CHE FARE dei SUOLI AGRICOLI, e delle TERRE ABBANDONATE? – QUALI LAVORI economicamente produttivi ci possono essere nell’UTILIZZO VIRTUOSO DI TERRE, BOSCHI, e LUOGHI ora IN ABBANDONO? – E del nuovo valore dei prodotti agroalimentari, dell’energia pulita ricavata dall’utilizzo del suolo, della conservazione delle risorse naturalistiche (in primis l’acqua)?

OTTO METRI QUADRATI DI CEMENTIFICAZIONE AL SECONDO NEGLI ULTIMI CINQUE ANNI: QUESTO IL RITMO DEL CONSUMO DI SUOLO che si viene ad avere in Italia. Questo dato emerge dagli STUDI dell’ISTITUTO SUPERIORE PER LA PROTEZIONE E LA RICERCA AMBIENTALE (ISPRA) che ricostruiscono l’ANDAMENTO del CONSUMO DI SUOLO IN ITALIA DAL 1956 AL 2010. Questa cementificazione si compie A DANNO DEI PIÙ PREZIOSI SUOLI AGRICOLI (PIANURA PADANA E CAMPANIA in primis), COLPENDO AL CUORE L’AGRICOLTURA DI QUALITÀ, coprendo i suoli con una spessa coltre di cemento - (IMMAGINE GRAFICO DELL'ISPRA, ripreso da "il Gazzettinio.it" del 6/2/2013)
OTTO METRI QUADRATI DI CEMENTIFICAZIONE AL SECONDO NEGLI ULTIMI CINQUE ANNI: QUESTO IL RITMO DEL CONSUMO DI SUOLO che si viene ad avere in Italia. Questo dato emerge dagli STUDI dell’ISTITUTO SUPERIORE PER LA PROTEZIONE E LA RICERCA AMBIENTALE (ISPRA) che ricostruiscono l’ANDAMENTO del CONSUMO DI SUOLO IN ITALIA DAL 1956 AL 2010. Questa cementificazione si compie A DANNO DEI PIÙ PREZIOSI SUOLI AGRICOLI (PIANURA PADANA E CAMPANIA in primis), COLPENDO AL CUORE L’AGRICOLTURA DI QUALITÀ, coprendo i suoli con una spessa coltre di cemento – (IMMAGINE GRAFICO DELL’ISPRA, ripreso da “il Gazzettinio.it” del 6/2/2013)

   C’è in preparazione un convegno sui temi dell’agricoltura e in particolare sull’uso del suolo, da tenersi a Rovigo il prossimo 16 marzo 2013, che a noi pare molto importante e “strategico” per definire un programma serio di cose da fare concretamente per una svolta, un modo nuovo di rapportarsi al territorio non urbanizzato, per quel che resta appunto di luoghi “integri”, non compromessi dal cemento (e ce ne sono, nonostante tutto, ancora molti).

   Allo stato attuale non sappiamo se questo convegno andrà in porto, cioè si realizzerà. Però i temi strategici che vorrebbe trattare interessano molto anche a noi di “Geograficamente”, e ne parliamo spesso in questo blog.

   Già nel titolo proposto c’è la “mission” dell’incontro, cioè quel che si vuol trattare: “Corsa alla terra (anche) in Italia? Alla ricerca di cibo, acqua ed energia nell’era della scarsità”. Il convegno (ne daremo conto in questo blog degli sviluppi) è voluto e organizzato da: la Banca Popolare Etica, l’Università di Trieste (con il suo Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali), la Fondazione Culturale Responsabilità Etica, la Provincia di Rovigo e la rivista online “Agriregionieuropa”.

   Mai come in quest’epoca la terra, il suolo, i paesaggi che appaiono, o sono stati devastati o sono in pericolo. E parliamo di realtà regionali (di aree di bassa o alta pianura, pedemontane, di mezza montagna e montagna, costieri marini o lagunari…) e di realtà mondiali, “lontane”: come il fenomeno nei paesi poveri del sud del mondo (Africa, America Latina…) di accaparramento da parte di ristretti e potentissimi gruppi privati di territori a grande estensione: la cosiddetta “land grabbing”; con la delocalizzazione di imprese agricole e agroindustriali in questi territori quasi sempre gestiti in mera funzione di resa produttiva capitalstica incentivando la monocoltura e la colonizzazione umana dei luoghi da parte di questi proprietari venuti da lontano.

   Situazioni complesse e diversificate, micro e macro, regionali-locali e globali-mondiali. I temi e le bozze del convegno che vengono proposti e sono in fase di lavorazione, di sintesi (li trovate qui: http://www.lscmt.units.it/osti/terra/Landgrabbing.htm )

sciorinano molte problematiche, perlopiù negative sul consumo di territori, ma anche qualche elemento positivo, di azione meritoria nell’uso della terra, del suolo. Il cambio di destinazione d’uso del terreno agricolo dalla produzione alimentare umana e animale a colture dedicate per le biomasse e per i pannelli fotovoltaici; i progetti infrastrutturali che occupano molta terra; in periodo di crisi finanziaria la corsa alla terra come bene rifugio; il ritorno alla terra di varie categorie sociali.. giovani, disoccupati, migranti di ritorno; la rinaturalizzazione di alcune parti delle città (orti, canali, ….) o di ex aree industriali o, ancora, di terreni agricoli periurbani degradati; la ricerca di campi dove smaltire materiale di risulta di depuratori, compostatori, allevamenti intensivi, impianti biogas…… Sono solo alcuni temi che appaiono nella prima bozza di proposta di materiali e discussioni per il convegno che le associazioni che sopra abbiamo citato propongono per il 16 marzo prossimo a Rovigo.

   Da parte nostra troviamo tutto questo strategico per il futuro di tutti i luoghi (e il nostro futuro, dei nostri figli, delle future generazioni…) ed assai interessante. Fermo restando che serve più che mai uno sforzo (di questi tempi dove si necessità di individuare linee concrete di cambiamento), per stilare una lista di cose fattibili, concrete, possibili, per ridare una spinta propulsiva a un nuovo approccio alla terra, all’agricoltura, ai beni prodotti ad uso alimentare (ma anche ad altri fini, come quello energetico), allo stop all’inquinamento e consumo del territorio. Inaccettabile ad esempio appare che oggi il consumo di territorio si sia un po’ fermato (poco) per motivi non di decisione politica, culturale, ambientale… ma solo perché c’è la crisi economica che blocca l’edilizia di espansione in nuovo spazi vergini, le infrastrutture impattanti, etc.  Quando mai la conservazione virtuosa del suolo potrà avvenire per scelta responsabile e non per contingenza economica?

   Però è anche vero che forse questa “fermata” di uno sviluppo rovinoso (una “fermata” in ogni caso moderata: se si può si continua…) potrebbe essere una importante e interessante opportunità per capire finalmente che ogni ripresa “vera” economica e di benessere passa per una nuova gestione e atteggiamento nei confronti del “bene” rappresentato dal suolo agricolo, non ancora urbanizzato.

ACQUISTO IN COOPERATIVA DI BOSCHI: VEDI IL SITO http://www.boschiuniti.it/
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   La terra come progetto di recupero dall’abbandono là dove è avvenuto in questi ultimi decenni (emblematico nel nord-est italiano è la “mezza montagna”, quelli estesi luoghi che stanno tra la pianura e pedemontana, e la montagna “turistica”). La terra come possibilità di lavoro e reddito (un ritorno alla terra, in modo nuovo rispetto a quello del contadino di decenni fa). La terra come ambiente e paesaggio da conservare o recuperare. La terra come produttrice di cibo non inquinato: le frontiere da allargare dell’agricoltura biologica o biodinamica.

   Su tutte forse è necessario puntare su un nuovo ruolo di chi lavora, opera, sulla terra, a contatto con essa: il contadino “nuovo” diventa necessariamente un operatore ambientale, tecnico, scientifico, culturale, storico… cioè dev’essere in grado di conoscere e gestire buona parte della filiera dei prodotti agricoli (dalla terra alla tavola); deve percepire ed essere in grado di gestire nuovi possibili utilizzi sia economicamente che ecologicamente interessanti delle terre abbandonate e/o scarsamente fertili (o difficili da lavorare, come i suoli in pendio e i terrazzamenti in disuso). Prospettare i possibili nuovi prodotti agroalimentari da iniziare (perché c’è una domanda, c’è un mercato…). Oppure prevedere la ricostruzione di boschi planiziali (esistenti trecento anni fa…) per la produzione di cippato (cioè legno triturato da usare come fonte energetica)….

