UN MARE DI TRIVELLE: la ricerca di gas e petrolio mette in pericolo coste, terraferma e mari italiani – L’estrazione di idrocarburi entro le dodici miglia marine, e lo Stato che si dà più poteri nelle autorizzazioni, trova l’opposizione di 10 REGIONI che chiedono sei REFERENDUM per uno stop ai progetti estrattivi

Un impianto di trivellazione in Adriatico
Un impianto di trivellazione in Adriatico

   La corsa alla ricerca di fonti energetiche “interne”, diverse dal gas e dal petrolio proveniente da altri Paesi, in se potrebbe essere un tentativo di incentivare fonti energetiche non dipendenti dall’esterno. Di fatto i molteplici tentativi di ricercare petrolio e gas naturale, in vari territori italiani (viene in mente in particolare la Basilicata) mostra tutti i suoi limiti: estrazioni costose e pericolose, e limitate nel tempo (cioè ridotte nelle riserve estrattive disponibili) e che non valgono il quasi sempre grande impatto nei nostri luoghi che hanno dimensioni geomorfologiche assai limitate (e pertanto con grosso impatto visivo nel “paesaggio”). E ne risente, o può risentirne, l’assetto e l’equilibrio dei territori (là dove ancora ci sono questi “equilibri”…); e poi il turismo balneare delle coste, la stessa pesca marina, dove ancora esiste in misura autorevole.

Trivellazioni in Italia
Trivellazioni in Italia

   Il “fronte” delle DIECI REGIONI che il 30 settembre scorso hanno ufficialmente avviato l’iter per arrivare al REFERENDUM ABROGATIVO DI NORME CHE CONSENTONO DI EFFETTUARE ESTRAZIONI DI IDROCARBURI ENTRO LE DODICI MIGLIA MARINE E CHE DANNO ALLO STATO PIÙ POTERE NELLE AUTORIZZAZIONI DEI PROGETTI IN GENERALE è composta da: BASILICATA, MARCHE, PUGLIA, SARDEGNA, ABRUZZO, VENETO, CALABRIA, LIGURIA, CAMPANIA e MOLISE. Capofila è la Basilicata (forse la più colpita dal “sistema trivelle”).

   Le richieste di referendum abrogativo anti trivellazioni, depositate il 9 e 10 novembre presso la Corte di Cassazione, sono date da delibere in tutto uguali per ciascuna Regione, approvate dai Consigli regionali delle 10 entità istituzionali interessate.

'SOLE, VENTO, RIVOLUZIONE'. Sono le parole d'ordine con cui il gruppo barese di Greenpeace ha pacificamente preso d'assalto POLIGNANO A MARE, nel Barese, per ribadire il RIFIUTO ALL'IPOTESI DI TRIVELLAZIONI AL LARGO DELL'ADRIATICO
‘SOLE, VENTO, RIVOLUZIONE’. Sono le parole d’ordine con cui il gruppo barese di Greenpeace ha pacificamente preso d’assalto POLIGNANO A MARE, nel Barese, per ribadire il RIFIUTO ALL’IPOTESI DI TRIVELLAZIONI AL LARGO DELL’ADRIATICO

   Delibere che chiedono appunto l’attivazione della richiesta di referendum abrogativi relativi ad alcune parti dell’art.38 (“Misure per la valorizzazione delle risorse energetiche nazionali”) del decreto cosiddetto “SBLOCCA ITALIA” (approvato nel novembre 2014), e dell’art. 35 (Disposizioni in materia di ricerca ed estrazione di idrocarburi) del DECRETO SVILUPPO (Decreto Legge approvato nel giugno 2012). I delegati regionali hanno firmato l’ordinanza emessa dalla Corte di Cassazione con le denominazioni (titoli) attribuite d’ufficio a SEI QUESITI REFERENDARI; e le memorie recanti osservazioni sugli stessi quesiti e la delega in favore di un unico avvocato a rappresentare le dieci Regioni (l’avvocato Stelio Mangiameli) per il deposito delle memorie relative alle ordinanze emesse lo scorso 22 ottobre dall’ufficio centrale per il referendum della Corte Suprema di Cassazione. Per richiedere i referendum bastava (costituzionalmente) la richiesta di sole 5 Regioni: ce ne sono ben dieci! Sarà ora la Corte di Cassazione a valutare se i sei referendum richiesti sono confacenti alla norma costituzionale e si può andare a votare.

   LA QUESTIONE, dobbiamo dirlo, È UN PO’ CONFUSA: alcune piattaforme di trivellazione petrolifera sono oltre le 12 miglia, ma lo stesso possono essere pericolose (per l’inquinamento marino) e impattanti (visivamente). Tra l’altro, a proposito di inquinamento marino non si tratta solo di perdite di idrocarburi in mare; si dimentica che la fauna marina viene ad essere gravemente esposta, danneggiata dalle piattaforme petrolifere perché spesso viene adottata la tecnica dell’AIRGUN. L’Air gun permette l’ispezione dei fondali marini attraverso il rilascio in mare di aria compressa. Il rumore che produce tale metodo è pari a 100mila volte quello del motore di un jet e per la fauna marina è dannosissimo: può provocare lesioni permanenti letali.

Prosezioni petrolifere con l'AIR GUN letali per la fauna marina - L’AIRGUN permette l’ispezione dei fondali marini attraverso il rilascio in mare di aria compressa. Il rumore che produce tale metodo è pari a 100mila volte quello del motore di un jet e per la fauna marina è dannosissimo: può provocare lesioni permanenti letali
Prosezioni petrolifere con l’AIR GUN letali per la fauna marina – L’AIRGUN permette l’ispezione dei fondali marini attraverso il rilascio in mare di aria compressa. Il rumore che produce tale metodo è pari a 100mila volte quello del motore di un jet e per la fauna marina è dannosissimo: può provocare lesioni permanenti letali

   Insomma la situazione è un po’ caotica, confusa, e l’opinione pubblica sembra assai disattenta alla questione “estrazioni di idrocarburi”, diffusione di trivellazioni, e ai possibili danni (al paesaggio, alla fauna marina, al turismo delle coste marine…). Ma va da se che siamo in un momento storico dove troppi accadimenti (geopolitici, ambientali, economici, di carattere “macro” o “micro”…) si sovrappongono quotidianamente.

Si sono verificati, anche di recente, diversi casi di spiaggiamento di cetacei e studi hanno accertato la CONNESSIONE CON LE RICERCHE PETROLIFERE ATTRAVERSO AIRGUN. Il tema dell’airgun è stato al centro del dibattito parlamentare durante l’iter di approvazione della legge n.68 del 19/5/2015 che inserisce i reati ambientali nel codice penale, e i rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari si sono schierati contro l’airgun. Per questo VIENE CHIESTO al Governo e alla maggioranza che lo sostiene di dare attuazione agli impegni presi nel dibattito parlamentare e ai diversi ordini del giorno approvati in materia al Senato e alla Camera. PER SAPERNE DI PIU’ e PER FIRMARE LA PETIZIONE, VEDI: https://www.change.org/p/fermiamo-l-airgun-salviamo-i-cetacei-stopoilairgun
Si sono verificati, anche di recente, diversi casi di spiaggiamento di cetacei e studi hanno accertato la CONNESSIONE CON LE RICERCHE PETROLIFERE ATTRAVERSO AIRGUN. Il tema dell’airgun è stato al centro del dibattito parlamentare durante l’iter di approvazione della legge n.68 del 19/5/2015 che inserisce i reati ambientali nel codice penale, e i rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari si sono schierati contro l’airgun. Per questo VIENE CHIESTO al Governo e alla maggioranza che lo sostiene di dare attuazione agli impegni presi nel dibattito parlamentare e ai diversi ordini del giorno approvati in materia al Senato e alla Camera. PER SAPERNE DI PIU’ e PER FIRMARE LA PETIZIONE, VEDI: https://www.change.org/p/fermiamo-l-airgun-salviamo-i-cetacei-stopoilairgun

   Necessita allora “non perdere il timone della nave”, delle cose. E l’attenzione che possono portare i referendum “anti-trivellazioni” possono rappresentare un motivo di prendersi cura di più dell’ambiente, del paesaggio (anche della fauna marina di cui poco si parla). (s.m.)

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SCOPPIA LA RIVOLTA ANTI-TRIVELLE DI REGIONI E AMBIENTALISTI. GUIDI: “SONO SOLO RICERCHE”

di Liana Milella, da “la Repubblica” del 12/1/2016

– La Puglia ricorre contro il governo. Fai: “Decisione inaccettabile”. La Consulta rinvia sul referendum – Emiliano solleva un conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale per le autorizzazioni concesse –

   È “guerra” sulle trivelle petrolifere. Le Regioni contro il governo. Il ministro Guidi, titolare del Mise, contro le Regioni e a difesa dei suoi decreti del 22 dicembre per cercare petrolio nelle Tremiti, a Lampedusa, in Abruzzo, nel golfo di Taranto. Gli ambientalisti furibondi con Guidi, al punto che il Verde Bonelli chiede a Mattarella di intervenire.

   Ma a sera ecco la mossa a sorpresa del governatore della Puglia Emiliano che annuncia un conflitto di attribuzione contro il governo davanti alla Corte costituzionale perché il 23 dicembre ha cambiato la legge sulle trivelle per bloccare i referendum “notriv”.

