Centrali nucleari: il Veneto (con la Sicilia) si candida ad ospitarne una. La possibilità che venga collocata in Polesine (il bivio di “che scelta fare” nella vocazione energetica di questa splendida area geografica)

La splendida, immensa, sconfinata campagna polesana nei pressi di Cavarzere, tra la bassa veneziana e Rovigo (da www.magicoveneto.it/)
La splendida, immensa, sconfinata campagna polesana nei pressi di Cavarzere, tra la bassa veneziana e Rovigo (da http://www.magicoveneto.it)

E’ notizia del 16 luglio che il Governo ha firmato il decreto di approvazione della Via (valutazione di impatto ambientale) per la riconversione a carbone (cosiddetto “pulito”) della centrale Enel di Porto Tolle. Un iter molto tormentato. La Commissione Via si era bloccata su un punto difficile da superare: la centrale è nell’area del Parco naturale regionale del Delta del Po e la legge istitutiva del parco dice che: “gli impianti di produzione di energia elettrica dovranno essere alimentati a gas metano o da altre fonti alternative di pari o minore impatto ambientale”. Pertanto l’imposizione di una centrale a carbone “ripulito dalle sostanze tossiche” (ma queste sostanze dovranno finire comunque da qualche parte…) è un’approvazione di fatto imposta politicamente. Porto Tolle (tra cinque anni, il tempo di adattarla a carbone) produrrà circa il 5% del fabbisogno energetico nazionale (un terzo del fabbisogno del Veneto).

Ma il tema di questo nostro intervento in questo blog è la connessione di tre elementi che si integrano naturalmente tra di loro. 1- la dichiarazione di disponibilità del presidente del Veneto Galan di accogliere nel proprio territorio una delle prime centrali nucleari che sono previste formalmente (la legge è stata definita e approvata in Senato il 9 luglio scorso… ve ne diamo conto qui di seguito); 2- il fatto che la “disponibilità veneta” (assieme a quella della Sicilia) è probabile che, in un contesto di opposizione della maggior parte delle altre regioni ad ospitare impianti di questo genere, fa sì che il Governo (e l’Enel) sta già pensando dove andare a costruire la prima centrale in tempi brevi nella regione che ha dato una disponibilità politica; 3- e infine una deduzione nostra è che poche sono le aree dove in Veneto si può collocare una centrale nucleare: in montagna no, almeno per motivi turistici e geomorfologici; nelle aree a urbanizzazione diffusa della pedemontana e del Veneto centrale e metropolitane di Venezia, ma anche veronesi, è impossibile per la troppa popolazione presente e diffusa; l’area veneta polesana, dal basso veneziano –Cavarzere- a tutta la provincia di Rovigo sembra inevitabilmente ben adattarsi, per i grandi –e magnifici- spazi esistenti, alla collocazione di un impianto assai “problematico” com’è una centrale nucleare.

Il Polesine pertanto che da passata terra agricolo-industriale di grandi coltivazioni e di pesca, di trasformazione alimentare (tutta la catena degli zuccherifici…), di esperienze di sviluppo metalmeccanico e industriale…. perduto negli anni recenti tutto questo (o quasi), sembra avere in questi anni incentivato una certa vocazione turistica della costa e, inoltre, una vocazione di sviluppo e gestione dell’energia (dalla combustione a petrolio e adesso a carbone, dalla rigassificazione ai progetti di trivellazione del metano nel vicino mare…).

Su quest’onda è interessante l’esperienza che qui come primo articolo vi presentiamo (che interessa quest’area e il ferrarese) di riutilizzo dei vecchi abbandonati zuccherifici (con un passato glorioso di lavoro e ricchezza per quest’area) di produzione energetica attraverso l’utilizzo di biomasse agricole (il sorgo da fibra) anch’esse prodotte in loco con una virtuosa riconversione agricola delle grandi distese di terre una volta coltivate a barbabietole (e “salvate” dall’acqua con sistemi a idrovore di grande sapienza tecnologica).

Allora, sembra a noi che il Polesine si trovi a un bivio, nell’ambito della sua “vocazione energetica”, tra produzioni diffuse ecologicamente compatibili (e di ripresa degli antichi “fattori di produzione”, le grandi distese terriere, i zuccherifici ora abbandonati), e dall’altra una condizione più “estranea” alle persone, ai lavoratori, alle cooperative agricole, alla storia e alla cultura di quest’ambiente, con l’arrivo e l’utilizzo di sistemi industriali più problematici: come avverrà sicuramente con il carbone a Porto Tolle; e come rischia di avvenire con una centrale nucleare.

