci sono stati eventi ciclonici in Sicilia che hanno portato a enormi precipitazioni”. Sebbene lo stesso aumentare della frequenza di tali eventi ciclonici suggerisca che qualcosa stia cambiando.

TUTTA QUELL’ACQUA SPRECATA

Tra la Puglia e il Molise, all’inizio del mese, è avvenuto un fatto paradossale: 40 milioni di metri cubi di acqua sono stati sversati in mare per il timore che la diga di Occhito, giunta quasi all’orlo della capienza (250 milioni di litri) traboccasse in seguito alle piogge previste a partire da domenica.

   Ma perfino in Val d’Aosta, in quel nord assetato di acqua, è successo che a causa delle alte temperature la neve non ha attecchito sulle Alpi, trasformandosi in acqua che ha innalzato la portata della Dora Baltea, passata da 18 a 30 metri cubi al secondo: acqua che è finita in mare senza poter essere recuperata e riutilizzata a fini irrigui. “Una ricchezza che, pur ristorando beneficamente il territorio, fluisce inutilizzata verso il mare, disperdendo una risorsa, che ci già ci sta mancando” sottolinea Francesco Vincenzi, Presidente di Anbi.

   E che fotografa perfettamente il problema in vista dell’estate, spiega Marina Baldi, climatologa del Cnr: “Su tutto l’arco alpino attualmente la neve è dimezzata. E aldilà della siccità di oggi, che impatta sull’agricoltura e sul turismo, la neve è la nostra riserva d’acqua per l’estate, quando si scioglie e finisce a valle”. Per questo, a meno di grosse precipitazioni da qui a giugno “che però dovrebbero essere costanti, non forti e limitate nel tempo come è avvenuto ultimamente”, il centronord sarà più in difficoltà del sud anche nei prossimi mesi.

A CHE PUNTO SIAMO CON L’ADATTAMENTO?

A questo punto, oltre alla mitigazione, l’altro problema è dunque quello dell’adattamento. Il governo adesso annuncia un piano d’azione, ma in realtà gli strumenti c’erano già.  I principali, a monte del piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico, sono il Piano nazionale invasi, di cui il governo nel 2019 ha autorizzato il primo stralcio per 57 interventi di progettazione per una spesa di 260mila euro, e il Piano laghetti approntato da Anbi e Coldiretti, e che sfruttando anche i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede la realizzazione di 10mila bacini artificiali entro il 2030 (al momento sono solo 223 i progetti partiti).

   In entrambi i casi si tratta di soluzioni per il recupero, l’immagazzinamento dell’acqua piovana e il successivo riutilizzo: basti pensare che oggi l‘Italia recupera appena l’11 per cento dell’acqua proveniente dalle precipitazioni, e che l’obiettivo finale del piano è arrivare al 60 per cento. “Si tratta di soluzioni definitive ed esecutive, cioè immediatamente appaltabili, per aumentare la resilienza dei territori” ribadisce Vincenzi dell’Anbi, parlando del piano laghetti. “Chiediamo un tavolo al governo per definire un piano di finanziamenti con risorse già disponibili e che aspettano solo le scelte della politica”.

   A proposito di sud, c’è un caso che fa scuola, ed è la Sardegna: storicamente afflitta da mancanza di acqua, l’isola oggi è in grado di trarre tre quarti del proprio fabbisogno da un sistema di dighe e bacini che possono contenere fino a 1,8 miliardi di metri cubi di acqua, e smistarla attraverso 200 chilometri di canali e 50 impianti di pompaggio. L‘ultimo bollettino mensile riporta che al 31 gennaio 2023 erano presenti nel sistema degli invasi 1.398 milioni di metri cubi d’acqua, pari a circa il 76,7 per cento del volume utile di regolazione autorizzato, con un incremento pari a 300 milioni di metri cubi, rispetto al 31 dicembre. Insomma: si può fare.

   Si può anche lavorare, aggiunge Marina Baldi, “a ridurre il fabbisogno di acqua in tutti i settori, incrementare il riuso, per esempio quello delle acque reflue dell’agricoltura. E poi lavorare sulla manutenzione delle infrastrutture che già ci sono” come gli acquedotti che perdono una enorme quantità dell’acqua trasportata: nel 2020, secondo l’stat, sono andati dispersi 900 milioni di metri cubi, pari al 36,2 per cento dell’acqua immessa in rete, con una perdita giornaliera per pari a 41 metri cubi per ogni chilometro di reti.