   Una capacità dell’agricoltore di mettersi in gioco su queste nuove innovazione, nuove prospettive economiche… accompagnato e aiutato dalla “politica”, dalle istituzioni che “creano il mercato” su certi prodotti, di modo che si sviluppi “l’offerta” (ad esempio incentivando in tutti gli edifici pubblici caldaie a cippato, legno da ardere… oppure nelle mense scolastiche optando per prodotti agroalimentari biologici locali… con agevolazioni fiscali per tutti i rivenditori con prodotti agroalimentari a chilometro zero…). Insomma su tutto e sulla miriade di necessità e proposte concrete da realizzarsi, appare evidente che la nuova èra sociale, culturale, economica “post-crisi” avrà come scommessa da vincere un nuovo concreto atteggiamento nei confronti, della terra, del suolo agricolo; e del recupero virtuoso di ogni territorio ora in abbandono. (sm)

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LA RIVOLUZIONE DEL CIBO – INTERVISTA A CARLO PETRINI (FONDATORE DI SLOW FOOD)

di Francesco Mele, da “L’Unità” del 20/11/2012

– “Dietro quello che portiamo a tavola c’è un mondo e un nuovo modello di sviluppo” –

   «C’è chi vuole curare il malato usando gli stessi mezzi che hanno causato la malattia». Carlo Petrini, fondatore e presidente di Slow Food, guarda a quel che succede nel mondo ed è sempre più convinto che la crisi che stiamo attraversando sia più «profonda» di quel che si immagina perché non è soltanto economica. «È giunto il tempo di nuovi paradigmi», dice pensando a uno stile di vita che metta al suo centro la tutela dei beni comuni. «Se la politica non se ne rende conto non farà molta strada», avverte.
Allora, Petrini quali sono i segnali di questa crisi che rendono evidente la necessità di cambiare il nostro modello di sviluppo?
«Se vogliamo cominciare dalla crisi che ci attanaglia – e questa mi sembra un segnale più che evidente – possiamo dire che in realtà si tratta di una crisi strutturale, entropica direbbero gli esperti, dalla quale non si torna più indietro senza mettere in atto cambiamenti radicali. Le crisi economiche e finanziarie a cui ci eravamo abituati fino a pochi anni fa erano cicliche, in qualche maniera si risolvevano con il tempo e il normale andamento altalenante dell’economia. Ma oggi questa crisi è più profonda, e non è soltanto economica. Se la guardiamo da un punto di vista mondiale essa è anche climatica, ecologica, energetica, alimentare. Se la guardiamo da un punto di vista culturale è anche una crisi di valori, spesso sacrificati in nome del libero mercato e dell’omologazione industriale.
Mentre se mettiamo le lenti della politica risulta evidente che le classi dirigenti non sembrano più avere le idee tanto chiare su come affrontare il futuro e superare questa fase abbastanza drammatica. Questo perché c’è una classe politica che per ora non si sta dimostrando disponibile al cambiamento, e s’incaponisce a cercare di curare il malato con gli stessi mezzi che hanno causato la malattia. È come portare un diabetico in pasticceria e sperare che così guarisca. Invece è giunto il tempo di nuovi paradigmi, di cogliere la crisi come un’opportunità per rivedere alcune nostre priorità e per attuare un profondo mutamento che sia propedeutico anche a un nuovo umanesimo. Una rinascita vera».
Si sente parlare molto della necessità di tornare a crescere. Non sarebbe il caso di discutere,non solo in Italia, di quali debbano essere i criteri di questa crescita?
«Tutti parlano di crescita per superare la crisi. Tutti parlano di riprendere i consumi, di crescita del Pil, degli indicatori economici classici a colpi di punti percentuali. Purtroppo non si rendono conto che quest’era è già finita, che questi indicatori non ci parlano di vera crescita umana e sociale, anche economica. “Quando tutto deve ricominciare, tutto è già ricominciato”: è ciò che sostiene a ragione Edgar Morin, una delle menti più lucide della nostra contemporaneità. Infatti, mentre si parla e straparla di crescita economica vecchio stile ci sono ampi strati di popolazione mondiale, Italia inclusa, che stanno mettendo a fuoco i nuovi paradigmi: evitano gli sprechi, riusano, riciclano, risparmiano energia o attingono a fonti rinnovabili, riscoprono i vecchi saperi in ottica moderna, fanno economia locale e risvegliano il senso di comunità e di democrazia partecipata. I nuovi paradigmi stanno arrivando dal basso, e se il mondo politico non sarà abbastanza lungimirante da coglierli, e non soltanto per conquistare strumentalmente dei voti, si ritroverà ampiamente superato prima che se ne renda conto».
Certo, l’idea di un nuovo modello di sviluppo è già presente in numerose iniziative, anche nel nostro Paese. Slow Food ne è un esempio concreto da molti anni. Ma cosa potrebbe fare la politica, secondo lei, per favorire questa transizione?
«Sarebbe positivo, per esempio, se si cogliesse la portata politica – e parlo soltanto di ciò che mi è più vicino – di iniziative come Terra Madre, come un Salone del Gusto che ci ha parlato di buone pratiche, di nuovi modelli di sviluppo in agricoltura e lungo tutta la filiera alimentare. Sarebbe bello se si guardasse con maggiore attenzione alle migliaia di comunità che in Italia e nel mondo stanno davvero facendo qualcosa di concreto e d’importante. E non c’è solo Slow Food: sono tanti i soggetti che lavorano per mutare profondamente il quadro futuro a partire dal nostro quotidiano, dalle scelte che facciamo ogni giorno, come per esempio comprare del cibo. Ma tutto ciò è ritenuto marginale nel dibattito politico, quasi che occuparsi di cibo, agricoltura, ambiente, paesaggio, suoli, debba per forza essere un fattore accessorio. Invece, limitandoci a questi cinque elementi, stiamo parlando del più grande tesoro su cui siamo seduti in Italia. E senza un approccio nuovo, che veda le connessioni nascoste tra i vari comparti e temi, che ponga le basi per la tutela dei nostri beni comuni, questa preziosissima opera per ora è lasciata in mano alla società civile, che ha da tempo superato in capacità concreta di azioni qualsiasi macchina politica ufficiale. Credo che questo sia sotto gli occhi di tutti».
Perché proprio il cibo dovrebbe essere uno dei motori di un nuovo modello di sviluppo?
«Perché legati al cibo ci sono tutti gli elementi che possono rendere la nostra vita migliore. Parlando di cibo e usandolo come motore di sviluppo si può incidere sull’ecologia e sulla sicurezza dei nostri territori, sul mantenimento del paesaggio che attrae turisti e ci fa vivere meglio, sull’economia reale delle comunità che possono essere più prospere, sulla qualità della vita in città dove non è impossibile trovare cibo di prossimità. Dando la giusta importanza al cibo, attraverso una conoscenza non superficiale, si può riscattare la condizione degli agricoltori italiani, si può fare vera cultura, si può usare la memoria per imparare il futuro, si può agire sulla salute pubblica degli italiani. Tutte cose delle quali ci sarebbero anche persone deputate a occuparsene, ma pochi capiscono tutte le connessioni dirette e indirette con il cibo. Ecco, allora ribaltiamo lo sguardo e partiamo dal cibo, mettiamo prima al centro il cibo e sono convinto che tanto del resto verrà da sé, quasi in maniera naturale».
Bersani aveva proposto un ministero dello Sviluppo Sostenibile che mettesse insieme quello dello sviluppo e quello dell’ambiente. Può essere un buon punto di partenza per il prossimo governo? Si possono immaginare altre proposte che vadano nella stessa direzione?
Una nuova politica del cibo ci deve incoraggiare ad adottare una visione multidisciplinare, e lo stesso approccio dovrebbe replicarsi per altri temi centrali. Ogni tanto ci ritroviamo con ministeri diversi che prendono decisioni inconciliabili tra di loro, che si bloccano a vicenda, che inficiano le potenzialità di nuove norme proposte da qualche dicastero. Anche senza farlo apposta. È un paradosso tipico di chi non concepisce nulla senza passare per le specializzazioni e il riduzionismo, un modo di pensare che trovo obsoleto per questi tempi. È da anni che con Slow Food proponiamo di istituire un Ministero dell’Alimentazione, con competenze agricole e forestali, educative, energetiche, ambientali, economiche e commerciali. Sarebbe un nuovo modo di affrontare il governo del Paese: c’è chi pensa che forse sia troppo presto, speriamo che tra un po’ non sia troppo tardi. (Francesco Mele)

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PROPOSTA PER UN CONVEGNO su

“Corsa alla terra verso le aree fragili dell’Italia? Alla ricerca di cibo, acqua ed energia nell’era della scarsità” (Rovigo, 16 marzo 2013) 

   Negli ultimi anni il tema del “landgrabbing” ha acquisito una rilevanza crescente, a causa delle sue spesso devastanti conseguenze ambientali e sociali. Tale fenomeno si sta manifestando anche in Italia? Vi è, nelle zone più marginali del nostro Paese, una corsa alla terra, ossia una nuova e più vigorosa richiesta di terra per una varietà di usi?