IN  VENETO  LE  PIANTAGIONI  DI  ENERGIA

di Giorgio Sbrissa, da “la Tribuna di Treviso” del 17 giugno 2009

CASTELFRANCO. Erano coltivatori diretti, diventeranno coltivatori elettrici, perché quella che faranno crescere nei loro campi d’ora in poi sarà l’energia che si ricaverà dal sorgo da fibra (herbal crops), che arriva a 4-5 metri di altezza ed è un ottimo combustibile. Tanto da alimentare centrali elettriche a biomasse che una società di Castelfranco l’Eco spark di cui è presidente Alessandro Stocco, sta proponendo alle cooperative dei coltivatori di barbabietole da zucchero in crisi (e sono migliaia tra Polesine ed Emilia). Il progetto – che ha già solleticato l’interesse della Rwe (l’Enel tedesca con cui ha costituito la Friel Biomass per una collaborazione progetto in Calabria) – è in fase molto avanzata, tanto che a Finale Emilia (Modena), stanno coltivando il sorgo, come prova di rendimento per ettaro, che la società che gestirà la centrale si impegna ad acquistare con contratti decennali. Eco spark e Italia Zuccheri, 8000 soci (ex Eridania), hanno già costituito la Domus Energia, che si prefigge la riconversione di due zuccherifici sacrificati sull’altare delle quote latte.

«La novità del nostro progetto è la costituzione della filiera completa, dal campo all’elettricità. Il vantaggio è duplice – spiega Stocco, già manager in Rch, a Italselle, alla Spark Energy e in altre aziende venete – Sta nel fatto che i coltivatori, associati in cooperative, hanno una garanzia di reddito per un tempo sufficiente a programmare investimenti e ammortamenti, noi che acquisteremo il prodotto per trasformarlo in energia, invece, avremo la garanzia del prezzo costante del combustibile».  L’investimento godrà degli incentivi dell’Unione Europea previsti per gli impianti a energia rinnovabile e garantirà anche i certificati verdi, che sono necessari ai grandi produttori di energia che si impegnano a diminuire le emissioni dei gas serra in atmosfera: «Entro il 2012 dovranno raddoppiare le fonti rinnovabili e dentro il 2020 il 20% dell’energia dovrà essere frutto di fonti rinnovabili».  I certificati verdi, come l’energia, sono commercializzati tra produttori di energia ma anche presso qualsiasi investitore, in quanto hanno un proprio valore con relative oscillazioni e quotazioni.

Ma torniamo alla centrale. «Si tratta di piccoli impianti progettati dove oggi si trovano gli zuccherifici. Il primo verrà costruito dal 2010 in Emilia. Occorrono due anni. Il secondo dal 2013 a Porto Viro, e poi un terzo sempre in Polesine. Si tratta di centrali in grado i produrre circa 12 megawatt elettrici all’ora. Piccoli impianti, che possono soddisfare il fabbisogno annuale di 5 mila famiglie, un paese, nulla se paragonato a una centrale nucleare o a carbone come quella di Porto Tolle, che produce 400 megawatt l’ora. Ma una strada che porterà lontano, perché non c’è alternativa alle energie rinnovabili e distribuite nel territorio senza impatto ambientale e non c’è alternativa agricola.    È successo anche in Veneto che non venisse raccolto il mais, perché sarebbe costato più che venderlo. La forza del nostro progetto sta proprio nel garantire un reddito certo agli agricoltori. Si parla di circa 1.500 euro lordi a ettaro, con costi bassissimi di gestione perché non ha bisogno di irrigazione e si coltiva e miete con le attrezzature già disponibili. Per chi piantava estensioni enormi di barbabietole e poi le ha lasciate marcire è un’alternativa. Tant’è che abbiamo già firmato accordi appunto a Finale e nel Polesine dov’è partita la seconda sperimentazione. 35 aziende coinvolte per 90 ettari. E c’è un altro vantaggio, la garanzia che non si bruceranno rifiuti né residui industriali. Per questo non abbiamo alcuna opposizione, sia perché le aree sono già destinate a raffinazione, sia perché c’è il controllo di chi conferisce. Sia perché la centrale rischia di essere l’unica alternativa all’abbandono della terra».