   Ma sono discorsi, sottolinea la ricercatrice del Cnr “che vanno fatti a lungo termine: serve un piano di 20-30 anni, a tappeto su tutto il territorio nazionale: non si può interrompere ogni lavoro a ogni cambio di governo come avviene da 50 anni. E soprattutto, servono opere che guardino a tutto il Paese: non possiamo, per fare un esempio, tralasciare la Sicilia solo perché quest’anno lì ha piovuto e al nord no”.  Perché magari l’anno prossimo la situazione potrebbe invertirsi. (Simone Santi, da https://www.lifegate.it/, 28/2/2023)

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COSA È QUESTO “PIANO LAGHETTI” CONTRO LA SICCITÀ

Punta a costruire 10mila invasi artificiali per raccogliere l’acqua, ma finora ha accumulato soltanto ritardi

da IL POST.IT, 1/3/2023, https://www.ilpost.it/

   Alla fine di gennaio è stato inaugurato un nuovo invaso realizzato nella cava dismessa di Bargnana a Castrezzato, in provincia di Brescia: ha una superficie di 20mila metri quadrati e una capacità di 150mila metri cubi di acqua. Servirà a contenere le eventuali piene del canale artificiale Trenzana-Travagliata, che scorre al suo fianco, ma soprattutto farà da bacino artificiale per accumulare l’acqua necessaria all’irrigazione in un territorio che negli ultimi due anni ha sofferto molto la siccità. L’ex cava di Castrezzato fa parte del cosiddetto “piano laghetti”, che punta a sostenere vecchi e nuovi progetti di invasi artificiali in tutte le regioni con l’obiettivo di evitare la dispersione di acqua e soddisfare il fabbisogno idrico.

   Nonostante l’enfasi con cui era stato rilanciato lo scorso anno, finora i risultati del piano laghetti sono stati scarsi: ne sono stati fatti pochi e in ritardo rispetto alle previsioni iniziali. L’invaso di Castrezzato è la dimostrazione delle difficoltà dovute principalmente alla burocrazia: è il primo realizzato in Lombardia, sei anni dopo la legge regionale che aveva consentito di sfruttare le ex cave come bacini artificiali.

   Del piano laghetti si discute da tempo: ANBI, l’associazione nazionale bonifiche e irrigazioni, ovvero l’ente che coordina tutti i consorzi di bonifica italiani, e Coldiretti, l’associazione che rappresenta gli agricoltori, presentarono il piano per la prima volta nell’autunno del 2021. C’erano già avvisaglie della siccità, ma l’emergenza sarebbe iniziata mesi dopo, nella primavera del 2022. Pensato come grande opera di prevenzione in vista della possibile carenza di acqua, quindi con tempi di realizzazione piuttosto lunghi, dallo scorso anno amministratori e politici hanno iniziato a considerarlo un rimedio urgente alla carenza di acqua.

   Le premesse del piano si basano sugli scarsi investimenti italiani nella costruzione e nella manutenzione delle infrastrutture idrauliche. Secondo i dati diffusi dall’ANBI, ogni anno in Italia cadono circa 300 miliardi di metri cubi di acqua di cui si riesce a trattenere soltanto l’11 per cento. In Spagna, per esempio, ne viene trattenuto circa il 35 per cento. I serbatoi presenti in Italia con questo scopo sono 114 con una capacità totale di un miliardo di metri cubi di acqua. Dall’inizio degli anni Novanta il fabbisogno idrico in agricoltura si è molto ridotto grazie all’innovazione tecnologica e alla cosiddetta agricoltura di precisione, ma la siccità ha annullato questo vantaggio.

   Nelle intenzioni dei suoi promotori, il piano laghetti dovrebbe sfruttare meglio tutta l’acqua che oggi viene dispersa. In sostanza, il piano consiste nella realizzazione di 4.000 invasi “consortili”, cioè costruiti dai consorzi di bonifica, e 6.000 invasi fatti dalle aziende agricole. Si tratta di 10.000 bacini artificiali di piccole dimensioni e con un basso impatto ambientale perché non prevedono opere in cemento o l’interruzione di corsi d’acqua.