   Sembra di assistere, infatti, ad una corsa alla terra animata da un coacervo di spinte positive e negative. Ricerca di terra per coltivare piante dedicate alla produzione di energia oppure per sviluppare le infrastrutture. Attenzione alla terra nei progetti di riconversione al biologico oppure ambigue richieste di terreni per smaltire sottoprodotti della depurazione.

   Tentativi di creare un azionariato collettivo/diffuso della terra con lo scopo di ricavarne comunque un utile oppure uno strisciante processo di concentrazione della proprietà nelle mani di grandi proprietari se non addirittura di multinazionali.

   Necessità di terreni agricoli per i bacini di laminazione in caso di piene o per essere riempiti d’acqua a scopo idroelettrico. Riconversioni a bosco amate e odiate allo stesso tempo.

   Qualunque sia il fine di questa corsa alla terra, non avviene per motivazioni romantiche o bucoliche, ma riguarda i beni essenziali per la nostra sopravvivenza, in particolare cibo, acqua ed energia. Si tratta di beni che l’Italia in buona misura importa da varie parti del mondo, ma che potrebbero essere ricercati sempre più sul territorio nazionale a causa di una crescente scarsità generale.

   Da ciò anche la spinta a rivalorizzare terreni semiabbandonati o pensati come risorse preziose da conservare per le generazioni future.

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Sono in gioco almeno quattro macrofenomeni: le tradizionali spinte interne al mondo agricolo volte a razionalizzare la produzione; le mai sopite richieste di suolo per infrastrutture, smaltimento rifiuti, urbanizzazioni; le più innovative richieste di suolo per fini conservativi, sociali e ricreativi; le nuove forme di investimento e proprietà sovra individuale su terreni e boschi. Sono incluse le superfici coperte o copribili dall’acqua e quelle adibite a scopi energetici (comprese le fonti rinnovabili

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 L’originalità della corsa alla terra in un contesto come quello italiano, segnato da squilibri territoriali e da valorizzazioni storiche – strade antiche o aree agricole specializzate, per esempio – consiste nel fatto che sta avvenendo in forma apparentemente leggera, senza un sistema di regole e con esiti ambivalenti. Queste tendenze vanno inquadrate nella prospettiva di una futura scarsità di cibo, acqua ed energia suscitando la seguente domanda: quanto della corsa alla terra in Italia tiene conto delle nuove scarsità? Vi sono in conclusione tre elementi da considerare nell’illustrazione di casi emblematici: la valorizzazione economica, sociale e ambientale dei terreni, l’occasione per rivedere gli assetti proprietari privati, pubblici e collettivi della terra, la percezione del rischio di scarsità di prodotti e servizi ricavati in un modo o in un altro dalla terra.

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Vedi tutto il testo di proposta in:

http://www.lscmt.units.it/osti/terra/Landgrabbing.htm

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OGNI SECONDO IL CEMENTO DIVORA 8 METRI QUADRI D’ITALIA

di Salvatore Settis, da “la Repubblica” del 8/2/2013

   Otto metri quadrati al secondo, per ciascun secondo degli ultimi cinque anni: questo il ritmo del forsennato consumo di suolo che sta consumando l’Italia.

   Questo dato, che colpisce come una mazzata, emerge dagli studi dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) che ricostruiscono l’andamento del consumo di suolo in Italia dal 1956 al 2010.

   Siamo passati da un consumo di suolo di 8.000 kmq nel 1956 a oltre 20.500 kmq nel 2010, come dire che nel 1956 ogni italiano aveva perso 170 mq, nel 2010 la cifra è salita a 340 mq pro capite. Tra i divoratori di suolo trionfa la Lombardia, seguita dal Veneto e dal Lazio.

   Cifre impressionanti, che trascinano l’Italia fuori dall’Europa, dove il consumo medio del suolo è del 2,8%, a fronte di un devastante 6,9 % per il nostro martoriato Paese. È come se ogni anno si costruissero due o tre città nuove, delle dimensioni di Milano e di Firenze, e questo in un Paese a incremento demografico zero.
Dimensioni e natura del disastro non si colgono appieno senza un dato ulteriore: questa dissennata cementificazione si compie a danno dei più preziosi suoli agricoli (pianura padana, Campania un tempo felix, cioè feconda), colpendo al cuore l’agricoltura di qualità, coprendo i suoli con una spessa coltre di cemento (soil sealing)
con perdita irreversibile delle funzioni ecologiche di sistema e fragilizzazione del territorio: cresce così la probabilità di frane e alluvioni, se ne rendono più gravi gli effetti. La morfologia del territorio italiano lo rende esposto a terremoti, eruzioni vulcaniche,alluvioni e altre calamità,il cui impatto cresce quando si alterano i già precari equilibri naturali.
Per chi dunque costruiamo, e perché? Da cinquant’anni trova credito in Italia la menzogna secondo cui l’edilizia (comprese le “grandi opere” pubbliche) sarebbe uno dei principali motori dell’economia. È per questo che si sono succeduti, da Craxi a Berlusconi, irresponsabili condoni dei reati contro il paesaggio.

   In nome di una cultura arcaica, l’investimento “nel mattone” continua ad attrarre investimenti, anche per “lavare” il denaro sporco delle mafie, stabilizzandolo nella rendita fondiaria. Sfugge a politici e imprenditori che la presente crisi economica nasce proprio dalla “bolla immobiliare” americana. Peggio, essi si tappano gli occhi per non vedere che la crisi che attanaglia l’Italia è dovuta, anche, alla mancanza di investimenti produttivi e di capacità di formazione. Si utilizza, invece, il nostro suolo come se fosse una risorsa passiva, una cava da fruttare spolpandola fino all’osso.
Che questo accada nel Paese che per primo al mondo ha posto la tutela del paesaggio fra i principi fondamentali dello Stato (articolo 9 della Costituzione) è un paradosso su cui riflettere. Se agli altissimi principi costituzionali corrispondono pessime pratiche quotidiane, è prima di tutto perché al boom postbellico, con la sua fame di benessere, non è corrisposta una crescita culturale (né mai vi sarà finché la scuola pubblica viene trattata come un fastidioso optional, secondo la filosofia delle destre).

   Ma è anche per il peccato d’origine della normativa prebellica: alla legge Bottai sulla tutela del paesaggio (1939) seguì infatti la legge urbanistica del 1942, ma non fu creato fra le due il necessario raccordo, quasi che fosse possibile chiedere alle Soprintendenze di tutelare un paesaggio senza città, ai Comuni di gestire città senza paesaggio.

   La Costituzione radicalizzò il contrasto, ponendo le competenze sul paesaggio in capo allo Stato e quelle sul territorio e l’urbanistica in capo alle Regioni (che di solito sub-delegano i Comuni), con una giungla di conflitti di competenza che coinvolge i ministeri dei Beni Culturali, dell’Ambiente e dell’Agricoltura, ma anche regioni, province e comuni. È negli interstizi di questa normativa deficitaria e barcollante che si insediano gli speculatori senza scrupoli, i divoratori del suolo, i nemici del pubblico bene.
Interrompere queste pratiche stolte, si sente ripetere, è impossibile perché vanno protette la manodopera e le imprese. Non è vero. Di lavoro per imprese e operai ve ne sarebbe di più e non di meno se solo si decidesse di dare priorità assoluta alla messa insicurezza del territorio (il recente rapporto congiunto dell’Associazione nazionale costruttori edili e del Cresme-Centro di ricerche economiche e di mercato dell’edilizia fornisce dati impressionanti su necessità e inadempienze in merito).