   Negli stessi minuti il comitato promotore dei sei quesiti chiede alla Consulta di rinviare la camera di consiglio già fissata per domani mattina. Richiesta accolta, se ne parlerà in futuro. Nel frattempo sarà recapitato alla Corte il conflitto che dovrà essere deciso prima dell’ammissibilità del referendum.

   Se la Corte dovesse dar ragione ad Emiliano e alle altre dieci Regioni, potrebbero rivivere anche gli altri 5 referendum. Ma in questo durissimo scontro non è affatto escluso che il governo possa tornare indietro sia sulla proroga dei giacimenti «fino all’esaurimento», sia sulle autorizzazioni concesse da Guidi.

   Proprio quei permessi hanno scatenato la rissa. Rilasciati il 22 dicembre, prima che la legge di stabilità vietasse qualsiasi nuova perforazione entro le 12 miglia. Un blitz sotto Natale. Ovviamente Federica Guidi smentisce. Polverone pretestuoso e strumentale, non c’è nessuna nuova perforazione, ma solo permessi di prospezione geofisica». Inoltre siamo «ben oltre le 12 miglia». Ma il Verde Bonelli fa subito i conti: «Caro ministro Guidi, a voler essere pignoli a Tremiti la distanza è di 11.878 miglia, siamo al limite del limite del limite…».

   Non basta Ombrina Mare, in Abruzzo, rientra nelle 12 miglia. Bonelli spiega che «prospezione» significa «un permesso per cercare petrolio attraverso l’air-gun, esplosioni devastanti che alterano il biosistema marino». Permessi «propedeutici al rilascio di quelli per la cosiddetta “coltivazione degli idrocarburi”». Il mondo degli ambientalisti è in subbuglio, Legambiente, Wwf, il Fai, che parla di una decisione «inaccettabile e incomprensibile, di cui Renzi dovrà spiegare le ragioni». Certo è una scelta che fa infuriare di brutto Michele Emiliano perché il governo «ha mentito alle Regioni».

   Trama semplice. Che il governatore pugliese denuncia: «Il governo aveva promesso di ritirare tutte le autorizzazioni concesse fino a quel momento». Ancora: «In nessuna occasione sono stato avvisato dal Mise che il 22 dicembre sarebbe stata concessa la 12esima autorizzazione in Puglia». Già, quella delle Tremiti. Il retroscena è svelato. Il governo cambia la legge per evitare i referendum e promette che non ci saranno nuovi permessi, ma solo proroghe. Ma il Mise autorizza ricerche, e quindi altrettanti titoli minerari, proprio sotto il naso delle Regioni. Protesta il veneto Zaia, «non svendo Venezia per 2mila euro…». La battaglia è appena cominciata.

I RISCHI – I rischi ambientali di esplorazioni e trivellazioni offshore Le esplorazioni di depositi sottomarini di idrocarburi vengono effettuate con la tecnica dell’airgun L’esplorazione oUna nave lancia delle onde rumorose di aria compressa verso il fondale marino ogni dieci secondi 24 ore al giorno per diversi giorni. Le onde, riflesse dai depositi di gas e petrolio, permettono di scoprirne presenza e posizione. Secondo gli ecologisti l’airgun provoca alterazioni al comportamento di diverse specie marine, in particolare i cetacei. Secondo l’Istituto norvegese dl ricerca marina, intorno alla sorgente sonora dell’airgun la quantità dl pescato diminuisce fino al 50 per cento. Le perforazioni possono danneggiare i fondali marini, in particolare quelli corallini, mentre il processo di estrazione del petrolio rilascia nell’aria sostanze nocive come l’idrogeno solforato e nitrati. Pozzi e oleodotti vengono cementificati e isolati, ma questo non basta sempre per scongiurare perdite di idrocarburi nel mare.

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LA CASSAZIONE DICE SEI VOLTE “SÌ” – REFERENDUM NO TRIV SEMPRE PIÙ VICINO

Un nuovo successo (dopo la decisione di cinque regioni) del movimento che si oppone a una delle più pesanti minacce contenute nel famigerato decreto “Salva Italia”. Ma la strada da percorrere per vincere è ancora lunga, e non è in discesa. Qui il comunicato del COORDINAMENTO NAZIONALE NO TRIV

COMUNICATO STAMPA (28 Novembre 2015)

   I sei quesiti referendari contro le trivelle in mare e su terraferma hanno superato indenni l’esame di regolarità della Corte di Cassazione.    Con due ordinanze adottate il 26 novembre 2015 la Corte di Cassazione ha accolto i sei quesiti referendari così come deliberati dalle Assemblee Regionali di Basilicata, Abruzzo, Marche, Campania, Puglia, Sardegna, Veneto, Liguria, Calabria e Molise.

   Le ordinanze verranno comunicate al Presidente della Repubblica, al Presidente della Corte Costituzionale ed ai Presidenti delle Camere, e verranno notificate ai delegati dei dieci Consigli Regionali proponenti.    L’ultimo scoglio da superare sarà l’esame di legittimità costituzionale della Suprema Corte che si pronuncerà entro febbraio 2016.

   I sei “SI'” giungono a coronamento di una lunga fase di impegno per la formulazione dei quesiti e della pressione democratica dal basso esercitata da oltre 200 associazioni italiane. L’abnegazione ed il merito della proposta complessiva hanno consentito di intercettare prima l’unanime consenso della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee elettive regionali e, successivamente, lo storico risultato delle 10 delibere di richiesta referendaria, da parte di altrettanti Consigli regionali.

   Compiuto questo nuovo passo, è giunto dunque il momento di consolidare il risultato ottenuto preparandosi alla costruzione di un sistema di alleanze -il più ampio e trasversale possibile- e di un percorso organizzativo che consenta di portare al voto la maggioranza degli aventi diritto, senza mediazioni con il Governo su un referendum che ha un obiettivo molto chiaro e non emendabile, se non a rischio di stravolgerne e affievolirne senso e scopo.

   La via referendaria è l’unica che possa raggiungere nel breve termine l’obiettivo sia di fermare nuovi progetti petroliferi sia di contenere e ridimensionare il ruolo delle energie fossili nel mix energetico nazionale.

   Ma anche qualora le richieste di modifica normativa in senso No Triv venissero avanzate in buona fede, bisognerebbe tener conto della maggiore efficacia del referendum rispetto a quella, più limitata, dell’abrogazione per via legislativa. I divieti introdotti dal Decreto Prestigiacomo non furono forse rimossi per numerosi progetti petroliferi in mare proprio dall’art. 35 comma 1 del Decreto Sviluppo?

   Quindi, non si persegua la strada della modifica per via legislativa delle norme che, per mezzo del referendum abrogativo, è invece possibile cancellare stabilmente dall’ordinamento.

   Il Referendum non è nella disponibilità del Governo.

   L’Assemblea “Verso il Referendum” dell’8 novembre scorso, rappresentativa delle associazioni vere promotrici del Referendum, ha stabilito in modo unitario ed inequivocabile che nessuno è legittimato a “mediare” o a dialogare con un Governo che più di ogni altro ha dimostrato fredda determinazione nel portare a compimento il contenuto fossile della Strategia Energetica Nazionale e che si appresta ad assestare un colpo mortale al coinvolgimento delle comunità locali e delle Regioni nelle scelte strategiche che determinano il futuro dei territori e del Paese.

   Il Referendum è di tutti e ciò significa che nessuno può disporne oltre la Corte Costituzionale e, ovviamente, i Cittadini.

   Prossima tappa intermedia sarà l’incontro a Roma, il 9 dicembre prossimo, tra i delegati delle Assemblee delle dieci Regioni che hanno deliberato la richiesta di referendum ed i rappresentanti delle associazioni promotrici del Referendum: in quella sede verranno messi a fuoco i principali aspetti organizzativi e discusse le prime soluzioni che dovranno portarci al voto di primavera.

   La strada è tracciata. Adesso tocca percorrerla tutti assieme per arrivare al risultato per anni inseguito: liberare il mare e la terraferma da nuove trivelle ed aprire la strada ad una nuova politica energetica, economica ed ambientale. Coordinamento Nazionale No Triv Roma, 28 novembre 2015

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DIECI REGIONI E 200 ASSOCIAZIONI DICONO NO ALLE TRIVELLE

di Pasquale Esposito, 5/10/2015, da http://www.mentinfuga.com/

   In questi mesi le posizioni ambientaliste dirette a bloccare le trivellazioni in mare, alla ricerca di idrocarburi, sono state contestate con un argomento in particolare. Quello che spesso è stato usato anche per il nucleare: «se i nostri vicini trivellano perché non dovremmo farlo anche noi perdendoci importanti opportunità economiche?».

   Nel caso delle trivellazioni il nostro vicino è la Croazia. Ebbene, anche questa scusante, sta crollando miseramente perché i contratti con le compagnie petrolifere, a cui sono stati assegnati i lotti, non sono stati firmati. Potrebbe essere il nuovo governo a doversene occupare, infatti, il Parlamento croato, prima dello scioglimento, non se ne è occupato.