   I bacini artificiali servono a raccogliere l’acqua da utilizzare nei periodi in cui ce n’è poca, ma possono essere utilizzati anche come superficie su cui installare pannelli solari galleggianti per la produzione di energia. Secondo le stime dell’ANBI, a dire il vero piuttosto ottimistiche, si potrebbero produrre fino a 259 gigawattora coprendo il 30 per cento della superficie dei bacini con impianti fotovoltaici galleggianti e con la costruzione di 76 impianti idroelettrici. «Gli invasi non sono utili soltanto per il fabbisogno idrico in agricoltura», dice Massimo Gargano, direttore generale dell’ANBI. «Possono essere utilizzati anche in caso di emergenza per la mancanza di acqua potabile. Nelle ultime settimane, per esempio in Piemonte dove sono state utilizzate autobotti per portare l’acqua in alcune frazioni di montagna, abbiamo visto concretamente quanto siano gravi i danni della siccità».

   Dei 10.000 progetti del piano complessivo, già dallo scorso anno 223 avevano raggiunto la fase esecutiva, cioè si possono costruire, ma finora ne sono stati inaugurati pochi. I soldi non sembrano essere un problema: il PNRR, il piano nazionale di ripresa e resilienza, ha già messo a disposizione 880 milioni di euro, una parte consistente dei 3,2 miliardi di euro necessari per questa prima parte del piano, la più costosa.

   Ritardi e lentezze sono causati piuttosto dalla storica e per certi versi confusa divisione delle competenze all’interno del governo: intervengono di volta in volta e senza criteri precisi i ministeri delle Politiche agricole, dell’Ambiente e delle Infrastrutture, oltre ovviamente a quello dell’Economia. Tutti se ne dovrebbero occupare, ma il risultato è che finora in pochi hanno affrontato davvero il problema. A tutto questo vanno aggiunti gli interventi e le responsabilità delle regioni, delle province, dei consorzi di bonifica, ognuno con sue regole e procedure.

   «C’è un enorme freno, e lo abbiamo visto negli ultimi mesi», continua Gargano. «In Italia c’è una grande cultura dell’emergenza, straordinariamente più efficiente rispetto alla cultura della prevenzione. Ora è evidente che l’emergenza siccità è diventata strutturale». L’obiettivo iniziale era di concludere la fase di progettazione entro il 2025, assegnare gli appalti entro il 2026 e fare entrare in funzione gli invasi entro il 2030, ma i piani sono già saltati.

   Mercoledì 1 marzo c’è stato un primo incontro tra diversi ministeri per capire come affrontare l’emergenza siccità e risolvere i conflitti di competenze evidenti. Si parlerà anche del piano laghetti. Nei giorni scorsi il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, ha detto che tra le altre cose potrebbe essere nominato un commissario speciale sulla siccità, una figura che «permetta di superare la troppa burocrazia, poiché troppe scrivanie producono un rallentamento del tempo davanti a un problema che va affrontato subito».

   Nonostante la necessità di costruire nuovi invasi sia condivisa da gestori dei consorzi e amministratori pubblici, il piano laghetti ha ricevuto anche alcune critiche. L’associazione ambientalista WWF ha scritto che «il proliferare di nuovi invasi e programmi d’intervento straordinari, dettati dall’emergenza, rischia di peggiorare la situazione aggravando il bilancio idrico complessivo degli ecosistemi e delle falde».

   La stessa posizione è sostenuta dal CIRF, Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale, un’associazione fondata da un gruppo di tecnici e professionisti interessati ad alimentare il dibattito sulla gestione sostenibile dei corsi d’acqua. In una nota pubblicata lo scorso anno, il CIRF sostiene che la costruzione degli invasi comprometta gli habitat naturali con effetti negativi per le piante e gli animali e che molta dell’acqua raccolta si disperda per effetto dell’evaporazione. Una delle alternative, sostiene l’associazione, è privilegiare coltivazioni che necessitano di meno acqua. (IL POST.IT, 1/3/2023, https://www.ilpost.it/)

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GLI AGRICOLTORI STAVOLTA VOGLIONO ARRIVARE PREPARATI ALLA SICCITÀ

da IL POST.IT, 8/2/2023, https://www.ilpost.it/

– Anche quest’estate l’acqua per irrigare i campi potrebbe essere poca, e si inizia a custodire quella che c’è –

   Dallo scorso autunno in molte regioni italiane, soprattutto al Nord, amministratori e agricoltori sono al lavoro per gestire l’acqua in modo più accorto rispetto allo scorso anno, quando la prolungata siccità causò molti danni: una parte consistente del raccolto andò persa e il basso livello dei fiumi impose limitazioni alla produzione di energia idroelettrica. Al di là dei problemi economici, le conseguenze dell’annata siccitosa erano state evidenti anche per l’ecosistema alpino con montagne aride, livello dei laghi bassissimo e fiumi in secca.