   Se si decidesse di dare priorità al recupero degli edifici abbandonati, di abbattere gli orrori che assediano le nostre periferie sostituendoli con una nuova edilizia di qualità anziché catapultare grattacieli nel bel mezzo dei centri storici. Se si verificassero i dati sulle proiezioni di crescita demografica prima di autorizzare nuove edificazioni. È falso che vi siano da una parte i“modernizzatori” che cementificano all’impazzata e dall’altra i “conservatori” che non costruirebbero più una casa e condannerebbero alla disoccupazione gli operai. La vera lotta è un’altra: fra chi vuole uno sviluppo in armonia con il bene pubblico e la Costituzione, e chi vede nel suolo italiano solo una risorsa da saccheggiare a proprio vantaggio. (Salvatore Settis)

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VENETO MANGIATO DAL CEMENTO: SECONDA REGIONE PER SUOLO CONSUMATO, DOPO LA LOMBARDIA

– dal 1983 al 2006, persi 331,59 chilometri quadrati di terreno (l’1,8% del totale). A Venezia spariti 7.000 ettari in 13 anni –

di Marco Gasparin, da “il Gazzettino” del 6/2/2013

VENEZIA – Il Veneto finisce ancora una volta sul podio, ma in questo caso la medaglia non è di quelle che fanno sorridere dato che si parla di cementificazione del territorio. L’indagine dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) sul consumo del suolo in Italia vede il Veneto al secondo posto alle spalle della Lombardia (viene stimato l’8,5-10,5% di suolo consumato contro il 9-12%), prima di Lazio ed Emilia Romagna (terze con 7,5-9%). Solo altre sue regioni superano la soglia dell’8%: Campania e Puglia. Più in basso il Friuli Venezia Giulia con 4,5-7,5%).
Un quadro molto cambiato dalla fotografia fatta nel 1956, quando la graduatoria delle regioni più cementificate vedeva in testa la Liguria, che superava di poco la Lombardia con quasi il 5% di territorio consumato, distaccando tutte le altre. Il lavoro analizza i valori relativi alla quota di superficie “consumata”, incluse aree edificate, coperture del suolo artificiali (cave, discariche e cantieri) e tutte le aree impermeabilizzate, non necessariamente urbane (infrastrutture). Sono escluse, invece, le aree urbane non coperte da cemento e non impermeabilizzate.

   Negli ultimi anni il consumo di suolo in Italia è cresciuto ad una media di 8 metri quadrati al secondo. Come dire che ogni anno viene cementificata una superficie pari alla somma dei comuni di Milano e Firenze. In termini assoluti, l’Italia è passata da poco più di 8mila chilometri quadrati di consumo di suolo del 1956 ad oltre 20.500 nel 2010, un aumento che – sostiene lo studio Ispra – non si può spiegare solo con la crescita demografica: se nel 1956 erano irreversibilmente persi 170 metri quadrati per ogni italiano, nel 2010 il valore raddoppia, passando a più di 340.

grafico della REGIONE VENETO ripreso da "il Gazzettino.it" del 6/2/2013
grafico della REGIONE VENETO ripreso da “il Gazzettino.it” del 6/2/2013

   Basta guardare i dati sul consumo di suolo in Veneto tra il 1993 e il 2006 (l’ultimo rilevamento fatto dal Tavolo tecnico permanente di sviluppo disciplinare della Regione Veneto) per avere il polso del fenomeno: Verona è in testa con più di 10.000 ettari, seguita da Venezia con poco meno di 7.000 e Padova (5.000). Ci sono poi Treviso , 4.500 ettari, Vicenza (3.500). Chiudono Rovigo (1.500 ettari) e Belluno (1.000). Totale: 331,59 chilometri quadrati. In pratica la superficie che si ottiene mettendo insieme i territori comunali di Padova, Treviso, Vicenza e Rovigo.
Il problema in regione è sentito e lo dimostra l’appello lanciato sul finire dello scorso dicembre dalle forze economiche e produttive del territorio, da Confindustria a Confcommercio, da Confartigianato a Confcooperative. “Basta sprecare territorio!” spiccava a caratteri cubitali sulla richiesta rivolta alla Regione Veneto di imboccare la strada per uno sviluppo e una crescita sostenibili, che tra gli altri punti, chiedeva di “intraprendere un’azione di Governo locale condivisa per ridurre a zero il consumo di suolo”.
La Regione Veneto però si è appena presa una bacchettata da Confcommercio, dopo l’approvazione a fine 2012 da parte dell’assemblea legislativa del provvedimento sul commercio, che «va nel senso esattamente contrario alle affermazioni dei leader regionali – accusa l’associazione – a cominciare dal presidente Luca Zaia, per continuare con il vicepresidente Marino Zorzato e con l’assessore Maria Luisa Coppola, che hanno più volte dichiarato: “Basta consumo di suolo e cementificazione del Veneto”». (Marco Gasparin)

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Ambiente. Critiche alle ultime decisioni del Parlamento europeo. Un mese per intervenire

ANCHE CHI USA LA CHIMICA SARÀ BIO. RIVOLTA CONTRO I NUOVI CRITERI UE

di Paolo Conti, da “il Corriere della Sera” del 2/2/2013

– Le prospettive. «Da un nuovo equilibrio tra agricoltura e ambiente può nascere una diversa economia»- Gli obblighi. «Cancellati gli obblighi per il clima, la diversificazione delle colture e la tutela delle aree»- I produttori: gli incentivi «verdi» ai coltivatori industriali –

   «Per decenni la politica agricola dell’Unione Europea ha intrapreso la giusta strada, quella cioè favorevole a un’agricoltura più orientata verso il rispetto dell’ambiente, della natura e quindi del cittadino-consumatore.  Con queste ultime decisioni della Commissione agricoltura del Parlamento europeo si rischia di compiere tanti, troppi, pericolosissimi passi indietro e di favorire, invece, un’agricoltura inquinante e nociva».

   Maria Grazia Mammuccini coordina un tavolo di lavoro che accomuna le principali liste che sostengono una politica agricola di indirizzo ecologista. Si tratta delle associazioni storicamente impegnate su questo fronte (Associazione italiana agricoltura biologica, Associazione per l’agricoltura biodinamica, FAI-Fondo ambiente italiano, Federbio-Unione nazionale produttori biologici e biodinamici, Fondazione italiana per la ricerca in agricoltura biologica e biodinamica, Italia nostra, Legambiente, Lipu-Birdlife Italia, Pro natura, Slow food, Società italiana ecologia del paesaggio, Touring club italiano, Wwf).

   A sua volta, il tavolo è in contatto con le altre realtà europee che condividono una identica sensibilità ambientale, imprenditoriale e sociale nel resto dell’Unione, primo tra tutti il movimento internazionale «La via campesina».

   Di che si tratta? Maria Grazia Mammuccini ripercorre le tappe europee: «Alla fine del 2011 la Commissione europea aveva varato una proposta di riforma della Politica agricola comunitaria che conteneva segnali di innovazione introducendo misure “verdi” per premiare chi produce tenendo conto dell’equilibrio con l’ambiente, il paesaggio, la biodiversità. Invece il 23 e il 24 gennaio la Commissione Agricoltura del Parlamento ha fatto prevalere gli interessi dell’agricoltura industriale, che naturalmente ricorre ai fertilizzanti chimici. C’è ancora tempo per cambiare le cose, il voto in aula è previsto per l’11 e il 14 marzo, per questo ci mobilitiamo».

   Ma come e perché la Commissione Agricoltura avrebbe peggiorato le condizioni di lavoro per chi si occupa di agricoltura biologica?

«Semplice. Sono stati cancellati dagli aiuti “verdi” tutte le misure obbligatorie per il clima, la biodiversità, la diversificazione delle colture, la tutela dei prati permanenti e le aree di interesse ecologico che sono state ridotte dal 7% al 3%. C’è un nuovo menu di misure che ogni amministrazione potrà scegliere e di fatto ognuno potrà continuare a fare ciò che ha fatto fino ad oggi. Per esempio si attribuisce valore ambientale a tutte le colture arboree: ma non è così, perché se i frutteti sono condotti col metodo convenzionale e i fertilizzanti chimici, sono altamente inquinanti».

   Secondo Maria Grazia Mammuccini c’è un altro elemento preoccupante: «L’82% delle aziende agricole europee sarà esentato dal produrre con pratiche rispettose dell’ambiente perché l’obbligo scatta solo per chi ha più di 10 ettari. La media italiana per azienda è dell’8%».

   Altro motivo di preoccupazione, per il tavolo di coordinamento tra le sigle, il fatto che si metta sullo stesso piano il metodo biologico con altre certificazioni agroambientali, creando un’equiparazione tra chi produce senza chimica di sintesi, quindi l’universo biologico e biodinamico, e chi al contrario ricorre ai prodotti chimici.

   (….) Le associazioni premono sul ministro dell’Agricoltura Mario Catania «perché difenda il budget del nostro Paese e sostenga una riforma in grado di spendere le risorse in modo giusto». Conclude Maria Grazia Mammuccini: «Stiamo parlando di una straordinaria risorsa per il nostro Paese. Da un nuovo equilibrio tra agricoltura e ambiente può nascere una diversa economia e un differente modello di sviluppo basati sul rispetto della natura e delle persone. Occorre investire nel settore dell’agricoltura biologica con politiche chiare, in grado di usare le risorse pubbliche in modo diverso dal passato e nell’interesse pubblico per contribuire alla salute dell’ambiente assicurando non solo cibo sano ma anche un futuro ai giovani. Non ci possiamo permettere di sbagliare ancora…» (Paolo Conti)

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I GIOVANI VOGLIONO FARE I CONTADINI

– Piuttosto che fare l’impiegato un italiano su due tra i 18 e i 34 anni preferirebbe lavorare la terra. Cioè l’esatto contrario di suo padre –

di Cristiano Gatti, da “il Giornale” del 4/2/2013

   Mai prendere per verità bibliche i risultati dei sondaggi, ma quest’ultimo conferma una tendenza che comunque tutti abbiamo da tempo annusato nell’aria: il mito dell’alta finanza e del terziario avanzato ci ha letteralmente disillusi.