   Del resto «nei mesi precedenti la Marathon Oil e la OMV, titolari di ben sette su dieci delle concessioni nell’Adriatico croato, avevano già rinunciato definitivamente a procedere con i loro piani. E’ probabile che anche la INA faccia un passo indietro. Se fosse così l’unico lotto che manterrebbe qualche chance di sfruttamento – in futuro – sarebbe quello assegnato al consorzio ENI e MedoilGas, la stessa compagnia che avviò il progetto Ombrina Mare in Abruzzo» [1].

   Non solo ma sempre qualche settimana fa il caso dell’Artico avrebbe dovuto indurre a qualche riflessione in più da parte dell’esecutivo di marca renziana e schierata dalla parte delle compagnie petrolifere. Infatti dopo quasi dieci anni di preparazione, sette miliardi di investimenti, l’inizio dei lavori appoggiati dal Presidente Obama e milioni di persone che si sono opposte al progetto la Shell ha deciso di abbandonare il progetto di trivellare l’Artico di fronte all’Alaska. Secondo i dirigenti della multinazionale anglo-olandese le perforazioni sarebbero troppo onerose in rapporto alla quantità di gas e petrolio che si possono estrarre.

   Il Governo Renzi con il decreto Sblocca Italia continua a considerare la ricerca di petrolio e gas nei mari italiani strategica per il futuro energetico del paese. Il Belpaese rischia di diventare un colabrodo visto che sono già più di quattrocento i procedimenti di ricerca ed estrazione, tra quelli avviati e in partenza. Nella sola Basilicata ne sono in funzione settanta.

   Ma qualche giorno fa dieci Consigli regionali (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto, che rappresentano i due terzi delle regioni costiere, hanno deliberato a favore del referendum anti-trivelle. Non era mai accaduto che dieci Regioni presentassero quesiti referendari e comunque sarebbero bastati cinque Consigli regionali secondo i dettami dell’articolo 75 della Costituzione (5 consigli regionali) per poter depositare i requisiti in Cassazione.

   La novità non è solo quella della forza propositiva ma anche quella di una scelta politica condivisa che guarda allo sviluppo in totale rispetto dell’ambiente e delle economie locali. Indubbiamente è anche uno scontro con l’esecutivo e con il premier in particolare visto che le votazioni sono di consigli anche con presenza PD come quello della Puglia di Emiliano.

   Per il coordinamento nazionale No Triv e altre 200 associazioni  che da tempo sono in trincea con una comunicazione costante, proteste e manifestazioni, è uno straordinario successo. E non sarà questo passaggio a fermarli a cominciare dall’opposizione per bloccare la piattaforma Vega B prevista di fronte al litorale di ragusano del canale di Sicilia o la mobilitazione contro Ombrina Mare un’altra piattaforma con raffineria galleggiante che nascerebbe a poche miglia dalla costa della provincia di Chieti, sulla costa dei Trabocchi, di cui si discuterà al ministero dello Sviluppo economico il 14 ottobre prossimo.

   Sono sei i quesiti referendari depositati in Cassazione con i quali si vuole abrogare l’articolo 38 dello Sblocca Italia e di diversi suoi commi e dell’articolo 35 del Decreto sviluppo. In sostanza si tratta di impedire pozzi entro le 12 miglia e che siano ripristinati i poteri delle Regioni e degli enti locali, «mettendo inoltre i cittadini al riparo dalla limitazione del loro diritto di proprietà rispetto alle società estrattrici» come ha spiegato il presidente del Consiglio regionale della Basilicata, Piero Lacorazza. Una battaglia vinta ma, come ha scritto Serena Giannico «la strada verso le urne è irta di ostacoli. E poi, come si farà a raggiungere il famigerato quorum? Molti, inoltre, i coordinamenti e i movimenti ecologisti che hanno bocciato l’idea referendaria sul nascere. Perché? «Ci darà in pasto al Pd che farà di noi ciò che vuole», tuonano da più parti. «Per essere precisi… — spiegano invece i «No Ombrina» — in mare attual¬mente ci sono 88 procedimenti in itinere (escludendo le concessioni già vigenti per le quali sarà possibile  continuare a scavare pozzi…). Di questi un terzo (31) sono in tutto o in parte nelle 12 miglia. Dei 31 solo 8 sono totalmente dentro le 12 miglia, mentre 23 parzialmente, per cui, in caso di vittoria con il referendum, sarebbero solamente riperimetrate (piazzando un’eventuale piattaforma a 12,1 miglia…). Inoltre, tra oggi e l’eventuale referendum, alcune delle concessioni potrebbero andare in porto (come Ombrina) … Allora di che stiamo parlando?». (Pasquale Esposito)

[1] “Le trivellazioni offshore? Ormai piacciono solo a Renzi!”, http://www.greenpeace.it, 30 settembre 2015

[2] Serena Giannico, “Via libera dalle regioni. Sarà referendum No triv”, http://www.ilmanifesto.info, 25 settembre 2015

trivelle in Adriatico
trivelle in Adriatico

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Fauna marina vittima dell’Airgun

Posted by Redazione Fatto&Diritto on 3 agosto 2015 in Marche da Urlo | 6 Views | Leave a response

FIRME PER VIETARE LA TECNICA ISPETTIVA

– ROMA – di Giampaolo Milzi –

   L’AIRGUN permette l’ispezione dei fondali marini attraverso il rilascio in mare di aria compressa. Il rumore che produce tale metodo è pari a 100mila volte quello del motore di un jet e per la fauna marina è dannosissimo: può provocare lesioni permanenti letali. Chiediamo al Governo di vietare l’utilizzo dell’airgun per la ricerca di idrocarburi in mare, che non porta vantaggi alla collettività in termini economici, di conoscenza scientifica e ambientali, ed è a favore solo delle compagnie che detengono titoli e concessioni minerarie.

   Negli ultimi anni la comunità scientifica internazionale ha iniziato a porre attenzione all’inquinamento acustico in ambiente acquatico, arrivando alla conclusione che questa attività ha effetti negativi sulla fauna marina, in particolare sui cetacei. Gli impatti possono essere di tipo fisiologico, comportamentale, percettivo, cronico e indiretto. Ci sono casi in cui rumori molto forti, come le esplosioni a breve distanza, hanno prodotto danni fisici permanenti anche ad organi diversi da quelli uditivi, portando in alcuni casi al decesso dell’esemplare colpito.Si sono verificati, anche di recente, diversi casi di spiaggiamento di cetacei e studi hanno accertato la connessione con le ricerche petrolifere attraverso airgun attive nell’area.

   Il tema dell’airgun è stato al centro del dibattito parlamentare durante l’iter di approvazione della legge n.68 del 19/5/2015 che inserisce i reati ambientali nel codice penale, e i rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari si sono schierati contro l’airgun. Per questo chiediamo al Governo e alla maggioranza che lo sostiene di dare attuazione agli impegni presi nel dibattito parlamentare e ai diversi ordini del giorno approvati in materia al Senato e alla Camera.

Per firmare la petizione:

https://www.change.org/p/fermiamo-l-airgun-salviamo-i-cetacei-stopoilairgun

(articolo tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)

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LA RIVOLTA DELLE REGIONI CONTRO LE TRIVELLAZIONI IN MARE

da la Stampa del 30/9/2015

– BASILICATA, MARCHE, PUGLIA, SARDEGNA, ABRUZZO, VENETO, CALABRIA, LIGURIA, CAMPANIA e MOLISE hanno depositato in Cassazione 6 quesiti referendari –

   «Diciamo “no” alle trivellazioni entro le 12 miglia, cioè nelle acque nazionali, e che siano ripristinati i poteri delle Regioni e degli enti locali per mettere i cittadini al riparo dalla limitazione del loro diritto di proprietà perché lo “sblocca Italia” prevede che per ben dodici anni possa essere concesso il permesso di ricerca sui terreni privati», ha spiegato Pino Lacorazza presidente dem del Consiglio regionale della BASILICATA, capofila dell’iniziativa referendaria. «Crediamo – ha aggiunto – che la politica energetica dell’Italia debba raccordarsi con l’Unione europea: anziché trivellare, dobbiamo limitare i consumi energetici e costruire edifici evitando che disperdano calore».

   Il referendum interviene, ha spiegato il presidente del Consiglio regionale della SARDEGNA Gianfranco Ganau, «su alcune norme del Decreto Monti, quelle contenute nell’art. 35 che estendono il divieto di trivellazione in mare alle 12 miglia, riattivando contestualmente i procedimenti bloccati dal governo Berlusconi, 25 progetti che prevedono attività di ricerca ed estrazione entro le 12 miglia». «L’abrogazione di alcune norme dell’art. 37 del decreto Sblocca Italia – ha proseguito Garau – pone invece l’attenzione su un altro tema legato alla partecipazione delle Regioni, dei territori e delle popolazioni alle decisioni assunte dallo Stato su temi che li riguardano da vicino come la pianificazione di studi, la ricerca e l’estrazione di idrocarburi». Il senso dell’azione referendaria, ha riassunto Garau, «è il blocco di tutti i progetti in essere e la sua approvazione farà sì che il divieto sia assoluto e non superabile, in quanto non potrà più essere introdotta alcuna norma che lo consenta».