   Dai primi dati rilevati tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023 sembra che si stiano riproponendo le condizioni dello scorso anno, considerato eccezionale: è ancora presto per dire se la prossima estate sarà siccitosa come quella del 2022, perché molto dipende da quanto pioverà in primavera, ma in attesa di capirlo si sta usando l’esperienza accumulata per trovare rimedi almeno parziali.

   Tutte le analisi fatte nel mese di gennaio dicono che la quantità di pioggia caduta e di neve accumulata sulle montagne nelle ultime settimane non è sufficiente ad assicurare una consistente riserva di acqua, necessaria per ingrossare i fiumi e ricaricare le falde acquifere nei mesi primaverili. Le premesse sono molto simili, se non peggiori, all’andamento meteorologico di un anno fa, con un autunno molto siccitoso soprattutto nelle regioni del Nord Ovest.

   Secondo il rapporto più recente dell’ANBI, l’associazione nazionale bonifiche e irrigazioni, nelle prime settimane del 2023 la regione più arida è stata il Piemonte. A Torino il livello del fiume Po è stato inferiore del 46 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, che già era stato secco, mentre a Piacenza la portata del fiume ha raggiunto un nuovo minimo storico: 307 metri cubi di acqua al secondo contro i precedenti 333.

   ARPA Lombardia, l’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, ha segnalato un calo di molti indicatori rispetto alla media del periodo: al 29 gennaio le riserve di acqua in Lombardia erano di 1,7 milioni di metri cubi, il 44,5 per cento in meno rispetto alla media tra il 2006 e il 2020, il livello dei laghi era inferiore del 51,6 per cento, mentre sulle montagne il manto nevoso era solo il 46,2 per cento della media. Nei primi giorni di febbraio non c’è stato un miglioramento.

   Anche in Veneto la situazione è simile. A gennaio la portata del fiume Adige è stata del 22 per cento inferiore rispetto alla media tra il 2004 e il 2019. Anche altri fiumi, su tutti la Livenza, hanno raggiunto livelli tra i più bassi degli ultimi anni. Soltanto nel 1987 il lago di Garda aveva raggiunto un livello più basso dell’attuale nei mesi invernali. Nelle regioni del centro e del sud, invece, la situazione non è preoccupante grazie alla pioggia caduta nei mesi invernali.

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   La siccità è un problema soprattutto per l’agricoltura, settore che utilizza circa il 70 per cento di tutta l’acqua proveniente da fiumi, laghi e falde sotterranee sfruttata per le attività umane. Lo scorso anno la mancanza di acqua portata nei campi dai canali di irrigazione costrinse moltissimi agricoltori a scegliere quali coltivazioni irrigare e quali no, con conseguenze per raccolti, investimenti programmati e guadagni. Alcuni hanno commissionato lo scavo di nuovi pozzi, un’operazione molto costosa. Altri hanno cambiato le tecniche di irrigazione per sprecare meno acqua possibile, per esempio adottando la tecnologia dell’agricoltura di precisione.

   Già dall’autunno le associazioni degli agricoltori hanno chiesto ai consorzi di bonifica e alle regioni di gestire meglio l’acqua: in sostanza, la richiesta è di non rilasciare l’acqua in questo periodo per alimentare le centrali idroelettriche, ma di custodirla negli invasi, come i laghi, in vista di periodi critici per l’agricoltura. È stata una delle soluzioni messe in campo lo scorso anno in diverse regioni in primavera, quando ci si rese conto che la siccità sarebbe stata straordinaria: molta dell’acqua, tuttavia, era già stata rilasciata.