   Dal Dopoguerra, è il secondo risveglio brutale. Fino agli anni Settanta abbiamo creduto ciecamente nella fabbrica, tanto da spostarci in massa verso le città industriali. Segue prima delusione. Eccoci allora travolti dall’euforia yuppista, anni Ottanta e Novanta, tutti convinti che il denaro non necessariamente debba arrivare dal sudore e dalla fatica. Nuovo equivoco. La batosta cosmica del terzo millennio, oltre ad averci squadernato altre verità, provoca ora l’effetto-retromarcia, questo generale ravvedimento contenuto nei dati Coldiretti-Swg: un italiano su tre lascerebbe il proprio lavoro per fare il contadino, la metà dei giovani preferirebbe gestire un agriturismo piuttosto che lavorare in banca.
Ci si capisce: certo non tutti quelli che hanno risposto al sondaggio hanno ben chiaro quanto duro sia il lavoro in agricoltura. La stessa idea che hanno i giovani dell’agriturismo risente molto di un richiamo nuovamente modaiolo, di immagini patinate e ruffiane alla Mulino Bianco, relax, cibo, natura e sorriso perenne, dal risveglio all’imbrunire.

   Ma al netto delle nostre – solite – infatuazioni per sentito dire, per conformismo e spirito di branco, resta comunque vivo un preciso segnale: i fuochi fatui della vita metropolitana, delle carriere rampanti nella City finanziaria e nei palazzi delle multinazionali, cioè il grande mito del lavoro virtuale è esploso come la bolla della finanza.
Gli italiani, persino gli italiani giovani, non si vergognano più di amare, sognare, coltivare la terra.  All’alienazione del carrierismo in giacca e cravatta, alla dittatura del risultato e del profitto, ri-cominciano a preferire la libertà e l’equilibrio, la semplicità e la concretezza della campagna, benchè sia una campagna faticosa, sudata, polverosa. Solo cinquant’anni fa la terra era simbolo di arretratezza sociale e ritardo culturale, adesso è un approdo ambìto di salute, sicurezza, serenità. Agricoltura come cibo, ambiente, qualità della vita. Come cose vere.
Non a caso, prima ancora dei sondaggi, che in fondo misurano solo orientamenti, sogni e intenzioni, risultano molto significativi altri dati, questi reali e concreti. Cresce notevolmente il numero dei giovani che rimettono mano alle aziende agricole abbandonate dai padri, cresce – del 26 per cento – il numero dei ragazzi che si iscrivono ai corsi universitari in scienze agroalimentari.

   É ancora presto per dire che l’Italia sta restituendo all’agricoltura le braccia troppo velocemente sottratte nei decenni precedenti, quando padri e madri si vergognavano di avere figli sui trattori o nelle stalle e contribuivano a ingrossare gli inutili eserciti di avvocati, medici, ingegneri disocuppati.

   É anzi assai improbabile che l’Italia torni a diventare nazione essenzialmente agricola. Ma restiamo pur sempre il Giardino d’Europa, dannazione. Restiamo pur sempre il forziere del mondo che detiene e conserva – peraltro malamente – l’ottanta per cento dei beni culturali. Siamo il luogo del pianeta dove si cucina e si mangia meglio. Continuiamo ad essere considerati – nonostante tutto – il paradiso terrestre della vita bella, che non ha niente da spartire con la bella vita.
Ce n’eravamo scordati, riconosciamolo. Se adesso la metà di noi, anche solo a livello di desiderio, vorrebbe tornare alle origini, tirando fuori dalla soffitta della storia il nostro patrimonio migliore, questo è un buon segnale. L’agricoltura non è tutta poesia. Lavorare i campi e gestire gli allevamenti è qualcosa di molto duro, in tanti casi e in certe stagioni è più crudele e più cruento delle guerre sanguinose sui pacchetti azionari. Ma l’idea che la nostra vita non sia più spesa per produrre fumo, ma arrosto, non ha prezzo.

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IN MERITO AI PROGRAMMI ELETTORALI SUI TEMI AMBIENTALI…..

PROGRAMMI ELETTORALI: ENERGIA E AMBIENTE

da LA VOCE.INFO (www.lavoce.info/) del 7.02.13

di Caterina Miriello e Antonio Sileo

– Politica energetica e sostenibilità ambientale sono temi strategici per il futuro. Nei programmi elettorali si trovano tanti auspici, ma poche descrizioni della maniera in cui si vogliono perseguire gli obiettivi. Soprattutto mancano indicazioni sulla copertura finanziaria degli interventi. –

L’ENERGIA NEI PROGRAMMI

Una veloce scorsa alle liste dei candidati alle elezioni politiche che si terranno il 24 e 25 febbraio prossimi lascia un po’ perplessi. Sono tantissime, e quasi tutte promettono, già a cominciare dal nome, una curiosa miscela di rinnovamento e rivoluzione e di termini più rassicuranti, come moderazione e democrazia. Non è semplice orientarsi nella schiera di partiti e partitini, e soprattutto non è chiaro quali siano le effettive differenze tra le formazioni che si muovono all’interno della stessa sponda.
In questo articolo proveremo a capire qualcosa di più riguardo ai programmi, manifesti di valori o carte di intenti dei principali partiti candidati alle elezioni, con un focus particolare su due temi strategici per l’economia e la società quali la politica energetica e la sostenibilità ambientale.

PARTITO DEMOCRATICO E SEL

Partiamo dal Partito democratico, che secondo i sondaggi è quello che attualmente raccoglie le maggiori intenzioni di voto. Il programma dei democratici si chiama “Italia Giusta” e dedica grande attenzione e spazio ai diritti civili e della persona. Non ci sembra ci sia, però, alcun cenno alla questione energetica, se non nella sezione “Beni comuni”, in cui si pone l’accento sull’importanza dell’accesso non discriminato ai beni comuni, tra i quali l’energia. Più che delineare una politica energetica, viene ipotizzato un modus operandi con cui si intende gestire i servizi di pubblica utilità. Nella sezione “Sviluppo sostenibile” il Pd dimostra di non avere ben chiaro, come del resto accade ad altri politici italiani che spesso abusano di questa espressione, cosa sia esattamente lo sviluppo sostenibile. (1) In questa parte troviamo una miscellanea di un po’ di tutto, dal made in Italy all’accesso al credito per le piccole e medie imprese, dall’efficienza energetica all’innovazione tecnologica.
A differenza dei brevi punti presentati dal Pd, il programma di Sel è piuttosto lungo e articolato (sono 50 pagine). Il programma energetico di Sinistra, Ecologia e Libertà punta quasi interamente sulla produzione di energia da fonti rinnovabili e sull’efficienza energetica. Sostiene la necessità di promuovere eolico, eolico off-shore, fotovoltaico, biomasse, idroelettrico, geotermico, eccetera. E propone sgravi fiscali a chi ristruttura o costruisce edifici a risparmio energetico. Sel sostiene che: “Tutto il patrimonio pubblico andrà ristrutturato, ed ogni investimento pubblico in energie rinnovabili, purché redditizio per il risparmio anche economico, andrà sottratto dal computo dei paramenti del Patto di stabilità”. Peccato non si parli dei soldi con cui Sel intende finanziare queste iniziative, di portata (potenzialmente) gigantesca.

POPOLO DELLA LIBERTÀ-LEGA NORD

Il Popolo della libertà concentra il suo programma su tasse, impresa e giustizia, ma trova anche il tempo di dedicarsi all’energia (paragrafo 13) e all’ambiente (paragrafo 14). Il Pdl punta allo sviluppo delle fonti rinnovabili e della rete elettrica; propone di diminuire le tasse che incidono sul costo dell’energia e di favorire la concorrenza nel settore energetico. Salta subito agli occhi come incentivi agli investimenti e diminuzione della bolletta per i consumatori non siano esattamente due obiettivi coincidenti. Anche in questo programma, come negli altri, manca una descrizione, seppure approssimativa, della maniera in cui si vogliono perseguire gli obiettivi esposti, e soprattutto della copertura finanziaria degli interventi proposti.
I programmi, infatti, pullulano di “auspici”; ne riportiamo, a titolo di esempio, uno contenuto nella piattaforma del neonato Fratelli d’Italia: “Avere il coraggio di investire sulla ricerca, capeggiando, da paese industrializzato privo di centrali nucleari, il consorzio internazionale per la fusione nucleare, cioè il nucleare pulito”. Se il riferimento è al progetto Iter, ricordiamo che una macchina sperimentale è già in costruzione in Francia; del consorzio, oltre all’Unione Europea, fanno parte Russia, Cina, Giappone, Stati Uniti d’America, India e Corea del Sud, e il costo previsto è di 10 miliardi di euro.