   Il VENETO, già “scottato” dalle trivelle non vuole fare il bis. «Abbiamo già subito i danni da trivellazione negli anni ’50 e ’60, in laguna e nel delta del Po, dove la costa in molti tratti era calata di due metri e mezzo, anche tre: abbiamo dovuto innalzare gli argini con una spesa che oggi sarebbe di due miliardi di euro», ha ricordato Roberto Ciambetti presidente leghista del Consiglio regionale del Veneto. «I 60 milioni di turisti che ogni anno arrivano a Venezia non vogliono certamente un paesaggio trivellato».

   La trasversalità dell’iniziativa referendaria è stata messa in luce da Giovanni Pastorino consigliere regionale della LIGURIA di “Rete a sinistra”: «Indica quanto sia sentita la necessità di un riequilibrio dei poteri dello Stato, soprattutto per difendere il patrimonio ambientale italiano, un ambito per il quale non è assolutamente possibile spodestare le regioni del diritto a decidere».

   Anche la CAMPANIA, regione “capofila” per numero di abitanti, si è fatta sentire. «È surreale che un governo che vuole che regioni e enti locali siano la `seconda Camera´, elimini la voce delle regioni su una scelta importante come le trivellazioni», hanno obiettato i consiglieri regionali Francesco Emilio Bonelli (verdi) e Antonella Ciaramella (Pd).

   Sul piede di guerra anche il MOLISE che, con il consigliere regionale Nico Ioffredi di Sel, boccia il progetto trivelle «miope e non lungimirante sia dal punto di vista ecologico che economico: fra cento anni l’impresa ittica e quella turistica ci saranno ancora mentre gli idrocarburi, ammesso che ci siano nel nostro mare, hanno un orizzonte di vita di pochi lustri».

   «Questa iniziativa è importante – hanno aggiunto i consiglieri delle MARCHE Andrea Biancani dei dem e Sandro Bisonni di M5s – perché finalmente le regioni fanno parlare non per gli scandali di “rimborsopoli” ma per temi che riguardano la vita dei cittadini». Plauso da Legambiente e da Roberto Speranza della minoranza dem.

trivellazioni
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Da “Il Fatto Quotidiano”:

AIRGUN KILLER

Una questione, quella delle trivellazioni in mare, tornata di grande attualità dopo che, già nel maggio 2012, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) aveva sottolineato in un rapporto tecnico sulla “Valutazione e mitigazione dell’impatto acustico dovuto alle prospezioni geofisiche nei mari italiani” i problemi provocati utilizzando la tecnica dell’airgun, l’indagine geofisica usata per la ricerca petrolifera e considerata particolarmente nociva per l’ecosistema marino. Dai danni ai tessuti corporei degli organismi acquatici alla soppressione del loro sistema immunitario, passando per una diminuzione permanente della capacità uditiva e del tasso riproduttivo fino allo spiaggiamento. Eppure il divieto di applicare questa tecnica è scomparso persino dalla legge sugli ecoreati, approvata in via definitiva dal Parlamento il 19 maggio scorso: introdotto inizialmente, è stato poi rimosso alla Camera senza ulteriori ripensamenti al Senato. Con il benestare del premier, contrario alla norma nonostante i mal di pancia del presidente della commissione Ambiente di Montecitorio, Ermete Realacci (Pd).

MARE MONSTRUM

Ad oggi, secondo i dati forniti da Legambiente, sono 52 le istanze di permesso di ricerca e prospezione presentate dalle diverse compagnie petrolifere fra Adriatico, Ionio e Canale di Sicilia, per un totale di oltre 122 mila chilometri quadrati. Cioè l’estensione di tutta Inghilterra. Quarantaquattro di queste sono concentrate nelle mani di 13 compagnie: 6 italiane (fra cui Eni, Edison e Shell), 4 del Regno Unito, 2 australiane e una irlandese. E così, per esempio, in Adriatico ci sono 78 concessioni già attive per l’estrazione di gas e petrolio, 39 delle quali in Alto Adriatico, alle quali vanno aggiunte le tre richieste di coltivazione (due di Agip e una di Eni) in fase di valutazione d’impatto ambientale. Altre 21 concessioni di estrazione di gas e petrolio sono poi attive fra le Marche e la Puglia, dove sono presenti 8 piattaforme e 34 pozzi produttivi per un totale di 1.127 chilometri quadrati di estensione. I danni all’ecosistema? Incalcolabili, dicono a Legambiente (e non solo). Secondo gli studi del Norvegian Institute of Marine Research l’impatto delle attività petrolifere rischiano di portare ad una diminuzione del pescato del 50% nelle aree circostanti la sorgente sonora che utilizza airgun.

SCACCO AL MARE

Le cose non vanno tanto meglio nel canale di Sicilia, dove sono oltre 12.500 i chilometri quadrati di mare sotto scacco delle compagnie petrolifere e dove, nel 2014, la produzione di greggio è stata di poco superiore a 232 milioni di tonnellate: il 31% della produzione nazionale in mare. Stavolta sono 8 le istanze di permesso di ricerca attive, per un totale di quasi 3.600 chilometri quadrati di mare. Ultima in ordine di tempo quella della Nautical Petroleum, che il 12 giugno di quest’anno ha ricevuto il parere positivo del ministero dell’Ambiente malgrado le osservazioni presentate da Legambiente e dalla Provincia di Ragusa, secondo cui lo studio di impatto ambientale presentato dalla compagnia britannica risulta “scarso e inadeguato” perché basato su “studi generici” e “fonti bibliografiche datate”. Non solo. L’area è oggetto di attività anche da parte di Eni ed Edison. Come nel caso dell’offshore “Ibleo”, il progetto di trivellazione in mare delle due compagnie nazionali che prevede 8 pozzi, una piattaforma e vari gasdotti al largo della costa delle province di Caltanissetta, Agrigento e Ragusa. Come se non bastasse, alla metà di aprile il ministero guidato da Gian Luca Galletti ha concesso il nulla osta alla nuova piattaforma di Edison Vega B, a poche miglia di distanza dalla città di Pozzallo. Un affare da 100 milioni di euro. Nonostante, anche in questo caso, il parere contrario di cittadini, associazioni, amministratori locali e operatori turistici.

ISOLA DEL TESORO

Che dire, poi, della Sardegna? L’isola è tornata al centro dell’attenzione dopo l’istituzione della ‘zona E’, l’area compresa fra la costa orientale dell’isola e le Baleari (oltre 20 mila chilometri quadrati), istituita il 9 agosto 2013 col decreto firmato dall’allora ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato (Pd), nella quale è autorizzata la ricerca e l’estrazione di idrocarburi. In questo caso, sono due le prospezioni già attive nel settore occidentale dell’isola, tra Oristano e la Corsica, portate avanti dalla multinazionale americana Schlumberger (la più grande società per servizi petroliferi al mondo) e dalla norvegese Tgs-Nopec Geophysical Company. Entrambe le compagnie detengono due distinti titoli ricadenti nella stessa area e perfettamente sovrapponibili. Quindi, fa notare Legambiente, queste andranno a ripetere due volte le stesse indagini con modalità riconosciute dalla comunità scientifica internazionale come altamente impattanti per l’ecosistema marino. Utilizzando, manco a dirlo, la tecnica dell’airgun.

CIAO EUROPA

Anche il Mar Ionio è preso di mira dalle attività di ricerca finalizzate all’estrazione di idrocarburi. Con tutti i rischi ad esse connesse. Nonostante, fino al 2011, fossero vietate. Poi, grazie ad un emendamento al testo di recepimento della direttiva europea sui reati ambientali, si è riaperto anche questo tratto di mare alle attività estrattive. Le 15 istanze di permesso di ricerca presentate finora (8 in fase decisoria e 7 in corso di valutazione ambientale) appartengono a dieci diverse società di settore, tra cui figurano la statunitense Global Med Llc, che ne detiene addirittura 6, Nautical Petroleum, Eni, Edison e Appennine Energy. Quest’ultima ha ricevuto anche un permesso di ricerca nel tratto di fronte alla costa di Sibari all’interno del quale è stata presentata un’istanza di autorizzazione per un pozzo esplorativo chiamato ‘Liuba1 Or’.

LOBBY ALL’ATTACCO

“Ecco perché, mappa delle trivellazioni alla mano, fermare l’estrazione e la ricerca di petrolio è nell’interesse generale dell’Italia”, spiega a ilfattoquotidiano.it Andrea Minutolo, coordinatore dell’ufficio scientifico di Legambiente. “Continuare a rilanciarla è il risultato di una strategia insensata che non garantisce nessun futuro energetico per il nostro Paese – aggiunge –. È tempo che questo governo si svincoli davvero dal passato e pensi seriamente al futuro dell’Italia piuttosto che agli interessi delle lobby dell’oro nero”. E non basta: “Proprio in questi giorni -aggiunge Minutolo- è arrivata dalle Regioni una presa di posizione in favore dei territori, che lancia un segnale politico chiaro, visto che finora l’esecutivo non ha mai accolto le istanze locali volte a fermare le estrazioni petrolifere in mare e a terra”. Per Minutolo, “ora serve un ulteriore sforzo da parte delle amministrazioni per chiedere una moratoria che blocchi qualsiasi autorizzazione relativa alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi. Negli ultimi mesi sono stati diversi i pareri positivi rilasciati dai ministeri competenti alle richieste delle compagnie petrolifere: Renzi si renda conto che con la sua politica a favore delle fonti fossili va contro il volere dei cittadini”.