Ma veniamo al business, quanto costa realizzare una centrale di queste dimensioni? «L’investimento iniziale è di circa 60 milioni. Il ricavo annuo sarà di 25 milioni, per produrre 97.500 MW totali all’anno, occupando una quindicina di dipendenti. L’impianto funzionerà 24 ore su 24. Puntiamo ad azzerare i costi di investimento in 6-7 anni. Se il progetto funzionerà, come la nostra società è convinta, forte della necessità che non ci sono alternative percorribili e lo stesso nucleare, se torneremo a produrlo, necessiterà di 15-20 anni, contiamo di realizzare parecchie centrali almeno nelle aree più agricole del paese. Una decina di cui una a Pavia, due in Puglia, una a Grosseto e una a Brescia, oltre alle tre già citate».

Ma le centrali a biomasse non potranno certo risolvere il fabbisogno energetico italiano.  «Sarebbe folle pensarlo. Si tratta semplicemente di una delle fonti, non la più importante, peraltro. Al momento però produce più energia del solare e i costi, allo stato dell’arte sono inferiori, la tecnologia è quella della macchina a vapore, i costi tecnologici non sono irresistibili e non esistono rischi di inquinamento permanente né all’aria, né all’acqua, né al suolo. I residui sono normali ceneri di vegetali senza problemi e costi di smaltimento. La nostra centrale ha il vantaggio di dare una risposta, seppure minima al fabbisogno di energia del nostro paese e una opportunità a migliaia di coltivatori che rischiano di essere costretti ad abbandonare la loro terra senza avere di fronte alcuna strada da percorrere».

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IL  VENETO  APRE  AL  NUCLEARE

di Simonetta Zanetti – da “la tribuna di Treviso”, 11 luglio 2009

VENEZIA. Il Veneto apre al nucleare. Dopo il via libera del Parlamento all’energia atomica, il presidente del Veneto Giancarlo Galan e il numero uno degli industriali Andrea Tomat si dicono disponibili di fronte all’eventualità di accogliere una centrale nucleare all’interno della Regione. E chissà se tra i nuovi criteri di scelta dei siti – attesi entro sei mesi – la disponibilità sarà tra quelli in grado di far pendere l’ago della bilancia.

A margine del convegno che si è tenuto a Padova su “paesaggio e infrastrutture” il governatore ha ribadito la sua posizione: «Non siamo khomeinisti sul nucleare. Dico solo che bisogna vedere il sito, fare le valutazioni. E questo tocca ai tecnici. Io ho sempre detto che il Veneto non è pregiudizialmente contrario e che siamo disponibili a questo tipo di ragionamento». Sulla stessa linea Tomat: «Non c’è alcuna preclusione da parte nostra alla produzione di questa fonte di energia. Certo il nostro territorio è fortemente antropizzato e questo richiede la ricerca di zone che garantiscano la piena sicurezza. Ma se ci sono i siti adatti, il nucleare va preso in considerazione».   Le reazioni. Un dibattito in Consiglio – convocato per mercoledì, alla presenza dello stesso presidente del Veneto – sul nucleare per «arginare le scelte unilaterali del presidente». La richiesta, con una lettera indirizzata al presidente del Consiglio regionale Marino Finozzi, arriva dal capogruppo del Pd Giovanni Gallo, mentre il Verde Bettin annuncia un referendum. «Non c’è dubbio – spiega Gallo – che la Regione sarà chiamata a prendere posizione circa l’ipotesi di insediare sul nostro territorio un impianto nucleare. A tal proposito esprimo tutta la preoccupazione del gruppo consiliare del Pd. La disponibilità di Galan, rischia di assumere la valenza di un impegno preso con il governo nazionale». Accettare fughe in avanti di un solo uomo che decide per tutti – sostiene quindi – significherebbe la definitiva delegittimazione del Consiglio.

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NUCLEARE

CHI E’ PER IL SI’
Il partito pro nucleare ricorda che con l’atomo l’Italia recupera un gap tecnologico di trent’anni rispetto ai paesi vicini, che hanno le centrali da sempre. In quei paesi, dice chi è d’accordo, proprio grazie al nucleare l’energia costa sensibilmente meno che in Italia. In secondo luogo, il nucleare non emette idrocarburi in atmosfera, e quindi non contribuisce al riscaldamento del pianeta. Qualcuno ricorda anche che il Belpaese è esposto al rischio in caso di incidenti nelle molte centrali disseminate lungo i confini. Il viceministro allo sviluppo economico Mario Urso: «anche Obama in America parla della realizzazione di altre 7 centrali. In Italia è visto come l’ecologista. Lo è proprio perché parla di nucleare».