MOVIMENTO 5 STELLE

Il Movimento 5 Stelle dedica una specifico e articolato capitolo del proprio programma all’energia. Obiettivo strategico è quello di puntare sull’efficienza energetica piuttosto che realizzare nuovi impianti, compresi quelli alimentati con fonti rinnovabili. Quello del M5S è uno dei pochi programmi che elenca, oltre agli obiettivi, anche un discreto numero di proposte concrete su come realizzarli, e molte, non necessitando di un’esorbitante copertura finanziaria, appaiono tutto sommato realizzabili. Tuttavia, un limite del programma M5S sull’energia è che si basa sovente su cifre non suffragate da alcuna fonte. Aggiungere da dove si sono presi i numeri che vengono snocciolati può fare la differenza tra un programma credibile e uno sulla carta. Se, poi, alcuni passaggi paiono fin troppo tecnici per poter essere del tutto compresi, altri, come “l’abolizione delle Authority e contemporanea introduzione di una vera class action”, andrebbero decisamente chiariti meglio. (2)

AGENDA MONTI

L’Agenda Monti dedica poche parole al tema dell’energia, all’interno del paragrafo dedicato all’economia verde, tanto ricco di obiettivi, in particolare sui rifiuti, quanto povero di mezzi concreti per raggiungerli.
Sull’energia spicca il richiamo alla proposta di Strategia energetica nazionale, con la menzione di due soli punti qualificanti: la crescita sostenibile e il cosiddetto hub energetico del Mediterraneo. L’ipotesi di fare dell’Italia un hub del gas, se da un lato non è per nulla nuova, dall’altro poggia su solide argomentazioni, quali la favorevole posizione geografica e il peso del gas naturale nell’offerta complessiva di energia, a cominciare da quello nella produzione di elettricità (maggior disponibilità di gas dovrebbe tradursi in prezzi meno onerosi). (3) Occorrerebbe però una riflessione più approfondita per comprendere se lo sviluppo di un hub sia un’esigenza che il mercato avverte oggi. Analoghe considerazioni andrebbero fatte in relazione alle prospettive di allargamento del parco di rigassificatori, che dell’hub fisico sono condizione necessaria. Vi è poi la questione del finanziamento delle infrastrutture necessarie alla realizzazione dell’hub che si effettuerebbero con garanzia di copertura dei costi d’investimento a carico del sistema, e cioè dei consumatori. Molto altro ci sarebbe da dire, ma forse basta questo per chiarire come non sia argomento da trattare con il semplificante lessico della politica, nuova o vecchia che sia.

RIVOLUZIONE CIVILE E FARE PER FERMARE IL DECLINO

Rivoluzione civile presenta uno stringato programma per punti di cui uno specifico “Per l’ambiente”. Sei righe e mezza per enunciare principi e intenti – dalla difesa dei diritti degli animali all’archiviazione di progetti come la Tav, a una mobilità sostenibile che liberi l’aria delle città dallo smog – ma neanche una parola su come raggiungerli.
Anche Fare per fermare il declino presenta un programma essenziale di sole dieci proposte, in cui però ci sono corposi approfondimenti. La questione energetica viene affrontata dal punto di vista della struttura del mercato; Fare vorrebbe una maggiore concorrenza, ed elenca specifici obiettivi per energia elettrica e gas. Anche qui, come nel caso del M5S, il linguaggio è piuttosto tecnico, con la differenza che l’approccio è molto più economico che “ingegneristico”, con un chiaro e comprensibile fine di maggior ricorso al mercato. Lo stesso fine, peraltro, caratterizza anche l’approfondimento sull’ambiente, tema che oggi sconterebbe un approccio troppo dirigista. E infatti numerose sono le proposte per ridurre l’intermediazione della pubblica amministrazione e della politica sulle questioni ambientali.
Ci asteniamo dal dare giudizi su quale sia il programma migliore; parimenti arduo, ma solo per eccesso di scelta, sarebbe indicare il peggiore. (da www.lavoce.info/)
(1)
La definizione più accreditata di sviluppo sostenibile è quella del Bruntland Report (WCED, 1987): “uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”.
(2) La perentoria affermazione è, in verità, nel capitolo dedicato a Stato e Cittadini, ma la riportiamo perché inciderebbe in maniera sostanziale su un settore regolato quale è l’energia.
(3) Su
lavoce.info ci siamo occupati più volte e in vario modo del progetto dell’hub del gas in Italia.

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IN MERITO AL CONVEGNO PROPOSTO A ROVIGO IL 6 MARZO 2013

Banca Popolare Etica – Gruppo dei soci della provincia di Rovigo

Provincia di Rovigo – Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, Università di Trieste – Agriregionieuropa

propongono

con il patrocinio di Sezione Territorio dell’Associazione Italiana di Sociologia e AIEAA – Associazione Italiana di Economia Agraria e Applicata

il convegno

CORSA ALLA TERRA (ANCHE) IN ITALIA? ALLA RICERCA DI CIBO, ACQUA ED ENERGIA NELL’ERA DELLA SCARSITÀ

ROVIGO, 15-16 MARZO 2013

Concorso fotografico

Programma provvisorio

lista degli interventi e abstract (in fondo alla pagina)

Si tratta di capire se anche in Italia, anche nelle sue zone più marginali vi sia una corsa alla terra ossia una nuova e più vigorosa richiesta di terra per una varietà di usi. Possiamo pensare a usi reversibili, come richiesta di terreni per coltivare piante dedicate alla produzione di energia oppure ad usi irreversibili, come al consumo di suolo per le infrastrutture. Possiamo pensare a nuovi promettenti usi, come la riconversione al biologico oppure alle ambigue richieste di terreni per smaltire sottoprodotti della depurazione. Vi sono tentativi di creare un azionariato collettivo/diffuso della terra con lo scopo di ricavarne comunque un utile oppure uno strisciante processo di concentrazione della proprietà nelle mani di grandi proprietari se non addirittura di multinazionali. Terreni agricoli servirebbero per i bacini di laminazione in caso di piene; altri per essere riempiti d’acqua per scopo idroelettrico; riconversioni a bosco amate e odiate allo stesso tempo, come furono i progetti di rimboschimento di alcuni decenni fa. Insomma, un coacervo di spinte positive e negative che hanno però uno stesso obiettivo: la terra.

Corsa alla terra nell’ovest americano di fine ‘800

Nel dettaglio si riscontrano una serie di fenomeni, qui riportati in ordine sparso:

– land grabbing in paesi del sud del mondo, cui partecipano anche imprese italiane

– delocalizzazione di imprese agricole e agroindustriali italiane all’estero con acquisizione/affitto di grandi estensioni di terra

– la questione delle terre demaniali e di aziende agricole pubbliche da vendere ai privati

– il cambio di destinazione d’uso del terreno agricolo dalla produzione alimentare umana e animale a colture dedicate per le biomasse e per i pannelli fotovoltaici

– i progetti infrastrutturali

– in periodo di crisi finanziaria la corsa alla terra come bene rifugio

– il ritorno alla terra di varie categorie sociali.. giovani, disoccupati, migranti di ritorno

– la rinaturalizzazione di alcune parti delle città (orti, canali, ….) o di ex aree industriali o, ancora, di terreni agricoli peri-urbani degradati

– ricerca di campi dove smaltire materiale di risulta di depuratori, compostatori, allevamenti intensivi, impianti biogas……

– acquisto collettivo di boschi e terreni

– passaggio di terreni di proprietà pubblica o privata a proprietà collettiva (fantapolitica?)

– rimboschimento o rimpaludamento di terreni agricoli frutto o meno di precedenti opere di dissodamento o bonifica.

Le politiche sembrano largamente determinare il valore in senso lato della terra nelle aree fragili; sono queste che attraverso sussidi, regolazione dei prelievi e delle immissioni, interventi sui mercati fanno variare il valore dei terreni e quindi le richieste d’uso.