Twitter: @Antonio_Pitoni @GiorgioVelardi

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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TRIVELLE, IN ATTESA DEL REFERENDUM REGIONI FANNO MURO. MINISTERO: “RISCHIO PARALISI”

di Elena Veronelli, da “Il Fatto Quotidiano” del 25/10/2015

– In Basilicata una società ha vinto il ricorso al Tar contro lo stop a un progetto di ricerca di idrocarburi. L’ente non si arrende e contesta altri permessi, mentre si muovono anche Abruzzo e Veneto. Ma la riforma costituzionale che attribuisce competenza esclusiva sull’energia allo Stato spunta le armi dei governatori –

   Aspettando il referendum contro lo “sblocca trivelle, continua su più fronti e in più sedi lo scontro sull’estrazione di petrolio e gas nei territori nostrani. Davanti alla giustizia amministrativa, in Parlamento e nelle sedi regionali. Con le compagnie petrolifere che prendono forza e ottengono sempre più permessi di ricerca e le Regioni che sono sulle barricate e approvano provvedimenti ad hoc per limitare la possibilità di cercare idrocarburi nelle loro terre. E il futuro non sembra più roseo: secondo gli ambientalisti “siamo solo all’inizio”.

Da annotare innanzitutto la vittoria della società Rockhopper nel ricorso al Tar della Basilicata contro lo stop della Regione al progetto di ricerca di idrocarburi “Masseria La Rocca”. La società aveva chiesto la proroga dell’esclusione dalla Via concessa nel 2009 per il permesso di ricerca e la giunta lucana aveva rifiutato. Il tribunale ha ora stabilito che a decidere se la compagnia potrà proseguire i lavori sarà il ministero dell’Ambiente. La Regione dovrà quindi inviare tutti gli atti al ministero, proprio sulla base di quanto stabilito dall’articolo 38 dello Sblocca Italia (il cosiddetto “sblocca trivelle”) che accentra dai territori a Roma il potere di rilasciare le autorizzazioni per le nuove attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi.

Sconfitta su questo fronte, la Basilicata non demorde e continua la sua battaglia contro il proliferare di nuovi pozzi di oro nero. In questi giorni si è rivolta al Tar per un’altra storia: contro i recenti decreti del ministero dell’Ambiente di valutazione d’impatto ambientale positiva per due istanze di Shell Italia per altrettanti permessi di ricerca di idrocarburi al largo delle coste lucane e calabresi. La Giunta regionale, si legge in una nota, “ha dato mandato al proprio ufficio legale di produrre ricorso al Tar contro le autorizzazioni concesse alla società Shell per la ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi nel mar Jonio”. Soddisfatta Legambiente Basilicata, che però chiede di più a tutte le amministrazioni regionali: “Si impegnino per chiedere fin da subito una moratoria che blocchi qualsiasi autorizzazione relativa alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi”. Perché “le conseguenze dello Sblocca Italia sarebbero appena cominciate, consentendo di fare a terra quello che sta valendo per il mare, ovvero togliere ruolo e potere vincolante agli enti locali”.

Su questa strada stanno effettivamente cercando di muoversi alcune Regioni. Il consiglio regionale abruzzese ha approvato all’unanimità una legge che estende il limite delle 12 miglia introdotto nel 2012, entro il quale le attività di ricerca sono vietate, ai progetti che erano stati fatti salvi perché già in itinere. L’estensione del divieto è uno degli obiettivi dei quesiti referendari all’esame della Cassazione. Tra i progetti interessati c’è Ombrina Mare di Rockhopper, sulle coste abruzzesi, da anni nel mirino dell’opposizione locale. “Restituire il divieto di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi entro le 12 miglia dalla linea di costa ci consente di proseguire nella nostra strategia che si è concretizzata con la presentazione del referendum”, ha commentato l’assessore all’Ambiente Mario Mazzocca. In Veneto, invece, la commissione Ambiente ha approvato il progetto di legge del consigliere Pd Graziano Azzalin che mira a escludere ogni tipo di ricerca di idrocarburi nell’area del Parco del Delta del Po.

Dal canto suo il governo Renzi non arretra di un passo e prosegue la sua corsa verso lo sblocco dei pozzi di petrolio e gas della Penisola. Anche perché, ha detto a Il Mattino il direttore generale per le Risorse minerarie ed energetiche del ministero dello Sviluppo economico Franco Terlizzese, nel caso i referendum siano dichiarati ammissibili il rischio è quello di “un ritorno a un sistema di produzione di gas e petrolio degli anni ’90”. Insomma, secondo Terlizzese si potrebbe andare verso una paralisi del settore.

L’esecutivo è comunque ora forte della riforma del Titolo V della Costituzione votata in Senato nei giorni scorsi, che tra le altre cose prevede il ritorno alla competenza esclusiva dello Stato in materia di energia e toglie ogni potere alle Regioni. I proponenti del referendum si appellavano proprio al Titolo V, nella sua versione originale, per vincere la loro causa. La strada è però lunga e tutto è ancora da vedere. Il provvedimento deve infatti tornare a Montecitorio e attendere sei mesi prima di essere sottoposto nuovamente all’approvazione delle due Camere. Dopo sarà sottoposto al referendum popolare e al giudizio della Corte Costituzionale.

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NO TRIVELLE: COSA C’È DIETRO LE PROTESTE CONTRO RENZI ALL’AQUILA

Di fronte alle coste abruzzesi dovrebbe sorgere Ombrina Mare, uno dei progetti più grandi di estrazione di petrolio dell’Adriatico. C’è chi dice no

di Lidia Baratta da LINKIESTA del 27/8/2015

Questo non è un Paese per fossili. Da Sud a Nord, il movimento contro le trivellazioni per la ricerca di gas e petrolio guadagna ogni giorno sostenitori, tra cittadini, ambientalisti, scienziati e politici da destra a sinistra. Lo scorso 25 agosto i “No Triv” hanno contestato Matteo Renzi nel corso della sua visita a L’Aquila. Al largo delle coste abruzzesi dovrebbe sorgere Ombrina Mare, uno dei più grandi progetti di estrazione, trattamento e stoccaggio di idrocarburi liquidi e gassosi previsti nel mare Adriatico.

Dopo il decreto sblocca Italia del governo Renzi, diventato legge a novembre 2014, negli ultimi mesi le istanze per la ricerca, prospezione e coltivazione (estrazione) di idrocarburi sulla terraferma e in mare si sono moltiplicate. Dalla Pianura Padana alla Romagna, i progetti riguardano tutte le coste adriatiche fino al Salento, ma anche Campania, Basilicata, il golfo di Taranto e il Canale di Sicilia. E anche gli amministratori locali si sono messi di traverso, impugnando quello che è stato ribattezzato “sblocca trivelle” davanti alla Corte Costituzionale. L’ultima proposta arriva dall’assessore all’Ambiente della Regione Abruzzo, che ha chiesto al consiglio regionale di discutere la possibilità di indire un referendum per l’abrogazione di un comma (il primo dell’articolo 35) del decreto sviluppo del governo Monti, che per primo ha resuscitato le trivellazioni entro le 12 miglia.

Il coordinamento nazionale No Triv, che oggi raccoglie più di 150 tra associazioni e comitati, nasce proprio nel 2012. Il decreto sviluppo dell’allora ministro Corrado Passera fu in pratica una sanatoria per i progetti petroliferi bloccati dall’ex ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, che aveva previsto lo stop a tutte le attività entro le 5 miglia marine ed entro le 12 miglia in presenza di un’area marina protetta, fermando i procedimenti allora in corso. Monti estese il limite delle 12 miglia a tutte le coste. Ma in più salvò “i procedimenti in materia di idrocarburi off-shore che erano in corso alla data di entrata in vigore del cosiddetto correttivo ambientale”.

Poi è arrivato il decreto sblocca Italia del governo Renzi, che a sua volta ha velocizzato e snellito l’iter burocratico per la richiesta di ricerca ed estrazione, esautorando le regioni dai pareri vincolanti e mettendo in pratica di fatto le previsioni della Strategia energetica nazionale del 2012 che chiedeva una semplificazione degli “iter autorizzativi”. Come si legge nel dossier “La politica energetica italiana nella XVII legislatura”, lo sblocca Italia “contiene significative disposizioni che vanno nella direzione di rilanciare la ricerca e la coltivazione degli idrocarburi”, indicata come “attività di interesse strategico”, stabilendo che il “titolo autorizzativo comprende la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza dell’opera”, tanto che “se le opere da eseguire comportavano variazione degli strumenti urbanistici, ha anche l’effetto di variante urbanistica”.

Per Ombrina Mare, ad esempio, «la produzione stimata inciderebbe sul consumo nazionale per percentuali irrisorie

«Non a caso in questo ultimo periodo le istanze sono cresciute in maniera esponenziale, e con queste la richiesta di conversione dei titoli in “titoli concessori unici”», spiega Stefano Pulcini, portavoce del Coordinamento nazionale No Triv. «Così come sono cresciuti i decreti di compatibilità ambientale». Quello per Ombrina Mare della Rockhopper Italia, di fronte alle coste abruzzesi, è arrivato lo scorso 7 agosto, a ridosso delle ferie estive. Il progetto prevede da quattro a sei pozzi, la realizzazione di un serbatoio galleggiante per il trattamento e lo stoccaggio di olio, oltre che una piattaforma di produzione di gas e olio.