   Lo scorso giugno in provincia di Torino, per esempio, l’azienda energetica Iren rilasciò dalla diga di Ceresole una quantità di acqua sufficiente a superare il momento critico delle coltivazioni. «Ora apprendiamo che anche quest’anno Iren avrebbe intenzione di venire in soccorso alle coltivazioni nel caso non bastasse l’acqua normalmente captata dai consorzi irrigui», ha detto Bruno Mecca Cici, presidente di Coldiretti Torino. «Pensiamo che questo atteggiamento di attenzione per il mondo agricolo sia un esempio da seguire in tutto il territorio torinese visto che tutti i segnali ambientali ci dicono che la prossima estate potrebbe essere nuovamente calda e secca». Programmare il deflusso con un certo anticipo consente agli agricoltori di arrivare alla stagione estiva con più tranquillità.

   Anche in Lombardia la strategia è la stessa. Massimo Sertori, assessore regionale agli enti locali, alla montagna e alle risorse energetiche, ha chiesto a tutti i soggetti coinvolti nella gestione dell’acqua, specialmente alle aziende energetiche, di trattenerla il più possibile. I gestori degli invasi che alimentano le centrali idroelettriche non potranno rilasciare l’acqua, ma dovranno accumularla in vista dei prossimi mesi. «In questo momento, i soli interessi economici dei produttori elettrici devono stare in secondo piano», ha detto Sertori.

   Una delle aree più in difficoltà lo scorso anno fu la Lomellina, un territorio nella zona occidentale della provincia di Pavia, dove nella maggior parte dei campi viene coltivato il riso. Oltre a limitare la crescita del riso, la mancanza di acqua ha causato la crescita di erbe infestanti che hanno compromesso il raccolto: alcuni risicoltori sono stati costretti a rinunciare a più del 50 per cento della produzione.

   Per evitare di ripetere l’annata disastrosa, nel mese di gennaio molti agricoltori hanno lavorato come non avevano mai fatto in passato: hanno sommerso i terreni anche in inverno in modo che l’acqua, filtrando nel suolo, ricaricasse la falda. In questo modo ce ne sarà di più a disposizione in primavera. È un sistema molto impegnativo in uno dei pochi periodi dell’anno in cui gli agricoltori possono riposare. «I dati sono la fotocopia dello scorso anno», dice Alberto Lasagna, direttore di Confagricoltura Pavia. «Stavolta però il livello della falda è migliore proprio per via dell’azione volontaria di diversi agricoltori che hanno sommerso le risaie in inverno. Purtroppo è complicato trovare soluzioni più efficaci in meno di un anno».

   Una delle soluzioni a cui fa riferimento Lasagna è la realizzazione di nuovi invasi per custodire l’acqua. Se ne discute da anni, senza che siano stati decisi investimenti significativi. La Coldiretti, associazione di categoria degli agricoltori italiani, ha studiato e proposto un progetto in collaborazione con l’ANBI per la costruzione di una rete di piccoli invasi diffusi sul territorio, con un basso impatto sul paesaggio e sull’ambiente perché recuperano strutture già esistenti.

   Al momento, nonostante i fondi messi a disposizione dal PNRR, il piano nazionale di ripresa e resilienza, ne sono stati realizzati pochissimi. Massimo Gargano, direttore generale dell’ANBI, ha detto che sono stati approvati 223 progetti esecutivi: l’obiettivo iniziale, e a questo punto irrealizzabile, era di costruirne 10mila entro il 2030 con un investimento di 3,2 miliardi di euro. «Alcuni sono anche stati già realizzati e inaugurati, ma stiamo parlando di poco più del 2 per cento del nostro piano», ha spiegato Gargano al Sole 24 Ore in riferimento ai 223 progetti avviati.

   Anche in Veneto, una delle regioni in cui la situazione sembra essere più critica, il piano di realizzazione degli invasi stenta a partire nonostante le allerte diffuse lo scorso anno. La scorsa settimana, durante un’audizione dei consorzi di bonifica nella commissione consiliare che si occupa del tema, il direttore generale di ANBI Veneto, Andrea Crestani, ha detto che se in primavera non pioverà si dovranno valutare limitazioni alla distribuzione di acqua potabile: «Ovviamente speriamo che piova abbondantemente questa primavera, ma le falde sono al limite, gli invasi per l’agricoltura non basteranno. Mi rendo conto che questa sarà una decisione difficile, ma dobbiamo capire che arriviamo alla prossima stagione calda con i serbatoi vuoti». (da IL POST.IT, 8/2/2023, https://www.ilpost.it/)