CHI E’ PER IL NO
Al di là dei problemi di sicurezza connessi con il funzionamento delle centrali, i nodi sui cui si concentrano le ragioni del fronte del no sono due: anzitutto il dubbio che gli investimenti – servirebbero 30 miliardi per arrivare a produrre il 25% del fabbisogno nazionale di energia – siano in grado di ripagarsi. Poi, come dice il presidente della Conferenza delle Regioni Vasco Errani, c’è la questione delle scorie «tuttora irrisolta». Secondo Errani il governo ha imboccato una strada sbagliata, dando per scontata una scelta su cui pesa la possibilità di un passo indietro sul versante ambientale. C’è poi chi ricorda il referendum (come il presidente del Piemonte Mercedes Bresso) e chiede che sia ripetuto.

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IL  RITORNO  AL  NUCLEARE  E’  LEGGE

di Giovanni Parente, da “la Repubblica” del 10 luglio 2009

Il ritorno dell’Italia al nucleare è legge. La gestazione è durata circa dieci mesi ma ieri il Senato ha approvato in quarta lettura il ddl Sviluppo. Ora la partita si sposta su un altro campo. Entro sei mesi dall’entrata in vigore del provvedimento, il governo dovrà definire i criteri per la localizzazione e le tipologie delle centrali, lo stoccaggio dei rifiuti, il deposito delle scorie e le compensazioni alle popolazioni interessate.

Il vero nodo da sciogliere è, quindi, proprio quello di dove saranno realizzati gli impianti. «Abbiamo avuto disponibilità a livello locale da vari enti ad accogliere centrali nucleari – ha affermato il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola – C’è una maturazione rispetto a posizioni precedenti».

In realtà, ad aprire spiragli sono stati Sicilia e Veneto. Nel primo caso, però, non si tratta di una cambiale in bianco perché nel momento in cui si prospettasse la possibilità verrebbe sottoposta a referendum. «Non chiudiamo le porte ma non c’ è un sì incondizionato», fanno sapere dalla Regione. Mentre alla disponibilità del Veneto dovrà comunque corrispondere la verifica delle condizioni tecniche per la realizzazione sui propri territori.

Il coro dei no da parte di altri governatori e assessori è stato nutrito. Tra questi anche il presidente lucano Vito De Filippo (Pd). Anche se, ancora ieri, alcune fonti accreditavano la Basilicata come una delle potenziali sedi. Ma la sua regione «non sarà mai disponibile – ha puntualizzato De Filippo – a farsi includere nella nuova geografia nucleare del Paese». Da Pd e Italia dei valori non sono mancate critiche alla svolta sull’atomo. Il democratico Della Seta ha parlato di «salto all’ indietro di 20 anni». Per il candidato alla segreteria, Ignazio Marino, è una «legge inopportuna». Antonio Di Pietro (Idv) la definisce una «bomba ad orologeria». Di diverso avviso l’ ad di Enel, Fulvio Conti, che la ritiene una «scelta storica» e «un’ opportunità strategica». Da Umberto Quadrino, ad di Edison, la convinzione che «si apre un nuovo capitolo nella storia energetica del nostro Paese».

Lo stesso Scajola ha ricordato che «diventa operativo il percorso per un mix elettrico con il 50% di fonti fossili contro l’attuale 83%, il 25% di rinnovabili dall’attuale 18%, il 25% di nucleare».     Entro sei mesi partirà poi anche la borsa del gas: le offerte di acquisto e di vendita saranno gestite dal Gme (Gestore del mercato elettrico).

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NUCLEARE SUBITO AL TEST SCORIE. SEI MESI DI TEMPO PER RISOLVERLO (di Federico Rendina, da “Il Sole 24ore”, 11/7/2009)