«La nostra contrarietà», spiega Pulcini, «non deriva solo da questioni ambientali. Ne facciamo un discorso sistemico, incardinato sui principi della conversione ecologica dell’economia e delle attività produttive. Il governo punta sulle trivellazioni, mentre il mondo intero va verso direzioni alternative, con riduzioni significative degli investimenti in energia da fonti fossili». Secondo la Bloomberg New Energy Finance, mentre nel resto del mondo gli investimenti in fonti rinnovabili nel 2014 sono aumentati del 16%, in Italia hanno invece subito un tracollo del 60 per cento.

Anche le royalty, cioè i guadagni che lo Stato ha per le concessioni alle aziende private, sono bassi: 10% sul valore di vendita dei prodotti estratti a terra; mentre sul mare sono del 7% per il gas e 4% per il petrolio

Contro il Decreto Sblocca Italia è intervenuto anche un gruppo di scienziati di Bologna, riuniti nel Comitato “Energia per l’Italia”, che ha inviato una lettera pubblica a Matteo Renzi sostenendo che il decreto «non prende in considerazione la necessità di creare una cultura del risparmio energetico e più in generale della sostenibilità ecologica». Tanto più, dicono, in un Paese che «non ha carbone, ha pochissimo petrolio e gas, non ha uranio, ma ha tanto sole e le tecnologie solari altro non sono che industria manifatturiera, un settore dove il nostro Paese è sempre stato all’avanguardia». Secondo i calcoli di Legambiente, le riserve di petrolio ancora a nostra disposizione sono di circa 130 milioni di tonnellate. L’anno scorso ne abbiamo estratto circa 6 milioni di tonnellate, oltre a 5 di gas. Insomma, dicono gli scienziati, si ridurrebbero mare e terra a una groviera per poche gocce di energia, che potrebbero garantirci l’autonomia per non più di un paio d’anni.

«Le risorse certe a nostra disposizione sono limitate», dice Pulcini, «e non giustificano azioni come quelle che si stanno mettendo in atto e che si protrarranno per lunghissimi periodi». Per Ombrina Mare, ad esempio, «la produzione stimata inciderebbe sul consumo nazionale per percentuali irrisorie – lo 0,2% per il petrolio e 0,001% per il gas – così come l’occupazione prevista sarà marginale: l’azienda stessa dichiara soli 14 assunti per un impianto di dimensioni mostruose». E anche le royalty, cioè i guadagni che lo Stato ha per le concessioni alle aziende private, sono bassi: 10% sul valore di vendita dei prodotti estratti a terra; mentre sul mare sono del 7% per il gas e 4% per il petrolio. Nel 2014, nelle casse delo Stato sono entrati 402 milioni di euro di royalty a fronte di un valore delle estrazioni di oltre 7 miliardi. Per fare un confronto, in Danimarca il prelievo per lo Stato dalla tassazione totale delle attività estrattive oscilla tra il 64 e il 77 per cento.

Tra le società che hanno avuto il lasciapassare di recente ci sono, tra le altre, anche la Spectrum Geo Limited, autorizzata alle indagini sui giacimenti di un’area di oltre 30mila metri quadri nel mare Adriatico, la Enel Longanesi, che lavorerà nel golfo di Taranto, e la Appenine Energy, autorizzata a cercare il petrolio al largo delle coste marchigiane. Ma laddove dovrebbero esserci nuove trivellazioni sono nati da Nord a Sud comitati, associazioni e gruppi locali “No Triv”, a cui hanno fatto seguito diverse azioni delle amministrazioni locali. La Puglia per prima è ricorsa al Tar contro le autorizzazioni ambientali concesse per le estrazioni nell’adriatico. E il 14 luglio i governatori di Basilicata, Puglia e Calabria hanno partecipato a Policoro a una manifestazione contro le trivelle nel mar Ionio. La provincia di Teramo, i comuni della costa teramana e due comuni marchigiani il 7 agosto scorso hanno invece depositato ricorso al Tar del Lazio contro il progetto di prospezione con il cosiddetto “air gun” della Spectrum nell’Adriatico, sostenendo che l’area destinata all’attività sfiora il limite delle 12 miglia, arrivando a 4-5 miglia dalla costa. L’air gun è una tecnica di ricerca degli idrocarburi tramite spari continui di aria compressa che inviano poi informazioni sulla composizione del sottosuolo. La tecnica all’inizio era contenuta nel disegno di legge sugli ecoreati, ma a maggio la Camera ha votato tre emendamenti che hanno cancellato il divieto.

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TRIVELLAZIONI IN MARE: IN CROAZIA DUE SOCIETÀ RINUNCIANO A CONCESSIONI, IN ITALIA SI CHIEDE MORATORIA

29/7/2015 da http://www.qualenergia.it/

   Due compagnie petrolifere a cui erano state assegnate sette delle dieci aree di ricerca idrocarburi in Croazia hanno rinunciato alle concessioni. Si tratta dell’austriaca OMV e della statunitense MARATHON OIL. La rinuncia è arrivata a pochi giorni dalla firma del contratto con il governo croato. Le altre tre licenze sono state concesse alla società pubblica croata Ina, all’ungherese Mol e al consorzio tra l’italiana Eni e l’inglese Medoilgas (già attiva in Basilicata).

   L’annuncio di questo clamoroso doppio abbandono è arrivato per voce del ministro croato dell’Economia, che l’anno scorso aveva avviato la corsa alle trivellazioni sul versante orientale del Mare Adriatico. La motivazione ufficiale è che non è stata ancora risolta la disputa sui confini marittimi tra Croazia e Montenegro. Ma Greenpeace ritiene che le ragioni siano ben altre.

   “Con il prezzo del petrolio in discesa e una rivolta contro le trivelle che ormai comprende non solo Croazia e Italia, ma anche comunità e cittadini dei Paesi vicini (Austria, Slovenia, Ungheria e Slovacchia), evidentemente i petrolieri non se la sentono più di rischiare per due gocce di greggio”, commenta Alessandro Giannì, Direttore delle Campagne di Greenpeace Italia. “È bene che se ne renda conto anche il governo italiano, promuovendo una moratoria immediata delle trivellazioni nei nostri mari».

   Greenpeace e altre associazioni ambientaliste (Federazione Pro natura, Legambiente, Marevivo, Touring Club Italiano, WWF) hanno inviato una nota ai presidenti delle Regioni, indirizzata in particolare ai governatori di Abruzzo, Basilicata, Calabria, Marche, Molise e Puglia che si sono incontrati al Ministero dello Sviluppo Economico con il sottosegretario Simona Vicari per chiedere di sostenere una moratoria alle trivellazioni.

   La moratoria si giustifica soprattutto per tre ragioni. La prima è che oggi le Regioni non hanno praticamente voce in capitolo sulle autorizzazioni delle ricerche petrolifere offshore, mentre secondo giurisprudenza su questi temi si impone una forte intesa bilaterale tra lo Stato e la Regione interessata.

In secondo luogo, in Italia, a differenza della Croazia, non è mai stata fatta una Valutazione Ambientale Strategia (VAS) sulle ricerche offshore di idrocarburi, che dovrebbe definire anche in quali aree sensibili queste ricerche non possono essere eseguite. Per esempio, una VAS ben fatta dovrebbe impedire che si richiedano autorizzazioni per attività con airgun (sistemi di analisi geofisica che producono esplosioni devastanti) in aree note per la riproduzione di specie ittiche di importanza commerciale.

   In terzo luogo, la proposta di recepimento della Direttiva offshore dell’Unione Europea (dir. 30/2013) avanzata dal governo italiano è irricevibile. Anzitutto perché intende affidare a organismi ministeriali quella che, secondo la stessa direttiva, deve essere invece una “agenzia di controllo indipendente” sulle attività petrolifere. Inoltre, continua a tollerare che in Italia la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) per le trivelle consideri solo rischi secondari (come lo sversamento in mare di qualche metro cubo di idrocarburi) senza affrontare l’analisi dei rischi per gli incidenti rilevanti, come l’esplosione nel 2010 della Deepwater Horizon in Louisiana (l’evento che aveva spinto alla scrittura della direttiva). (…..)

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LA RIVOLTA DEI NO-TRIV: VENDEREMO CARA LA PELLE

di Serena Giannico www.eddyburg.it 9/8/2015

– Adriatico. La rabbia dell’Abruzzo dopo il via libera del governo alle trivellazioni petrolifere. Al via ricorso al Tar ma la lotta non si ferma: «Così si distrugge turismo e agricoltura» –

    È «Ombrina» la parola che, più d’ogni altra, attual­mente fa imbe­stia­lire l’Abruzzo e il suo milione e 332mila abi­tanti. E nelle scorse ore il governo Renzi, col Pd, con i suoi fede­lis­simi, ha rega­lato ad una società delle Fal­kland l’ok alla distru­zione di uno dei tratti più belli dell’Adriatico.