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PER CHI HA L’ORTO……

SICCITÀ, COSA FARE. 10 STRATEGIE DA APPLICARE SUBITO

di Francesca Della Giovampaola, da https://www.boscodiogigia.it/, 14/2/2023

   La crisi idrica, la siccità, era in agguato da tempo. Le scarse piogge invernali e primaverili avevano fatto presagire da tempo che l’estate 2022 sarebbe stata critica. Purtroppo le previsioni non sono state smentite e ci troviamo a fine giugno a vivere una situazione molto difficile, con razionamenti e divieti di irrigazione in alcune regioni per preservare le riserve d’acqua. I primi provvedimenti per risparmiare acqua riguardano proprio gli orti, ovvero la produzione di cibo. C’è da chiedersi se sia la strada giusta, viste le minacce che incombono anche sulle forniture alimentari.

COSA FARE PER AFFRONTARE LA SICCITÀ: 10 STRATEGIE

Il suggerimento che mi sento di dare per le coltivazioni è quello di cogliere l’opportunità della crisi per mettere in atto tutte le strategie possibili per limitare al massimo il consumo di acqua e portare comunque a casa un raccolto. In attesa che si mettano in campo provvedimenti più sostanziali per favorire il ciclo naturale dell’acqua, come la tutela e il ripristino delle foreste. Ecco un elenco di dieci consigli da mettere in pratica subito per un orto produttivo anche con la siccità. 

   Ricordiamo che non è la pioggia a far crescere gli alberi, ma sono gli alberi a creare la pioggia, come ci ricordano queste parole di Fukuoka:

“È stato in un deserto americano che improvvisamente mi sono accorto che la pioggia non cade dal cielo, ma viene dalla terra. La formazione dei deserti non è dovuta alla mancanza di pioggia, ma la pioggia smette di cadere perché la vegetazione è scomparsa”. Masanobu Fukuoka

1- Controllare l’umidità del suolo prima e dopo l’annaffiatura
Per prima cosa impariamo a non usare una goccia in più dell’acqua necessaria. Quando l’acqua è abbondante capita anche di sbagliare in eccesso, ovvero di dare agli ortaggi più acqua di quanta ne serva. Per far sta bene le piante non serve la terra zuppa, tutt’altro. Serve il giusto grado di umidità e, inoltre, con troppa acqua, le radici non sono stimolate a crescere e le piante resteranno totalmente dipendenti da irrigazioni continue. Quindi, prima di aprire gli irrigatori o prendere l’innaffiatoio, mettiamo un dito nella terra e sentiamo come sta. Se dopo i primi centimetri sentiamo umidità, non ci sarà bisogno di annaffiare. Dopo aver annaffiato, poi, facciamo un altro controllo. Se la terra è umida solo nei primi tre centimetri e non è bagnata più in basso, l’irrigazione non è stata sufficiente o il nostro suolo non è nelle condizioni migliori per assorbire H2O. 

2- Non annaffiare tutte le piante nello stesso modo

L’orto non è tutto uguale. Ci sono ortaggi che hanno più bisogno di acqua e altri molto bravi a cavarsela senza irrigazione. Usiamo questa preziosa risorsa solo dove e quando serve. Va tenuto conto anche della fase di crescita in cui si trovano le piante. L’aglio in estate per esempio, deve asciugarsi e innaffiandolo faremmo solo danno. I pomodori non hanno bisogno di molta acqua e in fase di maturazione evitiamo di annacquarli, ne rovinerebbero anche il sapore. 

3- Aumentare la materia organica nell’orto

La presenza di materia organica fa diventare la terra una spugna per l’acqua capace di ottimizzare la pioggia scarsa, le irrigazioni e anche la condensa notturna. Se serve, quindi, aggiungiamo compost o letame maturo in superficie, che nutrirà anche le piante in crescita. Non c’è riserva d’acqua più capiente della terra stessa, quando abbiamo una terra ricca di materia organica il fabbisogno di irrigazioni si riduce, anche fino ad annullarsi. (L’1% di sostanza organica di un terreno di un ettaro, accumula circa 80.000 litri di acqua)

4- Controllare che la pacciamatura sia sufficiente

La pacciamatura, ovvero la copertura del suolo, è la strategia numero uno del risparmio idrico ed ha anche altre funzioni, tra cui la protezione dall’eccesso di caldo che può arrivare a danneggiare le radici. Se non piove e fa molto caldo accertiamoci che la pacciamatura sia abbastanza spessa, anche 20 centimetri. Ci sorprenderà quanta umidità in più il suolo sarà in grado di conservare.