Secondo i dati sull’andamento del mercato fondiario non sembra vi sia una corsa alla terra: gli scambi – parliamo di terreni agricoli – sono in calo e i prezzi non sono saliti fino a coprire l’aumento dell’inflazione (Povellato, sintesi per Annuario dell’agricoltura dell’Inea, 2012). Si nota però anche che i prezzi dei terreni sono costantemente cresciuti negli ultimi decenni e che vi sono forti divari di prezzo fra sud e nord, in particolare nella pianura padana. Quindi, bisogna porre attenzione ai fenomeni nelle diverse scale temporali (ora la crisi colpisce qualsiasi interscambio) e territoriali. Certamente, non siamo in presenza di un fenomeno di massa; non c’è una land rush in Italia. Tuttavia, la sfida conoscitiva è proprio nel vedere se a fronte di deboli interscambi di terreno non vi siano cambiamenti ‘qualitativi’ che riguardano la destinazione d’uso, le modalità di coltivazione, l’ordinamento colturale, le relazioni di produzione, i side-effects di origine ambientale, pur anche i significati simbolici assegnati alla terra.

Il convegno dovrebbe servire a 1) cogliere se effettivamente vi sono dei cambiamenti in Italia, in particolare nelle aree meno favorite, nell’uso del suolo; se non altro cambiamenti che sanciscono tendenze negative (abbandono, dissesto, impoverimento biologico, supersfruttamento di certe risorse ecc. ); 2) mettere in luce quali sono le conseguenze più importanti da un punto di vista sociale, politico e ambientale (se ad esempio prevale un abbandono totale o se invece lo spopolamento induce iper-sfruttamento di risorse come l’acqua o i boschi); 3) illustrare esperienze emblematiche sia in senso negativo che positivo di corsa alla terra nelle aree fragili, con particolare predilezione per le seconde, però.

Il riferimento a cibo, acqua ed energia nel sottotitolo del convegno si deve al fatto che l’eventuale corsa alla terra non avviene per motivazioni romantiche o bucoliche, ma riguarda i beni essenziali per la nostra sopravvivenza. Si tratta di beni che l’Italia in buona misura importa da varie parti del mondo, ma che potrebbero essere ricercati sempre più sul territorio nazionale a causa di una crescente scarsità generale. Da ciò anche la spinta a rivalorizzare terreni semiabbandonati o pensati come risorse preziose da conservare per le generazioni future. In tal senso si riaccende la competizione fra uso strumentale e ambientale del suolo.

Il convegno, anche in forza delle passate edizioni, dovrebbe muoversi su un duplice binario: quello di analisi rigorose delle tendenze in atto nella presunta corsa alla terra nelle aree fragili italiane e quello della raccolta di casi esemplari, aventi un alto valore simbolico, in altri termini emblemi di ideali di giustizia. Il convegno non ha solo un taglio scientifico ma anche divulgativo, volendo diffondere temi ed esperienze di grande valore morale. Di fondo, resta la predilezione per le aree rurali fragili; non sono escluse tendenze e casistiche delle aree metropolitane, ma si privilegiano zone remote, periferiche, poco note, piccole, le quali magari hanno relazioni funzionali con le città. Tipico il caso dell’uso dell’acqua prelevata da aree deboli e usata per dissetare grandi agglomerati urbani. Fragilità, quindi, non riguarda isolati casi di microdegrado territoriale, ma più spesso condizioni di interscambio fra aree forti e deboli. Corsa alla terra in Africa è proprio questo. Nelle aree rurali italiane le relazioni sui beni fondiari avvengono in maniera molto più articolata, ma non è escluso che essenzialmente si tratti di un land grabbing trasposto: qui mantengo usi soft dei terreni, mentre le funzioni pesanti di produzione di cibo vengono svolte altrove.

A livello pratico il convegno che tradizionalmente si svolge a meta marzo avrà una parte con relazioni analitiche (mattino) e una parte con racconto di storie emblematiche (pomeriggio). Per la prima parte si procederà ad invitare alcuni relatori, mentre per la seconda vi è un apposito call for cases su scala nazionale. Sarà privilegiato l’accordo con una rivista per la pubblicazione di una selezione con referi esterni dei materiali del convegno. Vi sarà come nella edizione 2012 un concorso fotografico sullo stesso tema.

Valori fondiari medi per regione (euro-lire fino al 2000, euro dal 2001 in valori correnti per ettaro);

fonte: Istituto Nazionale di Economia Agraria, Banca Dati dei Valori Fondiari.

Esperienze

http://territorirurali.wordpress.com/2012/08/03/la-prima-mappatura-del-land-grabbing-in-italia/

“Corsa alla terra: fra sicurezza alimentare ed energia verde” – Convegno Expo, 2 maggio 2012 – http://vimeo.com/41545144

Acquisto in cooperativa di boschi: http://www.boschiuniti.it/

Acquisto in società di terreni http://www.gruppoacquistoterreni.it/

Land Rush at National Parks. U.S. Steps Up Buying Privately Owned ‘Inholdings’ Just as Funding Shrinks, http://online.wsj.com/article/SB10001424052702303612804577533912723969448.html

“Una cooperativa raccoglie risparmi per acquistare fondi agricoli da dare in gestione a contadini che intendono coltivare secondo i principi dell’agricoltura contadina, biologica, nel rispetto degli animali, degli uomini e delle donne” http://www.accessoallaterra.org/web/la-cooperativa/

“Si prevede come prima azione l’acquisto collettivo delle terre marchigiane attualmente demaniali” http://www.quiflaminiamarche.corrierenazionale.it/cagli/2012/08/04/news/39012-patto-di-solidarieta-territoriale-un-nuovo-sistema-economico-e-sociale.

Accesso alla terra – in Europa (da http://www.accessoallaterra.org)
Terre en Vue – Belgio
Rurbans – scuola di pastori – Catalogna
Land Soil – UK
Terre de Liens – Francia
Reclaim the Fields

“Lo scorso settembre Banca Etica, con la collaborazione di AIAB, Coop. MAG2 Finance, Coop. SCRET e Sefea ha costituito un fondo presso la Fondazione Culturale Responsabilità Etica per la realizzazione di uno strumento finanziario dedicato alla raccolta di denaro per l’acquisto di terreni da affidare (in maniera onerosa) ad agricoltori secondo i principi della filiera corta e biologica, mantenendo la proprietà indivisa e vincolata nel tempo all’uso spiccatamente agricolo. La selezione è avvenuta per titoli e l’assegno di ricerca è stato attribuito alla Dott.ssa Valentina Moiso a cui va il nostro augurio di buon lavoro. La ricerca inizierà a marzo e terminerà il prossimo settembre” da NewsEtica – Febbraio 2012

Gianni Favero, La terra riconquistata. Dai cappucci autoctoni agli allevamenti l’agricoltura alternativa alla fabbrica, Inserto Nuovi stili di vita del Corriere del Veneto, 5.10.2012.

Landshare brings together people who have a passion for home-grown food, connecting those who have land to share with those who need land for cultivating food. Since its launch through River Cottage in 2009 it has grown into a thriving community of more than 55,000 growers, sharers and helpers. It’s for people who: Want to grow their own fruit and veg but don’t have anywhere to do it; Have a spare bit of land they’re prepared to share; Can help in some way – from sharing knowledge and lending tools to helping out on the plot itself; Support the idea of freeing up more land for growing; Are already growing and want to join in the community http://www.landshare.net/

http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2012/10/il-mondo-agricolo-contro-lennesimo-attacco-alla-costa-riminese-la-nuova-statale-adriatica-ss16/ Gran parte delle corse alla terra sono processi di questo tipo: bretelle, circovallazioni, completamenti autostradali che proseguono i loro iter, agevolati dalla fama di unici interventi rimasti per invertire il corso della crisi economica che attanaglia Italia: una crisi nuova, non capìta nelle sue radici (sovrapproduzione) e curata con una ricetta da anni ’50. Per ironia della sorte sono tutti progetti che convivono allegramente con le denuncie sul consumo di suolo, sullo sprawl urbano, sul bisogno di rilanciare l’agricoltura periurbana, fatte dalle autorità competenti… come si legge da questo link al sito di Salviamo il paesaggio.