   Il mini­stro dell’Ambiente Gian Luca Gal­letti e il mini­stro dei Beni cul­tu­rali Dario Fran­ce­schini, l’altro ieri, hanno infatti fir­mato il decreto di com­pa­ti­bi­lità ambien­tale per la costru­zione della piat­ta­forma «Ombrina mare» della mul­ti­na­zio­nale Roc­khop­per al largo della Costa dei Tra­boc­chi, in pro­vin­cia di Chieti. È l’ultimo atto ammi­ni­stra­tivo — a parte il decreto di con­ces­sione del mini­stero dello Svi­luppo eco­no­mico che, però, a que­sto punto diventa mera for­ma­lità — prima dell’avvio dei lavori per la nascita dell’impianto petro­li­fero. Un pro­getto con­te­sta­tis­simo e com­bat­tuto da anni, da movi­menti e comi­tati, e dai cit­ta­dini che il 23 mag­gio scorso a Lan­ciano (Ch) – erano in 60 mila — e il 13 aprile 2013 a Pescara – in 40 mila — sono scesi in massa in piazza per riba­dire che que­sta regione non vuole diven­tare il regno delle tri­velle. Un fiume di no ad Ombrina e alla poli­tica ener­ge­tica del pre­mier che, tra un tweet e un sel­fie, sta tra­sfor­mando il Bel­paese in Texas. In barba alla volontà delle popo­la­zioni. «Se ci penso… è folle… a pochi chi­lo­me­tri da riva, nel mezzo di un mare chiuso, vicino alle spiagge, di fronte al costi­tuendo Parco nazio­nale della Costa Tea­tina. Ma che razza di mini­stero dell’Ambiente approva que­ste cose? –  chiede la ricer­ca­trice Maria Rita D’Orsogna – . E quale sal­va­guar­dia ci si può atten­dere da un mini­stero dei Beni cul­tu­rali che, in 53 pagine più alle­gati, auto­rizza uno scem­pio del genere?».    Il pro­getto di «svi­luppo del gia­ci­mento Ombrina», come spiega pro­prio lo scia­gu­rato decreto numero 0000172 del 7 ago­sto, pre­vede la rea­liz­za­zione «a circa 6,5 chi­lo­me­tri dalla costa, su un fon­dale di circa 20 metri, pre­va­len­te­mente sab­bioso», di «una piat­ta­forma per la pro­du­zione di gas plio­ce­nico» e petro­lio «da cui si dipar­ti­ranno da un minimo di 4 ad un mas­simo di 6 pozzi di pro­du­zione»; di «un ser­ba­toio gal­leg­giante» (nave Fpso che sarà sem­pre in fun­zione con fumi, torce e ter­mo­di­strut­tori) «per il trat­ta­mento e lo stoc­cag­gio» del petro­lio; di circa 25 chi­lo­me­tri di con­dotte sot­to­ma­rine o «sea­li­nes per il tra­sfe­ri­mento del greg­gio dai pozzi alla nave desol­fo­rante e del metano». La con­ces­sione era stata ori­gi­na­ria­mente rila­sciata alla Medoil­gas, che l’ha ceduta a Roc­khop­per. «La strut­tura – spiega Anto­nio Mas­simo Cri­staldi, inge­gnere di Monza, esperto in mate­ria – por­terà al rila­scio di sostanze tos­si­che in mare, come è prassi in tutte le instal­la­zioni off­shore del mondo. “Ombrina” abbrac­cerà ben due riserve di pesca, finan­ziate con fondi pub­blici e comu­ni­tari, che saranno inte­res­sate da feno­meni di bio­ac­cu­mulo di inqui­nanti gravi, fra cui mer­cu­rio e cad­mio. Nel luglio 2008 – evi­den­zia -, le prove di pro­du­zione pro­vo­ca­rono l’intorbidimento del mare attorno ad essa. L’Agenzia regio­nale di tutela ambien­tale (Arta) dimo­strò che men­tre lon­tano da “Ombrina” le acque erano “buone”, quelle atti­gue erano pas­sate ad “inqui­na­mento medio”.

   E ciò in soli tre mesi. Secondo i docu­menti for­niti dalla ditta pro­po­nente ai suoi inve­sti­toti – spiega ancora Cri­staldi – il petro­lio in quest’area non è facile da estrarre e per ciò si pre­vede l’uso di tec­ni­che aggres­sive, fra cui quelle della aci­diz­za­zione del pozzo, di vio­lente tec­ni­che di sti­mo­la­zione, tra cui la frat­tu­ra­zione; dell’utilizzo di fan­ghi die­sel di per­fo­ra­zione, i più impat­tanti che esi­stano. Que­sti fan­ghi sono vie­tati nei mari del Nord dal 2000, a causa dell’inquinamento che com­por­tano, a seguito della con­ven­zione Ospar. Vogliamo par­lare anche dell’inceneritore instal­lato sulla Fpso? Emet­terà di con­ti­nuo sostanze tos­si­che, come l’idrogeno sol­fo­rato, un veleno ad ampio spet­tro. E c’è anche il peri­colo di sub­si­denza».

   L’impianto sor­gerà nel cuore di una riviera che sta pun­tando «ad una rina­scita turi­stica», con il pro­li­fe­rare di atti­vità ricet­tive – soprat­tutto hotel e bed and break­fast – , con gite in barca, con vela e surf , con la cucina tipica e la risto­ra­zione sugli anti­chi tra­boc­chi, che attrag­gono turi­sti da ogni parte del pia­neta. Minac­ciata anche la fio­rente pro­du­zione vitivinicola.

   «A Mat­teo Renzi e ai suoi – riprende D’Orsogna — piac­ciono le tri­velle, e non c’è demo­cra­zia, o intel­li­genza o buon senso che tenga. Nes­suno mette navi desol­fo­ranti così vicino a riva nel mondo civile, ma in Ita­lia sì. Le pre­scri­zioni all’impresa? Fanno ridere. Ci sono tanto per­ché ci devono essere…».

«Il parere posi­tivo di Valu­ta­zione d’impatto ambien­tale (Via) – tuona il coor­di­na­mento “No Ombrina” -, da una prima ana­lisi, mostra falle cla­mo­rose e un’illogica inver­sione pro­ce­du­rale riguar­dante l’Analisi del rischio che, per un pro­getto in cui basta un inci­dente per mas­sa­crare l’intero Adria­tico, non è oggetto di valu­ta­zione pre­ven­tiva ma si fa… dopo il decreto! Cioè prima si rila­scia il parere favo­re­vole e poi si stu­diano, da parte dell’azienda inte­res­sata, gli effetti deva­stanti di un inci­dente. Inau­dito…».

   Anche su altri aspetti fon­da­men­tali, «come le moda­lità di scavo di chi­lo­me­tri di reti sot­to­ma­rine per gli idro­car­buri, quelle per l’ancoraggio della mega­nave Fpso lunga 330 metri e addi­rit­tura per il piano di sman­tel­la­mento delle opere, il decreto rimanda a fasi pro­get­tuali suc­ces­sive». «Tra l’altro – sot­to­li­nea Augu­sto De Sanc­tis, del Forum Acqua — que­sto pro­getto non è stato sot­to­po­sto a Via tran­sfron­ta­liera secondo quanto pre­ve­dono pre­cise norme inter­na­zio­nali quando è evi­dente che uno scop­pio o un incen­dio potrebbe coin­vol­gere le acque e le coste degli altri Paesi. Un prov­ve­di­mento – aggiunge – che è solo il sigillo a scelte anti­de­mo­cra­ti­che di un governo mai eletto e che sta por­tando avanti poli­ti­che mai oggetto di con­sul­ta­zione popo­lare». Per­ché deci­sioni così impor­tanti sono state prese a ridosso di fer­ra­go­sto? «Sem­bra quasi che gli stessi esten­sori di tali atti si ver­go­gnino delle loro scelte. O pro­ba­bil­mente spe­rano di pas­sare inos­ser­vati. Ma que­sto non è cer­ta­mente pos­si­bile per “Ombrina” che è l’opera meno amata dagli abruz­zesi negli ultimi anni»’: scri­vono Wwf, Legam­biente, Fai, Ita­lia Nostra, Mare­vivo, Pro Natura e Arci.    Sotto attacco, oltre al governo, la COM­MIS­SIONE VIA NAZIO­NALE, che pre­ce­den­te­mente, a pri­ma­vera, ha dato il nulla osta ad “Ombrina”. «E’ inquie­tante quanto emerge da inter­ro­ga­zioni di euro­de­pu­tati di L’Altra Europa con Tsi­pras e di par­la­men­tari del Movi­mento 5 Stelle – afferma Mau­ri­zio Acerbo, di Rifon­da­zione — sui com­po­nenti del comi­tato nazio­nale per la Via. Ci si aspet­te­rebbe che a esa­mi­nare i pro­getti fos­sero fior di esperti e scien­ziati e invece si sco­prono per­so­naggi che poco hanno a che fare con l’ambiente e con bio­gra­fie poco ras­si­cu­ranti. Un vero cara­van­ser­ra­glio: inda­gati per cor­ru­zione, sospet­tati di legami con la ’ndran­gheta, pid­dui­sti… Quando ci rac­con­tano che le grandi opere sono state sot­to­po­ste a tutte le veri­fi­che ricor­dia­moci che razza di gente è que­sta». Il decreto – sostiene ancora il coor­di­na­mento “No Ombrina” — è uno schiaffo per il pre­si­dente della Regione, Luciano D’Alfonso: la linea dia­lo­gante con il governo è boc­ciata ine­so­ra­bil­mente. A lui doman­diamo: quando si rom­perà defi­ni­ti­va­mente con Renzi, che non ha timore di costruire un enorme gasdotto sulle faglie sismi­che più peri­co­lose d’Europa pas­sando anche per L’Aquila?».    Il decreto emesso obbliga da un lato la società Roc­khop­per a rea­liz­zare il pro­getto entro 5 anni, nello stesso tempo ammette il ricorso al Tri­bu­nale ammi­ni­stra­tivo regio­nale, entro 60 giorni dalla pub­bli­ca­zione in Gaz­zetta uffi­ciale, e al Capo dello Stato, entro 120 giorni. E su que­sto si sta già lavo­rando. «Stiamo stu­diando, con un gruppo scien­ti­fico e con le asso­cia­zioni, il dove­roso ricorso al Tar avverso detto atto gover­na­tivo. Pari­menti pro­ce­de­remo anche con­tro l’eventuale futuro decreto con­ces­so­rio — dichiara l’assessore regio­nale all’Ambiente, Mario Maz­zocca -. Il modello di svi­luppo che vogliamo si basa su cri­teri impron­tati ad una reale soste­ni­bi­lità. Per l’affermazione di que­sto modello di cre­scita la Regione, que­sta Regione, si bat­terà fino in fondo. E ven­derà cara la pro­pria pelle».