5- Stendere dei teli ombreggianti 

Le piante, come noi, usano la traspirazione per mantenere nei tessuti una temperatura compatibile con i processi vitali, sudano anche loro! Più fa caldo, più avranno bisogno di acqua. Inoltre il gran caldo spinge le piante a bloccare la fotosintesi e quindi la crescita. Se riusciamo a garantire, nei mesi  e negli orari più caldi, un po’ d’ombra risparmieremo acqua e avremo piante più vitali e sane. Anche le piante che amano il sole, come le solanacee (pomodori, peperoni, melanzane) saranno felici di avere un po’ di tregua dal caldo torrido. Con i teli ombreggianti possiamo creare strutture di vario tipo, da adattare al modificarsi delle condizioni climatiche. I teli ombreggianti posti sopra alle colture le difendono anche da eventi meteorologici aggressivi per i vegetali come acquazzoni e grandinate. Abbiamo parlato dei teli ombreggianti e di come usarli anche nell’articolo sull’orto di giugno.

Sui teli ombreggianti abbiamo preparato un video approfondito con tutti i pro e i contro, e su come installare queste coperture . Qui trovi il video sui teli ombreggianti per orto.

6- Proteggere le radici delle piante in vaso

Se le nostre colture sono in vaso è il caso di proteggere le radici dal caldo, soprattutto se i materiali di cui è fatto il contenitore non garantiscono un buon isolamento. Un metodo di intervento veloce è quello di inserire il vaso di coltura dentro un vaso più grande e riempire lo spazio tra i due con un materiale coibentante, come paglia o fieno. 

7- Alzarsi presto la mattina per annaffiare

L’orario migliore per dare acqua alle piante è la mattina molto presto, per varie ragioni. Le piante hanno bisogno di acqua per la fotosintesi e gli altri processi vitali, è perciò necessario che sia disponibile appena il sole sorge e il lavoro comincia. Inoltre la mattina la terra è più fresca e l’arrivo dell’acqua non crea stress termici. La sera e la notte sono, in alternativa, gli altri momenti giusti per irrigare, ma quando la terra è calda c’è una maggiore evaporazione, perciò si spreca più acqua. Nelle ore diurne e soleggiate vanno evitate le irrigazioni. 

8- Smettere di annaffiare a pioggia 

Non bagnare mai le foglie è una buona regola, per non sprecare acqua e anche per limitare il rischio di alcune malattie, come quelle fungine. Anche se non si dispone di un sistema di irrigazione a goccia, ricordiamo di distribuire l’acqua vicino al suolo. Tra i vantaggi anche quello di ridurre il compattamento della terra. Usiamo sistemi che ci permettano di dividere il getto in modo da farlo assomigliare alla pioggia e concentriamo l’irrigazione in zona radici, senza disperderla in tutto lo spazio del bancale coltivato. Questo metodo serve anche a limitare la crescita delle erbe spontanee.

9- Usare un contenitore per avere acqua a temperatura ambiente

Se si utilizza acqua del pozzo è buona regola non distribuirla prima di averla fatta decantare un po’ in un contenitore fuori terra, così che la sua temperatura possa avvicinarsi a quella ambiente. Alle piante non fanno bene gli shock termici, esattamente come a noi. Se il contenitore si trova rialzato sul livello del suolo, potremo irrigare per caduta, risparmiando energia e facendo scendere l’acqua più dolcemente. La terra ha bisogno di tempo per assorbire acqua e più la distribuiamo lentamente, meno sprechi avremo. 

10- Creare riserve d’acqua con oggetti riciclati 

Bottiglie di plastica usate e altri contenitori usa e getta possono essere utilizzati come piccole riserve di acqua da interrare a poca distanza dalle piantine da irrigare. Riempiremo i contenitori bucati e lasceremo che l’acqua si distribuisca gradualmente sulla terra, a disposizione delle piante. Calibrando i fori di uscita possiamo anche ottenere dei piccoli irrigatori che distribuiscono acqua nel tempo, così da garantire qualche giorno di autonomia alle piante. Per questi sistemi vedi l’articolo come innaffiare le piante quando si va in vacanza.

(Francesca Della Giovampaola, da https://www.boscodiogigia.it/, 14/2/2023)

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