Azionariato artistico-ambientale che consiste nel comprare i terreni attorno ad un bene da tutelare; è il caso promosso su Paestum da Legambiente http://www.paestumanita.org/: E’ una variante dell’azionariato fondiario

Cina, rimosse due milioni di tombe, per fare spazio ai campi agricoli di China Files per il Fatto | 26 novembre 2012.

http://richiedentiterra.org/, l’associazione richiedenti terra di Trento ha un bel sito dove si trovano oltre alle loro iniziative diversi link utili sugli orti sociali/urbani

Commenti
Fair Access to Land: An issue for Europe as well! http://www.arc2020.eu/front/2012/03/fair-access-to-land-an-issue-for-europe-as-well/ (ARC Agriculture and Rural Convention)

The 2011/2012 European Report on Development, Confronting Scarcity: Managing Water, Energy and Land for Inclusive and Sustainable Growth, Overseas Development Institute (ODI), European Centre
for Development Policy Management (ECDPM), German Development Institute/Deutsches Institut für Entwicklungspolitik (GDI/DIE). © European Union, 2012 http://erd-report.eu/erd/report_2011/documents/erd_report%202011_en_lowdef.pdf

International Conference of Peasants and Farmers: Stop Land Grabbing, La via campesina, Notebook, n. 3 April 2012 http://viacampesina.org/downloads/pdf/en/mali-report-2012-en1.pdf (a pag. 12 a syntetic description of European situation on land grabbing)

CRISI: COLDIRETTI, 46% ITALIANI TEME MANCANZA CIBO, http://www2.coldiretti.it/News/Pagine/586-%E2%80%93-24-Luglio-2012.aspx

http://www.vedro.it/news/braccia-rubate-allagricoltura-alessandro-aresu-lo-spazio-della-politica

Bibliografia

Paolo De Castro, Corsa alla terra. Cibo e agricoltura nell’era della nuova scarsità, Donzelli, Roma, 2011.

INEA, Annuario dell’agricoltura italiana, Volume LXV, Istituto Nazionale di Economia Agraria, Roma, 2012 (sintesi).

Perrone e Zetti, cura di, “Il valore della terra. Teoria e applicazioni per il dimensionamento della pianificazione territoriale”, Angeli, Milano, 2010.

Francesca Alfano, Arianna Giuliodori, Land grabbing: opportunità o rischi per lo sviluppo dell’agricoltura? Agriregionieuropa, Anno 6, Numero 22, 2010

John C. Weaver, The Great Land Rush and the Making of the Modern World, 1650-1900, McGill-Queen’s Press – MQUP, 2003, 512 pages

Vandana Shiva, Ritorno alla Terra. La fine dell’ecoimperialismo, Fazi Editore, 2009

Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Scommettere sulla fame, Crisi finanziaria e speculazione su cibo e materie prime, scheda a cura di
Andrea Baranes, CRBM/Fondazione Culturale Responsabilità Etica Onlus, Testi chiusi il 01/12/2010

Abbiamo costituito un gruppo “aree fragili” nel sito www.zoes.it (per accedere al gruppo “aree fragili” è necessario profilarsi) 

Coordinamento tecnico Rovigo

lista degli interventi e abstract

1° sessione (venerdì 15, ore 16.30): corsa   alla terra come valorizzazione agri-culturale, modera Giacomo Zanni,   Università di Ferrara
Le diverse vie del ritorno alla   terra nel bellunese Alice Ben, Università di Trieste, Valentina   De Marchi, Fondazione Angelini Belluno, Chiara Zanetti, Università di Trieste
La borgata Valliera: un progetto   ambizioso per la rivalorizzazione territoriale in alta montagna Valeria Bugni, Dottoranda Università   Insubria e assistente di ricerca CNR-CERIS, Torino
Aspetti motivazionali e strategie di   sviluppo delle aziende agricole: il progetto pilota “voce alle aziende” (PSR   2007-2013, Regione Liguria) Francesco Felici, Francesco Licciardo,   Ornella Mappa
Ecosfera VIC Srl – Roma
Ritorno alle “terre alte”:   l’adozione di terrazzamenti in abbandono nel Canale di Brenta Mauro Varotto, Luca Lodatti, Dipartimento   di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità – Università di Padova
2° sessione (venerdì 15, ore 16.30): corsa   alla terra come agricoltura sociale, modera Flaminia Ventura, Università di   Perugia
Think Back Land: uso della terra e   finalità sociali Ilario Lo Sardo, Studente Magistrale di   Discipline Economiche e Sociali, Università della Calabria
Agricoltura Urbana Multifunzionale   come risposta alle problematiche urbanistiche e sociali: la società agricola   Coraggio Carmela Coviello,   Dipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo, Università della   Basilicata
Green-dark economy nei territori   fragili. La Valle Calabrese del Bonamico Gilda Catalano, Dipartimento Sociologia e   Scienza Politica, Universita’ della Calabria
L’accesso alla terra nel comune di   Roma. La “vertenza” per la concessione delle terre pubbliche ai giovani   agricoltori Leonardo Gallico, AIAB – Stefano Grando,   AIAB, Laboratorio di studi Rurali “Sismondi”
3° sessione (sabato 16, ore 9.00): corsa   alla terra come agricoltura ecologica, modera Franco Sotte, Università   Politecnica delle Marche
Distruzione di un’area naturalizzata   di pianura. Il caso del Mezzano a Portomaggiore (Ferrara) Anna Natali, Eco&eco, Bologna
Alla ricerca della buona terra: la   ricerca di terreni per lo smaltimento di fanghi, reflui zootecnici e   digestato nel Nord Italia Giovanni Carrosio, Università di Trieste
Il ruolo difensivo dell’Agricoltura   Conservativa nello sfruttamento della risorsa suolo: il caso della Puglia Paola Antonazzo, Caterina De Lucia, Maria   Antonietta Fiore, Franco Contò, Università di Foggia
Agricoltura e protezione dalle   alluvioni. Il caso di Caldogno (Vicenza) Giustino Mezzalira, Veneto Agricoltura,   Legnaro, Padova
4° sessione (sabato 16, ore 9.00): corsa   alla terra per lo sviluppo delle agro-energie, modera Giorgio Osti,   Università di Trieste
Corsa alla terra anche in Lombardia? Marcellina Bertolinelli, agronomo, Brescia,   Marco Fabbri, Università di Milano, Luca Masotto, agronomo, Milano, Alberto   Pirani, Università di Milano
Energia “alternativa”,   tecnificazione-consumo del territorio e sovranità energetica e alimentare: le   serre fotovoltaiche di Narbolia-OR Fabio Parascandolo , Università di   Cagliari, Dip. Storia, beni culturali e territorio
Energia in ettari Debora Cilio, Dip Scienze Politiche e   Sociali, Università della Calabria
Le energie rinnovabili tra business   e innovazione sociale: un caso di ‘solare collettivo’ a terra Natalia Magnani, Università di Trento,   Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale
5° sessione (sabato 16, ore 11.15): corsa   alla terra per nuovi assetti fondiari, modera Andrea Povellato, Inea, Padova
La “nuova” Politica   Agricola Comunitaria e i processi di ricomposizione fondiaria in Sardegna Antonello   Podda – Dipartimento di Scienze Sociali e delle Istituzioni – Università   degli Studi di Cagliari
La domanda di terra: il caso della   Fri-El Green Power Desiree A.L. Quagliarotti, Istituto di   Studi sulle Società del Mediterraneo (ISSM) del CNR di Napoli
Azionariato fondiario e gestione   collettiva dei terreni: una “terres des liens” italiana? Valentina Moiso, Fondazione Culturale   Responsabilità Etica e CNR-CERIS, Istituto di Ricerca sull’Impresa e lo   Sviluppo, Torino, Elena Pagliarino, CNR-CERIS
La cooperativa G.A.I.A. – Gestione   Associata Imprese Agricole (Senigallia – Ancona) Angela Solustri, “Associazione A.   Bartola” studi e ricerche di economia e di politica agraria, Ancona
6° sessione (sabato 16, ore 11.15): corsa   alla terra attorno alla città, modera Marco Castrignanò, Università di   Bologna
Corsa alla terra anche in Villesse? Giorgio Bertoli, &Co – Energie   Condivise, Udine
Spazio rurale e urbanizzazione: analisi di   un cambiamento Marchetti M., Sallustio L., Lasserre B. ,   Pazzagli R. Dipartimento di Bioscienze e Territorio, Università del Molise,   Pesche (Isernia)
Oltre il consumo di suolo.   Periurbano come un nuovo fringe land use? Sergio Bisciglia DICAR Politecnico di Bari,   Mariavaleria Mininni, DiCEM Università della Basilicata
Corsa alla terra sulle sponde del   Benàco Attilio Romagnoli, Antica terra Gentile, Verona

2 risposte a "CHE FARE dei SUOLI AGRICOLI, e delle TERRE ABBANDONATE? – QUALI LAVORI economicamente produttivi ci possono essere nell’UTILIZZO VIRTUOSO DI TERRE, BOSCHI, e LUOGHI ora IN ABBANDONO? – E del nuovo valore dei prodotti agroalimentari, dell’energia pulita ricavata dall’utilizzo del suolo, della conservazione delle risorse naturalistiche (in primis l’acqua)?"

  1. milena mercoledì 15 febbraio 2017 / 14:30

    Cerco delle terre e boshi abbandanati per coltivare agricoltura ho tanti progetti che vorrei fare

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