   In sei con­tro la petro­liz­za­zione: Abruzzo, Molise, Basi­li­cata, Cala­bria, Mar­che e Puglia hanno deciso di far fronte unico in difesa dell’Adriatico e dello Ionio. Nei giorni scorsi, infatti, a Ter­moli (Cb) i ver­tici di que­ste Regioni si sono riu­niti «per con­cor­dare una linea comune in difesa dell’ambiente marino a rischio tri­vel­la­zioni a seguito dello Sblocca Ita­lia» e per dar vita ad un coor­di­na­mento. Al sum­mit i pre­si­denti delle Regioni Abruzzo (Luciano D’Alfonso), Basi­li­cata (Mar­cello Pit­tella), Molise (Paolo di Laura Frat­tura), Puglia (Michele Emi­liano); il vice­pre­si­dente della Regione Mar­che, Anna Casini, e, per la Cala­bria, l’assessore all’Ambiente, Anto­nella Rizzo. Erano inol­tre pre­senti gli asses­sori all’Ambiente di Abruzzo (Mario Maz­zocca), Basi­li­cata (Aldo Ber­lin­guer) e Molise (Vit­to­rino Fac­ciolla). All’incontro anche l’europarlamentare croato Ivan Jakov­cic che ha espresso «pre­oc­cu­pa­zione per quello che sta suc­ce­dendo in Adria­tico e per il futuro… nero a cui esso va incon­tro». «E’ neces­sa­rio – ha sot­to­li­neato – che le Regioni si fac­ciano por­ta­voce presso il Governo affin­ché venga ela­bo­rata una nuova stra­te­gia di svi­luppo in grado di favo­rire una cre­scita com­pa­ti­bile». «Le Regioni — afferma Maz­zocca, — hanno valu­tato l’idea di intra­pren­dere il refe­ren­dum abro­ga­tivo pre­vi­sto dall’articolo 75 della Costi­tu­zione. L’obiettivo è di eli­mi­nare, tra l’altro, quella parte del Decreto Svi­luppo rela­tiva a: «dichia­ra­zione di stra­te­gi­cità, indif­fe­ri­bi­lità ed urgenza delle opere». I pre­si­denti si ritro­ve­ranno il pros­simo 18 set­tem­bre a Bari. L’obiettivo è di coin­vol­gere nelle ini­zia­tive anche Cam­pa­nia ed Emi­lia Roma­gna. se. gian.

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NO OIL – STOP SEA DRILLING

UN IMPEGNO COMUNE PER IL FUTURO DEL MAR ADRIATICO

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Sono 36.823 i kmq del Mar Adriatico croato suddivisi in 29 macro aree da investigare per la ricerca di idrocarburi. Un’attività che andrebbe ad aggiungersi alle 9 le piattaforme di estrazione di gas in acque croate e a quelle presenti nelle acque italiane. Qui le aree inte­ressate da attività di ricerca petrolifera ammontano a quasi 12.000 kmq. Sono 6 le piatta­forme già attive per l’estrazione di greggio. Nell’Alto Adriatico italiano, invece, sono attive 39 concessioni per l’estrazione di gas, da cui si estrae il 70% del metano prodotto in Italia. La strada intrapresa da alcuni Paesi, Croazia e Italia in primis, giustificata secondo la logica di incrementare la propria economia e la propria indipendenza energetica nazionale, è miope, di breve durata ed anacronistica. Le quantità di idrocarburi in gioco, infatti, inci­derebbe di poco sull’economia e sull’indipendenza energetica dei singoli Stati, la maggior parte del guadagno andrebbe a compagnie private, che vedrebbero incrementare le proprie casse personali mentre i rischi e i possibili danni ricadrebbero sulla collettività.

Il Mar Adriatico è un ambiente estremamente fragile per le caratteristiche proprie di “mare chiuso” che definiscono un ecosistema molto importante e già messo a dura prova. In questo contesto si inseriscono le nuove attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi con tutti gli impatti che comporterebbero non solo per l’ecosistema marino, ma anche per le attività che oggi costituiscono un’importante ricchezza per i Paesi costieri come la pesca e il turismo. Inoltre la questione della sicurezza delle attività estrattive è al centro della direttiva 2013/30/UE che prevede un rafforzamento delle condizioni di sicurezza ambientale per la ricerca e lo sfruttamento in mare nel settore degli idrocarburi. Un altro riferimento importante è anche la direttiva 2008/56/CE, riguardante la Strategia marina, che ha tra gli altri l’obiettivo del buono stato ecologico del mare (GES) al 2020 e prevede di valutare an­che l’impatto cumulativo di tutte le attività per una gestione integrata del sistema marino-costiero.

La direttiva 2014/89/EU, che istituisce un quadro per la pianificazione dello spazio marit­timo (MSPD), richiama, poi, l’istituzione di una maggiore cooperazione transfrontaliera. Inoltre, molte aree dell’Adriatico rispettano i criteri delle aree marine ecologicamente o biologicamente significative (EBSAs) della Convenzione sulla Diversità Biologica: l’Adriatico del Nord e l’area speciale Jabuka Pomo Pit e lo Stretto dello Ionio del Sud Adriatico.

(Legambiente, Coalizione S.O.S. per l’Adriatico (Greenpeace Croatia, Green Action / Friend of the Earth, WWF Adria, Sunce, Green Istria), Coalizione Italiana Parigi 2015: mobilitiamoci per il clima (Acli, Aiab, Aiig, Arci, Arci Caccia, Arci Servizio Civile, Asud, Auser, Cevi – Centro di Volontariato Internazionale di Udine, Cgil, Cia, Coldiretti, Cts, Federconsumatori, Fiab, Fiom, Focsiv, Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Forum Italiano Dei Movi­menti per l’acqua, Greenpeace, Isde-Medici per l’ambiente, Istituto Nazionale Urbanistica – Inu, Italian Climate Network, Kyoto Club, La Nuova Ecologia.it, Lega Pesca, Legambiente, Link, Lipu, Lunaria, Marevivo, Movimento Consumatori, Movimento Difesa Cittadino, Oxfam, Pro Natura, Rete degli Studenti Medi, Rete della Conoscenza, Rete per la Pace, Rinnovabili.It, Rsu Almaviva, Salviamo il Paesaggio, Sbilanciamoci, Sì Rinnovabili No Nuclea­re, Slow Food Italia, Spi – Cgil, Touring Club Italiano, Uil, Uisp, Unione Degli Studenti, Unione degli Universitari, Wwf Italia), ADP-ZID (Montenegro), AdriaPAN – Adriatic Protected Areas Network, ANEP (Albania), Association de volontariat Touiza de la wilaya D’Alger (Algeria), Centar za zivotnu sredinu – (Bosnia Herzegovina), Croatian scuba-diving club Neum (Bosnia Herzegovina), CNA Balneatori, Consorzio Balneatori Marina di Levante – Viareg­gio, Donnedamare, Ecodes (Spagna), Energia per l’Italia, France Nature Environnement (Francia), focus (Slovenia), Green Italia, Greenpeace Slovenia (Slovenia), green home (Montengero), legambiente vlore (Albania), Lega Pesca, Mediterranean Center for Environmental Monitoring (Montenegro), Osservatorio Balcani Caucaso , Rete Imprese Marina del Parco di Viareggio, Skupina 85, SIB – Confcommercio (Sindacato Italiano Balneatori), Zona22)

2 risposte a "UN MARE DI TRIVELLE: la ricerca di gas e petrolio mette in pericolo coste, terraferma e mari italiani – L’estrazione di idrocarburi entro le dodici miglia marine, e lo Stato che si dà più poteri nelle autorizzazioni, trova l’opposizione di 10 REGIONI che chiedono sei REFERENDUM per uno stop ai progetti estrattivi"

  1. iris domenica 30 ottobre 2016 / 16:57

    Sono convinta che i terremoti che ci sono oggi siano causati da queste trivellazioni come era successo nella mia regione io sono di Modena dopo che hanno smesso non abbiamo più scosse e Modena non è vero che è stata rasa al suolo 500 anni fa il nostro Duomo e del 1000

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