Occhio ai siti dove piazzare le nuove centrali atomiche italiane. Con tutti i problemi del caso. Amplificati, come da molti temuto, dalla marcia indietro delle due sole amministrazioni regionali che avevano espresso la disponibilità a favorire il rinascimento dell’atomo elettrico italiano. Sia Giancarlo Galan (Veneto) che Raffaele Lombardo (Sicilia) confermano la nuova e più prudente linea strategica. Il Veneto ne parlerà solo dopo una dettagliata anamnesi tecnico-scientifica e la Sicilia si appellerà in ogni caso ad un referendum popolare. Come a dire: tempi lunghissimi anche nelle due regioni disponibili semplicemente a parlarne.
Ma ecco emergere un ostacolo ancora più duro per l’esito del rinascimento atomico promesso con la legge “sviluppo” varata ieri l’altro: la gestione delle scorie già prodotte dalla nostra attività nucleare. Anche questo tema dovrebbe essere chiarito – dispone la legge delega appena approvata – entro i sei mesi nei quali il governo dovrà definire i criteri per costruire le centrali sul territorio e possibilmente anche le prime bandierine da piazzare sulla carta geografica.
Le scorie imbarazzano davvero. Anche perché ne abbiamo in proporzioni tutt’altro che trascurabili: quelle ereditate dall’attività nucleare sospesa dopo il referendum del 1987, quelle frutto dello smantellamento delle nostre quattro vecchie centrali atomiche di Trino, Caorso, Latina e Garigliano e quelle (che da sole non costituirebbero un gran problema) prodotte dalla normale attività medica e scientifica del paese.
Bene. Anzi male. Perché l’Italia, come stranoto, non riesce neanche a gestire le scorie che comunque ha. Ci dovrebbe pensare innanzitutto la Sogin, creata nel 1999 e paralizzata per lunghi anni da un doppio problema, interno ed esterno. Quello interno riguardava la sua gestione, considerata sciagurata da tutti gli osservatori ufficiali e ufficiosi: gli analisti, le commissioni parlamentari, la Corte dei Conti, l’Authority per l’energia.
Sulla macchina inefficiente, clientelare e mangiasoldi della Sogin si è detto, negli anni, tutto. Per sintetizzare: fino al 2006 la Sogin ha speso il 38% del suo budget di gestione per svolgere solo il 6% delle sue attività programmate e imposte. Piccola, ma largamente insufficiente giustificazione: il paese, inteso come classe politica che il paese lo amministra, non è riuscito a risolvere il problema principale, ovvero l’individuazione dei criteri tecnici e logistici per immagazzinare, trattare e possibilmente “disattivare” le scorie nucleari.
Ed ecco che l’Italia, paese che rinunciato al nucleare 22 anni fa e vorrebbe ricominciare ad usarlo, si ritrova tutt’oggi con la bellezza di 55 mila metri cubi di scorie radioattive prodotte dalle sue vecchie centrali, a cui si aggiungono 25mila metri cubi di detriti parimenti pericolosi prodotti dal loro smantellamento. Ci sono poi 500 tonnellate l’anno di rifiuti prodotti dall’attività medica e scientifica. Per non parlare di qualche tonnellata di scorie tra le più pericolose, parcheggiate (a caro prezzo) in Francia e in Inghilterra per un loro parziale riprocessamento ma con l’impegno di riprendercele entro una decina di anni.
Un’eredità imbarazzante, vecchia e nuova. A gestirla un po’ meglio ci abbiamo provato più volte, con clamorosi passi falsi, come quello dell’individuazione, era il 2003, del sito geologico di Scanzano Ionico: invece di seppellire in eterno le scorie il progetto è stato prontamente seppellito dalle critiche dei molti esperti e dal no a furor di popolo. Ora ci si riproverà – dice il Governo – con uno o più siti di superficie. Intanto le nostre scorie galleggiano alla bene e meglio nei siti dove erano prodotte quando eravamo nucleari: nelle vecchie centrali e nei centri di ricerca e stoccaggio ad esse collegate.
Nel frattempo, dal 2007, la sgangherata macchina della Sogin ha preso improvvisamente vigore, sotto la guida dell’ex dirigente dell’Enel Massimo Romano, nonostante la mancanza di una vera rotta sulla gestione definitiva dei rifiuti. Il rapporto tra spesa e attività svolta si è invertito: l’anno scorso si è chiuso con attività di decommissioning per 46,6 milioni di euro a fronte di spese di funzionamento ridotte a 31,8 milioni.
Peccato che la Sogin abbia proprio ora il destino segnato. Il Ddl “sviluppo” ne decreta lo smembramento e dunque la scomparsa, per conferire la crema delle attività ad una nuova società pubblico-privata che in nome del rinascimento nucleare dovrebbe mettere insieme i suoi migliori operatori con le imprese nucleari italiane capeggiate, si dice, da Ansaldo Energia. Se questa sia effettivamente la soluzione migliore il dibattito è aperto. Sta si fatto che lo smantellamento di quel che aveva cominciato finalmente a funzionare rappresenta un’ulteriore incognita in una sfida già difficilissima.

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Centrali nucleari di quarta generazione, meta lontana

Da:  http://www.ilsole24ore.com/dossier/Economia%20e%20Lavoro/risparmio-energetico/

Gli esperimenti degli anni ’50, le realizzazioni pionieristiche degli anni ’60, il boom nuclearista degli anni ’70. Poi, dopo gli anni ’80, la terza generazione, sfociata nella cosiddetta “terza generazione avanzata” che fornisce già oggi molte garanzie aggiuntive sulla sicurezza. E ora la grande suggestione della quarta generazione, con la soluzione alla principale incombenza imposta dal nucleare: la gestione delle scorie. La futura e purtroppo lontana (trent’anni e oltre) quarta generazione promette addirittura di trasformarle in “carburante” con un riciclaggio praticamente automatico che dovrebbe risolvere in un sol colpo tre grandi problemi: il costo comunque in crescita dell’uranio, la sua futura reperibilità, lo smaltimento-conservazione-disattivazione dei detriti radioattivi che ora rappresentano un onere economico con una gestione comunque difficile.

Tutto cominciò a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 con le centrali nucleari cosiddette di prima generazione. Si trattava di impianti di potenza ridotta e con criteri di sicurezza neanche lontanamente comparabili con quelli attuali. Tant’è che quelle centrali o sono state progressivamente smantellate o hanno subito negli anni numerosi interventi di adeguamento.
Si arrivò, con la seconda generazione, al boom nucleare degli anni ’70 ed ’80, con un incremento sostanzioso della potenza e delle dimensioni dei reattori e delle centrali. Ma negli anni successivi anche questi impianti sono stati profondamente revisionati per migliorarne la sicurezza alla luce dell’esperienza operativa e dei pochi ma imbarazzanti incidenti occorsi (Chernobyl il più eclatante).

La terza generazione ha fatto tesoro di tutte le esperienze accumulate: potenze più elevate ma anche grande sicurezza, con procedure di intervento automatico di salvaguardia e spegnimento in caso di anomalia anche minima o solo sospetta. Tecnologie ora sfociate nella cosiddetta “terza generazione avanzata”, come quella dei reattori Epr in costruzione in Francia e in Finlandia e che si vorrebbe adottare anche in Italia. Gli Epr sono certificati per garantire livelli assoluti di sicurezza anche in modo indipendente dalle azioni degli operatori, tramite sistemi passivi, e sono teoricamente in grado di eliminare la necessità di evacuazione della popolazione circostante l’impianto anche in presenza dei più gravi incidenti ipotizzabili.

La quarta generazione? La ricerca corre, ma guarda necessariamente lontano: 30 anni e oltre. Ma l’obiettivo si materializzerà, giurano gli scienziati impegnati nei programmi internazionali di ricerca a cui partecipa anche l’Italia: l’uranio o in alternativa altri materiali fertili o fissili saranno utilizzati in maniera più efficiente, con il riprocessamento direttamente nel ciclo di generazione del materiale esaurito. Anche quello nel frattempo prodotto dalle centrali atomiche di oggi.

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sul Polesine e sul “nucleare in Italia” vedi anche:

http://www.magicoveneto.it/natura/fiumi/AdigeP02.htm

https://geograficamente.wordpress.com/2009/03/12/nucleare-pro-e-contro-terza-parte-a-camin-di-padova-si-sperimenta-la-fusione-rubbia-sul-ritorno-allatomo-lasciamo-perdere-e-portiamo-avanti-le-energie-rinnovabili/

https://geograficamente.wordpress.com/2009/01/24/geoenergie-porto-tolle-la-riconversione-della-centrale-termoelettrica-a-carbone-pulito-dubbi-e-proposte/

https://geograficamente.wordpress.com/2009/03/06/litalia-e-le-centrali-nucleari-chi-e-perche-e-favorevole-chi-e-perche-e-contrario-secondo-approfondimento/

https://geograficamente.wordpress.com/2009/02/27/litalia-torna-al-nucleare-le-ragioni-del-si-e-quelle-del-no/

Una risposta a "Centrali nucleari: il Veneto (con la Sicilia) si candida ad ospitarne una. La possibilità che venga collocata in Polesine (il bivio di “che scelta fare” nella vocazione energetica di questa splendida area geografica)"

  1. Lorenzo Ciarcià lunedì 18 gennaio 2010 / 11:00

    praticamente il referendum dove gli Italiani stabilivano NO AL NUCLEARE, era una resa in giro?

    bastava dirlo…

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